10

Due diaconi scortarono Jarles lungo un grigio corridoio nelle cripte che sorgevano sotto il Santuario. Di quel luogo tutti conoscevano l’esistenza, ma la natura delle attività che vi si svolgevano restava avvolta nel mistero. Normalmente, i sacerdoti dei primi circoli erano banditi dalle cripte del Santuario. Tutti gli ascensori, a eccezione di uno, si fermavano due piani più su. Correva voce che in quel luogo si stesse conducendo una grandiosa ricerca, in cui gli esseri umani venivano usati come cavie. Si diceva che ogni giorno venisse inviato lì un nuovo contingente di cittadini comuni, composto in larga misura di individui psicotici o con menomazioni mentali. E si mormorava anche che la maggior parte risalisse più matta di prima.

Che si trattasse di qualcosa di più di un semplice studio lo si sospettava per il fatto che, stando sempre alle chiacchiere, a volte venivano spediti laggiù anche i sacerdoti ribelli e quelli che si macchiavano di qualche crimine.

Jarles decise di non torturarsi oltre, continuando a pensare al destino crudele che aveva voluto che la Gerarchia lo riacciuffasse proprio nel momento in cui si era persuaso della bontà dei fini perseguiti dalla Stregoneria e aveva risolto di diventarne membro.

La Gerarchia aveva sempre saputo che era nascosto da Madre Jujy e aveva atteso fino a quel momento per agire?

O Madre Jujy l’aveva tradito? O forse l’aveva tradito qualcuno dell’organizzazione, magari l’Uomo Nero in persona? Non doveva pensare neanche per un istante a un’eventualità simile! Si era convinto una volta per tutte che le nuove streghe stessero dalla parte del bene e che rappresentassero le forze con le quali si sarebbe dovuto schierare. Non doveva neppure osare mettere in dubbio la loro lealtà.

Uno dei due diaconi che lo affiancavano parlò. Jarles sapeva che erano entrambi tirapiedi di Cugino Deth.

— Mi chiedo come sarà questo qui quando uscirà fuori — disse il diacono.

Il suo compagno non sembrava interessato alla questione. — Chi lo sa? Ne ho visti di tutte le sorti e non uno che abbia reagito in modo uguale all’altro. Di una cosa soltanto sono sicuro… Che a Fratello Dhomas farà piacere vederci arrivare con questo qui. Lui è sempre contento quando gli portiamo una nuova mente!

Si avvicinarono a una porta aperta, dalla quale, come effluvi da un laboratorio di chimica, provenivano tracce delle diverse radiazioni con le quali la Gerarchia bersagliava il sistema nervoso dei cittadini comuni. Simili a minuscole mani invisibili, le radiazioni sollecitarono le emozioni di Jarles, suscitando in lui un susseguirsi altalenante di sentimenti diversi: paura, sicurezza, rabbia, pace.

Girò nervosamente lo sguardo per la stanza. La sua attenzione fu subito attratta da una poltrona imbottita e dotata di morse. Brutto segno. Ma tutti gli altri strumenti erano quelli tipici di un laboratorio di psicologia. Buon segno.

— Esatto. Non c’è ragione per cui tu debba temere. Non ti sottoporremo a torture fisiche. E per quanto riguarda le torture mentali, be’ non si possono immaginare… bisogna provarle!

Era la voce più strana che avesse mai sentito, veloce e al tempo stesso profonda, e priva di individualità. Umana, ma… generalizzata. Come se diverse persone stessero pronunciando simultaneamente le medesime parole, in perfetta armonia le une con le altre.

Gli occhi di Jarles si posarono sull’individuo che aveva parlato: un prete grasso e flaccido, sulla cui veste, sformata e sporca, spiccavano un disegno del cervello umano e un arabesco di equazioni di psicosociologia, lo stemma del Sesto Circolo.

Dall’emblema della tonaca Jarles sollevò lo sguardo sul volto. Cosa alquanto strana, il viso del prete gli parve uguale alla sua voce: generalizzato, nonostante l’individualità apparentemente marcata dei lineamenti : il doppio mento, le labbra carnose e mobili, le rade sopracciglia. Era come se i solidografi di una dozzina di preti diversi, ma con simili tratti fisionomici, fossero stati proiettati nel medesimo spazio, con conseguente perdita di gran parte dei caratteri che li rendevano esseri unici e diversi.

