Al termine di un rapido giro di verifica delle principali stazioni di controllo del Santuario, Goniface stava facendo ritorno al Centro di Telecomunicazione, scortato da un piccolo drappello di diaconi. Quella sera la riunione del Sommo Concilio si sarebbe tenuta al Centro di Telecomunicazione. Il suo posto era lì, ma uno dei compiti fondamentali del Sommo Gerarca era quello di rendersi conto di persona dell’evolversi della crisi.
Dall’Osservatorio Numero Uno, situato al di sopra delle altre strutture del Santuario, aveva visto una piccola sagoma nera, presumibilmente una di quelle macchine diaboliche che erano apparse durante l’ufficio della Grande Rinascita, sfrecciare caparbiamente intorno al busto del Grande Dio, come un minuscolo, fragile aereo che sfidi un gigante. I tecnici del Santuario avevano tentato di colpirlo più volte, azionando il fulmine di guerra che agiva attraverso la mano della statua, ma grazie a stupefacenti evoluzioni, il minuscolo apparecchio riusciva sempre a schivare il raggio bluastro.
Quell’ombra volteggiante rappresentava la bandiera nera della rivolta per i cittadini comuni, che quella sera stavano sfidando la legge, vigente da secoli, del coprifuoco. La folla che il giorno della Grande Rinascita era insorta, si era frazionata in piccole bande agguerrite che, al calar della notte, si aggiravano per le strette vie di Megateopoli, tendendo imboscate alle pattuglie della Gerarchia.
Nella loro brutalità di contadini, repressa per generazioni, vi era una vena sinistra, che veniva ingigantita a dismisura dalla loro convinzione di essersi uniti alle Forze del Male e di essere quindi liberi di agire senza alcun freno. I pochi preti o diaconi che riuscivano a catturare, erano destinati a una morte crudele. Una delle imboscate che non erano riusciti a condurre a termine prevedeva che alcune donne attirassero una pattuglia di diaconi in una casa piena di combustibile, per poi rinchiuderli dentro e di accendere la miccia. Dimostrando una sorprendente ingegnosità, una banda, composta di operai dell’industria meccanica, era riuscita a costruire e a erigere una catapulta nella Strada dei Fabbri. Erano perfino riusciti a lanciare alcune pietre dell’acciottolato contro il Santuario, colpendo in pieno un sacerdote del Primo Circolo, ma poco dopo un angelo li aveva scoperti e aveva distrutto la loro rudimentale artiglieria.
Alcuni minuti più tardi, Goniface aveva visto la macchina diabolica prendere fuoco e schiantarsi sulla Piazza deserta, colpita dal raggio blu al termine di un’audace acrobazia. Ma mentre lasciava l’Osservatorio Numero Uno, al suo occhio acuto non era sfuggito che un’altra sagoma pipistrellesca aveva già preso il suo posto.
Dalla Centrale Energetica giungevano notizie più confortanti. Le batterie atomiche che alimentavano l’intero Santuario riuscivano a sopperire senza difficoltà alla crescente richiesta di energia dovuta allo stato di emergenza. E il morale dei sacerdoti del Quarto Circolo che vi prestavano servizio, e quello del loro supervisore del Settimo Circolo, sembrava buono.
Anche al Centro di Controllo della Cattedrale, dove poche ore prima i Fanatici avevano sabotato la Grande Rinascita, la situazione sembrava tranquilla.
Per contro, al Centro di Controllo del Santuario, adiacente al Centro di Telecomunicazione, si era verificato uno spiacevole incidente. In seguito a uno strano accesso di follia, tanto più allarmante in quanto non era stato preceduto da alcun segno premonitore, il Direttore delle Guardie aveva cominciato ad attivare l’apertura di tutte le porte che conducevano al Santuario. Nessuno se ne sarebbe mai accorto, se Goniface non avesse notato la strana configurazione delle luci accese sul pannello di controllo degli accessi al Santuario. Quando il sacerdote si era reso conto di essere stato scoperto, aveva balbettato una storia confusa a proposito dell’orribile punizione che Satanas aveva in serbo per lui se non avesse eseguito certi ordini. Apparentemente, non era un vero e proprio traditore. Da quanto Goniface era riuscito a desumere dal suo racconto, era stato terrorizzato per settimane da strane apparizioni che gli si manifestavano quando era solo. Aveva dichiarato che fin da quando era bambino era stato ossessionato da una strana paura: quella che globi di fuoco volanti gli bruciassero il cranio e gli distruggessero il cervello. Con il passare del tempo, quella paura si era affievolita e negli ultimi anni se ne era completamente dimenticato… Senonché da qualche giorno quei globi volanti di fuoco si erano improvvisamente materializzati, e gli avevano parlato, minacciandolo di bruciargli il cervello se non avesse obbedito ai loro comandi.
Goniface fece in modo che il Capo delle Guardie venisse sostituito da un altro sacerdote, apparentemente idoneo a ricoprire quel delicato ruolo, ma quell’incidente gli lasciò uno sgradevole sapore in bocca. Ricordava fin troppo bene le insidiose strategie messe in atto dalla Stregoneria. I Fanatici si erano sempre mossi liberamente all’interno della Gerarchia e quindi avevano avuto accesso ai fascicoli personali di praticamente tutti i sacerdoti; tanto più che fino al momento dell’epurazione fra i membri dell’Ufficio Personale vi erano, per l’appunto, due Fanatici. Di conseguenza, la Stregoneria aveva avuto la possibilità di venire a conoscenza delle paure più intime di ciascun prete; e attraverso il telesolidografo e altri strumenti simili era riuscita a dare loro un corpo e una voce.
