13

Nella sala grigio-perla in cui era riunito il Sommo Concilio, Goniface osservò Fratello Frejeris mentre si alzava in piedi per accusarlo. Vi era una nota vellutata nella voce del capo dei Moderati. — Ho capito bene il motivo per cui hai ordinato al tuo servo. Cugino Deth, di portare qui questi strumenti?

Con un gesto della mano indicò alcune macchine luccicanti disposte davanti al tavolo del Concilio. Spiccava fra tutte una poltrona, dotata di cinghie che servivano per tenervi legata la persona che vi ci fosse fatta sedere. Un gruppo di tecnici del Quarto Circolo, agli ordini di Cugino Deth, stava verificando il funzionamento dei singoli apparecchi.

Goniface annuì.

— Tortura! — Frejeris scandì quella parola con sdegno. — Siamo dunque diventati barbari, come paventavano i nostri padri dell’Età dell’Oro, per abbassarci a simili brutalità?

L’idea della brutalità lo sconvolge, pensò Goniface divertito. Mi chiedo che nome dia al lavoro a cui costringiamo i cittadini comuni o alle penitenze che imponiamo loro nei confessionali.

Frejeris continuò: — All’improvviso, il nostro caro Fratello Goniface ci informa che alcuni suoi agenti hanno arrestato un gruppo di individui che, stando a quanto afferma, rappresenterebbero una minaccia per la Gerarchia. I suoi agenti sono entrati in azione senza informare preventivamente il Sommo Concilio e senza la sua autorizzazione, cioè in flagrante violazione di tutte le procedure. Adesso, Fratello Goniface viene a dirci che questi prigionieri che ha catturato di sua iniziativa sarebbero esponenti della Nuova Stregoneria. E, come se ciò non bastasse, non prende neppure in considerazione l’idea di ricorrere ai metodi scientifici di cui disponiamo per indurii a dire la verità, ma propone addirittura di interrogarli sotto tortura! Anzi, ha fatto di più: prevaricando ancora una volta il Sommo Concilio, ha dato ordine che venissero approntati gli strumenti per portare a compimento il suo piano! Io mi rivolgo al Concilio e chiedo: perché questa regressione nella barbarie?

“Vi dirò io il perché — riprese Frejeris dopo una pausa drammatica. La sua voce potente divenne più profonda e vibrante. — E, così facendo, vi dimostrerò che Goniface è un arrivista spietato, desideroso soltanto di impadronirsi del potere assoluto. Vi dimostrerò che agendo nell’ombra ha dato vita a una gerarchia all’interno della Gerarchia, una cricca di diaconi e di sacerdoti fedeli soltanto a lui. Vi dimostrerò che sta approfittando della questione della Stregoneria, esaltando il pericolo che essa rappresenta, per fomentare una crisi mondiale e salire al potere adducendo come scusa la salvezza della stessa Gerarchia!”

Dopo aver pronunciato quelle ultime parole con inaudita veemenza, Frejeris tacque alcuni istanti, scrutando intensamente i volti degli arcipreti seduti dietro al tavolo prima di sferrare l’attacco finale.

Ma non fu così che andarono le cose. Perché l’arciprete Jomald, caporione dei Realisti, si alzò in piedi e, come se si trattasse di una questione di ordinaria amministrazione, disse semplicemente: — L’arciprete Frejeris ha messo in grave pericolo la Gerarchia ostacolando e ritardando l’azione contro la Stregoneria. Se lo lasceremo libero di assecondare i suoi capricci, lui continuerà sulla medesima strada. Le motivazioni che adduce sono estremamente sospette. Io propongo che venga scomunicato per la durata di un anno intero. Chiedo inoltre che su questa proposta il Concilio si esprima subito con una votazione.

Frejeris lo squadrò con un’occhiata di gelido disprezzo, come se fosse semplicemente offeso per l’inaudito affronto di quella interruzione tanto villana.

— Approvo! — berciò inaspettatamente Fratello Sercival dal suo scranno, accanto a quello di Goniface.

Persino il vecchio Fanatico fa il nostro gioco, pensò quest’ultimo.

Ma nonostante questo, Frejeris continuò a non capire e rimase immobile, come se attendesse che quella serie di disdicevoli interruzioni finisse e lui potesse finalmente riprendere la parola. Era un uomo di superba dignità e grande regalità di portamento.

I suoi stessi Moderati intuirono quello che stava per succedere prima di lui. E malauguratamente per lui, i loro sguardi esprimevano più paura che indignazione.

— Allora, ci sono obiezioni alla mia richiesta di mettere la proposta ai voti? — chiese Jomald. Il tono della sua voce era inesorabile e, nel silenzio, ogni sua parola risuonò come un colpo di mannaia.

Con grande titubanza, lanciando occhiate interrogative da un capo all’altro del tavolo, uno dei Moderati fece un timido tentativo di alzarsi in piedi. Ma l’impassibilità degli altri arcipreti lo convinse a cambiare repentinamente idea, e si lasciò ricadere sul suo scranno evitando di incrociare lo sguardo di Frejeris.

