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Il tintinnio argentino di cimbali nascosti e un potente coro di voci invisibili, emozionante eppure di una dolcezza celestiale, annunciarono l’appropinquarsi degli esorcisti alla casa stregata. I cittadini comuni che bloccavano la strada si ritrassero per lasciarli passare. Ma poiché le vie che attorniavano la piazza erano gremite di gente e altri popolani ancora spingevano per vedere la processione, e poiché nessuno era disposto a metter piede sul terreno incolto e maledetto che circondava la casa stregata e tutti opponevano una disperata resistenza a chi cercava di spingerli in quella direzione, parecchi furono gentilmente convinti a farsi di lato a suon di sberle da mani sacerdotali inviolabili e guantate di rosso, e uno o due bambini furono scaraventati a terra, prima che gli esorcisti facessero il loro ingresso nella piazza.

Furono accolti da un mormorio di eccitazione. Megateopoli era in gran subbuglio per la voce che correva di bocca in bocca di accadimenti straordinari nel mondo soprannaturale e per la presenza così vicina del tanto temuto Satanas, che era di nuovo risalito dall’Inferno per sfidare l’onnipotenza del suo signore.

Quel mattino, di buon ora, si era sparsa la notizia che la Gerarchia avrebbe purificato la casa stregata dal male. Era parsa a tutti un’idea estremamente saggia e razionale, dal momento che si trattava di un resto dell’Età dell’Oro e, come tale, di un possibile covo di Satanas e dei suoi accoliti, a cui piacevano così tanto quegli antichi, arroganti peccatori che avevano osato prendere d’assalto il cielo. Per quanto dura fosse l’epoca in cui vivevano, dal punto di vista delle manifestazioni del soprannaturale era straordinaria. Quello nessuno poteva davvero negarlo.

La musica e il fasto del corteo avevano lo scopo di esaltare l’aspettativa della folla.

Aprivano la processione quattro giovani sacerdoti, alti e belli come angeli, ciascuno dei quali reggeva dinanzi a sé, come fosse un bastone di comando, una scintillante verga dell’ira.

Seguivano due diaconi che portavano altrettanti turibuli, dai quali si levavano nuvole di incenso dolce.

Poi era la volta di un prete, che camminava da solo, e che a quanto pareva doveva essere il capo di tutti. Sembrava piuttosto basso e tarchiato, ma procedeva impettito nella veste rigonfia e a testa alta. I cittadini del Quinto Distretto strabuzzarono gli occhi nel vedere la loro guida spirituale, Fratello Chulian, investito di tanta autorità.

Dietro di lui, una ventina di altri sacerdoti (alcuni con l’insegna del fulmine e del serpente, che indicava la loro appartenenza al Quarto Circolo, ricamata sul petto) portavano ogni sorta di oggetti terrificanti: globi che risplendevano anche nella piena luce del giorno, tubi, barattoli e scatole di metallo dalla foggia strana, tutti riccamente decorati, tempestati di gioielli e adornati di simboli religiosi.

Gli ultimi quattro preti di questo gruppo, scuri in volto, conducevano un grande oggetto, che assomigliava alla gigantesca conchiglia di una lumaca e fluttuava con una certa qual difficoltà all’altezza delle loro spalle. I quattro sacerdoti la guidarono sulla cima di una minuscola montagnola al centro della piazza, dopodiché indietreggiarono di alcuni passi. Poi, mentre la folla li fissava a bocca aperta, uno di loro compì alcuni gesti mistici nell’aria: la conchiglia incominciò ad abbassarsi lentamente, schiacciando le pianticelle e i cespugli sotto di sé, e alla fine si fermò con l’apertura svasata puntata verso la casa stregata.

Ma il sopraggiungere della retroguardia del corteo distolse l’attenzione degli astanti da quello spettacolo. Il chiacchiericcio eccitato della folla si ridusse momentaneamente a un sussurro, mentre i cittadini delle prime file informavano quelli alle loro spalle dell’arrivo del piccolo uomo vestito di nero. Cugino Deth era piuttosto conosciuto.