Se mai un tratto conservava maggiore individualità rispetto agli altri, quello era lo sguardo. Gli occhi del prete lo fissarono come se volessero divorarlo, con bramosia, quasi con amore, come se lui fosse la creatura più interessante della terra. Ma non perché lui si chiamava Armon Jarles. E non perché era un essere umano.

L’intensità di quello sguardo era così magnetica, che fu solo a prezzo di un grande sforzo che Jarles riuscì a distogliere gli occhi dal sacerdote e a posarli sul piccolo uomo vestito di nero che gli stava accanto. Strano che nel fissare il prete del Sesto Circolo non si fosse accorto della presenza di Cugino Deth.

— Eccolo qui, tutto per voi, Fratello Dhomas — disse il diacono. — Ma sua eminenza l’arciprete Goniface mi ha incaricato di avvertirvi di non commettere errori con lui. È stata un’impresa troppo ardua catturarlo. Se lo ridurrete a un demente farfugliante le conseguenze saranno alquanto spiacevoli.

Senza allontanare gli occhi da Jarles, Fratello Dhomas fu svelto a rispondere.

— Non mi fai paura, omarucolo. Sai bene quanto lo so io che i miei metodi sono ancora empirici e i risultati imprevedibili. Se quest’uomo finirà male, finirà male e basta! Questi sono i patti. Io non garantisco nulla.

— Io vi ho avvertito — disse Deth.


Fratello Dhomas si avvicinò a Jarles. Si muoveva con sorprendente agilità data la mole abnorme.

— Ho studiato il contenuto integrale del tuo fascicolo e ho ascoltato il discorso che hai pronunciato nella Grande Piazza. — Senza staccare gli occhi dai suoi, indicò il proiettore solidografico collocato di fronte alla poltrona, al centro della stanza. — Il tuo idealismo è molto interessante… Davvero molto interessante.

Il suo tono era quello di un chirurgo che si imbatta per la prima volta in un insolito genere di tumore.

— Bene, ora vi lascerò — disse Deth. — E informerò sua eminenza l’arciprete Goniface della vostra intenzione di considerare questo caso un esperimento come tutti gli altri.

Fratello Dhomas si voltò verso di lui. — Piccolo serpente velenoso! La tua mente rigorosa e piena di boria mi interessa. Mi piacerebbe metterci le mani sopra. E anche sopra quella del tuo capo, Goniface. Quella sì che è una mente! Che cosa non darei per poterla studiare!

Il viso di Cugino Deth divenne di pietra.

— Maschere! Maschere! — tuonò Fratello Dhomas, accennando una risata. — Non sai che gli uomini che mi piacciono di più sono quelli che riescono a celare i loro pensieri? Per me rappresentano una sfida.

Cugino Deth uscì dalla stanza, accompagnato dai due diaconi che avevano scortato il prigioniero.

Immediatamente, gli occhi del sacerdote si fissarono di nuovo su Jarles. E presero a scrutarlo con tale intensità, da dare la sensazione di perdersi in lui, al punto da apparire quasi vacui.

— Anche una grande sincerità — riprese Fratello Dhomas annuendo con il capo, come se vedesse attraverso le pupille del prigioniero. — Oh sì, e negativismo. Un negativismo molto sviluppato.

Con grande fatica, Jarles distolse lo sguardo.

— Non sto cercando di ipnotizzarti — lo rassicurò il prete senza interrompere la sua ispezione. — L’ipnosi sarebbe d’ostacolo al mio lavoro, come un cattivo anestetico… annullerebbe le reazioni di cui ho bisogno per essere guidato.

Dopo un po’, il minuzioso esame finì.

— E adesso… se vuoi accomodarti… — Fratello Dhomas gli indicò la poltrona al centro della stanza.

Jarles si era accorto che dacché i diaconi se ne erano andati, molti altri sacerdoti si erano avvicinati a lui con fare discreto. Gli emblemi disegnati sulle loro vesti, schemi intrecciati del sistema nervoso e di quello circolatorio, indicavano la loro appartenenza al Terzo Circolo, il circolo dei medici e degli psichiatri minori.

Due di loro lo afferrarono per i gomiti e lo condussero verso la poltrona. Lui reagì divincolandosi selvaggiamente, ma più per convincere se stesso di essere ancora un uomo che perché si illudesse di avere qualche reale possibilità di fuga. Colpì con un pugno uno dei preti, mandandolo a rotolare per terra, ma altri due accorsero a immobilizzargli il braccio. Dopodiché lo trascinarono inesorabilmente verso la poltrona, lo obbligarono a sedersi e strinsero le morse.

