— Fratello Jarles ha cominciato ad arringare la folla nella Grande Piazza, vostra luminosa arcipretura.
— Bene! Fammi pervenire un rapporto dettagliato al Sommo Concilio non appena avrà finito.
Fratello Goniface, sacerdote del Settimo Circolo, arciprete e principale esponente dei Realisti all’interno del Sommo Concilio, sorrise, ma il suo sorriso non alterò la maschera pallida e leonesca del suo viso. Aveva fatto scoppiare una bomba che avrebbe profondamente scosso l’abituale, compiaciuta tranquillità dei membri del Concilio, portando scompiglio sia nelle fila dei Moderati, con i loro deboli compromessi, sia in quelle degli stessi Realisti che lui rappresentava, con il loro ostinato conservatorismo.
Adesso il suo piccolo e pericoloso esperimento era in corso e nessuno avrebbe potuto fermarlo. Che Fratello Frejeris e il resto dei Moderati strepitassero pure quanto volessero, dopo.
Perché dopo sarebbe stato tutto abilmente sistemato. Fratello Jarles sarebbe morto, incenerito dall’ira del Grande Dio, esempio istruttivo per tutti i comuni cittadini e per qualsiasi altro giovane prete insoddisfatto. E lui, Goniface, avrebbe potuto illustrare con bell’agio al Sommo Concilio le preziosissime informazioni che aveva ricavato dallo studio di quella crisi artificiale, che lui stesso aveva fomentato.
Solo in momenti come quello un uomo poteva dire di vivere veramente! Avere il potere era bello. Usarlo in modo rischioso più bello ancora.
Ma usarlo per combattere un nemico potente quasi quanto sé, era semplicemente meraviglioso.
Si aggiustò la veste scarlatta intessuta d’oro, ordinò alle grandi porte di aprirsi ed entrò con sussiego nella Camera del Concilio.
Su un’ampia predella, all’estremità dell’enorme sala madreperlacea, si trovava un lungo tavolo e, dietro questo, una fila di seggi, tutti occupati da arcipreti sontuosamente vestiti, a eccezione di uno.
Goniface esultava a ogni passo del lungo tragitto che lo separava dal tavolo, con tutti gli altri arcipreti già seduti al proprio posto. Gli piaceva sapere che lo stavano guardando, con l’intima speranza che inciampasse o che scivolasse sul pavimento, anche una volta soltanto. Gli piaceva immaginare come gli sarebbero saltati addosso, simili a gatti famelici, se solo avessero avuto qualche vago sospetto sul segreto del suo passato, la più atroce di tutte le beffe.
Gli piaceva immaginarlo e poi dimenticarlo!
Quel lungo percorso attraverso la Camera del Concilio, sotto gli sguardi critici dei suoi confratelli, rappresentava per Goniface qualcosa che nessun altro arciprete sembrava in grado di capire, qualcosa che non avrebbe mai permesso a niente e a nessuno di portargli via: la possibilità di assaporare, al suo livello di massima pienezza e tensione, il potere e la gloria della Gerarchia, il governo più stabile che il mondo avesse mai conosciuto. L’unica forma di potere che valesse la pena di conquistare e mantenere. Costruito su un cumulo di menzogne, (come del resto tutti i governi, pensò Goniface) eppure perfettamente in grado di risolvere gli intricati problemi della società umana. E concepito in modo tale per cui più un membro della casta sacerdotale lottava per accrescere il proprio personale potere, più si identificava con le finalità e promuoveva il benessere della casta stessa.
In momenti come quelli, Fratello Goniface era così eccitato da avere delle vere e proprie visioni. I suoi occhi trapassavano le alte pareti grigio-perla della Camera del Concilio e osservavano l’alacre ed efficiente lavoro del Santuario; percepiva il ronzio ininterrotto dell’attività intellettuale e direttiva che vi si svolgeva e ne godeva i sottili piaceri. Poi il suo sguardo varcava i confini del Santuario e abbracciava la scacchiera perfetta dei campi coltivati, oltrepassava la curva dell’orizzonte per accarezzare le mura scintillanti di altri Santuari, che in campagna erano semplici e modesti eremitaggi, in città edifici maestosi, con la Cattedrale e l’Onnipotente Automa che torreggiava sulla piazza. Quindi attraversava gli immensi oceani blu, sorvolava altri continenti e splendide isole tropicali; penetrava in ogni recesso della terra per vedere e percepire ovunque, con un piacere che andava al di là del piacere, l’attività delle tonache scarlatte: dalle masserie abbarbicate al titanico Himalaya alle accoglienti stazioni scavate sotto i ghiacci nel cuore dell’Antartide. Santuari ovunque, punti di raccordo di una ragnatela che copriva tutto il globo, gangli di un organismo marino che nuotava nel mare dello spazio.
E poi, oltre i confini della terra… fino al cielo!
Quando Goniface fu a circa metà strada fra l’ingresso della Camera e il Tavolo del Concilio, la sua immaginazione cominciò il viaggio di ritorno. Adesso seguiva le linee della piramide sociale: prima la grande base dei cittadini comuni, l’indispensabile substrato bestiale e pressoché stupido della società; poi lo strato, sottile e isolante, dei diaconi. Quindi i novizi e la massa dei sacerdoti del primo e secondo circolo, che rappresentavano i sette ottavi delle tonache scarlatte. A partire da quel punto, il cono si restringeva rapidamente: via via i circoli superiori, ciascuno con il proprio ambito di competenze e di ricerca, fino su, al Settimo Circolo, il più piccolo, al quale appartenevano le massime autorità della Gerarchia.