Alla vista dell’oggetto che lo seguiva, molti bambini si misero a piagnucolare. Aveva l’aspetto di un’enorme scodella, molto profonda ed ermeticamente chiusa. Nondimeno, ne fuoriusciva una condensa bianca e un liquido dello stesso colore gocciolava sull’acciottolato, lasciandovi una traccia di minuscole pallottoline, che si dissolvevano nel nulla, ma che, a camminarci sopra a piedi nudi, si attaccavano alla pelle e bruciavano. I cittadini della prima fila furono investiti da una corrente d’aria ghiacciata.

Normalmente, due contenitori di acqua santa simili a quello erano collocati ai lati dell’ingresso della Cattedrale e raggelavano l’entrata. Più di un bambino ci aveva rimesso la pelle delle dita quando la curiosità, che nei piccoli è sempre fervida, lo aveva spinto a toccarne uno con la mano e ne era stato prontamente allontanato dalla madre urlante. Non c’era quindi da meravigliarsi che i sacerdoti che lo trasportavano avessero attivato al massimo il loro campo di inviolabilità!

La musica invisibile crebbe in, un maestoso esaltante, poi si interruppe bruscamente. La folla si zittì e per un attimo regnò il silenzio. Quindi, uno dei quattro giovani sacerdoti che avevano aperto la processione avanzò con grande solennità verso la casa, tenendo la verga dell’ira alta sopra il capo come una spada sguainata. Tutte le teste si girarono all’unisono e gli astanti ammutoliti lo seguirono con lo sguardo.

— Questo luogo è abitato dal demonio! — urlò all’improvviso il prete a gran voce. — È ripugnante alle narici del Grande Dio. Trema, Satanas! Fuggi, demonio! Perché, ecco, io imprimo qui il marchio della Gerarchia!

Si fermò esattamente di fronte al vecchio uscio sconnesso e dalla verga tesa uscì un fiotto di luce violenta, della medesima tonalità della sua aureola, che era quasi invisibile alla luce del sole. Lentamente, il sacerdote tracciò un cerchio di fuoco sopra l’entrata.

Quello che accadde subito dopo parve chiaro a tutti che non doveva rientrare nel programma. Perché all’improvviso, prima di aver completato il cerchio incandescente, il prete si sporse in avanti per scrutare attraverso l’orifizio irregolare dell’uscio, e quel che vide dovette sembrargli di eccezionale interesse perché vi cacciò dentro la testa. Ma improvvisamente il vano della porta si raggrinzò e, come le fauci di un felino affamato, si serrò intorno al collo del malcapitato. Il quale prese a scalciare come un ossesso, mentre la verga, che continuava a sputare luce viola, minacciava di dar fuoco all’erba.

La folla rimase con il fiato sospeso e qua e là si levarono grida di terrore, inframmezzate da qualche risata isterica. Gli altri giovani sacerdoti si precipitarono a soccorrere il loro compagno; uno di loro afferrò la verga caduta, che si spense all’istante. Gli altri lo presero per le gambe e incominciarono a spingere e a tirare con forza, finché visto che ogni tentativo risultava vano, decisero di scardinare l’uscio; il muro cedette un po’, come se fosse fatto di una sostanza semi-elastica, ma quello fu tutto.

Poi, d’un tratto, la porta si dilatò di propria spontanea volontà e i quattro giovanotti ruzzolarono all’indietro, finendo a gambe all’aria in mezzo alle erbacce fumanti. Il prete che era rimasto intrappolato si alzò di scatto e, prima che gli altri potessero impedirglielo, si fiondò all’interno della casa. La porta si serrò alle sue spalle.

La casa incominciò a tremare.

I suoi muri afflosciati si irrigidirono, si gonfiarono e furono squassati da un movimento ondulatorio. Le finestre si restrinsero fino a scomparire. Un muro si allungò visibilmente, un altro si contrasse. Altre parti della casa si deformarono in modo ancor più straordinario.