Intanto, alle sue spalle, Fratello Dhomas continuava a ripetere: — Bravo! Bene! Ribellati, Opponi resistenza. Sfogati adesso, così per me dopo sarà tutto più facile.

I sacerdoti del Terzo Circolo indietreggiarono di alcuni passi. La poltrona era sorprendentemente comoda. Ma Jarles non riusciva nemmeno a girare la testa. Svariati strumenti di registrazione, alcuni elettrici, altri ad aria compressa, vennero collegati al suo corpo. Qualcuno gli iniettò una sostanza nel braccio. Ancora una volta Fratello Dhomas gli lesse nel pensiero.

— No, non è un siero della verità. Quello di carpire le informazioni in tuo possesso non è che un obbiettivo secondario. Noi vogliamo da te molto più della verità.

Quindi il sacerdote prese posto dietro la tastiera di controllo del solidografo, esattamente di fronte a lui.

— Che cos’è la personalità? — disse con un nuovo tono di voce. — Soltanto un punto di vista o, se si preferisce, un sistema di punti di vista. Nient’altro.

— E i punti di vista cambiano. Allora perché la personalità non cambia? La risposta, naturalmente, è che anche la personalità cambia. Il fatto è che in condizioni normali il mutamento avviene in modo così graduale che il soggetto non se ne accorge. I tuoi punti di vista sono cambiati, Jarles. A quanto risulta dal tuo fascicolo, tu hai cambiato punti di vista più spesso e in maniera più radicale rispetto alla media. Eppure tu ti consideri sempre la stessa persona. E questo fatto suscita una certa perplessità.

Sembrava stesse tenendo una lezione a una scolaresca di novizi.

— Per una persona seria e coscienziosa non esiste sensazione più sconcertante di quella suscitata dal ricordo di ideali in cui un tempo credeva e non crede più. Forse ricorda minuziosamente i motivi che lo avevano portato ad abbracciare certe idee che adesso rifiuta, ma le vecchie ragioni non lo convincono più. Adesso ha un nuovo punto di vista, che magari è in totale e assoluta contraddizione con quello vecchio. Eppure la memoria e una certa intuizione gli assicurano che lui è sempre la stessa persona. E questo ci riporta alla perplessità di cui sopra.

— La risposta è piuttosto ovvia. La memoria è l’unico legame fra il punto di vista del presente e quello del passato.

— Ma la memoria può collegare fra loro… fatti di ogni genere. La memoria è fredda e spassionata. La memoria non ha morale. Pensa alla persona che ammiri di più e a quella che detesti di più. Immaginale come due stadi diversi della vita del medesimo individuo e considera la memoria come il legame fra quei due stadi. Come vedi, anche questo è possibile.

— Sì, la personalità cambia e si trasforma. Il problema è quello di accelerare questo mutamento.

— Cominci a capire quello che intendo dire riferito alla tua persona? Sì è esatto. Proprio così.

Per quante barriere cercasse di opporre, Jarles non riusciva a impedire a Fratello Dhomas di leggere, o di indovinare, la sua paura.

— No, no. La tua attuale identità non verrà annullata e rimpiazzata da un’altra. Questo equivarrebbe a ucciderti. Tu dimentichi quello che ho appena detto a proposito della memoria. La personalità cambia ma la memoria, cioè la coscienza individuale, rimane inalterata.

Jarles si sentì quasi sollevato. Adesso sapeva su quale fronte sarebbe stato sferrato l’attacco e avrebbe potuto schierare le sue forze. Il suo odio per la Gerarchia. La sua ritrovata fedeltà alla Stregoneria… solo che gli dava una strana sensazione definirla “ritrovata”. Il suo amore per Naurya. La sua avversione per creature come Cugino Deth. E, cosa più importante di tutte, la sua fede incrollabile nel diritto di ciascun cittadino alla libertà, all’uguaglianza e al godimento paritario delle ricchezze della terra. E, per contro, la sua ferma opposizione a qualunque gruppo o individuo cercasse di opprimere il popolo. Di certo, convinzioni come quelle non potevano mutare. Uno poteva cambiare opinione riguardo a particolari persone o a organizzazioni, in base a quello che apprendeva sul loro conto; ma la fede nella libertà dell’uomo costituiva una pietra angolare, un principio cardine che non poteva cambiare. Era chiaro che Fratello Dhomas stava bluffando.

