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Fratello Chulian aveva paura dell’uomo disteso sul letto. C’era quasi angoscia nei suoi occhi mentre lo guardava.

Per la verità, quell’uomo era quasi sicuramente privo di coscienza; lo era stato fin dal momento in cui l’avevano catturato. Era ferito in modo così grave che i medici avevano dovuto approntare un cuore artificiale per sostenere il suo. Chulian osservò il sangue che scorreva nei tubi trasparenti.

Era ben vero che la scienza medica della Gerarchia era in grado di accelerare in modo stupefacente il processo di guarigione, ma ciò non toglieva che sarebbero dovute trascorre parecchie ore prima che il prigioniero potesse alzarsi da quel letto.

Nondimeno, Chulian aveva paura di lui. Perché quell’uomo era una strega, o non sarebbe stato più giusto dire uno stregone? In ogni caso, un potente esponente della Stregoneria Occulta. E il ricordo della recente esperienza che aveva fatto dei poteri della Stregoneria era fin troppo vivo nella sua mente. Quel divano abominevole! Non era più riuscito a dormire bene da quel giorno.

Simili poteri oltrepassavano i limiti del possibile.

Naturalmente, i sacerdoti dei circoli più alti sostenevano l’esatto contrario. La maggior parte di loro asseriva che quei poteri altro non erano che trucchi, illusioni create con innegabile maestria dai nemici della Gerarchia con l’ausilio della scienza. Insomma, in essi non vi era alcunché di soprannaturale. Era questo il concetto che in quei giorni veniva ripetuto con martellante insistenza ai preti dei circoli inferiori. Erano anche state indette speciali riunioni sull’argomento. I sacerdoti delle alte sfere non si stancavano neppure di ribadire che la Gerarchia avrebbe presto sconfitto il nemico: aveva soltanto ritardato l’azione per poterlo studiare e perfezionare i preparativi del contrattacco. Nel frattempo, ai preti dei circoli inferiori veniva chiesto di guardare con assoluto e totale scetticismo ai fantasmi… e, se ne vedevano qualcuno, di presentare in merito dettagliate relazioni ai loro superiori.

Come sarebbe stato più rassicurante, rifletté ansiosamente Chulian, se la Gerarchia avesse annunciato che il Grande Dio, nella sua soprannaturale onnipotenza, aveva deciso di sbaragliare le schiere di Satanas! Il fatto era che il Grande Dio non esisteva. Quale immenso conforto sarebbe stata la sua esistenza!

Una sacerdote del Terzo Circolo entrò nella stanza, ispezionò il paziente, rilevò i dati dagli indicatori collegati alla macchina per la circolazione extracorporea del sangue, e se ne andò senza dire una parola.

Come era stato meschino Cugino Deth ad affidargli quell’incarico!

Ma che cosa poteva farci? Poco per volta, e contro la sua volontà, era entrato a far parte del suo entourage. E dietro Cugino Deth si profilava la potente figura dell’arciprete Goniface. Dopo aver cercato per anni di evitarlo, Chulian era rimasto invischiato nella politica della Gerarchia.

Per suo temperamento, Chulian si riconosceva nel partito dei Moderati. Una volta aveva sentito l’arciprete Frejeris parlare e ne era rimasto così colpito che se lo ricordava ancora. Un uomo alto, bello, sereno come una statua; gli aveva ispirato un senso di grande tranquillità e di sicurezza.

Tuttavia, doveva ammettere che la politica adottata in quel frangente dai Moderati, con la loro ostinazione a minimizzare il pericolo rappresentato dalla Stregoneria, non lo soddisfaceva affatto. Se fosse capitato a loro quello che era capitato a lui, si sarebbero ben guardati dal sottovalutarne a quel modo la minaccia! Questa volta erano i Realisti a vedere giusto.

Un flebile rumore, come di qualcuno che si schiarisse la gola, lo distolse da quei pensieri. L’uomo disteso sul letto aveva aperto gli occhi e lo stava guardando.


Non appena l’Uomo Nero riprese conoscenza, il primo pensiero che attraversò la sua mente fu un’eco che lo raggiunse dal profondo del suo subconscio: preoccupazione per Dickon. Senza la sua quotidiana razione di sangue, il suo piccolo fratello sarebbe potuto sopravvivere al massimo tre giorni.

Formulò con ansia un messaggio: — Ci sei, Dickon? — Poi sgomberò la mente e restò in attesa.

Lentamente, nel vuoto dei suoi pensieri si incise una risposta.

