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Fin dalle prime luci dell’alba, il potente carillon della Cattedrale aveva inondato a più riprese Megateopoli di scampanii festosi e, prima che si fosse spenta l’eco dei primi rintocchi, la Grande Piazza aveva già cominciato a gremirsi. Ma se l’oscurità non fosse stata popolata dalle terribili creature di Satanas, i cittadini comuni avrebbero cominciato ad affluirvi fin dalla mezzanotte.

— Sveglia! Sveglia! — sembravano esortare le campane. — Miracoli! Miracoli inauditi! Affrettatevi, svelti!

Molti erano venuti a digiuno e senza portare cibo con sé. Non era quello il giorno della Grande Rinascita? Quel giorno toccava al Grande Dio provvedere a loro!

Giunsero da ogni angolo di Megateopoli e dalle campagne circostanti. A metà mattina la piazza era già piena e la folla premeva contro il doppio cordone di diaconi, schierati davanti alla Cattedrale per impedire al popolo di occupare un ampio tratto antistante la scalinata del tempio. I tetti delle case che circondavano la piazza erano punteggiati di ragazzini seduti a cavallo dei camini. Poco prima, un minuscolo balcone sovraffollato era crollato, provocando molti feriti e suscitando un piccolo moto di panico, immediatamente sedato dai diaconi sparpagliati in mezzo alla folla. Nelle strade che confluivano nella piazza erano stipati gli ultimi arrivati. Ovunque, uomini e donne si spintonavano, sgomitavano e si contendevano il diritto ai posti migliori; di tanto in tanto, le grida di qualche madre alla ricerca di un figlio smarrito si levavano al di sopra dell’incessante chiacchiericcio della massa, che, periodicamente, veniva sommerso dal frastuono delle campane.

Non era esattamente una folla giubilante e neppure cordiale. Era la stessa folla che il giorno prima aveva tentato di dare l’assalto alla Cattedrale, insultando a gran voce la Gerarchia perché non difendeva il popolo da Satanas. La stessa folla che aveva ucciso due diaconi, bistrattato un sacerdote del Primo Circolo, e chiesto apertamente alla Gerarchia di dare prova del suo potere. Ma per quel giorno i cittadini comuni avevano deciso di osservare una specie di tregua. La sera precedente, i preti avevano promesso che il Grande Dio avrebbe dato loro un segno della sua benevolenza e della sua supremazia sul Signore del Male compiendo miracoli durante l’ufficio della Grande Rinascita. E nel corso della notte appena trascorsa, quasi a riprova di quelle rassicurazioni, le manifestazioni sataniche erano state assai meno intense.

Inoltre, era piuttosto difficile che i popolani riuscissero a conservare la rabbia, sotto l’influsso calmante delle radiazioni parasimpatiche con le quali venivano bombardati da ogni lato della Piazza.

Ma quelle stimolazioni producevano anche un altro effetto: poiché agivano sui nervi che controllano il tratto digestivo, inducevano un crescente senso di fame in una massa di uomini e donne che, per la maggior parte, non aveva ancora toccato cibo. A poco a poco, centinaia di migliaia di bocche si riempirono di saliva e centinaia di migliaia di gole presero a deglutire senza requie.

Finalmente, a mezzogiorno in punto, nel bel mezzo dello scampanio più gioioso e assordante che fosse risuonato fino a quel momento, il carillon si fermò, e centinaia di migliaia di cittadini ammutoliti trattennero il respiro, mentre sulla piazza calava un silenzio sepolcrale e gravido di tensione. Poi, dal Santuario provennero le gravi note d’organo di una marcia solenne, cupa e rimbombante, ma al tempo stesso piena di mistero, di maestosità e di potenza, come l’eco armoniosa di un tuono lontano. Una musica simile doveva aver riempito il cielo anche il giorno in cui il Grande Dio aveva imposto la sua volontà sul caos e aveva creato la terra.

Lentamente, in armonia con il ritmo di quella melodia titanica, la tribuna, che era stata eretta durante la notte accanto alla Cattedrale, cominciò a riempirsi di sacerdoti che indossavano vesti scarlatte intessute d’oro. I cittadini più vicini riconobbero lo stemma che spiccava sul loro petto, un triangolo al cui vertice risplendeva un grande gioiello, e, di bocca in bocca, corse la voce appena sussurrata che l’ufficio della Grande Rinascita sarebbe stato presieduto niente meno che dagli arcipreti del Sommo Concilio in persona!