Fu solo allora che Frejeris capì. A suo onore va detto che nemmeno in quel momento perse la calma e il suo volto, grande e bello, conservò intatta la sua statuaria dignità.

Uno dopo l’altro gli arcipreti appoggiarono sul tavolo lucente il pugno chiuso, decretando così la sua condanna. Frejeris lanciò loro occhiate sprezzanti, ma più come un uomo che ricusi uno sgarbo, che come un prete che stia per essere scomunicato.

Alla fine non una sola mano era stata appoggiata sul tavolo con il palmo rivolto verso il basso, in segno di opposizione alla proposta, e solo due Moderati si erano astenuti, e il loro disagio era evidente.

— Eseguite la sentenza — tuonò Jomald rivolto al gruppo di tecnici del Quarto Circolo.

Molti arcipreti, che solo a quel punto si resero conto di come ogni cosa fosse stata attentamente preordinata, tradirono sorpresa.

Ma anche in quella circostanza, Frejeris mantenne la calma. I Moderati che gli sedevano accanto si ritrassero per la paura; lui, invece, non indietreggiò e rimase ritto al suo posto, come una statua di marmo.

E come una statua di marmo fu abbattuto. I tecnici diressero contro di lui radiazioni invisibili, che provocarono la paralisi dei centri nervosi. Il primo a essere colpito fu il nervo ottico.

Esitando, Ferjeris si portò le mani agli occhi ormai ciechi, ma prima che potesse completare il movimento, anche il tatto l’aveva abbandonato. Poi fu il senso dell’equilibrio a venire meno. Il suo corpo massiccio ondeggiò in avanti e poi cadde pesantemente sul tavolo, un tavolo che non poteva più sentire.

Fratello Frejeris giacque lì, riverso sul marmo lucente, più indifeso di un bambino, rudere inanimato, scomunicato non solo dalla Gerarchia, ma dall’universo intero, escluso da ogni contatto sensoriale, condannato per un anno all’inferno privato dei suoi pensieri ; un anno che sarebbe durato un’eternità, perché non avrebbe avuto alcun modo di misurare il tempo.

Mentre alcuni sacerdoti dei primi circoli si facevano avanti per portare via il leader caduto, Fratello Jomald riprese a parlare.

— Io chiedo inoltre che l’arciprete Goniface venga ufficialmente investito del potere di usare tutte le risorse della Gerarchia per combattere il comune nemico e che venga nominato Sommo Gerarca fino a quando la Stregoneria verrà sconfitta. Per tutta la durata di questo periodo, il Sommo Concilio fungerà da principale organo consultivo.

Anche quella proposta fu approvata all’unanimità. Perfino il vecchio Sercival, che tutti immaginavano avrebbe caparbiamente mantenuto la propria indipendenza, si uniformò alla maggioranza. Dal canto suo, Goniface, che fino ad allora non aveva aperto bocca, non fece alcun commento. Si limitò ad alzarsi in piedi per dire: — Conducete i prigionieri e che l’interrogatorio abbia inizio.

Quell’annuncio suscitò un’imprevista obiezione da parte del vecchio Sercival. Il suo viso incartapecorito era l’incarnazione dell’odio fanatico.

— Vi prego, suprema eminenza, evitiamo qualsiasi commercio con gli agenti di Satanas! Se lei ci garantisce che si tratta di streghe, che vengano uccise immediatamente. Rappresentano un’onta troppo grande per il creato perché siano lasciate in vita. Io ho votato affinché vi venisse assegnato il potere supremo — continuò Sercival — perché io vi considero un uomo forte, deciso e capace di combattere senza pietà il Signore del Male. Dunque, io dico nessuna clemenza per le streghe!

— Ho sentito — replicò Goniface freddamente. — E le garantisco che non risparmierò i nostri nemici. Ma prima è indispensabile che li interroghiamo.

Con riluttanza, Sercival si rimise a sedere. — Io insisto che vengano uccisi subito — mugugnò ostinatamente.

Ma subito dopo l’attenzione si spostò da lui alle streghe e agli stregoni, che in quel momento venivano condotti nella Camera scortati da una nutrita schiera di diaconi. Con finta indifferenza, gli arcipreti approfittarono a piene mani della prima opportunità che veniva loro concessa di studiare il nemico faccia a faccia.

La prima impressione che ne ricavarono fu rassicurante. Tutti i prigionieri indossavano misere tuniche consunte di tessuto grezzo. Sembravano anche piuttosto sporchi! Inoltre, il fatto che non si ribellassero e non si difendessero in alcun modo dagli spintoni e dagli strattoni, brutali e gratuiti, dei diaconi, li faceva apparire estremamente servili. Quale minaccia avrebbero potuto rappresentare per la Gerarchia simili straccioni? Chiunque li avrebbe scambiati per una squadra di stradini, se non fosse stato per il fatto che il gruppetto era composto per lo più da donne. Alcune sembravano abbastanza carine, ma chi lo sa, forse sarebbero apparse addirittura belle se fossero state pettinate e agghindate nello stile avvenente delle Sorelle Perdute. In ogni caso, dal modo in cui si presentavano in quel momento, quei sedicenti potenti nemici sembravano soltanto umilissimi servi.