Sì, pensò Goniface, il terrore era l’arma segreta della Stregoneria, e anche l’unica che rappresentasse una reale minaccia per la Gerarchia. Nessun’altra forma di aggressione lo preoccupava tanto. Non l’assalto diretto ai Santuari, perché la Gerarchia disponeva di una forza militare decisamente superiore. L’istigazione dei cittadini comuni alla rivolta aveva senz’altro ottenuto l’effetto di creare uno stato di grande confusione: ma i cittadini avevano tante possibilità di riuscire a espugnare i Santuari quanto una banda di scimmie di conquistare una città cinta da mura.
Il terrore psicologico, invece, era tutt’altra cosa. Goniface studiò i volti dei diaconi che lo scortavano alla ricerca dei segni della persecuzione. Era impossibile che la Stregoneria stesse tormentando ogni membro della Gerarchia… Una simile impresa avrebbe richiesto un’organizzazione grande almeno quanto la Gerarchia stessa. Se solo ci fosse stato un metodo rapido e sicuro per determinare quali sacerdoti erano stati presi di mira… Ci voleva tempo, ma si poteva fare. Domani. Perché per prima cosa la Gerarchia avrebbe dovuto sopravvivere a quella notte.
Dopo aver congedato la propria scorta, Goniface entrò nel Centro di Telecomunicazione attraverso la porta della galleria. Non raggiunse subito il suo seggio, ma indugiò alcuni istanti sulla soglia, per studiare la situazione. Nella grande sala ferveva un’attività così intensa che sulle prime nessuno si accorse del suo arrivo.
Il Centro di Telecomunicazione era come un cervello. Il pavimento era occupato da pannelli di comunicazione, a ciascuno dei quali sedeva un sacerdote. Una parte dei pannelli vagliava ed elaborava le informazioni provenienti da tutti i santuari del mondo; successivamente queste informazioni apparivano su una grande carta geografica che occupava l’intera parete, leggermente concava, che si trovava di fronte alla galleria. E dalla galleria i membri del Sommo Concilio scrutavano la carta, richiedevano notizie aggiuntive attraverso alacri segretari, fattorini e schermi televisivi e, alla fine, prendevano le decisioni. Ciascun arciprete era responsabile di un particolare settore della Terra. I loro ordini venivano trasmessi ai sacerdoti del Personale del Centro, che li controllavano e li trasmettevano a loro volta ai chierici che gestivano i messaggi in uscita.
Il Sommo Concilio e il Personale del Centro di Telecomunicazione collaboravano in maniera superba. I motivi di attrito erano ridotti al minimo. Del personale facevano parte anche alcuni arcipreti. Quella sera Direttore delle Comunicazioni era Fratello Jomald, che, in assenza di Goniface, rappresentava la massima autorità.
Nonostante l’alacre attività, non vi era quasi rumore, né confusione nella sala. Il motivo era che tutte le persone che operavano al Centro si avvalevano di un elaborato codice di gesti, paragonabile quasi a un linguaggio, e facevano un ampio uso di auricolari, di trasmettitori così sofisticati da riuscire a captare anche semplici bisbigli, e messaggi scritti che apparivano sui monitor.
A entrambe le estremità della sala erano raggruppati grandi schermi televisivi, uno per ogni città chiave.
Ma più di ogni altra cosa era l’enorme carta geografica del mondo a dominare il Centro e a costituirne l’aspetto più caratteristico; proiettata in vivaci colori dalla parte opposta del muro traslucido, sembrava quasi una creatura vivente. E in effetti, se si osservava attentamente la lieve ombra che la copriva quasi per metà, se ne poteva discernere il lento movimento. Quel velo scuro rappresentava la notte.
A poco a poco, il suo fronte anteriore scivolava sopra gli oceani e le terre emerse, inghiottendo a uno a uno i punti luminosi che rappresentavano i Santuari. E, con la medesima lentezza, il suo margine posteriore ne scopriva altri. In quel momento Megateopoli, che era situata al centro della carta, si trovava pressoché nel bel mezzo della coltre d’ombra.
Gran parte dei puntini che l’ombra fagocitava erano rossi, mentre la maggior parte di quelli da cui si ritraeva erano neri. Il colore nero stava a indicare che quei Santuari avevano interrotto le comunicazioni con il Centro e che, presumibilmente, erano stati abbandonati o erano caduti nelle mani della Stregoneria.
Una buona metà dei puntini più piccoli, che rappresentavano i Santuari rurali, era nera. Tutti i punti più grandi, al contrario, erano ancora rossi.
Goniface studiò la carta con maggiore attenzione, osservando la disposizione dei minuscoli simboli alati di color azzurro, che indicavano gli squadroni di angeli, quelli, improvvisati, dei pipistrelli neri che rappresentavano le diaboliche macchine volanti, i disegnini stilizzati dei lupi grigi, che contraddistinguevano le regioni ancora colpite dalle proiezioni solidografiche del nemico, e le altre figurine che spiccavano qua e là.
E mentre la studiava, Goniface aggrottò le sopracciglia. Senza dubbio, la Stregoneria aveva fatto molti progressi, e rapidi anche. Era chiaro che il nemico aveva organizzato assai bene le proprie forze e che stava seguendo un piano di combattimento coordinato. In particolare, stava approfittando, con molta intelligenza, del fatto che la Gerarchia non possedeva sufficienti squadroni di angeli per pattugliare tutte le principali città.
Per l’indomani era previsto l’arrivo da Luciferopoli di una nave con cinquanta squadroni di angeli, oltre a un numero imprecisato di arcangeli e di serafini, di cui Megateopoli era completamente sprovvista. Ma la notte era ancora lunga…
Si diresse verso il centro della galleria e si sedette al proprio posto, irritato più che lusingato, dal subbuglio provocato dal suo arrivo. Si mostravano tutti troppo turbati dalla sua presenza; avrebbero dovuto essere più concentrati nel loro lavoro.
Dalla stazione del Direttore delle Comunicazioni, situata esattamente sotto lo scranno del Supremo Gerarca, Fratello Jomald iniziò il proprio rapporto sugli ultimi sviluppi della crisi. Ma poiché Goniface se ne era già fatta un’idea abbastanza precisa esaminando la carta geografica, gli fece segno di attendere. Si rivolse a uno dei segretari.