I popolani che potevano vantare di aver visto in vita propria un arciprete erano pochissimi e, perciò, vedere in un colpo solo l’intero Concilio equivaleva a dare una sbirciatina in Paradiso.

A poco a poco, lo stupore ebbe la meglio sulla rabbia collettiva. La musica accelerò. Le grandi porte della Cattedrale si aprirono e, in una processione che incarnava tutta la magnificenza e il potere della Gerarchia, sfilarono, in fila per quattro, i sacerdoti di tutti i circoli: uomini imponenti, belli come semi-dei. I preti descrissero un cerchio nello spazio che i diaconi avevano tenuto sgombro, e infine si disposero in file ordinate davanti alla tribuna.

E, mentre i sacerdoti marciavano, e le note dell’organo si rincorrevano in un crescendo di ricchezza e di calore che, come il sole, raggiungeva la sommità del cielo, ai cittadini comuni sembrava che calpestassero sotto i piedi tutto il male, tutta la tenebra, tutta la ribellione, in breve ogni cosa che osasse alzare la testa contro la Gerarchia.

Sulla tribuna, Goniface arricciò il naso e si rivolse a uno dei sacerdoti del suo seguito.

— Donde viene questo odore? — domandò.

Non era più possibile ignorarlo. Mescolate alla fin troppo dolce fragranza che apposite apparecchiature diffondevano sulla Piazza, provenivano zaffate sempre più intense di un acre puzzo di letame.

Il giovane sacerdote gli rispose che avrebbe immediatamente provveduto a scoprirne l’origine. Sporgendosi lievemente in avanti, Goniface lanciò un’occhiata corrucciata ai due sacerdoti che agitavano i turiboli. Ma li conosceva entrambi: uno era un fidato Realista e l’altro un arcigno Fanatico.

Premette un pulsante sul televisore portatile collocato dinanzi a sé e immediatamente comparve il profilo del direttore tecnico del Centro di Controllo della Cattedrale.

— No, suprema eminenza, non c’è possibilità alcuna che la Stregoneria riesca a manomettere qualche nostra apparecchiatura — disse questi, rispondendo alla domanda del Sommo Gerarca. — Abbiamo installato sistemi di controllo sensibilissimi in grado di avvertirci immediatamente qualora pennelli di forza o altri campi di energia venissero introdotti nella Piazza. E le contromisure necessarie per neutralizzarli sono già pronte. Come vostra eminenza sa, lo scudo telesolidografico risponde pienamente alla bisogna. In breve, la Grande Piazza, la Cattedrale e un’ampia area attorno, sono isolate. Di questo potete essere certo.

— La puzza? Ah, sì, ne siamo già al corrente. Un guasto, sfortunato quanto imprevedibile, a uno dei diffusori odorosi. Abbiamo già provveduto alla riparazione.

Mentre lo rimproverava aspramente, Goniface studiò i volti degli altri sacerdoti del Centro di Controllo. Tutti fedeli Realisti, a eccezione di due fisici del Quinto Circolo, che erano Fanatici. Tutto bene quindi.

— Sì suprema eminenza — lo rassicurò il direttore tecnico in risposta alla sua ultima domanda. — In qualunque momento lo desideriate, siamo in grado di generare immediatamente una cupola di repulsione sopra la tribuna. E lo squadrone di angeli che avete chiesto di tener pronto può entrare in azione quasi con la medesima rapidità.

Ampiamente, se non proprio del tutto, soddisfatto, Goniface spense il televisore. Come aveva detto il direttore tecnico, in effetti il fetore insopportabile di pochi istanti prima era quasi svanito, anche se in mezzo alla folla qualcuno arricciava ancora il naso. In quel momento gli sarebbe piaciuto avere al proprio fianco Cugino Deth, ma il piccolo diacono aveva il delicato compito di proseguire la caccia alle streghe. In ogni caso, Jarles era un valido sostituto.

La marcia si era concluso con una grandiosa, trionfale esplosione di suoni, che sembrava evocare l’ultimo e più importante atto della creazione divina, quando, dopo il catastrofico esperimento dell’Età dell’Oro, il Grande Dio aveva dato vita alla gloria perfetta della Gerarchia.