— Proprio così — riprese il sacerdote — sembra impossibile. Ma guarda la mia faccia. Non è forse la faccia di un uomo che ha cambiato personalità più volte? Non è forse questa la sensazione che hai provato appena mi hai visto? Non appena hai udito la mia voce? Come avrei fatto a maturare la necessaria esperienza e abilità che, per usare una parola fantasiosa, sono diventate in me un sesto senso, se non facendo esperimenti su me stesso? Non ho scoperto la telepatia. La mia capacità di interpretare i segreti della mente umana, della tua mente, è frutto di un’abilità di deduzione e dell’infinito patrimonio di conoscenze apprese… per esperienza diretta.

— Non ho esitato a fare esperimenti su me stesso. Il mio unico rammarico è che non oso modificare la mia personalità al punto tale da alterare la mia fondamentale inclinazione allo studio della psicologia. E così purtroppo posso conoscere solo i margini della follia…

Quegli occhi che non smettevano mai di sondarlo erano diventati per Jarles due abissi infiniti in cui poteva celarsi di tutto. Ma indipendentemente da quanto stava dicendo, quello di Fratello Dhomas era soltanto un bluff. Aveva appena ammesso di non essere riuscito a modificare la propria personalità di fondo e non sarebbe riuscito a cambiare neanche la sua.

— Bene così — disse il sacerdote. — Continua a confidare in te stesso. In questo modo sarai più vulnerabile quando il dubbio si insinuerà nella tua mente. E adesso… azione!

Dapprima lentamente e uno alla volta, poi a velocità sempre maggiore e in più contemporaneamente, gli svariati strumenti presenti nella stanza entrarono in funzione. Jarles fu aggredito da visioni, suoni, sapori, odori, sensazioni tattili e tensioni interne. E da un’ondata di emozioni. Emozioni di gran lunga più specifiche e intense di quelle sollecitate dalle radiazioni simpatiche e para-simpatiche che ben conosceva. Con ogni probabilità, la sostanza che gli avevano iniettato aveva accentuato la sua sensibilità. Oppose ogni possibile resistenza: contrasse le mascelle e serrò le labbra per trattenere una risata che non aveva relazione alcuna con i pensieri della sua mente; ma la risata frantumò ogni barriera ed esplose in scrosci convulsi. Si irrigidì per ricacciare le lacrime immotivate che subito dopo cominciarono a sgorgargli dagli occhi. Ma le lacrime continuarono a rotolargli giù dalle guance e lui si mise a singhiozzare come se un dolore insopportabile gli avesse spezzato il cuore. Si sforzò di contenere la rabbia che gli serrava la bocca dello stomaco in un nodo doloroso; lottò per combattere la paura che gli faceva accapponare la pelle e battere i denti, ma fu tutto vano. Era come se fosse stato spodestato dal suo corpo e, in preda a una disperazione tutta mentale e a una sorta di vergogna anch’essa mentale, fosse costretto a guardare Fratello Dhomas strappare al suo organismo tutte le risposte di cui era capace, come un musicista esperto che provi l’estensione e le potenzialità di uno strumento che non conosce.

Adesso la stanza era immersa nella semi-oscurità e, da un pannello collocato a fianco di Fratello Dhomas, si levavano oltre una decina di diverse colonne tozze di luce colorata, che si alzavano e si abbassavano in sintonia con le sue reazioni fisiologiche e neurofisiologiche. Gli occhi di Fratello Dhomas si spostavano incessantemente dalle colonnine a Jarles e poi di nuovo alle colonnine, mentre le sue dita piccole e grasse scivolavano sulla tastiera dei comandi con movimenti lenti, esitanti, come vermi bianchi.