All’improvviso, una delle finestre del piano superiore si dilatò e il prete schizzò fuori come un proiettile, come se la casa lo avesse assaggiato e poi, non avendolo trovato di proprio gusto, lo avesse sputato fuori. A metà tragitto, il sacerdote attivò il suo campo di inviolabilità, cosicché il suo atterraggio fu più lento e morbido. Rimbalzò gentilmente per terra.

Questa volta le risate della folla non furono dettate soltanto dall’isteria.

La casa si acquietò.

I sacerdoti che sorvegliavano gli strumenti cominciarono a consultarsi freneticamente. Due di loro si precipitarono verso Cugino Deth. Quelli che controllavano il grande tubo arrotolato sulla collinetta gli rivolsero uno sguardo interrogativo.

Ma fra tutti gli esorcisti, nessuno si sentiva più inutile e confuso di Fratello Chulian. Perché gli dovevano sempre capitare cose simili? Eletto a quella posizione di apparente autorità per un malvagio capriccio di Deth, era quello che meno di tutti sapeva che cosa stesse accadendo. Se solo la sera prima avesse tenuto a freno la lingua e non avesse insultato quel piccolo diacono pestifero!

I quattro giovani sacerdoti risolsero di allontanarsi dalla casa e si fermarono accanto a lui. L’emozione aveva fatto dimenticare loro qualsiasi dignità di comportamento e stavano discutendo animatamente. Quello che era stato lanciato fuori dalla finestra veniva interrogato dagli altri tre.

— Chi non sarebbe stato tentato di dare una sbirciatina all’interno? — protestò con veemenza. — Due piedi nudi che correvano, è questo che ho visto vi dico. Soltanto due minuscoli piedi nudi, senza un corpo, senza niente. E quando si sono allontanati a passo di danza, dovevo pur vedere dove stavano andando! Poi, quando sono rimasto intrappolato nella porta, da non so dove sono arrivati dei piccoli cittadini comuni, che hanno cominciato a fare le più ingiuriose osservazioni sulla mia testa. Come se fosse un trofeo impagliato e appeso al muro! Anche a voi sarebbero saltati i nervi. Volevo punirli. È per questo che sono corso dentro.

— E come hai fatto a saltare dalla finestra?

— È stata la casa, vi dico! Non c’erano cittadini da nessuna parte. A un tratto ha cominciato a sollevarsi e a tremare tutta. Il pavimento si è alzato sotto i miei piedi e mi ha scagliato contro un muro. Il muro mi ha mandato a rimbalzare contro un altro muro. Poi mi ha raggiunto un’altra volta il pavimento. Prima che potessi accorgermi di essere arrivato al piano di sopra ho ricevuto un ultimo colpo e, pochi istanti prima di finire spiaccicato contro la parete, ci si è aperta in mezzo una finestra e sono volato fuori. Non ci ho potuto fare niente!

Chulian non voleva ascoltare. Era tutto troppo strano e inquietante. Che cosa spingeva la Gerarchia a fare cose simili? E poi i cittadini comuni avevano riso! I diaconi sparsi in mezzo alla folla li avevano prontamente zittiti, ma loro avevano riso.

Cugino Deth avanzò a grandi passi, seguito dai sacerdoti.

— E adesso che le vostre reverenze hanno edificato il popolo con questa piccola esibizione — stava dicendo il diacono — forse potremo finalmente eseguire gli ordini impartitici dall’arciprete Goniface.

— Impartiti a te, vuoi dire! — lo rimbeccò con rabbia uno dei giovani preti. — Noi abbiamo ricevuto gli ordini dal Centro di Controllo del Santuario e dal Sommo Concilio. Ci era stato detto di procedere nel solito modo.

Deth lo squadrò freddamente — Ma vedete, reverenza, questa non è la solita casa stregata costruita apposta perché voi la demoliate. Temo che questa sia una specie di guerra. E forse la guerra è una cosa con cui solo uno spregevole e illegittimo diacono sa come sporcarsi le mani. Fratello Shawl, preparate il getto a entropia-zero.

Un lungo tubo, sottile e leggero, fu attaccato al contenitore che era stato portato in processione alle spalle di Cugino Deth. Fratello Chulian sentì un brivido percorrere il suo campo di inviolabilità e si allontanò tremando.

