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Fratello Goniface si destò di soprassalto dall’abisso infinto e oscuro del sonno.

Prima un sogno. Un sogno così profondo, così primitivo che era privo di immagini e di suoni. Orrore. Un contorcimento nella tenebra che era lui stesso. Qualcosa che lo imprigionava. Lui che lottava invano per liberarsi. Un dolore intenso, pungente. Una parte essenziale della sua persona che veniva tagliata via per poi essere usata contro di lui. Era il suo segreto, il suo unico tallone di Achille. Avrebbe potuto distruggerlo. Poi uno spasmo convulso e lui che, in preda al terrore, si dimenava, inutilmente.

Poi un sogno più circostanziato. Lui che vagava in mezzo alle salme delle persone che aveva ucciso, perché conoscevano il suo segreto. Sembravano tutte molto bianche, rigide e mute; erano distese ciascuna su un tavolo, sotto una lampada accesa, e lui si sentiva al sicuro.

Poi, d’un tratto, il cadavere del terzo tavolo si drizzò a sedere. Era una ragazza ancora acerba, con i capelli scuri che le scendevano sulle spalle marmoree. Gli puntò contro un dito, aprì la bocca e disse: — Il tuo nome è Knowles Satrick. Tu sei figlio di un sacerdote. Tua madre era una Sorella Perduta. Tu hai trasgredito la più sacra delle leggi della Gerarchia. Tu sei un impostore. — Lui si precipitò verso di lei, per costringerla a sdraiarsi di nuovo e tapparle la bocca. Ma non appena le sue dita la sfiorarono lei scivolò via. Lui la rincorse e la inseguì intorno ai tavoli. Alcuni caddero e si ribaltarono. Inciampò nella salma di sua madre. Sempre in tondo, sempre in tondo. Barcollando. Boccheggiando. Ma lei continuava a eluderlo e a urlare ad alta voce: — Deponete l’arciprete Goniface! Il suo vero nome è Knowles Satrick! Suo padre era un prete! — Dopo un po’, anche gli altri cadaveri aprirono la bocca e cominciarono a gridare: — Knowles Satrick! Figlio di prete! — fino a quando tutto il mondo glielo urlò in faccia e mille mani si protesero ad afferrarlo. Poi, all’improvviso, ritornò bambino e udì sua madre borbottare amaramente: — Figlio di un prete! — per farlo vergognare.

Poi alcuni ricordi, vicini alla superficie del risveglio. Il volto bianco e rovesciato della sua sorellastra Geryl, con i capelli scuri che fluttuavano nell’aria, mentre lei precipitava giù dal ponte verso il torrente che scorreva sotto, lontano e nero. Finalmente il suo segreto era salvo. Poi la camera del Sommo Concilio e la miniatura solidografica di una donna adulta, sul cui volto aveva letto la medesima espressione di odio e di implacabile determinazione che aveva colto negli occhi di quella ragazza acerba, mentre precipitava verso il torrente. Lo stesso viso. Geryl. Sharlson Naurya. Il suo segreto era ritornato a vivere.

Poi l’illusione. Lui si trovava dove avrebbe dovuto essere nella sua stanza, al Santuario. La penombra della camera gli permetteva di discernere i profili dei mobili e, stagliata contro la pediera del letto, vide la sagoma di un grottesco antropoide, più magro di una scimmia, ma peloso. Restò lì solo per un istante, dopodiché scomparve, ma Goniface udì il rumore quasi impercettibile di agili zampe che si muovevano rapide sul pavimento.

Poi veglia completa. Si drizzò a sedere, respirando con un certo affanno. A poco a poco i suoi occhi presero di nuovo confidenza con i contorni della stanza, rimettendo ogni oggetto al suo posto nella semi-oscurità. Che strano che quel breve sogno fosse riuscito a riprodurre quasi alla perfezione la fisionomia della camera. Ma a volte capitava di fare sogni del genere.

Probabilmente erano stati i preti di campagna, con tutto quel loro cianciare di creature pelose che gli si accovacciavano sul petto, a far scatenare nella sua mente quelle immagini oniriche.

Gli parve di accusare un lieve dolore alla schiena, ma anche quello doveva essere un retaggio del sogno.