Poi, al vertice della piramide, gli arcipreti e il Sommo Concilio.
E infine, che i suoi confratelli lo sapessero o no, che lo paventassero o lo desiderassero inconsciamente, lui, al di sopra di tutti!
Scivolò nel suo scranno e, benché conoscesse già la risposta, domandò: — Qual è l’argomento di oggi?
— Quello che piaccia alle arcipreture vostre — annunciò, con voce ben modulata, un chierico del Secondo Circolo — mi avete chiesto di definire la Questione dei Sacerdoti Spaventati.
Goniface percepì l’immediata irritazione dei suoi confratelli. Quello era uno di quei bizzarri problemi che si rifiutavano di adattarsi alle consuete procedure e che, di conseguenza, contrariavano enormemente le menti più conservatrici. Per due giorni di seguito, il Sommo Concilio si era rifiutato di affrontarlo.
— Che cosa ne pensate, Fratelli? — azzardò Goniface con finta indifferenza. — Dovremmo convocare i sacerdoti di campagna tutti insieme? E svergognarli obbligandoli ad ascoltare l’uno le storie infantili dell’altro?
— Ma questo contrasta con le più elementari nozioni di psicologia — osservò Fratello Frejeris, con quella sua voce così bella e forte da ricordare le note centrali di un organo. — In questo modo incoraggeremo l’isteria di massa.
Goniface annuì educatamente e poi aggiunse: — Fratello, tu nobiliti la loro condizione usando parole altisonanti — e di nuovo lasciò scorrere gli occhi lungo il tavolo con sguardo interrogativo.
— Riuniamoli tutti insieme — esortò il Realista Jomald. — Altrimenti resteremo qui tutta la notte.
Goniface lanciò un’occhiata al membro più anziano del Concilio, Fratello Sercival, il cui cranio incartapecorito era soffuso di una luce argentea, riflesso dei capelli candidi che probabilmente aveva tagliato soltanto il giorno avanti.
— Insieme! — decretò quest’ultimo, dischiudendo appena le labbra sottili. Sempre avaro di parole, quel vecchio Fanatico!
Dopo la sua approvazione il consenso dell’assemblea fu unanime.
— La mia non era un’obiezione pregiudiziale — mormorò Fratello Frejeris, accantonando l’argomento con un gesto della mano bianca e statuaria. — Volevo soltanto evitare che si creasse una situazione che può rivelarsi disorientante per chi non è esperto psicologo.
Un chierico trasmise gli ordini necessari.
Mentre aspettavano, Fratello Frejeris abbassò gli occhi sul grembo. — Sono stato informato — disse con affettata noncuranza — che ci sono disordini nella Grande Piazza.
Goniface evitò di incrociare il suo sguardo.
— Se ci saranno sviluppi — disse con tono pacato — il nostro servo Cugino Deth ci informerà.
— Il tuo servo, Fratello — lo corresse con altrettanta pacatezza Frejeris.
Goniface non rispose.
Un gruppo di preti entrò nella sala attraverso una porta laterale. In apparenza, erano assolutamente identici ai sacerdoti del Santuario di Megateopoli, ma agli occhi dei membri del Sommo Concilio il loro portamento, i loro gesti, il modo in cui indossavano la veste scarlatta e perfino il taglio stesso delle loro tonache, erano sinonimi di “campagna”.
Si fermarono davanti al tavolo, confusi e, soprattutto, ammirati.
Il loro numero non faceva che sottolineare la vastità grigia e splendente della Camera del Concilio.
— Reverende Arcipreture — esordì un rozzo individuo, che pur non avendo mai lavorato nei campi sembrava aver assorbito l’essenza primitiva della terra. — Io so che quello che sto per dirvi suonerà molto irreale qui a Megateopoli — proseguì con voce esitante, gli occhi alzati a inseguire gli alti muri a volta, fino a perdersi nel soffitto così lontano da essere quasi invisibile. — Qui a Megateopoli, dove se volete potete trasformare il giorno in notte. Dove viviamo noi è diverso. Là la notte cala lentamente e imprigiona uomini e cose nelle tenebre. Si sente il silenzio scivolare dai campi e afferrare la città…
— Lascia perdere l’atmosfera, uomo e vieni ai fatti! — intervenne Fratello Frejeris.
— I fatti! — lo aggredì Sercival.
— Be’ si tratta… si tratta dei lupi — disse il rozzo sacerdote con tono quasi di sfida. — Lo so che esistono solo nei vecchi libri, ma noi di notte li vediamo. Sono grigi come il fumo, come questi muri, grandi come cavalli e hanno gli occhi rossi. Avanzano a balzi, in grandi branchi, simili a banchi di nebbia. Entrano furtivamente in città e accerchiano il Santuario e quando alcuni di noi sono costretti a uscire di notte, li seguono. Non riusciamo a ucciderli né con il Dito dell’Ira né con le Verghe! Sfuggono alla luce delle verghe e si appiattiscono nell’ombra. Reverende arcipreture, vi assicuro che il popolo è spaventato a morte e lo sono anche gran parte dei novizi. Ma non è tutto. Di notte, nelle celle sentiamo delle strane cose che ci si rannicchiano sul petto!