— Un breve getto di media intensità contro tutta la costruzione — stava ordinando Deth. — Quel che basta per consolidare le mura esterne. Poi avanti a tutto regime. Ci apriremo una porta da soli. Pronti? Molto bene. La parola a Fratello Jafid.

La voce di Fratello Jafid, potentemente amplificata, era melliflua e sgradevole.

— Che le Acque della Pace Perfetta circondino questo luogo. Che plachino il suo subbuglio. Che lo liberino da ogni moto e da ogni male.

Con un debole stridio, così acuto da essere quasi impercettibile, come quello di una lastra di ghiaccio che sfreghi contro un’altra lastra di ghiaccio, il proiettore a entropia zero si aprì. Fiocchi di neve e di aria ghiacciata riempirono la traiettoria sempre più ampia del suo getto. La casa stregata fu avvolta da una tormenta di neve in miniatura, dalla quale rimbalzarono tutt’intorno folate di aria polare. I cittadini, già accalcati com’erano, dettero l’impressione di arretrare, premendo ancor di più gli uni contro gli altri.

La portata del getto si restrinse, si concentrò attorno all’ingresso e lo ricoprì di una spessa crosta di ghiaccio. Poi il debole stridio cessò.

Un sacerdote si avvicinò alla lastra opalescente e luccicante e la colpì violentemente con la verga dell’ira. I materiali ipergelati si frantumarono, aprendo nella porta un grande vano dentellato. Il prete passò con la verga intorno al bordo per eliminare le parti frastagliate che caddero per terra tintinnando come ghiaccioli.

— Adesso possiamo procedere — sentenziò Deth aspramente. — Prima il proiettore e le verghe. Restate uniti. Fate attenzione a eventuali trappole e alle porte. Seguite i miei ordini. Non appena avrete trovato la giovane strega informatemi.

Poi, mentre i sacerdoti si avviavano, notò Fratello Chulian che se ne stava in disparte.

— Oh, reverenza, stavo quasi per dimenticarmene! Questa era la casa che desideravate tanto vedere. Vi spetta il posto d’onore, Fratello Chulian. Vi prego, guidate voi i sacerdoti all’interno della casa!

— Ma…

— Stiamo aspettando la reverenza vostra, Fratello Chulian. Tutta Megateopoli vi sta aspettando.

Con riluttanza, Chulian si fece strada fra le erbacce ghiacciate. Folate di aria fredda gli gelavano le caviglie attraverso l’apertura inferiore del suo campo di inviolabilità, facendogli tremare le ginocchia.

Senza volerlo, si mise a studiare la casa, i cui muri ghiacciati cominciavano a evaporare ai caldi raggi del sole. Anche nello stato degradato in cui versava, la costruzione conservava una certa bellezza di proporzioni. Nondimeno, la sua potenziale fluidità era ripugnante per chi era abituato alla ponderosa, rigida plasticità dell’architettura della Gerarchia.

Da qualche parte aveva letto che le case dell’Età dell’Oro erano regolabili, fatte di muri elastici tenuti insieme da campi di forze, e paragonabili, come struttura e finalità, alla figura mobile del Grande Dio sopra la cattedrale.

Ma quell’idea non piaceva affatto a Fratello Chulian. Per certi versi lui provava riverente soggezione nei confronti dell’Età dell’Oro e dei suoi orgogliosi abitanti, alla stessa stregua dei comuni cittadini. Con ogni probabilità erano stati imprevedibili e cocciuti come le loro case… ribelli e critici come Fratello Jarles, e sfrontati e irriverenti come quella strega.

Chulian pensò a quanto dovesse essere terribile vivere nell’Età dell’Oro, quando la libera individualità di ciascuno era costantemente minacciata da quella degli altri e non c’era la Gerarchia a pianificare la vita e garantire la sicurezza.