La folla, impaziente per le lunghe ore di attesa, ma placata dalle stimolazioni parasimpatiche, si lasciò guidare docilmente dai predicatori revivalistici, le cui voci, enormemente amplificate, tuonavano una dopo l’altra nella Piazza. Brani di una musica più dolce della marcia che aveva accompagnato il corteo dei sacerdoti, accentuavano la cadenza delle orazioni che i predicatori intonavano con grande fervore, mentre le radiazioni parasimpatiche, intercalate di tanto in tanto a quelle simpatiche, venivano abilmente calibrate per accrescere l’effetto delle loro esortazioni.

A poco a poco, la folla abbandonò qualsiasi resistenza emotiva e alcuni gruppi di cittadini presero a oscillare ritmicamente da una parte all’altra, finché il movimento si estese a tutti i convenuti, comprese le persone ammassate sui tetti e tutta la Piazza ondeggiò come un unico grande organismo. E allora da centinaia di migliaia di gole si levò un suono inarticolato che rafforzava l’enfasi ritmata dei predicatori: un suono animalesco, profondamente emozionante e al tempo stesso disgustoso, un suono che vacillava fra un grugnito di piacere e un singhiozzo.

Qui e là vi erano segni evidenti di un più marcato cedimento emotivo: gemiti d’estasi, grida, braccia che si agitavano convulsamente, improvvise soluzioni di continuità nel mare ondeggiante della folla là dove alcuni cittadini erano caduti in ginocchio. Sarebbe stato facile, a quel punto, indurre il popolo a un più folle e totale abbandono, ma non era quella l’intenzione della Gerarchia. Anzi, tenuta unita da quel movimento oscillante e da quella nenia monocorde, la folla riusciva a contrastare e a riassorbire ogni eccesso che sarebbe potuto sfociare in un comportamento più violento.

— Grande Dio, sconfiggi Satanas, sconfiggi il Dio del Male! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ci ha teso molte trappole ma noi lo abbiamo combattuto! Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ha riempito la notte di terrore, ma noi abbiamo invocato il tuo aiuto! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ha inviato contro di noi i suoi orrori, ma noi ci siamo aggrappati alla nostra fede! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Ricaccialo all’Inferno, rimandalo dai suoi peccatori! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana. — Fa’ che affondi nella sozzura, fa che banchetti insieme ai dannati! — Flusso e riflusso grugnente dell’onda umana…

Quindi, dimostrando una sconcertante capacità di dominio sulla folla, l’ultimo e il più abile dei predicatori ne placò l’ondeggiamento e ne zittì il brontolio, trasformandolo in uno stato di immota tensione, di attesa così trepidante da essere quasi insostenibile.

Tutti gli occhi si rivolsero a lui, solo, in piedi sul palco che si trovava dinanzi alla tribuna. A un tratto, il predicatore cadde in ginocchio e, con voce vibrante di compassione, urlò: — Grande Dio! Il tuo popolo invoca la tua affettuosa benevolenza. Da tempo non si nutre del dolce latte della tua infinita misericordia, del cibo della tua infinita potenza. E ha adesso ha sete e ha fame.

Niente di più sacrosanto. Tenuta in spasmodica attesa fino a metà pomeriggio, e incessantemente sottoposta alle stimolazioni parasimpatiche, la folla era famelica.

Strisciando sulle ginocchia, il predicatore si girò e levò le mani supplici verso la scultura titanica che formava la metà superiore della Cattedrale.

— Grande Dio, il tuo popolo ha superato la prova. Nel momento del terrore e della sofferenza non ha perso la fede in te e ha cacciato Satanas dal suo cuore. Sii misericordioso verso le tue creature, Grande Dio. Elargisci loro le ricchezze copiose della tua cornucopia. Ànima con la tua divina presenza la pietra fredda e senza vita e fa che le tue mani si riempiano d’ambrosia e che dalle tue dita scorrano fiumi di nettare. Hanno digiunato a lungo, Grande Dio. Da’ loro il cibo con cui sfamarsi e l’acqua con cui dissetarsi!

Storditi ed emotivamente tesi com’erano, i cittadini si resero conto di quello che stava per accadere e si prepararono. I più vecchi sapevano per esperienza, i più giovani lo avevano appreso dai loro genitori, quali straordinarie prelibatezze il Grande Dio avrebbe fatto piovere su di loro. Ovunque, come dal nulla, spuntarono ciotole di legno e brocche di metallo. Alcuni cittadini spiegarono grandi teli e li tennero tesi fra di loro per raccogliere i dolci miracolosi. Sui tetti apparvero secchie e tinozze, e, stringendo fra i denti contenitori delle più svariate fogge, alcuni spiriti deliranti si issarono sulle spalle dei loro vicini.

