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Per un attimo Fratello Chulian ebbe l’impressione di vedere un’ombra precipitarsi verso di lui dai solchi profondi dell’acciottolato. Si ritrasse con un balzo. La sua aureola luminosa vacillò nella strada buia e il suo campo di inviolabilità andò a urtare contro quello del suo compagno.

— Sono scivolato — ansimò in tono poco convincente. — Qualche cittadino maleducato deve aver rovesciato della brodaglia unta sulla strada.

L’altro sacerdote non rispose. Chulian si augurò di tutto cuore che non avrebbe avuto nulla in contrario a svoltare a destra all’incrocio successivo. Avrebbero allungato un po’ il tragitto piegando da quella parte, ma almeno non sarebbero passati davanti alla casa stregata.

Con suo grande sollievo, il suo compagno girò a destra di sua spontanea volontà.

Naturalmente, la casa non era stregata per davvero, fece prontamente mente locale Chulian. Era un’idea assurda, inconcepibile. Ma era una rovina così vecchia e brutta dell’Età dell’Oro e in confessione i cittadini comuni raccontavano storie così sgradevoli e strane in proposito…

Perché i cittadini comuni dovevano vivere in strade così strette e tortuose? E perché doveva vigere un coprifuoco così rigoroso?, si lagnò il sacerdote fra sé e sé, come se la colpa fosse dei cittadini. Sembrava una città di morti. Non un’anima per strada, non una luce accesa, non un suono. Per la verità, ricordò con riluttanza, era una legge della Gerarchia a imporre il coprifuoco. Ciò non toglieva che avrebbero dovuto essere previste norme speciali per i casi come quello, come un’ordinanza che obbligasse tutti i cittadini a prestare l’orecchio all’eventuale passaggio dei sacerdoti durante la notte in modo da essere pronti a illuminarne il cammino con torce accese. La luce dell’aureola bastava a malapena a evitare di inciampare nei ciottoli!

Come due fuochi fatui gemelli, i due cerchi di luce violetta avanzavanp balzelloni nel folle intrico di quelle fosse buie che erano le strade di Megateopoli.

Alle loro spalle si stagliava il profilo sfavillante del Santuario. A Chulian sembrava un grande cuore caldo, dal quale erano stati ingiustamente cacciati. Perché dovevano sempre affidare a lui quei compiti ingrati? Lui era un chierico innocente che non dava fastidio a nessuno.

Le sole cose che desiderava dalla vita erano tranquillità e benessere: una buona razione giornaliera dei suoi cibi preferiti, la possibilità di dormire in un letto (in quel momento gli sembrava quasi di sentire la soffice imbottitura del materasso), di guardare i suoi libri solidografici prediletti auto-leggersi, e, di tanto in tanto, qualche piccola distrazione con una Sorella Perduta.

Chi al mondo poteva essere così crudele da volergli negare questo?

Era tutta colpa della sorte meschina che gli aveva affiancato Jarles come compagno, disse a se stesso. Quell’essere scorbutico! Se non fosse finito in coppia con lui, non si sarebbe trovato invischiato in quell’assurda macchinazione, che non capiva e che sembrava essere stata ordita soltanto per portare nel mondo confusione e pericolo. Un mondo in cui le cose sarebbero andate così bene se solo gli uomini fossero stati un po’ più simili a Fratello Chulian!

Comunque, in quel momento non si sarebbe trovato lì al buio e al gelo, se non fosse stato così stupido da riferire a Goniface di quei segni in più sulla spalla della ragazza. Però, se avesse taciuto, prima o poi con ogni probabilità l’avrebbero scoperto da soli, e allora l’avrebbero punito.

I segni della stregoneria! Chulian rabbrividì. Gli sembrava quasi di vederli bruciare sulla pelle candida di quella malvagia creatura.

Perché alcune ragazze del popolo dovevano essere così impudenti e scontrose? Perché non potevano essere tutte gentili e docili?

I segni della stregoneria! Come avrebbe voluto riuscire a non pensarci. Prima di accedere al sacerdozio aveva letto un libro sul Medio Evo della Civiltà dell’Alba e sulla sua primitiva stregoneria. A quanto ricordava, i segni della stregoneria comparivano nel punto in cui una strega nutriva il demone al suo servizio, demone inviatole come aiutante da Satana-Satanas.

Ma naturalmente anche quella era una fola, adesso come nel Medio Evo.