Dalle emozioni al pensiero, dal corpo alla mente, l’invasione continuava. Jarles ebbe l’impressione che la sua mente fosse un pianeta che ruotava su se stesso spinto da una forza inesorabile: la coscienza era la faccia illuminata. Le idee che cercava di afferrare e di trattenere, invece, scivolavano improvvisamente nella tenebra e svanivano, eludevano la ricerca del pensiero, come una parola che si ha sulla punta della lingua e che tuttavia non si riesce a ricordare. E dall’altra metà del suo cervello, quello immersa nella notte, emergevano decine di cose dimenticate e impensate. Invidie e piccole animosità che in qualche occasione erano balenate per un istante nella sua mente e poi erano state prontamente represse. E ricordi, ricordi della sua infanzia. La sua prima confessione. Sharlson Naurya, una ragazza sconosciuta che si era trasferita da poco a Megateopoli. Paura di un attaccabrighe. Lotta con un attaccabrighe. Il lavoro nei campi. La fatica. Ricordi che ritornavano troppo indietro, ai primi mesi della sua vita. Lui piccolino che, sdraiato in una specie di scatola guardava in alto un mondo di giganti. Il volto di sua madre, il volto di una donna giovane, che si chinava su di lui. Poi uno spaventoso regno di ombre, in cui tutte le cose inanimate avevano vita ed erano simboli di poteri occulti, e le parole erano le formule magiche che li controllavano. E poi le parole sparivano e i poteri occulti diventavano contorcimenti senzienti, e non c’era più distinzione fra lui e il cosmo.

A poco a poco, l’ondata di quegli oscuri ricordi si ritirò. A poco a poco, le emozioni sconosciute che si erano impadronite del suo corpo rifluirono dalla sua carne. Per un po’, Jarles sentì solo la propria infinita stanchezza. Poi un senso di crescente, esultante sollievo. Lui era ancora Armon Jarles. Credeva ancora nei principi in cui credeva prima. Fratello Dhomas aveva fallito.

— No — lo contraddisse il sacerdote. — Questa è stata solo un’indagine esplorativa. Una ricerca alla cieca dei punti deboli nella corazza della tua personalità. Adesso i nastri delle stimolazioni verranno automaticamente raffrontati con le registrazioni delle tue reazioni. I risultati saranno chiarificatori. Anche se, per essere onesto, in genere mi fido più del mio intuito.

“Inoltre era importante che tu facessi esperienza, che imparassi a conoscere le potenzialità nascoste della tua mente. In questo modo potrai aiutarmi di più nel mio lavoro. Contro la tua volontà, si intende… La resistenza opposta dal soggetto può essere molto utile.

“Devi sapere che le radiazioni modificano i tuoi gradienti e i tuoi potenziali neuronali in aree neurali di cui posso conoscere i limiti e l’estensione solo per via empirica. Di conseguenza, a seconda dei casi, certi pensieri e certi ricordi vengono forzati al di sopra o al di sotto della soglia della coscienza.

“Quest’esperienza ti ha dimostrato che la mente umana possiede l’occorrente, anche se magari soltanto in quantità infinitesimali, con il quale può essere costruita una qualsivoglia personalità. Prima o poi, ogni persona sperimenta nella propria vita fuggevoli sprazzi di odio e di crudeltà, che se solo venissero ingigantiti e rafforzati, farebbero di lei un mostro. Ognuno di noi ha desiderato nella propria vita, anche se solo per una frazione di secondo, di distruggere il mondo intero. È chiaro il concetto?

“Per cui a me basta manovrare la tua mente fino a condurla allo stato desiderato, ed è qui che entra in gioco la mia capacità di penetrazione e di giudizio, e poi congelarla mediante un improvviso aumento delle radiazioni, che modificheranno in modo definitivo i tuoi gradienti e i tuoi potenziali neuronali. Se mi sbaglio e congelo la tua mente nel momento in cui versa in uno stato di follia, be’… peccato.

“La prossima esplorazione sarà mirata quanto la prima è stata casuale. Azione!”


Di nuovo il bombardamento sensoriale, lo strazio emotivo, il turbinio dei suoi pensieri. Ma poiché questa volta le sollecitazioni erano meno caotiche, il loro effetto non fu immediatamente estenuante. Inoltre, l’emozione indotta non lo disturbava punto: si trattava di una strana commistione di paura e di piacere, che favoriva un’attenta considerazione di sé, e così per un momento Jarles poté sorridere a Fratello Dhomas con cauto disprezzo.

Ma in breve quelle sensazioni acquisirono una qualità molto specifica e allarmante, benché le emozioni suscitate in lui da quegli strumenti infernali tendessero a rendere la sua inquietudine essenzialmente mentale. Dove avessero preso quel solidografo animato di se stesso non lo sapeva, ma sapeva che gli stava parlando. Lui che parlava a se stesso… Udì la sua voce ripetere: — Armon Jarles, esistono solo il cosmo le entità elettroniche che lo costituiscono. Il cosmo è privo di anima e di fine, se non quello che può imporgli la mente neuronaie.