Ma la maggior parte rimase semplicemente con la testa rovesciata all’indietro, la bocca aperta e le mani tese.

Un impercettibile brivido percorse la gigantesca statua e subito fu silenzio nella Piazza. Lentamente, il grande volto maestoso abbassò lo sguardo sulla folla e, a poco a poco, i suoi tratti arcigni cedettero il posto a un sorriso indulgente e benevolo, come un padre severo, preoccupato ma amorevole, che finalmente si ricorda dei bambini obbedienti radunati ai suoi piedi.

Lentamente, le mani gargantuesche si protesero verso la Piazza in un gesto di titanica generosità. Poi, dalla mano destra sprizzarono migliaia di minuscole fontane, mentre dalla sinistra, come un fiore capovolto, cadde una pioggia di fiocchi crostosi e di minuscoli cubetti.

Grida avide si levarono dalla moltitudine dei cittadini non appena toccarono con mano quei segni della misericordia divina.

Un secondo. Due. Tre. D’un tratto quelle grida si trasformarono in conati strozzati di vomito, mentre un odore ributtante di carne marcescente, burro rancido, pane ammuffito e oli per l’imbalsamazione, investiva le file serrate dei sacerdoti e i membri impassibili del Sommo Concilio.

E attraverso la medesima grande gola, in cui avevano fatto confluire le loro voci in un’unica corale preghiera, i cittadini presero a tossire, a sputare e a vomitare, mentre dalle mani del Grande Dio continuava a piovere senza tregua nettare ripugnante e ambrosia mefitica, che inzuppavano e impiastricciavano i loro miseri vestiti. Uomini e donne si affrettarono a tirare su il cappuccio. Chi prima aveva teso le lenzuola per raccogliervi il cibo se ne servì come riparo.

Chi aveva alzato in aria le ciotole, le capovolse e se le ficcò in testa a mo’ di cappello. E intanto dalla statua continuava a rovesciarsi sulla Piazza quella pioggia immonda, così fitta che in lontananza non si vedeva quasi più nulla.

Poi scoppiarono le proteste e le grida di rabbia. Prima circoscritte, poi sempre più diffuse. In diversi punti, frange di popolani si sollevarono e si lanciarono contro il doppio cordone dei diaconi.

Il predicatore che si trovava sul palco si rese conto del pericolo e reagì con grande prontezza di spirito. Grazie agli amplificatori regolati al massimo volume, la sua voce riuscì a superare il tumulto della folla.

— Il Grande Dio vi sta solo mettendo alla prova! — tuonò. — Fra di voi c’è chi non ha fede! Ecco perché il cibo miracoloso non sa di nettare e di ambrosia!

“Ma adesso il Grande Dio si è persuaso della vostra fede! — aggiunse subito dopo, senza curarsi dell’illogicità del suo discorso, ma preoccupato soltanto di giungere all’annuncio più importante: — Adesso il Grande Dio compirà il vero miracolo! Guardate come ricompensa le sue creature!

La pioggia puzzolente cessò.

Intanto, sulla tribuna, Goniface stava sbraitando rivolto al televisore: — Fermate il secondo miracolo!

Ma per tutta risposta, dal video il direttore tecnico gli rivolse uno sguardo assente. Non dava alcun segno di aver ricevuto l’ordine. Sembrava sbalordito, stupefatto. — Ma siamo isolati — continuava a ripetere come un automa. — Non abbiamo ricevuto neanche l’ombra di un segnale dai sistemi di controllo!

— E qualcuno ha attivato le radiazioni simpatiche — continuava con affanno Goniface. — Provvedete immediatamente! E fermate il secondo miracolo!

Con un sussulto, il direttore tecnico si riebbe dallo sconcerto e fece rapidamente segno a uno dei suoi assistenti, che un istante dopo gli rispose con frenetici gesti di impotenza.

Dapprima sembrò che i timori di Goniface fossero infondati, perché dalle mani aperte del Grande Dio cominciò a cadere una pioggia di minuscole monete d’oro.

L’ondata di uomini e donne che stava per dar l’assalto alla Cattedrale subì un brusco arresto e tutti alzarono gli occhi verso il cielo. Le abitudini consolidate dagli anni sono dure a morire; per i cittadini era naturale credere alle parole dei preti, e la pioggia che stava cadendo in quel momento luccicava davvero come oro.