Tuttavia, la seconda impressione non fu altrettanto rassicurante. I volti dei prigionieri esprimevano, com’era logico aspettarsi, maggiore sensibilità e intelligenza rispetto a quelli della media dei cittadini comuni. E quella che, a prima vista, era sembrata ottusità, si rivelò, a una più attenta osservazione, pensierosa concentrazione.

Inoltre, si indovinava fra di loro un sottile legame di solidarietà, una mutua fedeltà che li faceva apparire un gruppo unito e compatto, sensazione che veniva rafforzata dalle tuniche identiche che indossavano. Allo stesso modo, dopo un po’ fu chiaro a tutti che i prigionieri non subivano supinamente i maltrattamenti dei diaconi, ma che piuttosto li ignoravano, perché la loro mente era concentrata su qualcos’altro.

Ma proprio la sensazione che fossero assorti in oscuri pensieri era quella che più inquietava gli arcipreti, perché ne derivava il timore che stessero comunicando con forze occulte che si trovavano fuori dalla Camera del Concilio.

Nel complesso, però, fu la prima impressione a prevalere, mentre le altre rimasero sospese come vaghi presagi in qualche recesso della loro mente.

Con un cenno della sua grande testa da nano, Cugino Deth fece segno a un chierico del Secondo Circolo di dare inizio all’interrogatorio. Dal momento stesso in cui Goniface era stato investito del potere assoluto, il piccolo diacono aveva gettato la maschera e adesso il suo viso registrava le sue emozioni in tutta la loro nuda bruttezza. Le occhiate spavalde che lanciava ai membri del Sommo Concilio erano più eloquenti di mille parole e sembravano dire: — Adesso sono io il secondo uomo della Gerarchia.

Il chierico lesse ai prigionieri un breve atto d’accusa che era al tempo stesso una sentenza di condanna.

— Voi siete stati arrestati mentre cospiravate contro la Gerarchia sotto le mentite spoglie della Stregoneria. Se adesso vi farete spontaneamente avanti e renderete piena confessione delle vostre colpe, senza omettere nulla, vi verranno risparmiate le torture.

A un tratto, una delle donne cominciò a tremare e ad agitarsi convulsamente, la testa rovesciata all’indietro, gli occhi serrati. Poi, i suoi movimenti divennero più violenti: i muscoli del collo si irrigidirono e le si piegarono le ginocchia, come se si stesse preparando a compiere uno sforzo enorme. Sembrava che una forza invisibile la stesse squassando tutta. All’improvviso, cadde a terra, con la bava che le usciva dalla bocca come se fosse in preda a una crisi di epilessia.

— Il Signore ci protegga! — urlò contorcendosi sul pavimento. — Che Satanas aiuti i suoi servi!

Contemporaneamente, dalla parte opposta della sala, una grande sagoma di lupo prese vita dal grigiore indistinto delle pareti. I suoi occhi erano come cuori di tenebra illuminati al centro da tizzoni morenti. Silenzioso e sinistro, il lupo avanzò a grandi balzi verso il Tavolo del Concilio, grande come una casa, l’incarnazione stessa della distruzione, violenta, inesorabile.

Gli arcipreti balzarono in piedi, incapaci di celare le proprie emozioni. Anche i sacerdoti dei circoli inferiori, senza volerlo, indietreggiarono e si fecero piccoli per la paura.

— Dissolvilo! — ordinò bruscamente Goniface a Cugino Deth. Poi, anche lui si alzò in piedi. — Come avrete certamente capito, si tratta solo di un’immagine telesolidografica — disse con voce tagliente rivolto ai suoi confratelli arcipreti. Avrebbe quasi voluto che Frejeris fosse ancora fra di loro. Almeno quel presuntuoso d’un Moderato sapeva darsi un contegno.

Un po’ tranquillizzati, gli arcipreti notarono che, in effetti, il corpo del mostro era trasparente e che attraverso quelli che, a prima vista, sembravano muscoli possenti, si intravvedeva la parete di fondo; anche la bava che colava in lunghi fili dalle sue fauci gigantesche era finta. Inoltre, a ben guardare, si vedeva che le grandi zampe ungulate, si appoggiavano a volte un po’ sopra e a volte un po’ sotto il pavimento.

I tecnici agli ordini di Deth puntarono uno strumento contro la figura del lupo, che si dissolse rapidamente. Intere parti del corpo scomparvero all’istante, mentre altre, che non erano state centrate dalla prima messa a fuoco, rimasero intatte; a dire il vero c’era qualcosa di terribilmente diabolico in quei residui di solidogramma, che forse erano più spaventosi dell’immagine completa del mostro: un orecchio qui, una zampa là, un ciuffo di peli sporchi e più ruvidi dell’erba, l’orbita luciferina di un occhio. Ma nel complesso il risultato ebbe un effetto rassicurante sugli arcipreti.