Ma allora perché dopo aver ascoltato il suo rapporto, Goniface aveva chiamato la ragazza strega e gli aveva ordinato di andare ad arrestarla?

In tutta sincerità, Chulian preferiva non conoscere la risposta. Non voleva diventare sacerdote del Terzo Circolo. Voleva soltanto vivere in pace. Se solo fosse riuscito a farlo capire a tutti quanti!

Il suo compagno attirò la sua attenzione indicandogli un rettangolo più scuro nella superficie irregolare del muro, fatto di pietrisco e malta. Erano arrivati.

Chulian bussò con forza alla porta di legno grezzo. Indossando i Guanti dell’inviolabilità era pressoché impossibile farsi male.

— Apri in nome del Grande Dio e della sua Gerarchia! — ordinò, la voce stridula amplificata dal silenzio.

— La porta non è sprangata. Apritela da soli — rispose una voce pacata e un po’ lontana, facendogli gentilmente il verso.

Chulian si stizzì. Che insolenza! Ma loro erano lì per arrestare la ragazza, non per insegnarle l’educazione. Strappò la catena dell’uscio e spinse la porta.

La stanza era illuminata in modo vago e disuguale dalla fiamma di un misero fuoco. Deboli volute di fumo, che sfuggivano dal camino, si contorcevano pigramente nella semi-oscurità e, dopo un po’, alcune trovavano la via della minuscola presa d’aria quadrata che si apriva nel basso soffitto. Il compagno di Chulian tossì.

Davanti al camino, una spola saettava alacremente fra i fili di un grande telaio, dando vita a un tessuto di colore scuro.

Osservandone il movimento rapido e continuo, simile a quello della testa di una serpe, Chulian avvertì un inspiegabile disagio. Esitò e lanciò una rapida occhiata al sacerdote che lo accompagnava. Si strinsero l’uno all’altro e avanzarono affiancati nella stanza male illuminata, finché riconobbero dalla parte opposta del telaio il profilo di Sharlson Naurya.

Indossava un abito aderente, di colore grigio, che aveva confezionato lei stessa. Più che fissare il lavoro, i suoi occhi attenti sembravano guardare oltre l’intreccio dei fili, anche se le sue dita agili e rapide non tradivano la benché minima incertezza. Era semplice stoffa quella che stava tessendo, si chiese Chulian, o era qualcos’altro… qualcosa di più grande?

Poi, trasalendo come se fosse stato sorpreso a commettere un grave peccato, si rese conto che la ragazza gli ricordava qualcuno. Era semplice suggestione, era chiaro. Eppure, nei tratti decisi del suo viso gli sembrava di riconoscere la stessa forza oscura, la medesima determinazione, segreta ma sconfinata, che aveva letto poco prima sul volto dell’arciprete Goniface, e davanti alla quale si era fatto piccolo piccolo per la paura.

Un attimo dopo, la ragazza voltò la testa e li fissò. Ma la sua espressione non era mutata, come se loro due fossero parte di quella stoffa misteriosa, più grande e invisibile. Senza fretta, infilò la spola nell’ordito e si alzò in piedi guardandoli in faccia, le mani congiunte sul grembo.

— Sharlson Naurya — intonò solennemente Chulian, nonostante un lieve tentennamento della voce — siamo venuti qui come inviolabili emissari della Gerarchia per eseguire l’ordine del Grande Dio.

A quelle parole, gli occhi verdi della ragazza sorrisero, se mai gli occhi possono sorridere. Ma Chulian si chiese piuttosto che cosa vedessero quando guardavano oltre le sue spalle. Che ragazza sfrontata! Chi le dava il permesso di prenderla con tanta calma!

Si mise sull’attenti.

— Sharlson Naurya, in nome del Grande Dio e della Gerarchia, io ti dichiaro in arresto!

Lei inclinò la testa e una luce malvagia si insinuò nel sorriso dei suoi occhi. Poi, all’improvviso staccò le mani dal grembo e le protese davanti a sé.

— Corri Micia! — gridò con tono vagamente birichino. — Racconta tutto all’Uomo Nero!

Un artiglio scintillante le strappò il vestito all’altezza della vita… dall’interno. Vi fu un rapido sommovimento sotto la stoffa, poi, contorcendosi, qualcosa uscì dalla fessura e spiccò un balzo.

Qualcosa di peloso, grande come un gatto, ma più simile a una scimmia e incredibilmente magro.