“Armon Jarles, la Gerarchia incarna la forma più alta di questo fine.

“Armon Jarles, il soprannaturale e l’ideale hanno un tratto in comune. Non esistono. Esiste solo la realtà.

E avanti così, all’infinito. Tuttavia frasi del genere potevano essere semplici collage di brani di lezione a cui aveva assistito da novizio, o degli esami orali che aveva sostenuto. Ma poi l’approccio si fece più intimo, più personale (era sempre la sua immagine a fissarlo e la sua voce a parlargli): — Guardami Armon Jarles. Io sono quello che tu sarai quando avrai imparato a vedere la realtà nella sua giusta prospettiva e a disprezzare i sogni romantici. Guardami. Io, Armon Jarles rido di te, Armon Jarles, per quello che sei adesso.

Lui non poteva aver detto una cosa del genere! Anche quella volta dovevano essere riusciti a mettere insieme brandelli di frasi che aveva pronunciato, prendendo una parola qui e una là per poi amalgamarle con diabolica abilità. No, lui non poteva aver detto una cosa simile! O forse sì?”

Subito dopo la sua immagine solidografica cominciò a sorridergli con crudele cinismo. Doveva trattarsi (non poteva essere altrimenti) del prolungamento di una fuggevole espressione del suo volto che avevano isolato in chissà quale solidografo animato della sua persona. Ma gli ripugnava, e chiuse gli occhi per non vederla.

Ma fu tutto vano, perché qualcuno gli fissò prontamente uno strumento intorno alla testa: Jarles avvertì una lieve pressione adesiva sulle palpebre, che furono costrette, per altro senza dolore alcuno, a sollevarsi. Da quel momento in poi, lo strumento gli impose, a intervalli regolari, un lento, meccanico, ammiccamento, in sostituzione del normale riflesso fisiologico.

— Noi non vogliamo torturarti — gli giunse la voce di Fratello Dhomas in un momento di tregua degli stimoli uditivi. — Il dolore fungerebbe da nucleo intorno al quale tu potresti concentrare la tua personalità, mentre il nostro obbiettivo è quello di disperderla.

Nonostante fosse costretto a tenere gli occhi aperti, Jarles riusciva ugualmente a evitare di fissare la sua odiosa immagine sghignazzante, anche se non poteva fare a meno di percepirne i contorni sfumati con la coda dell’occhio.

Poi, ancora una volta, i pensieri e i ricordi che aveva represso riaffiorarono alla sua mente. Adesso erano tutti della stessa natura: anti-idealistici. Sembravano schierati come un esercito, mentre i pensieri a cui lui si aggrappava per combatterli si dileguavano, come neve al sole. Finché riuscì a trattenere il pensiero cardine: la sua fede nella libertà, nell’uguaglianza e il suo odio per ogni forma di tirannia. E quel pensiero, nonostante la forma in cui si esprimeva continuasse a mutare, non svaniva. Teneva a bada tutti gli altri.

Di nuovo una tregua nel bombardamento sensoriale e la voce di Fratello Dhomas che diceva: — Che cos’è l’idealismo? È una distorsione. L’attribuzione di falsi valori a cose che in realtà non li possiedono. La principale differenza fra le svariate personalità sta proprio nel sistema di valori a cui viene accordata la preferenza. Quando i valori sono in gran parte falsi, la personalità è instabile.

Nuova immersione nella turbolenta oscurità del suo intimo. Di nuovo costretto a combattere le forze dell’anti-idealismo. Libertà e uguaglianza erano principi giusti! Ma perché? Perché l’uomo doveva averne più diritto di qualsiasi altro animale? Perché l’uomo era una creatura più evoluta? Ma più evoluta significava soltanto più complessa e quale virtù vi era nella complessità? Perché tutti gli uomini dovevano meritare libertà e uguaglianza? Perché non solo una minoranza? Era tutto arbitrario. Il concetto di “merito” era una fantasticheria romantica. Una cosa uno o la possedeva o non la possedeva. O la voleva o non la voleva. Non esisteva il concetto di “meritare qualcosa.”