— Ho mandato a chiamare Deth. Dovrebbe essere già qui.
— Non siamo ancora riusciti a rintracciarlo. Stiamo controllando tutti i posti in cui potrebbe trovarsi.
— E Fratello Jarles, il sacerdote del Quarto Circolo? Avevo mandato a chiamare anche lui.
— Stiamo controllando.
Ma adesso altre questioni esigevano la sua attenzione. Dacché si erano accorti del suo ritorno, gli arcipreti e i membri del Personale del Centro avevano cominciato a subissarlo di rapporti e di richieste di istruzioni. Il suo segretario aveva un gran daffare a esaminarli, selezionarli e presentarglieli in ordine di urgenza.
— Mesodelfi invasa dalla tenebra. Devo distaccare sulla città metà degli squadroni di angeli di Archeodelfia?
— A Eleusi la Gerarchia è riuscita a mettere le mani su un telesolidografo. Desiderate informazioni più dettagliate?
— Ieropoli: avaria alle batterie atomiche. Posso dare ordine di prelevare energia da altri Santuari? O è meglio inviare tecnici specializzati per provvedere alle riparazioni?
— La Facoltà del Sesto Circolo di Olimpia ha inviato messaggi urgenti sul canale privato per avvertire che il Personale di Controllo della città ha subito influenze di tipo psicologico da parte della Stregoneria. Istruzioni?
— Dal Santuario rurale numero 127, Settore Asia Orientale, è giunta la notizia del misterioso abbattimento di due angeli. Sono state avvistate strane sagome scure simili a grandi pipistrelli. Devo allertare tutti gli angeli del settore?
— Nave di soccorso da Luciferopoli contattata. Arrivo previsto per l’alba di domani mattina, ora di Megateopoli. Confermato porto di sbarco?
Troppi rapporti. Troppe richieste di istruzioni. E, ogni volta, senza aprir bocca, Goniface mostrava ai collaboratori o al monitor televisivo, il palmo della mano rivolto verso l’alto, gesto che significava: “Agite a vostra discrezione. Decidete secondo il vostro giudizio”. Non avrebbero dovuto chiedere il suo parere su questioni simili. Era chiaro che essendo lui il Sommo Gerarca tutti desideravano la sua approvazione, ma ora perfino uomini capaci come Jomald esitavano nel prendere le decisioni; erano tutti troppo servili e sottomessi nei suoi confronti.
Tuttavia, all’ultima richiesta di istruzioni Goniface rispose.
— Date ordine alla nave di soccorso da Luciferopoli di attraccare a Landa Maledetta, dietro il Santuario di Megateopoli in modo che tutti i cittadini possano vederla. Preparatevi a fornire assistenza immediata per lo sbarco.
Che la Gerarchia stesse invecchiando, si domandò Goniface, mentre un’altra parte della sua mente si concentrava sulle emergenze del momento. Forse la classe clericale stava perdendo il suo antico nerbo, la sua determinazione, il suo freddo amore per il potere? Gli sembrava di cogliere ovunque una velata tendenza al lassismo, alla rinuncia, alla fuga dalla realtà, come se ormai la maggior parte dei sacerdoti agisse soltanto per forza d’abitudine o per sterile senso del dovere.
Paradossalmente, lo irritava il fatto di non essere più circondato da rivali invidiosi e decisi a contendergli il potere con ogni mezzo. Il Sommo Concilio non era più quello di una volta, quando ogni arciprete mirava ad accrescere il proprio prestigio e la propria autorità, quando ogni riunione si trasformava in un avvincente duello di intelletti.
Non esisteva più quella appassionata eppure realistica lotta per il potere che aveva rappresentato una delle principali forzi motrici della Gerarchia. Il suo principale rivale, Frejeris, era uscito di scena, era praticamente morto, e lui sapeva che anche il più agguerrito dei suoi compagni realisti aveva rinunciato all’idea di contendergli lo scettro. Insomma, lo avevano accettato tutti di buon grado come il loro capo: era seduto da solo sul trono di Sommo Gerarca e nessuno sembrava intenzionato a spodestarlo.
Stranamente, era invece nel suo infido agente Jarles che, negli ultimi tempi, Goniface aveva percepito un’avidità e una spinta interiore molto simile alla sua, anche se meno raffinata e più ingenua. Non vedeva l’ora che Jarles arrivasse. Il pensiero di avere accanto a sé quel galletto sleale che nel suo intimo lo invidiava, gli procurava un oscuro brivido di piacere. Chissà, magari una volta superata quella crisi, Fratello Dhomas sarebbe riuscito a fabbricare altre personalità simili a quella, giusto quanto bastava a restituire alla Gerarchia quella vitalità animalesca e quello spirito di spietato egoismo che aveva perduto.
Che fantasie perverse! Ridicole e anche pericolose nello stato di emergenza in cui si trovavano, in cui disciplina e cieca obbedienza erano essenziali. Le ricacciò, ma non poté impedire che sotto sotto continuassero a solleticare la sua mente.
Notò che lo scranno alla sua sinistra, quello che era solito occupare Sercival era vuoto, e fece cenno con impazienza all’arciprete seduto nel seggio successivo di prendervi posto. Quel buco nella fila faceva pensare immediatamente alla recente scoperta, proprio in seno al Sommo Concilio, di un pericoloso traditore della Gerarchia, e quel ricordo non contribuiva certo a tenere alto il morale dei sacerdoti.