Come un ragno rapidissimo, si arrampicò su per il muro e attraversò il soffitto, al quale rimase attaccato senza sforzo alcuno.

A Chulian si paralizzarono tutti i muscoli. Con un grido soffocato, il suo compagno protese un braccio e dall’indice puntato uscì, crepitando, un ago di luce viola. Zigzagando, il raggio seguì il percorso della cosa misteriosa, bruciando l’intonaco grezzo della parete e del soffitto.

La cosa indugiò per un istante in corrispondenza della presa d’aria e si voltò a guardare. Poi scomparve, e la luce violetta del raggio crepitò invano attraverso il foro verso il cielo scuro, dove si vedeva brillare una sola stella.

Ma Chulian continuò a guardare in alto, la mandibola rilasciata percorsa da un brivido. Aveva avuto una fugace visione del minuscolo viso della cosa. Non mentre si muoveva, perché in quel momento era solo una macchia ondeggiante, ma quando si era fermata per guardare indietro.

Non aveva tutti i tratti di una vera faccia. Alcuni mancavano e altri sembravano inseriti l’uno nell’altro, come le parti rientranti di un cannocchiale. Un pelo sottile invadeva il viso.

Ciò nondimeno, là dove i lineamenti riuscivano a emergere dal pelo, gli erano apparsi bianchi e, benché fortemente deformati, vi aveva rinvenuto una copia di quelli di Sharlson Naurya: una caricatura dallo sguardo acuto, senza mento, senza naso, infernale, ma terribilmente somigliante.

E il pelo era della stessa tonalità dei capelli scuri della ragazza.

Dopo un po’ Chulian abbassò lo sguardo su di lei. Non si era mossa. Era in piedi davanti a lui e gli sorrideva con gli occhi.

— Che cos’era quella cosa? — le domandò con voce strozzata. Era più un appello disperato che una domanda.

— Non lo sapete? — gli domandò lei con tono grave.

Prese uno scialle che era appeso a un’estremità del telaio. — Sono pronta — disse. — Non dovete condurmi al Santuario?

E gettandosi lo scialle sulle spalle, si avviò verso la porta.

Fuori, la notte sembrava più buia che mai e regnava un silenzio di tomba. Se qualcuno aveva udito il trambusto, non era certo uscito a indagare. Così imponeva la legge, come Chulian ben sapeva, ma in quel momento desiderò con tutto il cuore che qualche cittadino la infrangesse. Se almeno avessero incontrato una pattuglia di diaconi!

Le due aureole violette si affannarono balzelloni attraverso le stradine strette e irregolari, puntando in direzione della luce-guida del Santuario.

Se solo la ragazza non avesse camminato così piano! Certo, potevano indurla ad affrettare il passo (ognuno di loro due disponeva di un gomito all’interno di uno dei guanti rigonfi), ma a Chulian non piaceva l’idea di farle del male; considerando soprattutto che per il resto si stava dimostrando molto docile. Per non parlare del fatto che quella cosa che aveva chiamato per nome doveva essere da qualche parte sui tetti e forse li stava seguendo. Niente di più probabile che se avesse alzato gli occhi avrebbe visto quel minuscolo muso antropoide fare capolino dietro qualche comignolo, stagliato contro il cielo stellato.

Ma per fortuna, una volta arrivati al Santuario, quell’incubo sarebbe finito. Oltrepassarono file di case buie e fauci di strade altrettanto buie. Al crocicchio successivo avrebbero dovuto girare a sinistra per evitare la casa stregata, rifletté Chulian.

Ma quando giunsero all’incrocio, trovarono la strada che piegava a sinistra murata: un muro solido, invalicabile, fatto di tenebra.

Non quella tenebra vagamente rischiarata dalla luce stellare che li aveva circondati fino a quel momento, ma un buio totale e assoluto, al confronto del quale il cielo notturno sembrava grigio.

Chulian lanciò una rapida occhiata a Fratello Arolj, cereo sotto l’aureola luminosa, e ne colse lo sguardo allarmato.

Subito dopo, di corsa per non cedere alla tentazione di indietreggiare, i due sacerdoti si tuffarono insieme nell’oscurità, la ragazza sempre in mezzo a loro.

Le loro aureole si spensero. Non vi era neanche la più piccola traccia di luce.

Ritornarono precipitosamente sui loro passi, e, ansando, riemersero dal buio come da un muro di inchiostro. Per un angoscioso momento, Chulian temette che sarebbero rimasti intrappolati in quella tenebra per sempre.