— Le ho sentite anch’io! — lo interruppe eccitato un altro prete. — Sono cose fredde e pelose che ti si attaccano ai vestiti e poi ti tastano gentilmente il viso. Dopo un po’ ci si siedono sopra, leggere come piume. E tu non sai se sogni o se sei desto. Poi ti si strofinano contro e cominciano a parlare con delle vocine stridule. Dicono cose che uno neanche oserebbe ripetere. Ma poi, quando accendi la luce o cerchi di afferrarle, scompaiono, anche se tu continui a sentirtele addosso. Sono esserini scheletrici, ricoperti di un pelo finissimo… simile ai capelli umani!
Nell’udire quel racconto, un terzo sacerdote, un individuo stempiato e dal colorito giallognolo che sembrava un maestro di scuola, impallidì violentemente. — Anch’io ho avuto questa impressione! — esclamò con voce tesa, gli occhi sbarrati a fissare un punto lontano. — Fratello Galjiwin e io eravamo andati a perquisire la casa di un cittadino comune, che sospettavamo avesse occultato parte delle stoffe che aveva tessuto e sulle quali gravava la decima. Erano brutta gente; la figlia, poi, era la peggiore di tutti, una sgualdrina dai capelli rossi. Ma a me non la facevano. Mi bastò dare un’occhiata in giro per accorgermi che una delle assi del muro era staccata. La sollevai e infilai la mano nel vano. Quella sgualdrina continuava a fissarmi e a sorridermi con un’impudenza inaudita. A un certo punto, tastando, sentii quello che mi parve un rotolo di stoffa molto pelosa e allungai ulteriormente la mano per tirarlo fuori. Ma in quel momento, la stoffa prese vita! Cominciò a muoversi e a contorcersi. Era fredda, pelosa, ma come ha detto lui aveva qualcosa di umano… anche se il vano non era più profondo di cinque o sei centimetri! Facemmo abbattere la parete: assistemmo all’intera operazione di demolizione, ma dal muro non uscì niente. Né vi trovammo nascosto il più piccolo brandello di stoffa. Assegnammo alla famiglia una quantità extra di lana da tessere, per punizione. Poi, sulla ragazza, rinvenimmo i segni della stregoneria e dopo aver ottenuto una speciale dispensa la spedimmo a lavorare nelle miniere insieme agli uomini.
“Una cosa, però, non la dimenticherò mai: quando tirai fuori la mano dall’intercapedine, mi accorsi che due sottili peli mi erano rimasti impigliati in un’unghia scheggiata: due peli dello stesso color rame dei capelli della ragazza!
“Da quel giorno, quando dormo male, continuo a sentire quella cosa. Come un ragno che mi cammina sul palmo della mano!”
Di colpo si sciolsero tutte le lingue e fu un susseguirsi di racconti terrificanti. A un tratto, una voce, più alta delle altre, esclamò: — Dicono che siano quelle cose a far comparire i segni della stregoneria!
Uno degli arcipreti del Sommo Concilio rise con ostentato disprezzo. Ma c’era una nota falsa nella sua risata.
Fratello Frejeris sorrise e inarcò allusivamente le sopracciglia, come per dire: — Isteria di massa. Io vi avevo avvertito.
— Prima ho detto che tutto questo sembra irreale, qui a Megateopoli — riprese il primo sacerdote che aveva parlato. Il tono della sua voce era di scusa, eppure il suo sguardo tradiva ancora un’ombra di sfida. — Ma dopo le nostre prime segnalazioni un sacerdote del Quinto Circolo fu mandato giù a indagare. Anche lui vide quello che avevamo visto noi, ma non disse nulla. Il giorno dopo ripartì e noi non abbiamo mai saputo se avesse scoperto qualcosa.
— Noi ci aspettiamo che la Gerarchia ci protegga!
— Vogliamo sapere che cosa la Gerarchia ha intenzione di fare!
— Dicono — intervenne il prete che aveva menzionato i segni della stregoneria — che esista un Concilio Nero in tutto e per tutto simile al Sommo Concilio. E una Gerarchia Nera organizzata come noi che serve Satanas, il Signore del Male!
— Proprio così — gli fece eco il primo sacerdote che aveva parlato. — E se è vero io voglio saperlo. È possibile che avendo fatto finta per secoli che esistesse un vero dio, abbiamo in qualche modo, non so come, risvegliato un vero diavolo? Che cosa accadrebbe in questo caso?
Un brivido di terrore percorse la Camera del Concilio, ma Goniface non si scompose. Si drizzò a sedere sul suo scranno e quando parlò le sue parole fendettero il silenzio come sciabolate. La sua voce non aveva la musicalità di quella di Frejeris, ma era ugualmente convincente e imponeva rispetto.
— Silenzio! Altrimenti sì che risveglierete un vero demone. Il demone della nostra ira!
Guardò i suoi confratelli seduti dietro il tavolo. — Che cosa dobbiamo farne di questi stupidi?
— Che vengano frustati — sbottò Sercival stizzito, la scarna mascella contratta, i piccoli occhi lampeggianti nelle orbite coriacee. — Che vengano frustati per essersi comportati in modo tanto codardo davanti ai trucchi e alle minacce di Satanas!