Però, non appena l’arciprete si fu seduto accanto a lui, Goniface si pentì della sua decisione. Qualcosa nella sua mente si ostinava a voler trasformare il viso paffuto dell’uomo in quello magro e rapace di Sercival. E poi restava sempre un posto vuoto…
Qual era stato, dopo tutto, l’obiettivo di Sercival-Asmodeo? Goniface avrebbe dato l’anima per conoscere la risposta a quella domanda, la stessa risposta che in punto di morte il Vecchio Fanatico gli aveva negato. Perché aveva fatto in modo che Goniface si impadronisse del potere supremo? Aveva forse previsto il senso di inutilità che lo avrebbe assalito una volta diventato signore del mondo? La cancrena dell’obbedienza servile che avrebbe cominciato a corrodere ogni membro della Gerarchia?
Ma soprattutto, perché Sercival era morto fingendo di credere nell’esistenza di un’entità soprannaturale? Che in fondo, data la veneranda età, Sercival fosse solo un vecchio pazzo? No, impossibile. Il capo della Stregoneria si era sempre dimostrato un uomo pieno di risorse, incredibilmente energico e audace. Bisognava dedurne che il vecchio Fanatico si fosse comportato così per difendere il prestigio della Stregoneria e tentare fino all’ultimo di instillare nel Sommo Concilio il seme del dubbio. Ma Goniface sapeva per esperienza che un uomo che sta per morire non recita una parte, per lo meno non in modo tanto convincente!
E invece Sercival aveva dato l’impressione di essere così diabolicamente sincero! “Satanas… accogli… il… mi… o spirito…” Era possibile che se Sercival credeva in quel che aveva detto, avesse una ragione per farlo? Dopo tutto, il vero scettico non ha motivo di rifiutare l’ipotesi che il cosmo sia un insieme di forze diaboliche piuttosto che di elettroni privi di anima. La mente scettica non può scartare nessuna eventualità, neppure la più fantasiosa. Tutto è subordinato alla prova, alla dimostrazione empirica.
E se Sercival avesse avuto accesso a fonti del sapere dal quale gli altri uomini erano esclusi? E se dietro l’apparato scientifico della Stregoneria, apparentemente identico a quello della Gerarchia, ci fosse stato qualcos’altro? L’impiego di un’avanzata tecnologia scientifica non provava un bel nulla. Non c’era ragione per cui le forze del male non potessero decidere di servirsene per raggiungere i propri scopi.
Ma quelle riflessioni tarlate di dubbi furono di colpo spazzate via dal sopraggiungere degli ultimi rapporti da Neodolos. La situazione stava rapidamente precipitando. Oltre la metà dei sacerdoti era incapacitata ad agire, paralizzata dal panico o da più sottili accessi di paura. Orribili fantasmi percorrevano i corridoi del Santuario come se fossero i padroni della città, mentre voci invisibili terrorizzavano preti e diaconi con spaventose minacce.
Neodolos era la prima delle città chiave della terra a giungere allo scontro finale con la Stregoneria; e perciò era anche la prima in cui sarebbero state attuate le contromisure messe a punto dal Sommo Gerarca. Insomma, una sorta di prova generale di quello che, da un momento all’altro, sarebbe potuto accadere anche a Megateopoli. Pur senza distrarsi neanche per un attimo dal loro lavoro, tutti i sacerdoti del Centro di Telecomunicazione erano consapevoli dei messaggi che balenavano a intervalli sempre più brevi sul televisore collegato al Santuario di Neodolos. E, a seconda del tenore delle notizie, il loro morale scendeva o saliva alle stelle.
— Centro di Controllo di Neodolos chiama Centro di Telecomunicazione. Problemi alla Centrale Energetica. Due tecnici non rispondono più. Chiederemo ulteriori dettagli.
— Rapporto di una staffetta: al centro di Controllo della Cattedrale si starebbero verificando strane apparizioni. Le sole notizie in nostro possesso parlano di sagome umane che accompagnano i fantasmi. I tecnici sono fuggiti.
— Ho ordinato un piccolo contrattacco, come da vostre istruzioni. Non riesco a mettermi in contatto con la Centrale Energetica. I diaconi che hanno bisogno di ricaricare le verghe dell’ira non riescono a raggiungere l’armeria.
— Calo di energia. Attivati i gruppi elettrogeni di emergenza. Una staffetta riferisce di costruzioni diaboliche atterrate all’Osservatorio numero Uno.
— La Centrale Energetica non risponde ancora. Subbuglio al Centro di Controllo. Tre arresti.
— Luci che vanno e vengono. Sta per mancare l’elettricità. Centro di Controllo invaso da sacerdoti che fuggono da qualcosa nel corridoio esterno.
— Buio completo! Stiamo lavorando alla luce delle torce portatili. Ho ordinato il contrattacco generale. Le porte del Centro di Controllo si sono aperte… Sagome grigie…
Il televisore si spense.
La tristezza e lo scoramento che quell’ultimo messaggio aveva portato al Centro di Telecomunicazione erano tangibili. Un’ondata di fatalistica rassegnazione aveva invaso la sala e, benché le operazioni continuassero senza sosta, i gesti dei sacerdoti erano diventati frenetici e nei loro occhi si leggeva un’aria di cupa disperazione.
— Il Centro di Controllo di Neodolos chiama il Centro di Telecomunicazione. Il contrattacco ha avuto esito positivo al Centro di Controllo e alla Centrale Energetica! Molti i nemici uccisi. Gli altri si stanno ritirando. Si segnalano numerosi sabotaggi alla Centrale Energetica, ma una delle batterie atomiche è ancora in funzione. Nessuna notizia ancora dal Centro di Controllo della Cattedrale, né dall’Osservatorio numero Uno. Le scaramucce continuano. Appena giungeranno altri rapporti ve li faremo pervenire.
Per i sacerdoti del Centro di Telecomunicazione fu come se fosse stata sospesa la pena capitale che pendeva sulle loro teste. All’improvviso, sembrò che la sala fosse stata inondata da stimolazioni parasimpatiche. E sulla carta geografica il grande punto che rappresentava Neodolos da nero ritornò rapidamente rosso.
