Fritz Leiber L’alba delle tenebre

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Fratello Jarles, sacerdote del Primo ed Estremo Circolo, novizio della Gerarchia, deglutì a più riprese per soffocare la rabbia e fece uno sforzo supremo per imporsi una maschera sul viso, non solo per celare i propri sentimenti al popolo, cosa che veniva insegnata a ogni membro della Gerarchia, ma anche ai suoi confratelli.

Un prete che odiasse la Gerarchia come la odiava lui in quei terribili accessi di rabbia, doveva essere pazzo.

Ma i sacerdoti non potevano impazzire, per lo meno non senza che la Gerarchia, che sapeva ogni cosa, ne fosse a conoscenza.

Questo significava allora che lui era uno spostato? Ma un prete veniva preparato a svolgere il proprio compito con una scrupolosità e una prudenza infinite, i tratti della sua personalità vagliati con la precisione di una sonda atomica. Un sacerdote non poteva odiare il suo lavoro.

No, non c’era altra spiegazione, doveva essere impazzito. E la Gerarchia doveva avergli taciuto la verità per i propri imperscrutabili motivi.

Oppure, era vero l’esatto contrario e lui aveva ragione.

Nell’istante in cui quel pensiero angoscioso prese forma nella sua mente, la Grande Piazza di Megateopoli si offuscò e si dilatò davanti ai suoi occhi. I cittadini comuni divennero indistinte macchie grigiastre; i sacerdoti chiazze scarlatte sormontate dal sano color rosa dei visi ben pasciuti.

Nel tentativo di riacquistare padronanza di sé e pieno controllo delle proprie capacità visive, Fratello Jarles si costrinse a fissare la pietra su cui era inciso l’anno di costruzione di un edificio fabbricato di recente nel settore riservato ai cittadini comuni. La data era quella del “139 G.D…”

Cercò di mantenere la calma facendo un calcolo. L’anno 139 del Grande Dio corrispondeva all’anno 206 dell’Età dell’Oro, se il calendario di quell’epoca fosse stato ancora in vigore. Corrispondeva anche all’anno 360 dell’Era Atomica e, infine, all’anno 2305 della Civiltà dell’Alba e di… quale era il nome di quel dio? ah sì, di Cristo.

— Hamser Chohn, Cittadino del Quinto Distretto! Fa’ un passo avanti, figliolo.

Fratello Jarles fece una smorfia. Nello stato d’animo in cui si trovava il suono di quella voce stridula gli dava ai nervi in maniera insopportabile. Chissà perché lo avevano messo in coppia proprio con Fratello Chulian! E chissà perché, le regole della Gerarchia prescrivevano ai sacerdoti di lavorare sempre in due e mai da soli!

Per la verità, lui la ragione la sapeva. In quel modo potevano spiarsi a vicenda e stendere dettagliati rapporti l’uno sul conto dell’altro. E così la Gerarchia era sempre informata di tutto.

Sforzandosi di non lasciar trapelare le proprie emozioni, Fratello Jarles si voltò. I suoi occhi evitarono automaticamente il volto del quarto cittadino, allineato, insieme agli altri, davanti a lui e a Fratello Chulian.

Quest’ultimo, grasso, gli occhi azzurri, le guance cascanti e il cranio tonsurato, stava consultando le liste di lavoro, stampate con una tecnica rudimentale a uso dei cittadini comuni, i quali non sapevano (e non dovevano sapere) dell’esistenza dei nastri di lettura. In realtà, lui non aveva alcun motivo per odiare Fratello Chulian; era un sacerdote qualsiasi del Secondo Circolo, nient’altro che un bambino presuntuoso.

Eppure si può odiare anche un bambino presuntuoso, quando esercita su un gruppo di adulti i poteri del maestro, del ministro e del genitore.

C’era solo una nota positiva in quella odiosa situazione: quella particolare incombenza, che Jarles trovava tanto sgradevole, sollecitava a tal punto la burbanza di Chulian, che era sempre disposto ad assolverla interamente da solo.

Il piccolo sacerdote grasso sollevò gli occhi dall’elenco per squadrare il robusto giovanotto che, in piedi di fronte a lui, stava nervosamente torcendo fra le mani, grandi e callose, un cappello sformato, movimento che interrompeva ogni due o tre secondi per strofinare a turno le palme contro la stoffa grezza del grembiule.