Ma dopo la prima spruzzata, il colore delle monete si trasformò da giallo in rosso… rosso fuoco. Grida di dolore si mescolarono a rinnovate imprecazioni, mentre i minuscoli dischi roventi picchiettavano sulla pelle indifesa o, afferrati in aria da mani avide, venivano immediatamente lanciati via, e si infilavano negli abiti e sotto i piedi nudi che li calpestavano…

Con un rombo che sovrastò le grida di dolore, la folla si sollevò in una gigantesca onda frastagliata, che ruppe in avanti, in parte, ma solo in parte, per sfuggire a quella pioggia di fuoco, che cessava proprio all’altezza del cordone dei diaconi. Perché, quando, all’improvviso, quella misteriosa pioggia cessò, la folla inferocita non si fermò, ma continuò ad avanzare e il suo urlo riecheggiò ancor più potente e minaccioso nella Grande Piazza. Volarono i primi pugni e alcuni diaconi rovesciarono a terra. In diversi punti il doppio cordone si piegò verso l’interno e si spezzò.

Per evitare che anche a Megateopoli si verificasse la stupida tragedia che aveva avuto luogo a Neodolos il giorno innanzi, Goniface aveva impedito ai diaconi di portare le verghe dell’ira. Ma adesso, a un suo ordine immediatamente trasmesso, i sacerdoti del Primo e del Secondo Circolo si stavano precipitando in soccorso delle tonache nere e, mentre avanzavano da più direzioni in una lunga fila compatta per contenere il vasto fronte della folla, avevano attivato i campi di inviolabilità, e le loro vesti erano rigide e gonfie. La folla, che era riuscita ad annientare la barriera dei diaconi, cominciò a lanciare ciotole e brocche indicibilmente sudice contro i preti, ma le stoviglie rimbalzarono contro i loro campi di repulsione. Per contro, doveva esserci qualche guasto alle aureole, perché anziché risplendere come sempre di luce violetta, si accendevano e si spegnevano a intermittenza.

Poi, all’improvviso si creò una strana confusione fra i sacerdoti. La prima impressione fu che quelli al centro si fossero lanciati contemporaneamente gli uni verso gli altri e che poi si fossero dimenticati di separarsi. Ma subito dopo altri preti si catapultarono a grande velocità verso il gruppuscolo e vi rimasero attaccati, mentre le due estremità della fila venivano improvvisamente risucchiate all’indietro: alcuni sacerdoti caddero, ma la maggior parte continuò a slittare fino a quando si trovarono tutti aggrovigliati in un unico, impotente blocco scarlatto di forma vagamente circolare.

Goniface capì quasi subito che una forza misteriosa doveva aver trasformato i campi di repulsione in campi di attrazione, accrescendone, al tempo stesso, la potenza e il raggio d’azione.

La maggior parte degli arcipreti non poté far altro che fissare con sguardo impotente il marasma che imperversava ai piedi della tribuna. Da anni erano abituati a celare le proprie emozioni, ma in quel momento le loro maschere facciali non celavano nient’altro che puro stupore. Non era la paura fisica a paralizzarli, ma la sensazione che il mondo materiale sul quale avevano sempre basato la loro sicurezza si stesse sgretolando davanti ai loro occhi: la scienza, che fino ad allora era stata un docile strumento al loro servizio, si era improvvisamente trasformata in un giocattolo nelle mani di un potere oscuro, capace di creare o infrangere le leggi scientifiche a proprio piacimento.

Un’entità misteriosa aveva cancellato con un tratto di penna il primo dogma del loro pensiero: “Esistono soltanto il cosmo e le entità elettroniche che lo costituiscono, senza anima o fine…” e, al suo posto, aveva scribacchiato a grandi caratteri scuri: “I capricci di Satanas”.

I sacerdoti dei circoli superiori, ammassati attorno alla tribuna, non versavano in condizioni migliori. Stavano lì, impalati, senza far niente, mentre l’ondata puzzolente della folla, insudiciata da quella pioggia immonda, avanzava, inghiottendo la schiera convulsa dei diaconi come se fossero stati sassi neri, e si infrangeva contro il grumo rosso dei preti corsi in loro soccorso, come contro una roccia scarlatta, per poi riversarsi rombando sugli scalini della Cattedrale.

Una pietra, lanciata da un cittadino comune, cadde, senza quasi più forza, in mezzo alla tribuna. Nessuno reagì. Con tre sole eccezioni, gli arcipreti e i loro attendenti sembravano tante bambole vestite di rosso.