Goniface era moderatamente soddisfatto. Le contromisure da lui ideate si stavano dimostrando efficaci. Erano molto semplici e si basavano su un unico, incontrovertibile, dato di fatto: fino a quando la Gerarchia riusciva a controllare i centri nevralgici dei principali Santuari, soprattutto le centrali energetiche, la vittoria era assicurata. Analogamente, se voleva vincere, la Stregoneria non poteva limitarsi a far ricorso alle armi psicologiche, anche se rappresentavano la sua principale risorsa tattica, ma doveva cercare di espugnare fisicamente i centri del potere. Ed era proprio in quella fase dello scontro che streghe e stregoni si dimostravano vulnerabili alle azioni di contrattacco o alle imboscate tese da un’insospettata seconda linea di difesa, nei cui confronti la Stregoneria non era preparata ad attuare alcuna strategia di terrore.
A Neodolos quel piano sembrava aver funzionato.
Eppure, se si guardava attorno e scrutava i volti dei sacerdoti del Centro di Telecomunicazione, Goniface aveva la sgradevole sensazione che i conti non tornassero. Nonostante, come ovvio, l’esito della battaglia di Neodolos li avesse rinfrancati, il Sommo Gerarca percepiva nel fondo dei loro cuori una certa delusione; come se, sotto sotto, avessero preferito vedere la città cadere in mano ai nemici, come se, cedendo a uno scuro moto di paura e di stanchezza, avessero auspicato la disfatta stessa della Gerarchia.
Confusamente, nei recessi della sua mente, Goniface intuì che quello a cui aveva assistito era l’ultimo vero trionfo della Gerarchia.
Adesso la fortuna sembrava dalla loro parte, la vittoria era a portata di mano, ma non aveva più alcuna importanza. Dopo un’esordio incerto e infausto, la Gerarchia era finalmente riuscita a rovesciare le sorti dello scontro, ma anche quello non aveva più importanza. Che vincesse o che perdesse, il suo momento di splendore era passato. Da quel giorno, la più perfetta forma di governo che il mondo avesse mai conosciuto sarebbe entrata in una fase di inesorabile declino. Forse altri uomini ambiziosi avrebbero calpestato la terra e la lotta per il potere si sarebbe riaccesa. Ma sarebbero state ambizioni di second’ordine e lotte di second’ordine.
L’ultimo grande atto si era compiuto davanti ai suoi occhi, e anche in quello il Sommo Gerarca aveva percepito un sussulto disperato e spasmodico, un guizzo subito svanito nel nulla: come l’ultima corsa di un carnivoro morente o l’ultimo sforzo fisico che un uomo compie prima di soccombere alla vecchiaia e rassegnarsi a una più parca amministrazione delle proprie energie.
Inesorabilmente, nei recessi della sua mente, Goniface fu costretto a prendere atto dell’analogia fra la sua carriera e quell’ultimo capitolo della storia della Gerarchia. Perché anche la sua ascesa al potere era stata un’avventura disperata e spasmodica. E adesso, ripercorrendone a ritroso le tappe, gli appariva anche incredibilmente irreale. Un ragazzo disgraziato, figlio di una Sorella Perduta e di un prete, costretto a portare il cognome della madre, bandito per sempre dalla Gerarchia, il più miserabile dei miserabili. Knowles Satrick: un ragazzo apparentemente senza nerbo, che si segregava dal mondo, quanto era concesso a un figlio del popolo; che odiava ciecamente la sua famiglia, e soprattutto sua madre che lo aveva tradito nel momento stesso in cui lo aveva messo al mondo, e che dalla sua famiglia riceveva, a sua volta, soltanto disprezzo. Ma nell’animo di quell’infelice ragazzo covavano un’ambizione e un risentimento così forti che avevano agito nella sua vita come forze del destino. Aveva ucciso molte persone per celare il proprio passato, ma non erano stati crimini comuni i suoi… Era stato come se la mano stessa del fato avesse somministrato il veleno alle sue vittime o brandito il coltello contro i suoi nemici. La sua ambizione gli aveva consentito di fare molta strada. Da quando era entrato come novizio nella Gerarchia a Megateopoli, la sua scalata al potere era stata straordinariamente rapida: dal Primo al Secondo Circolo, poi dal Secondo al Quarto, dal Quarto al Settimo e infine l’elevazione ad arciprete del Sommo Concilio. E, dopo ogni nuova conquista, la sua ambizione e il suo risentimento si placavano un po’, ma non morivano mai.
Nondimeno si rendeva conto che quello non era il modo in cui un uomo conseguiva il potere in uno stato sano e forte. La sua carriera assomigliava piuttosto al compimento di un’oscura profezia, alla marcia furtiva e fatale di un assassino.
E adesso che era arrivato all’apice, adesso che in cima alla piramide aveva creato un nuovo vertice tutto per sé, il suo impulso di salire ancora più in alto non lo abbandonava ancora. Ma la scala non aveva più gradini: davanti a lui c’era solo il vuoto. E se si voltava a guardare dietro di sé vedeva un identico vuoto, perché nessuno si stava arrampicando per raggiungerlo, nessun ambizioso successore con cui misurarsi. Perfino la Stregoneria ormai era vinta.
Inevitabilmente, nei recessi della sua mente, che via via si dilatavano fino a occupare tutto lo spazio dei suoi pensieri, Goniface fu costretto a ripiegarsi su se stesso, a ritornare alle proprie origini, quasi per completare un misterioso cerchio. I suoi ricordi lo trascinarono indietro nel tempo, ai giorni della sua giovinezza che con tanta sollecitudine si era premurato di cancellare. Ripensò alla creatura maligna, irresponsabile e infinitamente sognatrice che era stata sua madre. Al suo fratellastro scemo… Ma soprattutto a sua sorella Geryl. Lei era la sola che gli assomigliasse un po’, per la sua determinazione e una certa vena malinconica del temperamento. E forse era ancora viva; la somiglianza che aveva notato nell’immagine solidografica della strega Sharlson Naurya non lasciava pressoché dubbi. Il pensiero che fosse riuscita a scampare miracolosamente alla trappola mortale che lui le aveva teso e che da quel giorno avesse consacrato ogni minuto della sua vita a tramare contro di lui, gli procurava un’oscura soddisfazione… lo stesso tipo di soddisfazione che provava pensando alla gelosia e all’invidia di Jarles.