— Naturalmente, non c’era alcuna necessità di farlo sparire — riprese Goniface freddamente. — Ma ho optato per questa soluzione per dimostrarne in maniera inequivocabile la natura solidografica. I nostri confratelli del Quarto Circolo sono riusciti a dissolvere l’immagine del lupo utilizzando uno strumento di recente invenzione: il neutralizzatore di polifrequenze. In altre parole, quella che abbiamo visto era soltanto un’immagine di natura fotonica, che si è dileguata nel nulla appena i nostri tecnici hanno applicato il principio dell’interferenza. Tutti i fantasmi messi in campo dalla cosiddetta Nuova Stregoneria sono di questo genere e per eliminarli basta trovare e distruggere i proiettori nascosti in città. È soltanto una questione di tempo, anche senza le informazioni di cui saremo presto in possesso. — Così dicendo, lanciò un’occhiata significativa al gruppo delle streghe e degli stregoni. — Se volessimo — riprese dopo una breve pausa d’effetto — potremmo, senza alcuna difficoltà, isolare questa sala, e l’intero Santuario, in modo che non vi penetrino più simili proiezioni. Ma non ve ne è alcun bisogno. I nostri scienziati sono convinti che il nemico non possa trasmettere frequenze e intensità nocive per il nostro fisico. Se decidessimo di isolare il Santuario daremmo la falsa impressione di avere paura. — Quindi, con un tono che non ammetteva repliche, aggiunse: — Ordino a tutti i sacerdoti e ai diaconi presenti in questa Camera di non prestare alcuna attenzione a qualsiasi altra immagine venga proiettata all’interno di queste mura.

Dopodiché si sedette, ma solo per accorgersi immediatamente che nella sala regnava una leggera afa e che all’improvviso una luce rosso fuoco aveva pervaso l’ambiente, facendo apparire ogni cosa nebulosa e indistinta.

Disubbidendo all’ordine che avevano appena ricevuto, gli arcipreti balzarono in piedi e si precipitarono all’estremità opposta del tavolo, allontanandosi il più possibile dallo scranno di Goniface. Perché, dove un attimo primo aveva preso posto il Sommo Gerarca, adesso sedeva un enorme diavolo rosso, con lunghe gambe pelose, che sembravano trapassare il tavolo, e una grande testa cornuta che scuoteva da una parte all’altra, rivolgendo ai sacerdoti ampi sorrisi diabolici. Arrotolata sopra una spalla, simile a una scimmia accoccolata, spiccava la robusta coda, anch’essa colore del fuoco, che terminava in una malefica punta ricurva.

All’interno dell’immensa figura rossa, il profilo di Goniface appariva sfocato, come un insetto racchiuso in una perla d’ambra opaca.

Poi l’arciprete si alzò e, per un attimo, la sua testa emerse dalla sagoma vermiglia. Ma subito dopo anche il diavolo si alzò, provocando grande turbamento nel gruppo dei prigionieri, molti dei quali caddero in ginocchio e, con voce adorante, gridarono: — Signore! Signore!

Il vecchio Sercival alzò una mano tremante. I suoi piccoli occhi lucenti saettarono sgomenti per la stanza. Non sembrava tanto spaventato quanto furente.

— Che cosa significa tutto questo? — urlò. — Che abbiamo votato per Satanas in persona?

Anche i tecnici di Deth disobbedirono agli ordini e, girando rapidamente il proiettore, lo puntarono contro il solidogramma e lo neutralizzarono. A poco a poco, Goniface riemerse dall’involucro vermiglio, prima il capo, poi il resto del corpo. Nessuno ricordava di averlo mai visto così scuro in volto.

Ma prima che il Sommo Gerarca potesse aprire la bocca, dalla schiera dei diaconi si levò un grido di terrore. All’improvviso, una nube nera come l’inchiostro aveva avvolto le streghe e gli stregoni inginocchiati, e, espandendosi a velocità rapidissima, minacciava di invadere tutta la sala. I diaconi di guardia ai prigionieri emersero dalla tenebra vacillando, le braccia protese in avanti, gli occhi sbarrati.

— Le verghe dell’ira! — tuonò Goniface, mentre la nube lambiva pericolosamente i tecnici e i loro strumenti. — Agitatele all’altezza del busto e se la tenebra non si dissolve, continuate ad avanzare ugualmente. Non esiste nulla in grado di neutralizzare l’energia delle verghe!

Raggi fiammeggianti crepitarono contro le pareti grigie della Camera, per poi puntare al centro, verso la nuvola scura. In un ultimo disperato tentativo di offesa, la nube emise uno pseudopodio nero come la pece che si diresse verso la grande porta della sala. Ma i raggi dell’ira lo colpirono e lo disintegrarono. La nube si dissolse all’istante e i raggi dell’ira vennero disattivati.