Jarles cercò disperatamente di far rivivere le idee nelle quali aveva sempre creduto. Quando, in passato, simili ragionamenti avevano insinuato il dubbio nella sua mente, lui aveva cercato rifugio nella rabbia, nell’odio per qualsiasi forma di oppressione. Ma adesso le emozioni che provava non gli appartenevano più. L’ondata purificatrice di rabbia non si verificò e lui fu costretto a confrontarsi con un mondo arido e morto di fatti e di forze.

Con grande fatica richiamò alla mente i singoli popolani che aveva visto soffrire, con cui si era sentito solidale e che in cuor suo aveva desiderato aiutare. Ma adesso gli apparivano soltanto grottesche macchine fisiologiche. Non lo commuovevano più.

Come un soldato che batta in ritirata, corse rapidamente da un rifugio all’altro, soltanto per vederli svanire, come miraggi, davanti ai propri occhi non appena li raggiungeva.

Sua madre e suo padre: animali senza cuore che lo avevano tradito. Sarebbe stato bello vederli morire.

Cugino Deth. Odiava Cugino Deth con tutte le sue forze. Ma perché? Era un uomo saggio, realistico, sempre ansioso di soddisfare i propri appetiti. È vero, tu a Cugino Deth non piacevi. Ma tu non piacevi a nessuno. Non esistevano cose come l’amore disinteressato. Esisteva solo l’avido egoismo.

La Nuova Stregoneria. Oh sì, sarebbe stato bello farne parte… se mai un giorno fosse riuscita a vincere. Ma i suoi membri erano così malconsigliati dal loro idealismo, che non sarebbero mai riusciti ad avere la meglio.

Sharlson Naurya. Lui l’amava. Niente avrebbe potuto distruggere il suo amore per lei. Quella era una cosa a cui poteva aggrapparsi. Gli sembrava quasi di vederla. L’amava. La desiderava. E se solo fossero riusciti a persuaderla, o a costringerla a entrare nel monacato, lui sarebbe riuscito ad averla.

La Gerarchia. Lì, finalmente, avrebbe potuto trovare la vera sicurezza. Sapeva che, per qualche ragione, la sicurezza che gli offriva la Gerarchia era sbagliata. Ma per quale ragione? Non lo rammentava più.

La Gerarchia. Il pensiero della Gerarchia illuminò la sua mente come un immenso sole dorato, e lo abbagliò.

Poi, quella luce dorata si trasformò in una fiamma accecante e ustionante. Un rombo assordante squarciò l’aria. Era come se lui si trovasse al centro di un’esplosione che faceva tremare il cosmo intero. Un’esplosione che aveva dilaniato ogni fibra sensitiva del suo corpo, lacerato i suoi nervi: un’esplosione che lo aveva annientato.

Poi, il nulla, il buio, la morte dei sensi.

Quindi, la lenta risalita da quell’abisso di tenebra.

Si trovava nella stessa stanza di prima. Seduto sulla stessa poltrona imbottita. E Fratello Dhomas lo fissava con lo stesso sguardo vacuo.

Non era cambiato nulla.

Che cosa aveva cercato di fare Fratello Dhomas? Di cambiare la sua personalità? Ah ah, non c’era riuscito! Lui era ancora Fratello Jarles. Quel vecchio idiota aveva fallito!

Ovvio che era Fratello Jarles, sacerdote del Primo Circolo. Ma non lo sarebbe stato ancora per molto! Dunque, l’obiettivo a cui doveva puntare era l’elezione al Quarto Circolo, da dove, poi, avrebbe iniziato la scalata al potere. Il terzo e il quinto erano fondamentalmente dei vicoli ciechi.

Ovvio che lui era Fratello Jarles. Servo fedele della Gerarchia. Qualunque imbecille sapeva che quello era il sistema migliore per conquistarsi un posto al sole. Cugino Deth era suo amico; in altre parole, Cugino Deth era disposto ad aiutarlo. E tutti quelli che potevano contare sull’aiuto di Deth facevano strada.

Poi, come una pugnalata nella schiena, gli riaffiorò alla mente un’eco del passato. Con incredulità, con dolore, Jarles ricordò.

Dunque si era sbagliato! L’esperimento di Fratello Dhomas era perfettamente riuscito! La sua personalità era cambiata!

Con riluttanza e con un profondo senso di vergogna e di imbarazzo, ricordò l’altro, il vecchio Armon Jarles.

Che incredibile, miserabile stupido bamboccio romantico era stato quell’altro Armon Jarles!

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