Knowles Satrick. Knowles Satrick. Quel nome continuava a riecheggiargli nella mente come una voce proveniente dal profondo del tempo. Torna indietro, Knowles Satrick. Sei arrivato fin dove potevi. Ritorna. Chiudi il cerchio.
C’era qualcosa di stranamente reale in quella voce. E una suggestione ipnotica in quel nome ripetuto all’infinito, come un punto di luce lampeggiante nell’oscurità. Sembrava iscriversi nella sua mente in antiche lettere nere, indelebili. Riscuotendosi con un sussulto, come un uomo che stia per assopirsi, Goniface si rese conto che il suo primo segretario gli stava parlando.
— Il Centro di Controllo del nostro Santuario desidera comunicare con voi. Ci sono due distinti messaggi. Immagino vogliate occuparvene personalmente. Li faccio apparire sul suo teleschermo?
Il Sommo Gerarca annuì. Il volto familiare del Direttore del Centro di Controllo apparve sul video. Era incupito, sembrava sconvolto.
— Abbiamo rintracciato Cugino Deth. Il suo corpo è stato rinvenuto nella prigione sussidiaria. Aveva il viso completamente ustionato, ma l’identificazione è certa. Anche alcune guardie sono morte, colpite dal raggio dell’ira. Le altre erano paralizzate. Le celle sono vuote e non c’è traccia dei prigionieri.
Per un attimo Goniface provò soltanto una specie di stanchezza, come se quelle notizie gli fossero già note da tempo. Deth se ne è andato, Knowles Satrick, sembrò dire la voce. Il piccolo diacono non riderà più dei tuoi nemici. Ma non importa; ha adempiuto il suo compito. Tu non hai più bisogno di lui adesso. Sei arrivato dove volevi e non puoi andare oltre. La sola cosa che ti resta da fare è tornare indietro. Torna indietro Knowles Satrick.
Quella voce produceva su di lui un effetto stranissimo, come se lo stesse tirando per la veste, come se lo stesse trascinando in una direzione imprecisata… forse indietro nel tempo. Con un grande sforzo ricacciò quel pensiero e cercò di concentrarsi su quello che il sacerdote stava dicendo. E così i prigionieri erano fuggiti dal Santuario? Quello spiegava perché in quell’ultima ora il piano d’attacco della Stregoneria era sembrato meglio organizzato; aveva ritrovato una parte dei propri capi. Ma che cosa importava? A Neodolos la Gerarchia stava vincendo. Stava battendo la Stregoneria, nonostante adesso quest’ultima disponesse di comandanti più abili.
Sentì la propria voce rivolgere una domanda al Direttore del Centro di Controllo del Santuario. — Nessuna notizia di Fratello Jarles, il sacerdote del Quarto Circolo?
Il volto sullo schermo si incupì vieppiù. — Sì, reverenza, e si tratta di notizie davvero sorprendenti. Dopo essere ritornata in sé, una delle guardie e ha raccontato che è stato proprio Jarles a organizzare la fuga! Appena possibile vi comunicherò le versioni date dalle altre guardie.
La conversazione era finita e il video si spense. Goniface non provava alcun rancore verso Jarles per il suo tradimento, né alcuna rabbia verso se stesso per aver confidato troppo nell’operato di Fratello Dhomas; solo una leggera delusione.
Anche Jarles se ne è andato, riprese la voce. Ma che cosa importa? Se ne sono andati tutti, oppure non hanno più importanza. Niente ha più importanza. Ritorna indietro, Knowles Satrick. Chiudi il cerchio.
Quel mare di strani pensieri aveva inghiottito tutta la sua mente, benché una parte del suo cervello fosse ancora impegnata ad ascoltare i rapporti, a studiare la carta geografica, a trasmettere ordini, a dare o rifiutare consigli. Le questioni della Gerarchia gli sembravano molto lontane, futili, come se tutto stesse accadendo in un flusso temporale secondario. Solo il mistero del suo personale destino aveva importanza. Knowles Satrick… Knowles Satrick. Avrebbe seguito molto volentieri quella voce se solo fosse riuscito a capire in quale direzione lo stava chiamando… e se era una direzione in cui un uomo poteva seguirla…
Il viso di un sacerdote dei circoli inferiori apparve sullo schermo. In quel momento Goniface si ricordò vagamente che il suo segretario gli aveva parlato di una seconda comunicazione dal Centro di Controllo del Santuario. Appena vide il Sommo Gerarca, il prete trasalì e fece un balzo indietro. Poi, temendo che quel comportamento potesse venire interpretato come un affronto, si profuse in scuse.
— Chiedo perdono suprema eminenza. Ma nonostante quanto mi avevano riferito, ero certo che l’eminenza vostra non potesse trovarsi al Centro di Telecomunicazione. Io sono addetto alle comunicazioni provenienti dal settore del Santuario in cui si trovano i vostri appartamenti e da alcuni minuti dal vostro studio mi stanno pervenendo alcuni messaggi. In precedenza avevo già avuto l’onore di sentire vostra eminenza parlare, ed ero certo di averne riconosciuta la voce, anche se la trasmissione era un po’ disturbata…
— Che genere di messaggi? — domandò Goniface.
— È proprio questo il fatto strano, eminenza. È solo un nome. Ripetuto in continuazione. Il nome di un cittadino comune. Knowles Satrick.