Era arrivato molto vicino all’apertura circondata di ghiaccio. E se i vecchi abitanti fossero ritornati in vita insieme alla casa? Che idea stupida. Però…

— Se all’interno ci sarà qualche accenno di movimento, interverremo con un leggero getto di entropia per congelarlo — disse la voce di Deth alle sue spalle. — La reverenza vostra farà bene a camminare più velocemente se non vuole che il suo campo di inviolabilità si arresti.

Affrettando il passo, Chulian entrò nella casa stregata e imboccò la prima porta che vide. Sarebbe stato proprio nello stile di quel meschino d’un diacono mettere in atto quella minaccia, e l’idea di restare bloccato in un posto come quello, anche se solo per pochi istanti, era quanto mai seccante.

La debole luce della sua aureola illuminò parzialmente una stanza di modeste proporzioni, sormontata da una cupola. I mobili che l’arredavano erano scoloriti dal tempo, ma di fattura gradevole e di aspetto comodo. Chulian tossì. La polvere, sollevata dai sommovimenti di poco prima stava lentamente ricadendo per depositarsi ovunque in spessi strati. Il pavimento cedette leggermente sotto i suoi piedi.

Nonostante il generale senso di ripugnanza che provava, quella stanza esercitava uno strano fascino su di lui. Anzi, per taluni versi, quasi gli piaceva. In particolare, lo attirava un certo divano, che assomigliava al letto della sua lussuosa cella al Santuario.

Un suono raggelante, come se qualcuno stesse digrignando i denti alle sue spalle lo fece girare di scatto. Non c’era nessuno.

Ma la porta era svanita. Era rimasto isolato dagli altri.

Il suo primo pensiero fu: — E se i muri cominciassero ad avvicinarsi sempre di più, sempre di più, sempre di più?

A un tratto, il divano che prima aveva attirato la sua attenzione cominciò a strisciare verso di lui, lasciando una scia umida sul pavimento polveroso, come una lumaca gigante.

Con la gola serrata da una risata isterica, Chulian riuscì a schivarlo. Ma il divano invertì repentinamente la rotta e lo seguì. Accelerando.

Non c’erano porte. Chulian cercò di frapporre mobili più solidi fra sé e la cosa, ma la cosa riusciva a spostarli. Con un balzo, il sacerdote riuscì a sfuggirgli di nuovo, ma il divano scartò bruscamente nella sua direzione, come se fosse una lumaca maligna e molto intelligente. Chulian inciampò, cadde maldestramente, ma ciò nonostante riuscì a tirarsi in piedi e a lanciarsi in avanti alla cieca.

L’aveva intrappolato in un angolo. Poi, molto lentamente, come se stesse gongolando per il terrore che lo attanagliava, il divano avanzò serpeggiando finché d’un tratto si sollevò sui piedini posteriori, e, vibrando in modo osceno, allungò verso di lui i braccioli tozzi… una disgustosa personificazione dei piaceri della carne così cari a Chulian. Poi lo abbracciò.

Premendo contro il petto di Chulian, il divano disattivò i controlli del suo campo di inviolabilità, mettendolo fuori gioco. Automaticamente, anche l’aureola, sorretta sopra la sua testa dal prolungamento imbutiforme del campo, si spense e intorno a lui fu l’oscurità più completa.

L’oscurità e le carezze oscene e soffocanti della cosa. Chulian lottò disperatamente per liberarsi dalla stretta, tirando la testa all’indietro e scalciando con tutta la forza che aveva in corpo.

Se solo gli avesse toccato il viso sarebbe impazzito, pensò.

E il divano gli accarezzò il viso, dapprima delicatamente, in un modo che gli ricordò le morbide dita di Sharlson Naurya. “Addio, Piccolo Fratello Chulian.”

Poi, con sempre maggior trasporto, finché per poco non lo soffocò nel tentativo di incontrare le sue labbra. E Fratello Chulian desiderò con tutto il cuore di impazzire.

Un pensiero assolutamente inutile in quel momento continuava a martellargli in testa. Se mai fosse riuscito a uscire vivo di lì, non sarebbe mai più riuscito a dormire tranquillamente sul suo lettino al Santuario.