— Dickon è nei tubi del vento. Dickon è molto debole. Povero Dickon. Ma Dickon riesce a vederti.

Tubi del vento? I condotti dell’areazione! Doveva esserci una presa d’aria nella stanza.

Pensò: — Perché non puoi venire qui da me?

Trascorsero alcuni istanti prima che gli giungesse la risposta. Evidentemente, il cervello del suo fratellino era ottenebrato dai veleni della stanchezza.

— A Dickon piacerebbe venire. È all’imboccatura di un tubo del vento che porta alla tua camera. Ma c’è sempre un prete nella stanza. Sarebbe sbagliato per Dickon rischiare di farsi vedere dal prete. Questo tu lo sai, fratello.

— Dickon ha aspettato qui per un giorno intero. Povero Dickon. È stato molto difficile per lui arrivare fin qui. Ha perso il contatto con la mente di suo fratello più di una volta. Dickon vuole che tu gli dica che cosa deve fare.

L’Uomo Nero pensò: — Dove si trova il prete?

— Se giri un po’ la testa a sinistra, lo vedi. Non sta guardando il fratello di Dickon in questo momento.

Con infinita cautela e senza fare nessun rumore, l’Uomo Nero ruotò il capo fino a quando i suoi occhi inquadrarono Fratello Chulian. Il paffuto sacerdote della Gerarchia sembrava assorto in cupi pensieri.

Pensò: — Hai ancora sufficiente energia per muoverti con rapidità per un po’, Dickon?

— Dickon ha ancora una piccola scorta di sangue fresco nella sua sacca. Restando seduto tranquillo, Dickon è riuscito a risparmiarla.

— Perfetto! Non ci vuole niente per spaventare questo prete. Senza farti vedere, cerca di fargli paura, così mentre lui si precipita fuori dalla stanza, tu puoi correre qui. lo lo distrarrò, mentre tu entri in azione.

— E dopo Dickon potrà venire da suo fratello?

— Sì.

L’Uomo Nero si schiarì la gola. Non sapeva se sarebbe stato in grado di parlare. Gli sembrava di avere un polmone completamente fuori uso.

Con un sussulto, Fratello Chulian si voltò a guardarlo.

— Io sono un servitore di Satanas — disse l’Uomo Nero. La sua voce era ridotta a un debole sussurro.

— Tu sei un nemico del Grande Dio — rispose dopo un po’ Chulian con una sorta di esistente diplomazia.

L’Uomo Nero piegò le labbra in quello che si augurò risultasse un sorriso malvagio.

— E chi ha paura del Grande Dio? — bisbigliò. — Il Grande Dio non ha nessuna autorità. È stato creato da Satanas affinché gli uomini avessero una speranza a cui aggrapparsi e la loro lotta contro il male, la paura e la morte fosse più divertente.

— Ciò non toglie che tu adesso sia prigioniero della Gerarchia — replicò Chulian, toccandosi distrattamente la veste, come se qualcosa gli avesse pizzicato la coscia.

— Sì — disse l’Uomo Nero con fare sinistro. — E sono sorpreso che abbiate osato recarmi un simile affronto. Liberami immediatamente, altrimenti ti farò del male.

Per la seconda volta, senza accorgersene, Chulian, che era seduto su una sedia, si scostò la veste: la sua attenzione era tutta concentrata sull’Uomo Nero.

— Non puoi muoverti da quel letto — insistette, ma la sua voce tradiva una certa inquietudine. — Non puoi uscire da questa stanza. Per cui non c’è modo in cui tu possa farmi del male.

— Davvero? — rispose l’Uomo Nero con un filo di voce, mentre un sorriso gli increspava le labbra. — Perfino in questo momento le mie mani invisibili sono protese verso di te. Anzi sono su di te!


Con un grido, Fratello Chulian, balzò in piedi.

Si grattò la coscia fissando con sospetto prima l’Uomo Nero, poi la sedia. Quindi, con un movimento fulmineo, come se sapesse che se avesse esitato non avrebbe più avuto il coraggio di farlo, afferrò la sedia e la capovolse. L’ispezione dovette in qualche modo riassicurarlo, perché un istante dopo la depose nuovamente per terra e ci si sedette sopra.

Ma non fece tempo ad adagiarvi i lombi traccagnotti, che di nuovo si sentì pizzicare la coscia. Con un urlo, questa volta, di puro terrore, Chulian scattò in piedi, agitando disperatamente le braccia in aria per scacciare le mani invisibili. Quindi, lanciando un’ultima occhiata atterrita all’Uomo Nero, si precipitò fuori dalla stanza.