Nello stato allucinatorio, quasi di trance in cui si trovava, a Goniface quella spaventosa coincidenza non parve tale. Era una cosa che, adesso se ne rendeva conto, aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe accaduta. E così la voce lo stava chiamando semplicemente nel suo appartamento? Si era aspettato un viaggio molto più lungo-Ma ciò che lo stupì un po’ fu il tono indifferente con cui si rivolse al sacerdote e gli chiese: — Hai detto di aver sentito la mia voce parlare dalle mie stanze? Non hai visto il mio viso sul tuo schermo?
— No, suprema eminenza, ma ho visto un’altra cosa, una cosa che mi ha lasciato perplesso. Adesso gliela mostro, se è ancora lì.
Il volto del sacerdote scomparve dal video, che per un attimo rimase vuoto. Ma pochi istanti dopo Goniface vide la sua scrivania e sullo sfondo le alte stanze del suo appartamento. In primo piano, appoggiato a qualche sostegno, in modo che la sua immagine riempisse lo schermo televisivo, c’era un foglio oblungo di carta grigia, del genere usato dai comuni cittadini. In cima al foglio, Goniface riconobbe le lettere arcaiche che aveva già visto impresse nella sua mente: Knowles Satrick.
Goniface si alzò e fece cenno a Jomald di prendere il suo posto. Si sentiva molto calmo. Il fatto di recarsi nel suo appartamento per vedere che cosa ci fosse scritto sul retro del foglio gli sembrava la cosa più naturale del mondo. Più che naturale. Inevitabile. Preordinata.
Fuori dalla porta della galleria, i diaconi della sua scorta si alzarono per accompagnarlo, ma lui scosse la testa. Quello era un viaggio che doveva compiere da solo. Mentre percorreva i corridoi si rese conto di muoversi in un flusso temporale completamente diverso da quello in cui si affannavano i preti frettolosi e scuri in volto in cui si imbatteva. Un flusso temporale che andava a ritroso.
Stai ritornando, Knowles Satrick. Il cerchio sta per chiudersi. È stato un viaggio molto lungo, Knowles Satrick, ma adesso stai ritornando a casa.
Entrò nel suo appartamento. Sulla soglia di una delle stanze interne vide una donna che indossava la semplice tunica dei cittadini comuni. Nonostante l’oscurità riuscì a discernerne perfettamente i tratti del volto, come se la sua pelle emanasse un lieve bagliore. Era la strega Sharlson Naurya. E, poiché la somiglianza era inconfutabile, era anche sua sorella Geryl.
Per un attimo Goniface uscì dallo stato di trance in cui si trovava e riacquistò piena lucidità di pensiero. Ma in nome della ragione, che cosa aveva fatto? Era caduto nella trappola della Stregoneria.
La sua vecchia natura riprese il sopravvento. Abbozzò un sorriso. Dunque quello era il modo in cui la Stregoneria sperava di spaventarlo e di sconfiggerlo? Indubbiamente era riuscita a tendergli una trappola, una trappola psicologica, ma non abbastanza efficace.
Protese la mano e dalle dita guantate balenò un raggio di energia viola. Per un terribile istante, la figura non sembrò risentirne affatto. Poi la veste di tela grezza prese fuoco, il volto si annerì e, sfigurato dalle fiamme, il corpo crollò all’interno della stanza, fuori dal suo campo visivo. L’odore di carne bruciata gli riempì le narici.
Per un attimo il Sommo Gerarca assaporò il piacere di un grande trionfo personale. Era riuscito a sconfiggere il suo passato, ritornato a inghiottirlo. Aveva commesso l’ultimo omicidio, tardi forse, ma in tempo per chiudere quella partita a suo favore. Il suo passato era morto per sempre. La voce che insisteva ancora nel chiamarlo indietro non aveva più alcun ascendente su di lui.
Ma, quasi in quello stesso istante, si rese conto che quella sua vittoria non era reale. Che quella era stata la sua Neodolos: l’ultima grande vampata di un fuoco destinato a spegnersi.
Perché dalla stanza, con passo leggero, uscì Geryl, il corpo che le fiamme avevano avvolto, perfettamente integro, la tunica di tela grezza intatta.
E, dietro di lei, procedeva il più strano dei cortei. Un’anziana donna macilenta che zoppicava appoggiata a una stampella. Un sacerdote ancor più vecchio, con le guance un tempo piene, molli e cascanti. Un cittadino comune dall’aria ottusa e imbronciata un po’ più vecchio di lui. Un altro sacerdote e molti altri cittadini comuni, per lo più molto anziani.
Il cerchio si è chiuso, Knowles Satrick. È tutto finito. È quasi come se niente fosse mai accaduto.
Perché quel silenzioso corteo era composto dalle persone che lui aveva assassinato. Ma non erano come lui le ricordava, com’erano nel momento in cui erano morte; se così fosse stato, lui avrebbe subito pensato a qualche trucco astuto, e avrebbe trovato la forza di reagire.
Come Geryl, erano tutti come sarebbero stati se non fossero morti, ma come se fossero sopravvissuti e fossero invecchiati normalmente fino a quel giorno. Quelli non erano fantasmi evanescenti, ma spettri reali di un inferno concreto, l’inferno di un altro flusso temporale che l’aveva risucchiato nel suo gorgo. Lui non aveva ucciso nessuno, le sue azioni erano state cancellate. Oppure lui li aveva uccisi davvero, ma loro avevano continuato a vivere… altrove.
Asmodeo aveva ragione. Dietro l’apparato scientifico della Stregoneria si celava qualcos’altro. E quel qualcos’altro era orribile.
Le figure del corteo si disposero in circolo attorno a lui, che si era messo dietro la scrivania, e lo fissarono con freddezza, ma senza odio.
Goniface notò che i contorni della stanza erano mutati: le masse d’ombra erano diverse…
Un ultimo, disperato barlume di scetticismo: forse le persone che lui vedeva erano soltanto proiezioni telesolidografiche realizzate con diabolica astuzia. Con uno sforzo che sapeva non sarebbe stato più in grado di ripetere, protese alla cieca una mano e toccò la creatura che gli era più vicina… Geryl.