Girarono a destra. Anche lì l’oscurità riempiva la strada, dall’imboccatura fino su, a celare le stelle.

Sharlson Naurya era rimasta diligentemente in mezzo a loro. Non aveva tentato di scappare, anche se le sarebbe bastato rimanere nascosta nella stradina buia per farla franca, perché loro due non sarebbero andati sicuramente a cercarla. Certo, era probabile che anche lei avesse paura di quella tenebra minacciosa, ma Chulian non era convinto.

Con la coda dell’occhio si guardò rapidamente alle spalle. Era come aveva temuto. La tenebra li aveva seguiti dalla strada da cui erano venuti.

La sola via vagamente illuminata era quella che proseguiva dinanzi a loro, quella che portava alla casa stregata. Qualcosa voleva che loro passassero davanti a quella vecchia casa… Del resto non avevano altra scelta… prima che il buio decidesse di scivolare oltre e di inghiottirli.

Quella paura doveva aver assalito contemporaneamente anche Fratello Arolj, perché entrambi i sacerdoti si precipitarono in avanti, trascinando con sé la prigioniera.

Dietro di loro, il muro di tenebra divorava l’acciottolato che le loro suole avevano appena calpestato, incalzandoli quando incespicavano. Quando raggiunsero la piccola piazza abbandonata dove sorgeva la casa stregata, avevano smesso di camminare da un bel pezzo e stavano correndo senza alcun ritegno.

La costruzione si ergeva solitaria al di sopra di tutte le altre casupole, simbolo perfetto di desolazione. Ma Chulian vide solo di sfuggita il suo complesso di muri follemente incurvati e stranamente molli, interrotti da cadenti finestre circolari, simili a occhi sporgenti e lascivi. Perché, all’improvviso, la tenebra avanzò da ogni lato, come un grande sacco, tagliando loro la strada, oscurando le stelle e costringendoli, attraverso lo slargo coperto di pietrisco, verso la bocca del sacco e l’ingresso ovale e malandato della casa stessa.

Allora, in preda al panico, Chulian offrì la sua prima e unica prova di disperato coraggio. Puntò l’indice contro Naurya.

— In nome del Grande Dio, se non la fai sparire ti incenerirò! — la minacciò con la voce che gli tremava.

Un secondo dopo la tenebra si ripiegò su se stessa, chiudendosi intorno a loro come una busta. Si fermò a una spanna dal trio, escludendo quasi del tutto l’uno alla vista dell’altro.

— Non lo farò! Non lo farò! — urlò Chulian abbassando la mano.

La tenebra arretrò di alcuni metri.

E a quel punto, finalmente, Naurya gli sorrise con le labbra. Allungò un braccio e, prima che lui potesse rendersi conto di quello che stava per fare, lo colpì rapidamente in un certo punto del torace.

Il suo campo di inviolabilità si spense, la sua aureola si smorzò e la sua veste si afflosciò.

Lei gli fece un buffetto sulla guancia, come si fa ai bambini, e al tocco gentile delle sue mani Chulian sentì formicolare la pelle del viso.

— Addio, Piccolo Fratello Chulian — disse e scivolò oltre la porta fatiscente nella casa stregata.

In un batter di ciglia, la tenebra si ritrasse e scomparve. E dalla strada sopraggiunse correndo Cugino Deth.

— La vostra prigioniera! Dov’è? — chiese bruscamente a Chulian.

— Non l’hai vista? Quella tenebra spaventosa? — replicò Chulian con voce incerta.

Cugino Deth indietreggiò. — Non sapevo che voi preti aveste paura del buio.

Per un attimo, la sola cosa a cui Chulian riuscì a pensare fu che era stato insultato da un miserabile diacono.

— È entrata lì dentro — rispose con rabbia. — Se ti preme tanto, perché non la insegui tu stesso?

Cugino Deth si voltò verso la strada.

— Sveglia i cittadini! — urlò rivolto a qualcuno. — Fate un cordone intorno alla casa!

Poi si voltò di nuovo verso Chulian.

— Forse domani mi sarà chiesto di entrare in questo luogo per purificarlo dal male — disse. — E dal momento che la reverenza vostra si mostra così desiderosa di vedermi entrare, supplicherò che veniate nominato mio direttore spirituale, affinché possiate guidarmi.

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