— Se in questa Camera verranno proiettati altri solidogrammi, darò l’ordine di uccidere le streghe! — proclamò Goniface severamente. — Per ogni solidogramma, verranno giustiziati cinque prigionieri!

— Perché non li fate sopprimere tutti subito? — chiese il vecchio Sercival. — Un attimo fa avete intimato che venissero trucidati con le verghe dell’ira, come io avevo consigliato fin dall’inizio!

— Era soltanto un espediente, reverenza — rispose Goniface laconicamente. — Ma mi rendo conto di quanto possa essere difficile per uno spirito santo come il suo capire simili questioni mondane!

Di fronte a quell’aspra critica, Sercival si quietò, ma continuò a mugugnare fra sé e sé, scuotendo la testa. Era chiaro che molti arcipreti avrebbero tirato un profondo sospiro di sollievo se Goniface avesse seguito il consiglio del vecchio Fanatico.

— Che l’interrogatorio abbia inizio! — ordinò Goniface.

Due diaconi si avvicinarono al gruppo dei prigionieri, scelsero una donna e la condussero verso la poltrona accanto alla quale li attendeva Cugino Deth. Era una ragazza bionda, di costituzione molto gracile per essere una popolana. Aveva il viso aguzzo e la sua pelle era candida come la cera.

Seguì docilmente le due guardie per alcuni metri, ma quando raggiunsero la poltrona cominciò a dibattersi come un animale selvaggio, a mordere e a graffiare. Poi però, non appena i diaconi la afferrarono per le braccia, le convulsioni l’abbandonarono.

Il chierico lesse ad alta voce: — Mewdon Chemmey, perché questo, anche se tu lo neghi, è il nome con il quale sei stata identificata: è mio dovere consigliarti di rispondere alle domande in modo veritiero e soddisfacente. In caso contrario, ci costringerai ad assumere lo sgradevole onere di persuaderti a farlo. Nelle civiltà del passato venivano utilizzati strumenti di ogni tipo per provocare dolore: la ruota, il dado, il trapano e molti altri. Ma la Gerarchia è misericordiosa e non ama le mutilazioni. Per questo i suoi sacerdoti hanno messo a punto un congegno in grado di riprodurre i medesimi effetti provocati da quegli strumenti agendo direttamente sulle fibre dolorifiche. Così, si raggiungono i medesimi obbiettivi senza che il prigioniero riporti alcuna ferita o menomazione fisica: solo un grande spavento e qualche convulsione. Inoltre, questo metodo presenta un ulteriore vantaggio: non è necessario interrompere la tortura per paura che un grave danno all’organismo possa provocare la morte dell’inquisito.

Detto questo il chierico si sedette.

Con grande tranquillità, Deth fece alcuni passi verso il centro della sala, poi si arrestò bruscamente e si girò verso la strega.

— Come ti chiami? — domandò.

Silenzio. Poi, con un filo di voce la strega rispose: — I servi di Satanas non hanno nome.

Cugino Deth scoppiò a ridere. Gli dispiaceva pensare di aver represso simili risate per tanti anni. Si ricompose. — Sei stata identificata come Mewdon Chemmy, popolana dell’Undicesimo Distretto, addetta alla decorazione della ceramica, moglie di Mewdon Rijard. Tu neghi questo?

Nessuna risposta.

— Molto bene, Mewdon Chemmy. Sei accusata di aver cospirato per rovesciare la Gerarchia.

— Ma il vostro chierico non ha detto solo questo — la voce era flebile, ma chiara. — Ha detto che io… cioè che tutti noi siamo già stati condannati.

— È vero, Mewdon Chemmy. Ma se le tue risposte verranno giudicate soddisfacenti, ti verrà risparmiato il dolore. Spiega con maggior precisione in che modo hai cospirato contro la Gerarchia.

— Ho eseguito gli ordini di Satanas.

Deth rise. — Quali ordini?

— Di fare di me stessa uno strumento della sua volontà soprannaturale. Di mettere in pratica i suoi insegnamenti. Di bestemmiare e fare sortilegi. Di vessare e tormentare le persone che lui mi indica.

Per la terza volta dalle labbra di Cugino Deth uscì quella che per lui era una risata. — Forse tu sei abituata a usare parole senza senso per descrivere quello che fai. Ebbene sappi che a noi questo non interessa. A noi interessano solo i fatti. Quali nozioni scientifiche ti sono state insegnate?

— Io non so nulla di queste nozioni di cui parli. Satanas è onnipotente e pertanto non ne ha bisogno.

Deth si rivolse al capo della sua squadra di tecnici. — Sei pronto? — gli chiese.

Il sacerdote annuì. Una spessa calotta di metallo fu trascinata dietro la sedia e infilata a mo’ di cappuccio sulla testa della strega. Dal congegno si dipartivano flange ricurve che seguivano le linee del suo corpo.