Lo stregone udì Dickon correre lesto verso il letto e, dopo pochi istanti, vide apparire sul bordo una zampa rossiccia, le dita artigliate, il palmo dotato di ventosa. (Era grazie alle ventose che aveva sulle zampe che Dickon era riuscito a restare aggrappato alla parte opposta della sedia, quando Chulian l’aveva capovolta.)

Lentamente, e con fatica adesso, perché il piccolo demone era arrivato allo stremo delle forze (l’Uomo Nero ne percepiva lo stordimento e la grave debolezza attraverso gli impulsi telepatici sempre più vaghi) Dickon sollevò il minuscolo corpo sul materasso.

Assomigliava a una scimmia ragno, ma aveva il tronco molto più piccolo ed era di gran lunga più scarno. Un pelo morbido e ramato copriva quello che più che un corpo vero e proprio, sembrava un mero schizzo, un abbozzo di organismo: un intreccio di ossa sottilissime e di muscoli nastriformi. In breve, l’incarnazione della fragilità e dell’agilità insieme, benché in quel momento i suoi movimenti fossero rallentati dalla stanchezza. Il suo muso assomigliava a quello di un lemure, con grandi occhi aguzzi, che adesso invece erano opachi e vacui.

Una creatura spettrale, un folletto.

Ma non appena lo vide, l’Uomo Nero sentì un tuffo al cuore. Lui sapeva perché il suo pelo rossiccio era della stessa tonalità dei suoi capelli, perché il suo muso stempiato e pressoché privo di naso sembrava una caricatura del suo viso.

Lui lo conosceva, e lo amava come un fratello. Più di un fratello. Come carne della sua carne.

Lo salutò con gioia quando lo sentì scivolare lungo il fianco e appoggiare la strana boccuccia sulla sua pelle. E quando lo sentì suggere sangue ossigenato dalle sue arterie e contemporaneamente espellere quello consumato nei suoi capillari venosi, provò un senso di meravigliosa gratificazione.

— Bevi a volontà, fratellino — pensò. — Offre la Gerarchia, piccolo. Devono avermi trasfuso molto sangue per alimentare quel cuore artificiale. Per cui bevi a volontà. Poi, all’improvviso si sentì molto debole, assonnato. L’immissione nelle sue vene del sangue deossigenato di Dickon aggravava la sua spossatezza.

Il pensiero di Dickon lo raggiunse come in sogno: — Dickon sta acquistando forza, fratello. Adesso Dickon si sente così forte da poter portare un messaggio fino in capo al mondo, se è questo che il fratello di Dickon desidera.

Bravo Dickon.

L’Uomo Nero udì un rumore di passi frettolosi fuori dalla stanza, ma prima che la sua mente riuscisse a comunicare a Dickon l’incombere del pericolo, con un agile balzo il piccolo demone era già scomparso.

— Dickon ritorna nel tubo del vento, fratello. Pensa al messaggio che vuoi che Dickon consegni. Dickon resterà in ascolto.

Attraverso un velo di profonda stanchezza, l’Uomo Nero udì la voce beffarda di Cugino Deth. — Allora, dove sono le mani che vi avrebbero toccato in modo così irriverente, vostra reverenza? Potreste essere così gentile da mostrarmele? Oh, ma già, dimenticavo. Avete detto che sono invisibili. E vi stanno pizzicando anche in questo momento, reverenza? Sono in grande apprensione.

Poi la risposta stridula di Fratello Chulian. — Mi ha toccato, ti dico! Mi ha guardato, mi ha parlato e poi mi ha toccato in modo invisibile!

— Che maleducato! — commentò la voce beffarda. — Temo che sarò costretto ad affidare la sorveglianza del nostro prigioniero a un guardiano meno sensibile. Oh, io sono perfettamente convinto che quest’uomo vi abbia toccata in modo invisibile, Fratello Chulian. Ha toccato la vostra mente, con la suggestione, l’ipnosi. Le streghe sono molto abili a usare queste armi.

Poi la voce del diacono divenne più forte e distinta, e nel suo stato di semi-incoscienza, l’Uomo Nero si rese conto che Cugino Deth si era chinato su di lui e lo stava guardando.

— Ma mi chiedo a che cosa gli serviranno questi trucchetti quando si sarà ripreso a sufficienza da poter essere condotto da Fratello Dhomas.

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