I preti di campagna si agitarono con apprensione. Frejeris alzò gli occhi al cielo, come per dire che quella proposta gli sembrava indicibilmente barbara, mentre Goniface annuì educatamente, pur non dando segno di approvarla. Senza volerlo, gli venne improvvisamente da chiedersi in che misura il vecchio Sercival e gli altri Fanatici credessero veramente nell’esistenza del Grande Dio e del suo eterno nemico, Satanas, il Signore del Male. La loro era una posa, naturalmente, ma forse, sotto sotto, in loro c’era anche un fondo di genuinità. Non quella genuinità che derivava dalle superstizioni di cui si nutrivano i comuni cittadini (quelle venivano tutte sfatate al Primo e al Secondo Circolo, altrimenti un prete non passava di grado), ma piuttosto da una sorte di auto-ipnosi indotta dall’annosa contemplazione dei meravigliosi poteri della Gerarchia, che alla fine li aveva portati ad attribuire a quei poteri un’origine soprannaturale. Per fortuna, i Fanatici erano molto pochi, così pochi da non essere degni di venire considerati un partito. Nel Sommo Concilio ne sedeva soltanto uno, Sercival per l’appunto, e quell’onore gli era stato conferito solo in tarda età. Eppure, forse, un giorno anche quel vecchio pazzo si sarebbe potuto rivelare utile. Era spietato e sanguinario e, nel caso in cui fosse stato necessario far ricorso alla violenza, sarebbe stato un perfetto capro espiatorio. In questo senso, il Partito Fanatico serviva a controbilanciare la più nutrita minoranza dei Moderati, lasciando ai Realisti di Goniface il pressoché totale controllo del potere.
Ma quei poveri preti di campagna non erano dei Fanatici. Tutt’altro. Se avessero avuto anche solo un pizzico di fiducia nel Grande Dio, in qualsiasi dio, non sarebbero stati così spaventati. Goniface si alzò in piedi per rimproverarli.
Ma non fece in tempo ad aprire la bocca, perché all’improvviso, all’estremità opposta della Camera, le grandi porte si aprirono ed entrò un sacerdote, che si affrettò in direzione del tavolo. Goniface riconobbe in lui uno dei Moderati di Frejeris.
Il nuovo arrivato camminava in modo tutt’altro che solenne, come si addiceva a un prete del suo rango, anzi stava quasi correndo.
Goniface attese in silenzio, senza tradire la minima emozione.
Con il respiro affannato per lo sforzo inconsueto, il sacerdote si avvicinò a Frejeris e gli consegnò un foglio che questi lesse rapidamente.
Frejeris si alzò in piedi e si rivolse a Goniface in modo che tutta l’assemblea lo udisse.
— Sono appena stato informato che nella Grande Piazza un sacerdote del Primo Circolo sta bestemmiando contro la Gerarchia davanti a una grande folla. Il tuo servo, Cugino Deth, ha assunto i pieni poteri e non vuole interferenze. Ti chiedo di spiegare immediatamente al Concilio che cosa significa questa follia!
— Chi sta alimentando l’isteria di massa, adesso, Fratello? — ribatté pronto Goniface. — Le tue informazioni sono incomplete. Devo forse parlare di una questione tanto delicata di fronte a persone che non potrebbero capirla? — Così dicendo indicò i preti di campagna. — O non è forse meglio che prima definisca una volta per tutte il problema che questi confratelli hanno sollevato davanti al Concilio?
Ma prima che gli arcipreti si fossero riavuti dallo stupore, lui aveva ripreso a parlare.
— Sacerdoti dei santuari rurali: voi avete detto che i vostri racconti sarebbero apparsi irreali qui a Megateopoli. Ebbene questo non è vero. Perché l’irrealtà non esiste, né a Megateopoli, né in nessun’altra parte del cosmo.
“Il soprannaturale è irreale e perciò non esiste. Avete forse dimenticato la verità fondamentale che vi è stata insegnata quando eravate preti del primo circolo? Che esistono solo il cosmo e le entità elettroniche che lo costituiscono, e che il cosmo è privo di anima e di fine, se non quello che possono imporgli le menti neuronali?
“No, le vostre storie riguardano entità reali, reali se non altro per l’immaginazione della vostra mente.
“Sono molte le entità reali che il Dito dell’Ira non può incenerire. Cito per esempio solo i solidografi, e vi ricordo che per vostra stessa ammissione i lupi e le altre creature che affermate di temere non sono che ombre impalpabili. Per quanto riguarda le creazioni della vostra immaginazione, non potete certo ucciderle, se non rivolgendo il Dito dell’Ira contro il vostro stesso cranio.
“Uno di voi ha parlato di stregoneria. Ha forse dimenticato che la Stregoneria l’abbiamo inventata noi?
“Non dovrei essere io a dirvi queste cose. Dovreste essere voi a spiegarle ai vostri novizi!
“Vi ha mai tradito, vi ha mai abbandonato la Gerarchia? No. Eppure adesso pretendete che accantoni qualsiasi altra faccenda e che si occupi soltanto di voi, perché siete spaventati… Non perché vi sia accaduto qualcosa, no, soltanto perché siete spaventati!
“Come fate a sapere che questa non è una prova, una prova a cui abbiamo deciso di sottoporvi per misurare il vostro coraggio e il vostro ingegno? Be’, se fosse una prova, pensate a quale misero spettacolo avete dato di voi stessi finora!
“Potrebbe essere una prova.
“Ma potrebbe anche trattarsi dell’attacco sferrato contro la Gerarchia da parte di un’entità aliena, che forse agisce sotto le mentite spoglie della Stregoneria. E che noi ancora non reagiamo, per costringere il nemico a uscire allo scoperto prima di colpirlo a nostra volta. Perché la Gerarchia non colpisce mai due volte.