— Figliolo — riprese la voce stridula in tono benevolo — per i prossimi tre mesi lavorerai nelle miniere. Di conseguenza, il tuo contributo alla Gerarchia sarà ridotto alla mera metà dei tuoi guadagni. Dovrai presentarti a rapporto al diacono responsabile domani mattina all’alba. Hamser Dom!

Il giovanotto deglutì, annuì con un ripetuto cenno del capo e si fece rapidamente da parte.

Jarles sentì di nuovo la rabbia esplodergli dentro. Nelle miniere! Il lavoro in miniera era di gran lunga peggiore di quello nei campi o sulle strade! Di sicuro lo sapeva anche quell’uomo, eppure quando aveva appreso la notizia, aveva rivolto a Fratello Chulian uno sguardo colmo di gratitudine: lo stesso sguardo servile che i vecchi libri attribuivano a un fedele animale domestico del genere Canis, ora estinto.

Jarles distolse gli occhi, evitando ancora una volta di posarli sul volto del cittadino che aveva saltato poco prima, terzo nella fila adesso. Si trattava di una donna.

Il sole che stava tramontando proiettava ombre cupe sulla Grande Piazza. La folla si stava lentamente diradando; ormai erano rimaste solo poche decine di popolani, ancora in attesa di sapere quale lavoro la Gerarchia avesse assegnato loro. Qua e là, chi in grembiule, chi in blusa, gli altri cittadini (gli uomini con mollettiere malfatte, le donne con gonne pesanti) radunavano quel che restava dei manufatti che avevano portato con sé per venderli o barattarli; se li caricavano in spalla o li sistemavano sul dorso di piccoli muli robusti, e poi si avviavano lentamente verso le viuzze lastricate di ciottoli che conducevano alle loro case. Alcuni indossavano cappelli a tesa larga di feltro grezzo, altri si erano già tirati su il cappuccio, anche se non era ancora calato il freddo della sera.

Volgendo lo sguardo verso il settore della città di Megateopoli in cui abitavano i cittadini comuni, a Jarles ritornarono in mente le illustrazioni delle città dei Secoli Bui, o Medio Evo, o qualunque altro nome fosse stato dato a quell’epoca della Civiltà dell’Alba. La sola differenza era che lì le case erano per lo più a un solo piano e prive di finestre, e tutte molto linde e ben tenute. Benché lui fosse solo un sacerdote del Primo Circolo, sapeva che quella somiglianza non era una semplice coincidenza. La Gerarchia non lasciava mai nulla al caso: aveva una ragione per ogni cosa.

Una vecchia donna, vestita di stracci e con un cappello a punta calcato sulla testa, si allontanò zoppicando. Al suo passaggio, gli altri cittadini si fecero di lato. Un ragazzino urlò: — Madre Jujy! Strega! Strega! — Poi le lanciò una pietra e corse via. Jarles, invece, le rivolse un debole sorriso. Lei lo ricambiò, storcendo le labbra rugose in una sgradevole smorfia che le scoprì le gengive sdentate e per poco non portò il naso adunco a toccare il mento sporgente. Dopodiché, riprese il cammino, saggiando l’acciottolato con il bastone per non inciampare.

Come per magia, la parte opposta di Megateopoli era completamente diversa. Lì sorgevano i grandiosi edifici del Santuario, sormontati dalla straordinaria struttura della Cattedrale, che si affacciava sulla Grande Piazza.

Jarles sollevò lo sguardo sul Grande Dio e, per un attimo, sentì farsi strada fra la rabbia una punta di quel timore riverenziale che quell’immenso idolo aveva suscitato in lui da bambino, molti anni prima che superasse le prove e venisse iniziato ai segreti della casta sacerdotale. Era possibile che con quei suoi enormi occhi inquisitori, sotto le sopracciglia vagamente aggrottate, il Grande Dio fosse in grado di vedere la sua ira blasfema? Ma una simile fantasia superstiziosa era indegna persino di un novizio della Gerarchia.