Le tre eccezioni erano Goniface, Jarles e Sercival, il vecchio Fanatico.

Dopo numerosi tentativi, Goniface era finalmente riuscito a far pervenire i propri ordini al Centro di Controllo della Cattedrale, dove pure sembrava regnare una certa confusione. Dopo pochi secondi, sopra il busto ancora inclinato in avanti del Grande Dio, apparve uno squadrone di angeli: una scena straordinariamente grottesca, perché fu come se all’improvviso dal cielo senza nuvole, si fossero tuffati a rondine una ventina di semidei dai capelli ossigenati.

Giunti in picchiata in prossimità della tribuna, si appiattirono sul fronte anteriore della folla, che stava per scagliarsi contro i preti dei circoli più alti, e sorvolarono la Piazza a quota così bassa, che qualche disgraziato ci rimise la testa.

Ma la forza di attrazione esercitata dal nucleo di preti aggrovigliati ai piedi del palco fu fatale per l’angelo che volava al centro della formazione, che precipitò a testa in giù e si schiantò al suolo, uccidendo preti e cittadini insieme. Il suo rivestimento esterno si sgretolò, rivelando l’anima metallica e fra le lamiere si intravvide il corpo del sacerdote che lo pilotava, morto nell’impatto.

Ma gli altri angeli proseguirono il loro volo e giunti all’estremità della Piazza virarono appena in tempo per evitare i tetti bassi delle case; quindi, dopo aver ripreso quota, si tuffarono di nuovo in picchiata.

Urla atterrite si levarono dalla moltitudine dei cittadini, fra i quali si contavano a dozzine i corpi maciullati dalla forza distruttrice dei jet a propulsione, e un terrore delirante soppiantò la rabbia delirante di pochi istanti prima.

Come un grande animale ferito e braccato, la folla prese a dibattersi convulsamente. I popolani che si trovavano davanti continuarono lottare corpo a corpo con i preti. Altri tentarono di fuggire, contribuendo così a stritolare ancor di più quelli che erano rimasti intrappolati al centro.

Poi, mentre per un attimo gli angeli erano diventati minuscoli punti bianchi nel cielo azzurro, sei sagome nere, provenienti dal settore in cui abitavano i cittadini comuni, sfrecciarono sopra l’orizzonte dei tetti, lasciando dietro di sé, come le seppie, una densa traccia di fumo nero. Le sei misteriose creature puntarono direttamente verso la Cattedrale, come pipistrelli usciti dall’inferno. E che l’inferno fosse il posto da cui venivano, fu subito chiaro, perché quando sorvolarono la piazza, mantenendosi sempre a notevole distanza dalla folla, tutti videro che avevano braccia deformi e artigliate, arti inferiori pelosi e rigidi e brevi code nere. Poi, a mano a mano che planando si avvicinavano alla Cattedrale, anche la faccia divenne visibile: nera, feroce e sormontata da corna minacciose.

Descrivendo rapidi cerchi concentrici, il primo demone prese di mira il palco, avvolgendo il predicatore, che si era fatto piccolo per la paura, in spire di fumo nero, che in breve lo nascosero completamente.

Nel frattempo, altri due, dopo aver compiuti un agile virata verso l’alto, stavano eseguendo complicate evoluzioni intorno alla testa, al corpo e alle braccia del Grande Dio, ornandolo di festoni color dell’inchiostro. Il suo viso era ancora disteso nel sorriso indulgente che aveva sostituito l’espressione arcigna e che adesso gli conferiva soltanto un’aria ebete. Allora, dall’amplificatore più potente di tutti, quello collocato dietro le labbra tese nel sorriso idiota, la voce possente del Grande Dio cominciò a belare: — Pietà! Pietà, mio signore! Non mi fare del male! Dirò a tutti la verità! Io sono lo schiavo di Satanas! I miei sacerdoti hanno sempre mentito! Il Dio del Male è il signore della terra!

I restanti tre diavoli puntarono a gran velocità contro la tribuna del Concilio. Bianchi in volto, gli arcipreti balzarono in piedi e li fissarono atterriti. Ma quando i demoni furono a una manciata di metri dal bersaglio, ogni suono svanì e l’aria intorno alla tribuna tremò: finalmente, in risposta ai frenetici ordini di Goniface, il Centro di Controllo della Cattedrale era riuscito a generare la grande cupola di repulsione a protezione dei membri del Sommo Concilio. I tre demoni riuscirono a schivarla all’ultimo istante, sbandando paurosamente.