“In questa eventualità, le più elementari norme di strategia bellica ci impedirebbero di mettervi al corrente di quanto sta accadendo, per paura di spaventare il nemico e di metterlo in fuga.
“Vi dirò soltanto questo: la Gerarchia era a conoscenza dei disordini presenti nelle vostre regioni prima ancora che voi ve ne accorgeste. E si è presa a cuore la cosa.
“Questo è tutto quello che avete bisogno di sapere. E avreste dovuto saperlo senza che ve lo dicessi io!”
Con freddo compiacimento, Goniface notò che anche le ultime tracce di panico erano ormai svanite. Finalmente, i preti di campagna si erano ricomposti e adesso sembravano più uomini. Erano ancora intimoriti, ma solo dalla presenza dei loro superiori. Come era giusto che fosse.
— Sacerdoti dei santuari rurali, con il vostro deplorevole comportamento avete disatteso le aspettative della Gerarchia. Dai rapporti che abbiamo ricevuto, sappiamo che fin dall’inizio dei disordini, o della prova, voi non avete fatto nient’altro che invocare l’aiuto della Gerarchia. Qualcuno ritiene che meritiate di venire frustati. Io sarei incline a convenirne, se non fossi convinto che possediate sufficiente nerbo per non cadere di nuovo negli stessi errori.
“La Gerarchia è come una grande mano che stringe l’intero globo terrestre. Volete forse incorrere nell’eterna disgrazia di venir ricordati come coloro che hanno cercato di allentare, anche se in proporzioni infinitesimali, la presa di una sua falange? Ho volutamente detto ‘cercato’, perché noi vi osserviamo molto più attentamente di quanto crediate e siamo sempre pronti a intervenire nel caso in cui anche il più piccolo di voi venisse meno al proprio dovere.
“Non venir meno al vostro dovere, è questo di cui dovete preoccuparvi!
“Adesso ritornate ai vostri santuari.
“Fate quello che avreste dovuto fare molto tempo fa.
“Fate appello al vostro coraggio e al vostro ingegno.
“La paura è un’arma, ma un’arma di cui voi dovete servirvi e non permettere che venga usata contro di voi!
“Vi è stato insegnato quale uso farne.
“Dunque usatela!
“E per quanto riguarda Satanas, l’equivalente nero del nostro Grande Dio che, come la stregoneria, è una nostra invenzione, sfruttatelo a vostro vantaggio! — A questo punto Goniface lanciò un’occhiata ironica a Sercival per vedere come reagisse il vecchio Fanatico a quelle parole. — Cacciatelo pubblicamente dalle vostre città se questo vi sembra un espediente utile. Ma non abbassatevi mai più, mai più a credere nella sua esistenza, come dei miserabili cittadini comuni!”
Fu allora, proprio mentre Goniface osservava i loro volti infiammarsi e il loro sguardo ardere per il desiderio di redimersi, che nella sala riecheggiò una poderosa risata. I muri della Camera del Concilio erano spessi e impenetrabili ai normali rumori, eppure avevano lasciato filtrare quello scroscio di risa portentoso e traboccante di un’allegria malvagia.
Risa che sembravano schernire la Gerarchia e chiunque avesse la presunzione di decretare ciò che esisteva e ciò che non esisteva.
I preti di campagna impallidirono e si strinsero gli uni agli altri. I volti sprezzanti degli arcipreti riuscirono a mascherare, più o meno bene, lo stupore, l’apprensione e la domanda rabbiosa che si agitava nelle loro menti sulla natura di quel suono e sul suo significato. Frejeris guardò immediatamente Goniface. Il vecchio Sercival cominciò a tremare come se fosse in preda a una strana paura e a un’ancor più strana soddisfazione.
Ma fu alle orecchie di Goniface che quella risata suonò più terribile e sconcertante. I pensieri più disparati si rincorsero come fulmini nella sua mente.
Ma lui rimase imperturbabile e si sforzò di sostenere lo sguardo dei preti di campagna, per contrastare l’influsso di quella snervante risata. E ci riuscì, anche se gli occhi di tutti si dilatarono per il dubbio e lo sgomento.
L’eco delle risa si spense lentamente, e sulla sua scia un brivido di terrore percorse la sala.
— L’udienza concessavi dal Sommo Concilio termina qui — dichiarò severamente Goniface. — Lasciate la Camera!
I sacerdoti di campagna si affrettarono verso l’uscita. Era solo il fruscio delle loro vesti, ma sembrava che stessero già mormorando.
Il vecchio Sercival si alzò in piedi e, come un vecchio profeta, protese una mano tremante verso Goniface. — Quella era la risata di Satanas! Era il giudizio del Grande Dio su di te e sull’intera Gerarchia per tutti questi secoli di menzogna e di finzione! Il Grande Dio ha sciolto contro il mondo il suo cane nero Satanas!
Dopodiché si risedette, le membra scosse da un tremito.
Gli arcipreti si dimenarono nervosamente. Qualcuno ridacchiò con disprezzo.
Goniface si sentì sopraffare dalla medesima, strana, inebriante sensazione che aveva provato anni prima, quando c’era mancato un nonnulla che il segreto sul suo passato venisse alla luce.
Un sacerdote piccolo e grasso si aprì un varco nella coda della delegazione dei preti di campagna che lasciava la Camera e si diresse quasi correndo verso Goniface.