Deth guardò di nuovo la prigioniera. — Finora, in considerazione della tua fragile costituzione e del tuo sesso, siamo stati indulgenti verso di te, Mewdon Chemmy. Ma potremmo smettere di esserlo, se tu persisterai in questo comportamento infantile. Mettiti in testa una volta per tutte che non abbiamo alcuna intenzione di perdere il nostro tempo ascoltando le tue scempiaggini su Satanas e altre entità soprannaturali. Non c’è bisogno che ti ricordi che non stai parlando a dei cittadini comuni ignoranti e creduloni.

Dal Tavolo del Concilio si levò un mormorio di disapprovazione. Quel modo di esprimersi così franco e incauto era contrario a qualsiasi regola. Il vecchio Sercival biascicò parole di sdegno. Molti arcipreti lanciarono occhiate interrogative a Goniface, senza però riuscire ad attirare la sua attenzione.

— Comunque, Mewdon Chemmy, ti resta ancora una possibilità — proseguì Deth. — Se ci riveli fatti concreti, fatti che possano essere verificati, noi saremo clementi con te.

Il volto della strega, in parte nascosto dal cappuccio di metallo, era piccolo come quello di un bambino e pallido come un cencio.

— Ma come potrete essere clementi con me? Hai appena ammesso che la Gerarchia non crede nel Grande Dio. Mi lascerete forse libera di andarlo a raccontare ai cittadini comuni? Potete permettervi di correre il rischio che qualcuno di noi smascheri le vostre menzogne?

Sembrava che Deth non aspettasse altro, perché con aria trionfante si affrettò a replicare: — Finalmente arriviamo a qualcosa! Finalmente ammetti che tutte queste manifestazioni non sono nient’altro che invenzioni della scienza!

Gli arcipreti trattennero il fiato e il silenzio che calò sulla Camera del Concilio fu tale che tutti poterono udire la sua flebile risposta.

— No. Non è vero. Per più di un secolo Satanas vi ha fatto credere che fosse così, affinché la vostra rovina fosse completa e il vostro tormento più grande. Satanas esiste! Ed è il signore supremo di quell’inferno che voi chiamate cosmo!

Quella risposta creò grande scompiglio fra i membri del Concilio. Solo Goniface rimase impassibile e si limitò a fare un cenno a Deth.

— Medow Chemmy, noi vogliamo i fatti! — urlò il diacono aspramente. — In primo luogo, chi è il tuo capo?

— Satanas.

— Idiozie! Trasmettete il dolore alle dita della mano sinistra!

A quelle parole, la tensione che regnava nella sala madreperlacea aumentò e i diaconi puntarono minacciosamente le verghe dell’ira contro i prigionieri. Ma questi, gli occhi serrati, sembravano intenti a elevare mute preghiere alla loro oscura divinità.

Poi, dal sudario di metallo provenne un debole sibilo, come di aria risucchiata fra i denti e la lingua.

Ma, benché stesse ascoltando con estrema attenzione, Goniface, il Sommo Gerarca, quel sibilo non lo udì. Perché, in quello stesso istante avvertì un bruciore ustionante alle dita della mano sinistra, che teneva abbandonata a lato dello scranno, come se le avesse improvvisamente immerse nel metallo fuso.

Con un rapido e supremo sforzo di volontà, controllò l’impulso di sollevare l’arto e di contorcersi e urlare di dolore. Quindi, con un ulteriore sforzo, che in verità non era che un prolungamento, anche per intensità, del primo, lanciò una rapida occhiata ai suoi confratelli arcipreti. Si rassicurò: se per caso si fosse tradito compiendo qualche movimento inconsulto, nessuno aveva dato segno di accorgersene.

— Mewdon Chemmy, adesso ti ripeterò la domanda. Chi è il tuo vero capo?

— Satanas, Satanas. — Respiri rapidi e affannosi.

Goniface abbassò gli occhi. La sua mano non presentava alcunché di insolito, a eccezione delle nocche bianchissime e dei tendini tesi. Con molta lentezza la sollevò e l’appoggiò sul tavolo. Ma il bruciore non diminuì.

— Trasmettete il dolore al polso. Chi è il tuo capo, a parte quello che tu chiami Satanas?

— È… Satanas dammi la forza! — Un gemito affannoso. — È Asmodeo.

A Goniface sembrò di aver indossato un guanto rovente.

— Chi è Asmodeo?

— Satanas aiutami! È il Re dei Demoni.

— Al braccio! Chi è Asmodeo?

— Il re… il re dei demoni.

— Noi sappiamo che Asmodeo è un uomo. Qual è il suo vero nome?

— Il re… — Un grido soffocato. — Che Satanas possa farvi bruciare per l’eternità nel fuoco dell’inferno! Non lo so. Non lo so.

— Allora Asmodeo è un uomo?

— Sì. No. Non lo so! Che Satanas possa farvi bruciare come voi state facendo bruciare la sua serva!