In quella sacca di improvviso silenzio, in mezzo al visibile tumulto della Piazza, la voce profetica del vecchio Sercival riecheggiò con sorprendente chiarezza. Per tutto il corso della giornata, l’attempato arciprete non aveva aperto bocca, ma aveva continuato a guardare diritto dinanzi a sé, scuro in volto, limitandosi a scuotere di tanto in tanto la testa e a mugugnare qualcosa fra sé e sé.

In quel momento, invece, con una voce gelida che fendeva l’aria come una spada urlò: — Chi, io vi domando, ha compiuto i miracoli oggi? Dunque, alla fine il Grande Dio si è stancato della nostra incredulità e ci ha abbandonato. Ci ha lasciato alla mercé di Satanas. Solo con la preghiera incessante e un atto di fede piena e totale, potremo salvarci, ammesso che non sia troppo tardi perfino per le preghiere.

Gli altri arcipreti evitarono il suo sguardo, ma dall’espressione dei loro volti era chiaro che Sercivai stava dando voce ai loro più intimi pensieri. Rimasero immobili, uomini soli, con il terrore come unica compagnia. Perfino Goniface, che ascoltava sempre con sufficienza e malcelato disprezzo le parole del vecchio Fanatico, adesso sembrava vacillare, roso dal dubbio e ammutolito dalla paura.

Ma negli occhi duri e attenti di Jarles, che si trovava alle spalle dell’anziano arciprete, balenò all’improvviso una luce. Quella era la prima volta che vedeva il capo dei Fanatici ed era la prima volta che lo udiva parlare.

Il ricordo e l’infallibile penetrazione che accompagna il ricordo si scontrarono con la sua incredulità ed ebbero la meglio: con grande prontezza, la sua nuova personalità prese una di quelle decisioni di cui lui andava tanto fiero.

Ma quando fu sul punto di agire si sentì rimordere la coscienza, mentre un oscuro, doloroso senso di colpa gli ottenebrava la mente. Una voce dentro di lui lo avvertì che stava per commettere un crimine imperdonabile, un’azione nefanda di fronte alla quale l’universo intero si ribellava inorridito. Ma Jarles mise a tacere la sua coscienza, come un uomo che, in preda alla nausea, reprima i conati di vomito.

Alzò il braccio e puntò il Dito dell’Ira, regolato al massimo, contro la schiena del vecchio Fanatico mirando a una spanna al di sotto del cranio incartapecorito e soffuso dell’argenteo riflesso dei capelli da poco tagliati.

Mentre Goniface si girava di scatto verso di lui e gli altri preti si ritraevano per la paura, guardando il corpo fieramente eretto del vecchio Fanatico che vacillava, colpito a morte, Jarles gridò: — Era sua la voce che ho udito nella Camera del Convegno! È lui Asmodeo, il capo della Stregoneria!

E, compiendo un balzo in avanti, afferrò l’uomo che stava per cadere, lo adagiò gentilmente a terra e gli aprì la veste scarlatta, sulla quale intorno alla bruciatura prodotta dal raggio si allargava una macchia rossa. Aggrappato al busto scheletrico dell’arciprete, ferito a morte anch’egli dal raggio, apparve, immerso nel suo stesso sangue che ne imporporava il pelo reso argenteo dagli anni, uno scarno demonietto, il cui musetto avvizzito era un macabra parodia del volto stravolto del suo gemello.

Gli arcipreti fissarono la scena con lo sgomento e l’incredulità di chi si trova faccia a faccia con l’impossibile.

Goniface abbassò lo sguardo sulle due creature morenti. Era come se la tribuna, sigillata dalla cupola di repulsione, fosse diventata per un breve lasso di tempo il centro silenzioso dell’universo, il luogo in cui i segreti non hanno mistero, il nucleo teso e immoto intorno al quale ruota ogni cosa. Al di fuori della cupola, infuriava una battaglia, la cui sorte sembrava mutare a ogni istante. La folla, scampata a un secondo massacro a opera degli angeli, confortata quanto confusa dalla comparsa dei demoni giunti in suo aiuto, stava nuovamente ingaggiando una lotta furiosa con i sacerdoti dei circoli superiori, che arretravano progressivamente in direzione della Cattedrale. Con una poderosa virata, gli angeli si erano rituffati nella mischia e adesso dai loro occhi dardeggiavano raggi viola, con cui cercavano di incenerire i demoni; i quali, a loro volta, si difendevano oscurando il cielo con nubi di fumo nero.