Goniface lo fermò. — Fa’ rapporto a tutto il consesso del Sommo Concilio, Fratello Chulian!
Il piccolo prete grasso spalancò la sua boccuccia da cherubino e lo fissò interdetto. — Due cose simili a grandi mani si sono chiuse a coppa intorno a Fratello Jarles e l’hanno portato via! Satanas ha parlato!
— Il tuo rapporto! — gli ingiunse Goniface aspramente. — Il resto possiamo apprenderlo da altri capaci di raccontarlo meglio di te.
Il piccolo prete grasso face un balzo all’indietro come se qualcuno gli avesse gettato un bicchiere d’acqua in faccia. Sembrava che si fosse accorto solo in quel momento della presenza degli altri arcipreti. La sua voce stridula si fece più servile, il suo linguaggio più forbito.
— Come mi era stato ordinato ho suscitato la collera di Fratello Jarles, sacerdote del Primo Circolo. L’ho fatto ingiungendo alla Cittadina Comune Sharlson Naurya, alla quale Fratello Jarles pensa ancora con affetto, di servire nel Santuario. Lei, che ha una paura insolita dei santuari, ha rifiutato. A quel punto l’ho accusata di stregoneria e l’ho afferrata per una spalla per farvi apparire il marchio della sua arte malefica. Allora Fratello Jarles mi ha colpito. Avevamo entrambi il campo di inviolabilità attivato in quel momento. Mi ha fatto cadere a terra. A quel punto io…
— Il tuo rapporto termina qui, Fratello Chulian- lo interruppe Goniface.
Nel silenzio che seguì, la voce di Fratello Frejeris risuonò ancor più musicale di prima. — Se tutto quello che dobbiamo sentire consiste in simili follie avventate e perniciose, inequivocabilmente intese a minare la stabilità della Gerarchia, non avrò bisogno di chiedere io la scomunica di Fratello Goniface. Tutti gli altri arcipreti la invocheranno per me.
— Sentirai tutto quanto c’è da sentire — replicò Fratello Goniface. — E quando avrai sentito tutto capirai. — Ma fu il primo a rendersi conto che le sue parole erano cadute nel vuoto. Anche i volti dei suoi compagni Realisti esprimevano sospetto e diffidenza. Fratello Jomald gli lanciò un’occhiata come per dirgli: — Il partito non si assume nessuna responsabilità in questa faccenda. Dovrai cavartela da solo… ammesso che tu ci riesca.
Sembrava che il piccolo prete grasso desiderasse aggiungere qualcosa. La sua boccuccia da cherubino si contorceva ansiosamente. Con un misurato cenno del capo Goniface gli fece segno di parlare.
— Posso aggiungere un’ultima cosa al mio rapporto, reverenza?
— Se riguarda la parte che hai avuto tu nell’azione.
— Sì, reverenza. Si tratta di una cosa che mi ha lasciato perplesso. Quando ho strappato il grembiule di Sharlson Naurya per mostrare a tutti il marchio della stregoneria, ho visto che aveva tre segni sulla pelle, mentre io sono sicuro di aver appoggiato sulla sua spalla solo il pollice e l’indice.
Goniface avrebbe voluto baciare il piccolo prete grasso, ma la sua voce risuonò distante e grave quando rispose. — E pensare, Fratello Chulian, che tu avresti già potuto essere elevato a sacerdote del Terzo Circolo, se solo avessi unito la virtù della deduzione a quella dell’osservazione. — Scosse la testa con rammarico. — Bene, io ti darò la possibilità di redimerti. Dopo tutto si è trattato di una coincidenza davvero straordinaria. Prendi un altro prete, adesso che sei senza compagno, e va insieme a lui ad arrestare… la strega!
Il piccolo sacerdote grasso strabuzzò gli occhi. — Quale strega, vostra augusta grazia?
— Sharlson Naurya. E farai meglio a sbrigarti anche, se vuoi sperare di trovarla.
Una luce improvvisa illuminò gli occhi cerulei di Fratello Chulian che, dopo aver fissato attonito Goniface ancora per qualche istante, girò su se stesso e si affrettò verso l’uscita.
Ma questa volta dovette cedere il passo ad altre persone che avevano raggiunto la porta insieme a lui. Un uomo basso e allampanato, che indossava la tunica nera dei diaconi, entrò con impudente sicurezza di sé nella Camera del Concilio, seguito da numerosi sacerdoti che portavano rotoli e scatole di metallo di foggia strana.
Si diresse verso il Tavolo e vi ci si piantò davanti a gambe larghe, circondato dalla sua corte di assistenti. La sua carnagione giallastra, la fronte prominente e le enormi orecchie a sventola ne facevano un esempio più unico che raro di bruttezza maschile. Ma la maschera imperscrutabile del suo viso era una copia perfetta di quella che racchiudeva la glaciale bellezza di Goniface. Il diacono sembrava godere dell’ostilità con la quale era stato accolto, come se fosse consapevole che, benché a causa dei suoi natali fosse interdetto dal sacerdozio, lui era pur sempre più temuto di molti arcipreti.
— E che cos’ha da dirci il tuo servo Cugino Deth? — chiese uno dei Moderati, non Frejeris.