Le sue dita incontrarono una carne piena, viva.
Allora l’Inferno si chiuse intorno a lui, con il fragore metallico della porta di un carcere.
Non provò tanto terrore o colpa, benché in un certo senso fosse afflitto dall’espressione più alta di entrambi i sentimenti, quanto piuttosto un senso generale di fatale predestinazione, la resa totale della sua volontà, perché si trovava al cospetto di forze che vanificavano tutte le conquiste della volontà.
Il teleschermo di fronte a lui si illuminò. Gli ci volle qualche istante per riconoscere il volto di Fratello Jomald e qualche altro istante per ricordare chi fosse. Ma anche dopo, per Goniface fu come guardare un’immagine che assomigliava a qualcuno che aveva conosciuto tanto, tanto tempo prima, in un’altra vita.
— Eminenza. Eravamo tutti preoccupati per la vostra incolumità. Nessuno sapeva dove eravate andato. Potete ritornare subito al Centro di Telecomunicazione? C’è un’emergenza.
— No, resterò dove sono — rispose Goniface quasi con un moto di impazienza. Che creatura futile e chiacchierona era quel fantasma! — Fammi le domande che devi.
— Molto bene, eminenza. A Neodolos la situazione è di nuovo critica. Non è stata la piena vittoria che sembrava all’inizio. Dopo i primi successi i sacerdoti non sono più riusciti a conseguirne altri. La Centrale Energetica rischia di cadere nuovamente in mano al nemico. Nel frattempo, anche Mesodelfi e Neotepoli sono state invase. Visto quanto è accaduto a Neodolos, dobbiamo ordinare il contrattacco anche in quei Santuari?
Con grande fatica, Goniface si concentrò sui problemi di quell’evanescente flusso temporale in cui la Gerarchia stava morendo. Ma gli sembravano lontani come se appartenessero a un altro universo.
Sollevò lo sguardo sul cerchio di vecchi volti che lo attorniavano. Nessuno parlò, ma scossero tutti insieme la testa. In particolare, Goniface notò il tremulo cenno di diniego di sua madre, sparuta creatura che gli anni avevano reso tanto fragile. Lo conosceva così bene.
Avevano ragione. La Gerarchia stava agonizzando in quell’altro flusso temporale, dal quale anche lui era svanito. Ed era meglio che la sua fine fosse rapida.
— Sospendi il contrattacco. — Quelle parole scaturirono senza alcuna fatica dalle sue labbra. — Annulla tutte le operazioni… fino a domani.
Ma per quel flusso temporale morente non ci sarebbe stato nessun domani.
Seguì quella che a Goniface sembrò un’inutile e noiosa discussione con lo spettro di Fratello Jomald. Ma Goniface insistette, perché sentiva che la scomparsa della Gerarchia era una conseguenza necessaria ed essenziale della sua stessa scomparsa. Anche per la Gerarchia doveva chiudersi il cerchio. Anch’essa doveva ritornare alle proprie origini.
E per tutto il tempo, dietro le obiezioni di Jomald, Goniface percepì, in modo confuso, come si trattasse di un’emozione provata in una vita precedente, la volontà di farla finita con tutte le lotte e tutte le tensioni, e un sentimento di gratitudine, perché la fine era ormai prossima.
Dopo un po’ Jomald disse: — Obbedirò ai vostri ordini, ma non posso assumermi da solo questa responsabilità. Dovete parlare al Sommo Concilio e al Personale del Centro di Telecomunicazione.
Dopo una manciata di secondi sullo schermo apparve una piccola immagine del Centro. Sembrava che tutti quei fantasmi nani lo stessero guardando.
— Sospendete il contrattacco — ripeté il Sommo Gerarca. — Annullate tutte le operazioni fino a domani.
Gli parve strano che quel mondo di fantasmi fosse ancora vivo e ancor più strano che il nome spettrale di Goniface significasse così tanto per loro.
Seguirono altri messaggi da parte di Jomald. Messaggi che con una monotona regolarità decretavano la sconfitta della Gerarchia. Crescente scoramento. La tragedia di un flusso temporale agonizzante.
Poi, alla fine, l’ultimo, spaventato e futile grido di aiuto.
— Non riusciamo più a comunicare con il Centro di Controllo della Cattedrale di Megateopoli. L’Osservatorio numero Uno informa che i fulmini di guerra della Cattedrale hanno cessato il fuoco. Osservatorio numero Uno isolato. Devo ordinare il contrattacco?
Per l’ultima volta Goniface sollevò lo sguardo sul circolo di volti rugosi. Ma sapeva già che la loro risposta sarebbe stata “No”, e che quella sarebbe stata anche la sua risposta all’affannosa domanda di Jomald. Questa volta notò, in particolare, il movimento pendolare della testa calva del vecchio prete, il suo primo confessore.
— Disordini al Centro di Controllo del Santuario. Luci che vanno e vengono. Numerosi sacerdoti stanno cercando scampo nel Centro di Controllo: dicono che una tenebra con gli occhi ha invaso i corridoi e ha cercato di inghiottirli. Contrattacco?
Ma Goniface era assorto nei suoi pensieri. Stava riflettendo sull’analogia fra il suo destino e quello della Gerarchia e dei suoi preti. Che avessero ucciso i propri famigliari sopprimendoli di fatto o soltanto nel loro cuore non faceva alcuna differenza.
Li avevano traditi e li avevano abbandonati per rincorrere il potere e i piaceri di una classe tiranna e sterile.
— Le porte si sono spalancate. È sparita la luce. Devo ordinare…
Goniface non rispose. Quando il teleschermo si oscurò, non perché si fosse spento, quando gli sembrò che quel flusso temporale fosse morto, il suo senso di rassegnazione fu completo.
Non sapeva che nei recessi più profondi della sua mente stava opponendo l’ultima disperata difesa contro le forze che l’avevano sopraffatto.