Era davvero orribile che il ricordo delle sue passate malefatte dovesse di tanto in tanto venire a tormentarlo nel sonno. Ma la mente umana è fatta così: non c’è niente che possa dimenticare per sempre.

E poi, che differenza faceva? Adesso, il segreto della sua nascita non aveva più una grande importanza. Avrebbe potuto nuocergli quando era ancora un sacerdote del Primo Circolo, ma adesso era troppo potente per rischiare di venire cacciato dalla Gerarchia, o anche solo di vedere la propria posizione seriamente minacciata dalla contestazione di una simile accusa.

Nondimeno, se Geryl era effettivamente sopravvissuta, e se Geryl era Sharlson Naurya, e se i Moderati avessero messo le mani su di lei, lui poteva venire a trovarsi in una situazione a dir poco imbarazzante. La soluzione migliore era che Deth la trovasse per primo e la togliesse di mezzo.

A quanto pareva faceva parte della Stregoneria. Questo significava allora che la Stregoneria era a conoscenza del loro legame di parentela e che intendeva usarla contro di lui? Ma in questo caso, perché l’avevano fatta sparire misteriosamente? A che cosa poteva servire lei, se non ad accusarlo pubblicamente di essere il figlio di un sacerdote e di essere entrato nella Gerarchia in modo illegittimo?

Mentre Goniface rifletteva, il raggio dei suoi pensieri si allargò e, prima ancora che se ne rendesse conto, si ritrovò a contemplare con la fantasia il vasto impero della Gerarchia.

Fuori, nell’oscurità, ma anche nella parte della Terra in cui a quell’ora splendeva già il sole, qualcosa stava minando quell’impero, come un topo che rosicchi i fili di una rete. La Nuova Stregoneria diventava ogni giorno più audace. Dalla campagna si era insinuata nei piccoli centri urbani, da lì nelle città. E il giorno prima aveva colpito addirittura all’interno della Cattedrale.

Ma il pensiero che più lo assillava riguardava la figura che era a capo della Stregoneria. In alte parole, da qualche parte oltre quelle mura, esisteva una mente così ardita da sfidare la Gerarchia. L’identità di quella mente affascinava Goniface più di ogni altra cosa. Proveniva da un altro pianeta? Era un’ipotesi difficilmente concepibile. Forse doveva cercare più vicino.

Uno dei pannelli televisivi collocati accanto al suo letto si illuminò e apparve il volto di uno dei sacerdoti del Quarto Circolo, in servizio al Centro di Telecomunicazione.

— Sono dolente di disturbare l’arcipretura vostra — esordì il sacerdote.

— Che cosa c’è?

— È iniziato circa un’ora fa. Un’improvvisa, consistente intensificazione di tutte le manifestazioni della Stregoneria. Ci sono giunte comunicazioni da tutto il pianeta. In molti Santuari di campagna si sono verificate scene di panico e almeno due sono stati abbandonati dai preti che li occupavano. Da Neodolos ci è pervenuto un massaggio confuso e ambiguo. Sembra che attorno alla nostra città e nella città stessa siano stati avvistati animali di qualche tipo o fantasmi di animali. Molti sacerdoti di distretto parlano di allucinazioni, e di molestie non meglio precisate, e chiedono soccorso. Nel dormitorio dei novizi ci sono stati disordini e scene di panico.

— Puoi dirmi — gli chiese Goniface — se sono state messe in atto le contromisure previste per simili emergenze?

Il volto sullo schermo annuì. — Per quanto mi consta sì. Ma il Direttore delle Comunicazioni desidera conferire con voi. Devo mandarlo in onda?

— No — rispose Goniface. — Scendo io di persona.

Il televisore si spense. Goniface premette un interruttore e una tenue luce inondò la sua cella spaziosa, arredata con spartana eleganza.

Si alzò prontamente dal letto, poi, spinto da un impulso improvviso, si voltò a guardare.

Si ricordò immediatamente del dolore pungente che per un attimo l’aveva trafitto in sogno.

E, quasi al centro del letto, trovò un altro retaggio del suo sogno… un retaggio di natura molto diversa.

Una piccola macchia di sangue.

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