Anche senza l’effigie del Grande Dio, la Cattedrale era un edificio imponente, con le sue ciclopiche colonne e le finestre ogivali alte come pini. Ma là dove ci si sarebbe aspettati di vedere svettare un campanile o un paio di torri, iniziava la statua del dio, rappresentato nella parte superiore da una gigantesca figura umana, terribile nella sua dignità e nella sua serenità. Ma il busto titanico non stonava affatto con il fabbricato sottostante, sia perché era stato realizzato nella medesima materia plastica grigia, sia perché le ampie pieghe del drappeggio confluivano a formare le colonne della Cattedrale stessa.

La figura del Grande Dio dominava tutta Megateopoli, come un possente centauro: non c’era strada o vicolo da cui non se ne scorgesse il profilo severo ma benigno, circonfuso da una sfavillante aureola di luce blu.

Si aveva la sensazione che il Grande Dio studiasse minuziosamente ogni pigmeo che attraversava la Grande Piazza come se, in qualsiasi momento, potesse chinarsi e afferrarne uno per esaminarlo più da vicino.

“Come se”? Ma per i cittadini comuni di Megateopoli quella non era una semplice ipotesi, ma una certezza!

Eppure, la vista di quella statua massiccia non suscitò in Jarles neppure un pizzico di orgoglio per la gloria e la grandezza della Gerarchia, o per la sua personale fortuna di esserne stato eletto membro. Al contrario, la sua rabbia crebbe ancor di più, trasformandosi in un’insopportabile corazza che soffocava le sue emozioni, rossa e opprimente come la veste scarlatta che indossava.

— Sharlson Naurya! — cinguettò Fratello Chulian.

Jarles trasalì. Il momento era giunto e all’improvviso lui capì che non avrebbe potuto fare a meno di guardarla. Non farlo, sarebbe stato da vigliacchi. Tutti i novizi faticavano terribilmente a recidere i legami sentimentali che li univano ai cittadini comuni: alla famiglia, agli amici e a chi era più di un semplice amico. Ma doveva affrontare la realtà: Naurya non avrebbe mai potuto significare niente per lui.

Né lui per lei, si rese conto con orrore, mentre girava rapidamente la testa per guardarla in viso. Non dava nemmeno l’impressione di averlo riconosciuto, o quanto meno notato, benché, a eccezione della veste scarlatta e della tonsura, lui fosse sempre lo stesso. Naurya era tranquilla, non mostrava il servile nervosismo degli uomini. Teneva le mani, piene di calli per le lunghe ore trascorse al telaio, intrecciate davanti a sé; il suo viso, reso più pallido dal contrasto con la massa scura dei capelli, non tradiva alcuna emozione, o, per meglio dire, la maschera che si era imposta era assai più impenetrabile della sua. Nondimeno, qualcosa nel suo atteggiamento, forse il modo in cui buttava le spalle all’indietro o la segreta determinazione che si leggeva in fondo ai suoi occhi verdi, trapassò la corazza di rabbia di Jarles e sollecitò il suo cuore.

— Mia cara Naurya — tubò Chulian dandosi molta importanza — ho buone notizie per te. Sappi che ti è stato riservato un grande onore: per i prossimi sei mesi tu servirai nel Santuario.

L’espressione della ragazza non mutò, nessuna emozione filtrò dal suo sguardo, ma non trascorsero che pochi secondi prima che lei rispondesse.

— È un onore troppo grande per me. Io non ne sono degna. Un lavoro santo come questo non si addice a una semplice tessitrice.

— Questo è vero — disse Chulian con paterna condiscendenza, scuotendo energicamente la testa grassa e rasata al di sopra del rigido collare della veste. — Ma la Gerarchia ha la facoltà di innalzare qualunque persona, anche la più umile. E ti ha ritenuta degna di svolgere questo lavoro sacro. Perciò rallegrati figliola e gioisci.

Quando Naurya parlò di nuovo, la sua voce era pacata e grave come nella replica di pochi istanti prima. — Ma io non ne sono degna. Lo sento nel profondo del mio cuore. Non posso farlo.

— Che cosa significa “non posso”? — All’improvviso la voce di Chulian divenne severa e querula al tempo stesso. — Significa forse “non voglio”?