Il diacono fece un profondo inchino. — Vostre temute, auguste, eminenti irreprensibilità — esordì con caustico servilismo. — Io non ho bisogno di fare alcun rapporto verbale. Questi testimoni imparziali parleranno per me. — Con una mano indicò i rotoli e le scatole di metallo. — Un solidografo animato di tutto quanto è accaduto nella Grande Piazza. Una trascrizione di ogni parola pronunciata da Fratello Jarles e, contemporaneamente, una registrazione videografica delle maggiori onde neuro-emotive emesse dalla folla durante la sua arringa. Un’analisi grafica, eseguita al Centro di Controllo della Cattedrale, dell’apparente natura fisica del guscio che si è chiuso intorno a Fratello Jarles e che l’ha portato via. Una trascrizione delle parole e delle risa che si sono udite alla fine. Più le solite integrazioni. — Detto questo, si inchinò di nuovo, piegando il busto fino a sfiorare il pavimento con le maniche nere della tonaca.
— A noi non interessano le tue belle immagini! — gridò lo stesso Moderato che aveva parlato prima, il volto paonazzo per l’ira. — Vogliamo che ci racconti quello che è accaduto, Diacono!
Goniface notò che Frejeris stava tentando invano di far capire al proprio compagno di partito di mantenere la calma, e di non sprecare le preziose frecce che avevano al loro arco in sfuriate di poca importanza. Con una certa sfrontatezza, Cugino Deth, lanciò a Goniface un’occhiata interrogativa e l’arciprete gli fece cenno di proseguire.
— È andato tutto come previsto, come dimostrano le registrazioni — riprese Deth, mentre l’ombra di un sorriso cinico gli aleggiava sulle labbra sottili come fessure. — Alla fine una sfera maculata, simile a due grandi mani, si è chiusa intorno al prete. La sfera ha sopportato per diverso tempo tutta la potenza dell’ira del Grande Dio e così noi siamo stati in grado di studiarla. Poi, all’improvviso è scomparsa, sfuggendoci per un soffio. Perché noi avevamo uno squadrone di angeli pronto a inseguirla, come voi avevate ordinato. — E si chinò compitamente verso Goniface. — Sappiamo in quale direzione è fuggita e le ricerche sono già in corso.
Subito dopo Goniface si alzò in piedi e fece segno a Deth di avvicinarsi al tavolo per predisporre il necessario per proiettare la registrazione.
Quello era il momento giusto, intuì Goniface. Le parole di Deth avevano mandato in collera tutti gli arcipreti, ma soprattutto i Moderati, mentre i Realisti, loro malgrado, ne erano rimasti colpiti. Si rivolse al Concilio.
— Arcipreti della Terra, è stato detto: “Quanto accade a Megateopoli accade nell’intero pianeta”. Ma affinché questo aforisma abbia valore pratico, dobbiamo sapere in anticipo quel che può accadere a Megateopoli!
“Insomma, se vuol essere realista, un governo deve saper giocare d’anticipo, deve saper prevenire! “Quanti degli arcipreti qui riuniti, a eccezione forse di te, Fratello Sercival, credeva che il nemico avrebbe osato attaccare apertamente Megateopoli?
“Nemmeno io lo credevo. Ma volevo esserne certo. Questa è una delle ragioni per cui ho voluto condurre questo esperimento nella Grande Piazza.
“Ebbene Fratelli, adesso sappiamo la risposta. Satanas è venuto.
“Non possiamo più negare che dietro la stregoneria si celi un nemico, un nemico intrepido e pericoloso.
“Non possiamo più negare che all’interno di quella disprezzata forma di Stregoneria che tolleriamo, esista un’altra Stregoneria, che cerca di usare l’arma della paura non solo contro i comuni cittadini, ma anche contro i sacerdoti. Abbiamo ragione di credere che i membri di questa Stregoneria Occulta siano riconoscibili attraverso alcuni segni che hanno impressi sul corpo. E sappiamo che sono astuti e pieni di risorse.
“Non possiamo più liquidare come un trascurabile episodio di isteria di massa la Questione dei Preti Spaventati. Per infondere loro coraggio, ho detto che avrebbe potuto semplicemente trattarsi di una prova a cui la Gerarchia aveva deciso di sottoporli. Ma voi tutti sapete che tre scienziati del Quinto Circolo hanno ammesso di non essere in grado di spiegare le manifestazioni che si sono verificate nei Santuari rurali.”
Goniface fece una pausa. I Moderati sembravano più infuriati che mai. Ma a loro bastava sentir parlare di pericolo per montare in collera. I Realisti invece, lo stavano ascoltando attentamente. Adesso l’espressione di Fratello Jomald tradiva riluttante ammirazione.
— Ma per ritornare alla domanda iniziale: che cosa sta accadendo a Megateopoli?
“Fratelli, esiste un solo modo per scoprirlo. Solo un modo per conoscere il reale temperamento dei comuni cittadini. Anche lo studio più scrupoloso del loro comportamento nella vita quotidiana è insufficiente. E così pure i test psicologici. L’unica strada certa, il solo sistema sicuro consiste nel fomentare una piccola crisi e analizzare quanto avviene.”
Il più furibondo dei Moderati fece per alzarsi, ma Frejeris lo fermò, anche con un certo dispiacere, come se si rendesse conto che ormai non poteva più sconfiggere Goniface con un attacco diretto.
— Non si spegne il fuoco gettandovi sopra dell’olio — disse.
— E invece sì — ribatté Goniface. — L’olio penetra più dell’acqua. Esiste un fuoco nascosto, un fuoco che cova sotto la cenere che solo l’olio può raggiungere e che non ha sufficiente ossigeno per incendiare l’olio stesso. È questo, Fratelli, il fuoco che cova nell’animo dei cittadini comuni. E anche la forza che trama contro di noi sotto le mentite spoglie della Stregoneria è un fuoco di questo genere, nascosto ma pericolosissimo.