All’improvviso la pressione diminuì. Una porta si aprì nel muro di fronte lasciando filtrare una flebile luce. Chulian la fissò con sguardo ebete. Vacillò, si sentiva debole come l’acqua. Poi la sua mente paralizzata dal terrore riuscì ad afferrare il significato di quella immagine: la possibilità di fuggire, di salvarsi… Avanzò barcollando verso la porta.

Appena ebbe varcato l’uscio fu investito da un’ondata scarlatta di preti in fuga. Fra di loro c’era anche Cugino Deth. Dal pavimento sul quale era finito lungo disteso, Chulian intravvide il viso contorto e giallognolo del diacono, gli occhi fuori dalle orbite.

Cugino Deth stava urlando: — La cosa! La cosa nel buco!

Mezzo carponi e mezzo strisciando, Chulian arrancò tutto dolente dietro gli altri sacerdoti oltre la porta d’ingresso della casa, lacerata e ricoperta di ghiaccio.

Nelle sue orecchie riecheggiò il riso demente e ormai incontrollabile della folla.


Le dita dell’Uomo Nero scorrevano agilmente sulla fitta tastiera dei comandi. I suoi occhi scintillanti scrutavano la tenue miniatura solidografica della casa stregata che aveva di fronte. Vide i minuscoli manichini rossi precipitarsi fuori e scomparire improvvisamente dal campo visivo del congegno non appena avevano varcato la porta della costruzione. Guardò Fratello Chulian arrancare dietro di loro.

La sua concentrazione era evidente nel sorriso sempre allegro, ma teso. Il naso rincagnato e i capelli rossi, corti e ispidi, accentuavano la sua espressione maliziosa.

Fece una rapida digressione rivolgendosi alla sua compagna: — Comincia a piacermi molto quel pretonzolo grasso. Si spaventa che è un goduria vederlo. — Fece un balzo all’indietro. Con una luce accecante la piccola scena si era disintegrata davanti ai suoi occhi.

— Finalmente l’hanno fatta saltare in aria — esclamò. — Ma ride bene chi ride ultimo e Satanas ride sempre per ultimo!

E avvicinando un microfono alle labbra, vi riversò dentro una risata diabolica.


Fu come assistere all’eruzione di un vulcano. La casa stregata avvampò, arse, si contorse fra le fiamme e si squagliò. Alla fine, i quattro sacerdoti sulla montagnola avevano ricevuto l’ordine di azionare la loro arma esplosiva. Ma la sua fiammata rossa e fumosa ricordava più l’inferno del paradiso e dalla folla si levarono urla di dolore, quando una momentanea buffata del suo calore, maldestramente regolato, ustionò molte persone. Tutte le stradine che circondavano la piazza si riempirono di cittadini terrorizzati che si davano alla fuga. Altri cercarono scampo arrampicandosi sui tetti delle case più vicine.

La casa stregata crollò e cesso di esistere.

Ma fra le rovine fiammeggianti e disintegrate dal calore risuonò una risata trionfante che raggelò tutti i presenti.


L’Uomo Nero disattivò i comandi principali e si alzò, lanciando un’occhiata di rimpianto alla grande tastiera.

— Che peccato che non serva più a niente. Mi divertivo un sacco a usarla. Sentirò la sua mancanza, Naurya.

— Ma ne valeva senz’altro la pena. — Lei lo stava fissando seriamente.

— Certo, per Satanas! Sentire i comuni cittadini ridere dei preti… è una grande conquista. Anche se quei poveri diavoli si pentiranno di aver riso quando per punizione la Gerarchia raddoppierà le decime. Ma ciò non toglie che questo fosse un giocattolo delizioso e che abbia il diritto di piangere la sua scomparsa. Vedi, la prima fila di tasti controllava i muri, la seconda i pavimenti e i soffitti. Non ci crederai, ma mi ci sono volute ore e ore di esercizio per imparare bene la tecnica per assestare colpi come quello che prima fa volare in alto e poi fuori dalla finestra. Era tutta una questione di coordinazione e di tempi. La terza fila le finestre e le porte. La quarta i ventilatori e i mobili che decidevamo di animare di volta in volta. Compreso l’appassionato divano di Fratello Chulian. — Accarezzò teneramente una decina di tasti.