Goniface sentì la fronte imperlarsi di sudore, mentre il fuoco invisibile gli saliva a spirale lungo il braccio, come una serpe incandescente.

Doveva pensare. Pensare!

— Mewdon Chemmy, chi è Asmodeo? Qual è il suo nome?

— Non lo so… non lo so!

— Lo hai mai visto?

— Sì. No! Sì! Mewdon Chemmy, Satanas! Io sono la tua serva fedele.

— Che aspetto aveva?

— Non lo so… Era solo tenebra! Tenebra… e una voce!

Sottili rivoli di sudore cominciarono a colare lungo il viso di Goniface accompagnati da brevi scariche di adrenalina. Ancora qualche istante e la strega avrebbe ceduto. Ma quel dolore insopportabile doveva pure avere una causa. Pensare. Doveva pensare.

— Molto bene, Mewdon Chemmy. Per il momento lasceremo perdere Asmodeo. Adesso dicci: dove si trova il quartier generale della Stregoneria di Megateopoli?

— Non… Dove ci avete catturato.

— Quello era solo un luogo di incontro. Sai benissimo che non intendo quello. Dunque, dove si trova il vero quartier generale?

— Non… Non esiste un quartier generale.

— Tu stai mentendo! Lo sai, perché per due volte sei stata sul punto di dirlo e poi hai taciuto. Dove si trova il vero quartier generale? Dove tenete il vostro armamento scientifico?

— Nel… Non esiste nessun armamento scientifico. Satanas non ha bisogno…

— Alla spalla!

Il bruciore che invadeva la spalla, sempre più straziante. Pensare! Doveva pensare! Tumulto all’estremità della Camera. Le grandi porte che si aprivano. E dai prigionieri inginocchiati, una supplica appena mormorata, cadenzata, intensa, simile al rullo smorzato di un tamburo. — Satanas, vieni in nostro aiuto. Satanas, vieni in nostro aiuto.

— Mewdon Chemmy, dove si trova il vostro quartiere generale? Sei nella Grande Piazza e stai andando verso il quartiere generale della Stregoneria. Stai per imboccare una strada. Che strada è?

— La Via dei Tess… No! No! — Un grido inframmezzato dai singhiozzi.

— Molto bene, Mewdon Chemmy. Stai percorrendo la Via dei Tessitori. Senti l’odore della lana e il rumore delle spole. Cammini, cammini e arrivata alla fine della strada giri. Da che parte?

— No! No! La tua serva Mewdon Chemmy ti sta invocando, Satanas!

Un drappello di sacerdoti si stava affrettando verso il Tavolo del Concilio, con le vesti scarlatte che svolazzavano.

Lentamente, e con grande fatica, Goniface si alzò, il braccio sinistro rigido lungo il corpo e la spalla inclinata, come se stesse sollevando un grande peso.

— Dalla spalla a…

— Sospendi l’interrogatorio! — ordinò Goniface con enfasi, e pronunciando quelle parole in modo così forzato e meccanico che tutti si voltarono a guardarlo.

Deth indugiò un istante, quindi, scrollando le spalle, fece segno ai tecnici di porre fine alle stimolazioni.

Il dolore si dileguò all’istante dal braccio di Goniface, lasciandolo profondamente stordito. Un invisibile torrente di acqua ghiacciata gli tolse il respiro. L’immensa stanza madreperlacea iniziò a ondeggiare davanti ai suoi occhi e il Sommo Gerarca fu costretto ad aggrapparsi al tavolo per non vacillare.

— Che cos’è successo? — chiese ai nuovi arrivati, riacquistando rapidamente la padronanza di sé. — Solo una questione della massima urgenza può giustificare una simile interruzione.

— I cittadini comuni stanno marciando sul Santuario! — urlò uno dei preti. — Hanno abbandonato il lavoro e ogni tentativo di fermarli è fallito. Due diaconi hanno azionato contro di loro le verghe dell’ira nella Vìa dei Fabbri, ma sono stati sopraffati e fatti a pezzi dalla folla. Un sacerdote del Primo Circolo che ha cercato di convincerli a tornare indietro è stato catturato e malmenato. È ancora nelle loro mani. Hanno già gremito la Grande Piazza e vogliono sapere perché non sconfiggiamo Satanas e non poniamo fine a questo regno di terrore. Continuano a urlare: Che cosa fa la Gerarchia contro la Stregoneria? E ogni volta che un sacerdote cerca di farli ragionare si mettono a gridare finché il poveretto è costretto a tacere.

Un mormorio di terrore si levò dal Tavolo del Concilio.

Goniface udì un arciprete sussurrare: — Fulmini di guerra! Sgomberate la Grande Piazza! — In uno dei nuovi arrivati Goniface riconobbe un sacerdote del Centro di Telecomunicazione e lo invitò a parlare.