“Per scoprire il carattere segreto dei cittadini comuni, per fornire loro l’istruttivo esempio di un prete punito per le sue bestemmie e, come poi si è realmente verificato, per attirare il nemico allo scoperto, io ho fomentato una crisi.
“E ora, arcipreti di Megateopoli, mi accingo a mostrarvi una fedele registrazione di quanto è accaduto, affinché voi possiate studiarlo e imparare, insieme a me, a prevenire le crisi veramente gravi che potrebbero verificarsi.
“E dopo aver visto quello che sto per mostrarvi, scomunicatemi pure, se ancora lo riterrete opportuno.”
Mentre Goniface parlava, gli assistenti di Cugino Deth avevano apportato un profondo cambiamento sulla superficie apparentemente uniforme del tavolo del Concilio. Al centro del piano era apparsa una depressione circolare del diametro di circa un paio di metri. Da un lato erano raggruppate alcune depressioni più piccole e si erano visualizzate alcune fessure. I rotoli e le scatole erano stati inseriti negli appositi orifizi ed erano del tutto scomparsi.
Poi Deth aveva azionato un comando e, a poco a poco, anticipato da sfumature di grigio sempre più scure, nella Camera del Concilio era calato il buio.
All’improvviso, al centro del tavolo, si materializzò una scena in miniatura. Solo la presenza occasionale di una certa foschia e una certa evanescenza dell’immagine quando più figure erano raggruppate insieme, indicava che si trattava di una proiezione, una messa a fuoco di sequenze registrate su nastri multipli che giravano senza far rumore.
Minuscole figure di uomini e donne che indossavano grembiuli di tela grezza, preti che assomigliavano a bambole vestite di rosso, cavalli grandi come topi, carri e oggetti di varia natura: in breve, una considerevole porzione della Grande Piazza, senza le strutture architettoniche che la circondano.
Solo che adesso, invece del Grande Dio erano gli arcipreti del Sommo Concilio a torreggiare sul vasto spazio aperto.
Dalle depressioni più piccole del tavolo cominciarono a salire tozze colonne di luce colorata, gialla, verde, blu, violetta, che variavano impercettibilmente ma costantemente in altezza e in intensità: indicavano il complesso dei mutamenti neuro-emotivi nelle risposte della folla.
Si udiva il mormorio dei comuni cittadini, il rumore degli zoccoli dei cavalli, il cigolio delle ruote di legno.
Si ripeteva la scena che aveva avuto luogo nella Grande Piazza.
Cugino Deth si protese in avanti e, oscurando con il braccio parte del solidografo, indicò con due dita, che apparvero grandi come colonne rispetto alle figure lillipuziane della proiezione, due omini vestiti di rosso.
— Jarles e Chulian — spiegò. — Fra alcuni istanti li sentiremo parlare.
Goniface si appoggiò con soddisfazione allo schienale. Stava studiando le espressioni dipinte sui volti attenti degli arcipreti; che la luce del solidografo riduceva a maschere sinistre sospese nella tenebra infinita oltre il tavolo. Poi si voltò di nuovo a guardare la proiezione.
Fu quando tuonò la prima accusa di stregoneria — e la colonnina viola, espressione cromatica di emozioni quali la paura e la repulsione, balzò in alto e impallidì — che vide per la prima volta il volto di Sharlson Naurya.
Poco ci mancò che si tuffasse in avanti per afferrarlo.
Ma si trattenne in tempo e si limitò a inclinare pigramente il busto, come se desiderasse semplicemente studiare la scena più da vicino.
Non poteva essere.
Eppure era lì, davanti ai suoi occhi. Il piccolo viso freddo e risoluto, più perfetto di un cammeo, circondato dalla massa scura dei capelli sottili come quelli di una bambola. Naturalmente non era identico all’immagine che si era impressa nella sua memoria. Ma considerando il tempo che era trascorso e i cambiamenti apportati dagli anni…
Geryl. Knowles Geryl.
Ma Chulian l’aveva chiamata con un altro nome… Sharlson Naurya.
Con grande stridore, una porta da tempo chiusa si aprì nella mente di Goniface, sforzando i cardini arrugginiti, come se una mano titanica stesse spingendo il battente.
L’arciprete guardò dall’altra parte del tavolo in direzione di quella caricatura giallastra che era il volto di Deth immerso nell’oscurità, e attirò l’attenzione dei suoi occhi, simili a grandi perle nere.
Arretrando, Deth si confuse con la tenebra e scomparve.
Allora Goniface si alzò senza far rumore e prese a camminare dietro la fila delle sedie, come se fosse stanco di stare seduto. Poi si allontanò dal tavolo.
A un tratto avvertì la presenza di Deth alle sue spalle. Ne afferrò il polso scheletrico con la mano e poi, accostando la bocca al suo orecchio gli sussurrò: — La donna che ho ordinato a Chulian di arrestare. Sharlson Naurya. Trovala. Se Chulian l’ha già catturata, portala via. Devi trovarla e farne la mia prigioniera segreta.
Poi, come se avesse avuto un ripensamento, aggiunse: — Che non le venga torto un capello, almeno fino a quando non l’avrò vista e non le avrò parlato.
Nell’oscurità, Cugino Deth piegò le labbra in un sorriso maligno.