— Ma dimmi — lo interrogò Sharlson Naurya, protendendosi in avanti con curiosità — nell’Età dell’Oro era normale che la gente vivesse in case dotate di congegni simili?

— Per Asmodeo, no! Immagino che si trattasse solo di una moda, e anche costosa. Il concetto era quello di avere una casa che potesse cambiare forma a seconda dei capricci del suo proprietario. Prendiamo il caso di uno che volesse invitare molti ospiti e avesse bisogno di una sala da ballo più grande. Gli bastava azionare l’apposito comando e, in un batter d’occhio, i muri si allontanavano. E perché non trasformarla addirittura in una stanza ovale o ottagonale già che c’era? Non ci voleva nulla.

L’Uomo Nero rise di cuore.

— Naturalmente tutto avveniva molto più lentamente. Ma quando abbiamo appurato che le vecchie attrezzature erano ancora in buono stato per noi è stato un gioco da ragazzi potenziarle e renderle più veloci, in modo che quel vecchio rudere potesse ballare la giga, se gliel’avessimo ordinato. Dopodiché le abbiamo collegate con i nostri comandi a distanza ed è stata fatta.

Sharlson Naurya scosse la testa. — Non posso fare a meno di pensare che il lusso di una casa come quella sia semplicemente vergognoso. Pensa solo all’idea di ordinare a una sedia di avvicinarsi perché sei troppo pigro per camminare! O di cambiar la forma di un divano per farti passare un crampo alla schiena. È troppo voluttuoso! — Arricciò il naso in segno di disgusto.

Nella sua tunica nera, che lasciava le gambe e le braccia scoperte e lo faceva assomigliare a un giullare dei secoli passati, l’Uomo Nero fece una piroetta e le puntò contro un dito con aria canzonatoria.

— Sei stata contagiata dalla morale della fatica fine a se stessa che la Gerarchia è andata a riesumare dal passato più deteriore! — l’accusò ridendo. — Comunque, è un destino che tocca a tutti, quello di sgobbare. Per fortuna con me la sorte è stata più benigna: mi ha dato da fare i conti con un desiderio irrefrenabile di fare agli altri degli scherzi terribili e complicatissimi!

Naurya lo studiò attentamente, appoggiando il braccio sul bordo del pannello di comando che occupava gran parte della minuscola stanza spoglia e senza finestre. Lui si abbandonò contro lo schienale della sedia imbottita che si trovava di fronte alla tastiera — l’unico mobile della stanza — e la osservò divertito. Lei sembrava molto più saggia ed esperta di lui, con quel suo viso freddo e determinato e quegli occhi enigmatici.

— Lo scopo della tua vita è quello di fare tiri mancini agli altri? — gli chiese alla fine. — Ti guardavo prima quando manovravi quei comandi. Mentre fissavi quelle minuscole figurine scarlatte, sorridevi come se la tua massima ambizione fosse quella di giocare a fare il semidio perfido e sènza scrupoli.

— Ebbene, lo ammetto, hai scoperto il mio punto debole. Ma ti assicuro che il telesolidografo darebbe a chiunque la sensazione di sentirsi potente come un dio. Non puoi non averla provata anche tu. Confessa!

Sharlson Naurya annuì gravemente. — È vero. Come funziona? Era la prima volta che ne vedevo uno.

— Davvero? Immaginavo tutto il contrario dato il tuo stretto rapporto con Asmodeo.

Lei scosse la testa. — lo non so niente di Asmodeo.