— Notizie di simili disordini ci stanno pervenendo da metà delle città della terra. Sembra che sia stata un’azione preordinata. Una folla inferocita ha fatto irruzione nel Santuario di Neodelos. Gli attaccanti sono stati respinti, ma a prezzo di molte vittime. Da ogni parte giungono richieste di istruzioni.

La risposta di Goniface non si fece attendere. — Smontate gli stimolatori parasimpatici dalla Cattedrale e azionateli sulla Piazza. Comunicate attraverso gli amplificatori che domani sarà giorno di festa e annunciate che si terrà l’ufficio della Grande Rinascita. Verranno rivolte solenni suppliche al Grande Dio, assisteremo a miracoli eccezionali e il Grande Dio si degnerà di offrirci un segno infallibile dell’imminente sconfitta di Satanas.

Poi, rivolto al sacerdote del Centro di Telecomunicazione: — Trasmetti le stesse istruzioni a tutti i Santuari. Di’ ai sacerdoti di avvalersi di tutti gli strumenti di stimolazione parasimpatica a loro disposizione, compresi i modelli manuali dei confessionali. Se, dopo l’annuncio, la folla non si disperde, che venga inondata di musica, ma che nessuno faccia ricorso alla violenza, per nessun motivo. Nelle città in cui i cittadini comuni prenderanno d’assalto i Santuari saranno i sacerdoti locali a risponderne alla Gerarchia. Dà ordine ai reggenti della città di Neodolos, sotto pena di una scomunica generale, di tenere funerali solenni per tutti i cittadini trucidati e di inviarne a casa le salme con grande pompa. Contatta tutti i santuari, anche quelli che non hanno ancora chiesto aiuto e verifica quello che sta accadendo. Informa tutti che questa sera al tramonto riceveranno dettagliate istruzioni per l’ufficio della Grande Rinascita. Ritorna qui fra due ore con un quadro completo della situazione.

Poi, rivolto a un chierico: — Portami le registrazioni di tutte le Grandi Rinascite del passato, compresi i solidografi mobili delle ultime due.

Quindi, a un secondo chierico: — Convoca la facoltà di Controllo Sociale del Sesto Circolo. Il Sommo Concilio desidera un loro parere. Manda qualcuno nelle cripte ad avvisare Fratello Dhomas di raggiungermi non appena gli sarà possibile.

A un terzo chierico: — Informa la Facoltà di Fisica del Quinto Circolo della necessità di erigere uno scudo telesolidografico intorno alla Grande Piazza. Tutti gli strumenti tecnici esistenti in città sono fin da questo momento a loro completa disposizione. Possono requisire tutte le apparecchiature di cui avranno bisogno, ma lo scudo deve essere pronto per l’alba di domani.

Poi, a un quarto: — Prova a metterti in contatto di nuovo con la nave che sta arrivando con i rinforzi da Luciferopoli. E se ci riesci ordina al comandante di procedere a pieno regime.

Infine, Goniface si rivolse a Cugino Deth. — Riconduci i prigionieri nelle loro celle. Ognuno in una cella separata. Ciascun prigioniero dovrà venire sorvegliato a vista ventiquattr’ore su ventiquattro da almeno due guardie, che a loro volta dovranno essere controllate da altre guardie. Sii preparato a far fronte ai più imprevedibili tentativi di salvataggio. Riterrò te l’unico responsabile di quanto accadrà.

— Adesso avrà luogo una riunione privata del sommo Concilio. Lasciate la Camera!

— Non avete ancora risolto di far uccidere le streghe, suprema eminenza! — Vi era una nota pungente, anche se velata di incertezza, nella voce aspra del vecchio Sercival. — La testimonianza di quella donna malefica è una prova incontrovertibile che sono agenti di Satanas. È pericoloso, temerario e gravemente offensivo nei confronti del Grande Dio, lasciare che vivano anche un solo minuto di più.

— È di fondamentale importanza che riusciamo a interrogarli e carpire il maggior numero di informazioni possibile — rispose bruscamente Goniface. — Ho sospeso l’interrogatorio soltanto perché c’erano questioni più importanti da affrontare. Dobbiamo pensare all’ufficio della Grande Rinascita.

Sercival scosse la testa. Un luccichio folle, o forse profetico, illuminò i suoi occhi di falco. — Faremmo meglio a inginocchiarci tutti e invocare il perdono e la misericordia del Grande Dio per tutti questi anni di incredulità. Altrimenti, io vedo la tenebra profilarsi dinanzi a noi e la dannazione eterna!

— Reverenza, la sua mente è stanca e confusa. Ma sappia che scomunicherò il prossimo sacerdote che oserà parlare di fallimento o insinuare che Satanas è un’entità soprannaturale.

Dalla fila delle streghe che si allontanavano sotto la vigile custodia di una doppia scorta di guardie, provenne una nenia flebile e monocorde.

Era appena sussurrata eppure sembrava riempire la sala intera.

— Sia ringraziato Satanas. Sia ringraziato Satanas. Sia ringraziato Satanas.

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