Ma in quel momento, agli occhi di Goniface, quel violento, silenzioso tumulto non era nient’altro che uno strano murale disegnato sulla volta della cupola: il dipinto di una battaglia, lo sfondo contro il quale si svolgeva la reale tragedia.

Il suo desiderio di interrogare il Fanatico morente era così pressante che si rammaricò dei pochi attimi che dovette sacrificare per mettersi in contatto con il Centro di Controllo e comunicare al direttore tecnico i nuovi ordini: — Arrestate i due Fanatici del Quinto Circolo! Sono loro che hanno manomesso le apparecchiature. Uccideteli se necessario! — Non indugiò ad attendere il risultato della lotta impari fra i due traditori e i suoi fedeli Realisti.

Si rammaricò anche dei pochi secondi che impiegò a ingiungere ai suoi luogotenenti: — Scendete immediatamente nelle cripte. Organizzate squadre d’assalto e arrestate tutti i Fanatici. Se oppongono resistenza uccideteli. Chiudete il Santuario sia per impedire che fuggano, sia per evitare che vi faccia irruzione la folla. Informate Cugino Deth di quanto è accaduto. Fate in modo che il Centro di Telecomunicazione trasmetta analoghi ordini a tutti i Santuari. Prendete tutte le ulteriori misure che riterrete necessarie! Andate, svelti!

Quindi, celando l’impazienza dietro la maschera imperscrutabile del viso, si voltò verso il vecchio Fanatico.

Sercival gli sorrise. Le sue labbra, contratte dal dolore, lasciavano filtrare un respiro debole e affannoso.

— Tu eri seduto vicino a me, mentre le strega veniva torturata — disse Goniface, ma non era quella la domanda che intendeva fargli. — Immagino che tu abbia usato contro di me una pistola del dolore a breve raggio, non è vero?

Con grande fatica, Sercival gli sorrise di nuovo. La sua voce, ridotta a un alito flebile e ansante, sembrava provenire dall’oltretomba.

— Forse sì e forse no. Gli stratagemmi di Satanas… sono tanti… — Gli arcipreti sgranarono gli occhi e un brivido impercettibile sembrò percorrerli tutti, facendo tremolare le preziose vesti scarlatte intessute d’oro.

— Satanas? Sciocchezze! — ribatté Goniface. — Tu volevi solo il potere, come tutti noi! E la Stregoneria era un mezzo come un altro per ottenerlo! Tu…

Ma Sercival non lo ascoltava più. Lentamente e con grande fatica, allungò la mano per toccare il pelo argenteo e insanguinato del demone quasi rigido.

— Morto anche tu Tobit, il più vecchio dei tuoi fratelli dalla breve vita? — Sospirò. — Fra poco saremo di nuovo insieme… all’Inferno. Allora vestiremo nuove sembianze meravigliose e saremo veri fratelli.

— Il sipario è calato. Non c’è ragione che continui a recitare — lo interruppe bruscamente Goniface.

Il Vecchio Sercival sollevò la testa e dalla sua gola provenne una sequenza di suoni deboli e fochi, come se stesse cercando di parlare. Con le dita della mano sinistra abbozzò faticosamente alcuni gesti rituali, poi sussurrò: — Satanas… accogli… il… mi… o spirito…

Gli arcipreti erano come tante statue scarlatte. Fuori, la sfera rossa del sole, che già si apprestava a scomparire oltre l’orizzonte, illuminava il tumulto non ancora sedato. Da oriente avanzava lenta la tenebra.

— Sei stato molto abile, ma hai commesso uno strano errore — proseguì Goniface, chinandosi vieppiù sul capo morente della Stregoneria. Poi, spinto da un impulso che non riuscì a controllare, gli pose un’ultima domanda: — Ma perché mi hai sempre appoggiato all’interno del Sommo Concilio? Perché hai approvato senza alcuna esitazione la scomunica di Frejeris? Perché non ti sei opposto quando io, il più realista degli arcipreti, e quindi il più pericoloso per la Stregoneria, sono stato eletto Sommo Gerarca?

Nell’isolato emisfero sotto la cupola di repulsione il silenzio era palpabile. Gli arcipreti si chinarono in avanti e tesero l’orecchio per udire la risposta. Ma non giunse nessuna risposta.

Asmodeo era morto.

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