Lui la fissò con durezza. — Lui invece sembra molto interessato a te, come se tu fossi uno dei più importanti di noi. — Lei non rispose. — Ma lo sai quale lavoro ha in serbo per te, Naurya. Intendi forse dirmi che Asmodeo ti ha informata del tuo nuovo incarico come ne ha informato me, cioè attraverso comunicazioni indirette? — La fissò ancora per qualche istante, poi scrollò le spalle. — Non posso credere che tu non lo conosca. Non ho mai incontrato una strega o uno stregone che lo conoscesse, compreso il sottoscritto… anche se in un certo senso io sono il suo comandante in seconda. Solo ordini dall’alto. Per noi lui è soltanto questo. Un’invisibile fonte di istruzioni. Il grande mistero. — Vi era una nota di invidia nella sua voce. Cambiò posizione, facendo schioccare nervosamente le dita. — Ma se Asmodeo ha deciso di affidare a te la direzione del nostro quartier generale qui e mi ha chiesto di vigilare su di te, immagino che sia giusto che ti parli del telesolidografo. In realtà è una cosa molto semplice. Il solidografo della Gerarchia ha una pellicola tridimensionale. Il telesolidografo è la stessa cosa, con la sola differenza che il raggio multiplo primario è invisibile, molto penetrante e a lunga distanza, e si scompone in un’immagine tridimensionale visibile solo quando è a fuoco. Qualcosa di simile a un getto ad ago. Così, quando vogliamo, per esempio, un paio di piedi che corrono, ci basta farne un solidografo e mettere il nastro nel proiettore. Fantasmi su ordinazione! I suoni e i rumori funzionano pressoché allo stesso modo.

“Lo strumento che ho usato io è un po’ più complicato, naturalmente. È a doppio senso. Visore e proiettore. Così avevo un’immagine in miniatura della regione focale che mi guidava nell’azionare i fantasmi a dimensione naturale e i comandi a distanza della casa.

“Tutti i nostri trucchi sono così, Naurya. Perfezionamenti delle invenzioni scientifiche della Gerarchia. E appena i preti troveranno il bandolo della matassa, per loro sarà uno scherzo capire di che cosa si tratta. Comunque, sono già sulla buona strada. L’entropia-zero per mettere in stasi i muri non è stata una cattiva idea.

“È per questo che nell’animare la casa stregata sono andato leggero con il telesolidografo, che è uno dei nostri assi nella manica e che val la pena di conservare, e ho usato invece senza remore i comandi della casa, che non avevamo nessuna speranza di tenere segreti. Ho fatto ricorso al telesolidografo solo con il primo prete… e con Deth. — Il ricordo di quella scena lo fece sorridere. — Strano eh, che una cosuccia da nulla come quella sia riuscita a spaventare a morte il nostro caro diacono. Ma quando Asmodeo ti fa pervenire una biografia dettagliata di un membro della Gerarchia, in cui sono specificate tutte le cose di cui ha paura, be’ non è poi tanto difficile colpirlo nel suo punto debole. Perfino un gaglioffo perfido come il diacono. Che cosa c’è Naurya? È uno dei tuoi nemici prediletti?”

La ragazza scosse la testa, ma i suoi occhi rimasero duri e pieni di odio.

— L’uomo che c’è dietro di lui — disse a bassa voce.

— Goniface? E perché? So che il lavoro speciale che sta per esserti affidato riguarda lui. Qualcosa di personale? Stai meditando una vendetta?

Lei non rispose. Lui si alzò in piedi.

— Poco fa mi hai chiesto quale fosse il mio scopo nella vita. Io adesso ti rivolgo la stessa domanda. A che cosa aspiri, Sharlson Naurya? Perché sei una strega, Persefone?

Lei non rispose. Alcuni istanti e la sua espressione mutò.

— Mi chiedo che cosa starà succedendo ad Armon Jarles.

Lui si voltò di scatto a guardarla. — Rientra anche lui nei tuoi progetti? Il fatto che l’altra notte lui abbia rinunciato ti ha fatto soffrire. Sei innamorata di lui?

— Può darsi. Almeno, lui è mosso da qualcosa di più profondo del semplice desiderio di fare tiri mancini. C’è qualcosa di solido in lui, di incrollabile come una roccia!

L’Uomo Nero sogghignò. — Troppo solido. Anche se mi dispiace che l’abbiamo perso. Per Satanas, noi abbiamo bisogno di uomini! Uomini di ingegno. E sono proprio quelli che la Gerarchia prende per sé.

— Mi chiedo che cosa gli starà succedendo — insistette.

— Niente di piacevole, temo.

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