Con un cenno quasi impercettibile del capo, Naurya annuì. Dietro di lei, gli altri cittadini smisero di dimenarsi nervosamente e la guardarono sgranando gli occhi.


Le labbra piccole e grassocce di Fratello Chulian si arricciarono in una smorfia di disappunto. Le sue mani guantate di rosso si contrassero facendo crepitare i fogli che stringeva in mano.

— Ti rendi conto di quello che stai facendo, figliola? Ti rendi conto che stai disobbedendo a un ordine della Gerarchia e del Grande Dio che la Gerarchia serve?

— Sento nel profondo del mio cuore di non essere degna di questo onore. Non posso. — Questa volta il suo cenno d’assenso fu più risoluto e Jarles sentì di nuovo qualcosa pungolargli le costole.

Chulian balzò in piedi dalla panca che condivideva con Jarles. — Nessun cittadino comune può contestare le decisioni della Gerarchia, perché sono giuste! Io qui avverto più di una semplice cocciutaggine, più di una deplorevole ostinazione. Esiste un solo genere di cittadino che teme di entrare nel Santuario. Io qui sento odore di… stregoneria! — proclamò con enfasi teatrale e si batté il petto con il palmo della mano. Contemporaneamente, la sua veste scarlatta si gonfiò e, senza perdere la propria rigidità, si sollevò in ogni punto di una spanna dal suo corpo, con l’effetto, terribilmente grottesco, di farlo assomigliare a un piccione paonazzo e gozzuto. A completare l’opera, un’aureola violetta gli illuminò il cranio rasato.

I cittadini impallidirono. Naurya, invece, si limitò a sorridere debolmente: i suoi occhi verdi sembravano trafiggere la figura dilatata di Chulian.

— E quando se ne sente l’odore poi è facile trovarne le prove! — riprese il piccolo sacerdote, con aria trionfante.

Fece alcuni rapidi passi avanti. Il suo guanto scarlatto e gonfio afferrò la spalla di Naurya senza quasi dare la sensazione di toccarla, ma Jarles vide la ragazza mordersi le labbra per trattenere un gemito. Poi, il guanto scivolò di scatto verso il basso strappando la spessa stoffa del grembiule e scoprendo la spalla.

Tre segni circolari risaltavano sulla pelle candida. Uno era rosso come il fuoco, gli altri si stavano rapidamente imporporando.

A Jarles sembrò di vedere Chulian esitare un attimo e fissarli incredulo, prima di riacquistare padronanza di sé e urlare con voce stridula: — È una strega! È una strega! Eccone le prove!

Jarles si alzò in piedi vacillando. La rabbia gli provocava conati di vomito. Si percosse il petto e avvertì in ogni punto del corpo la pressione interna e uniforme del campo di repulsione, come se si fosse immerso in un bagno di cera calda; con la coda dell’occhio indovinò il bagliore della sua aureola. Poi, con uno scatto improvviso, colpì Chulian con un pugno sul collo.

Benché a prima vista il movimento fosse sembrato lento e incapace di raggiungere il bersaglio, Chulian ruzzolò a terra e rotolò due volte su stesso, la veste sempre larga e tesa fra lui e il terreno, come se si trovasse dentro a un pallone di gomma rossa.

Jarles si percosse nuovamente il petto, la sua tunica si afflosciò e la sua aureola scomparve. In quel medesimo istante, la sua rabbia esplose con violenza, mandando in frantumi la maschera di ipocrisia che si era calato sul viso.

Che lo annientassero pure! Che lo rendessero sordo e cieco con le loro scomuniche! Che lo trascinassero urlante nelle cripte sotto il Santuario! La Gerarchia aveva deciso di lasciare che lui impazzisse senza intervenire. Benissimo! Adesso avrebbero avuto un assaggio della sua follia.

Balzò sulla panca e protese le mani per richiamare l’attenzione dei popolani che ancora gremivano la Piazza.

— Cittadini di Megateopoli!

Quella frase bastò a bloccare l’improvviso fuggi-fuggi scatenato dal panico. Occhi impauriti si voltarono a guardarlo con espressione stupida. Non avevano ancora capito che cosa stesse accadendo, ma quando un sacerdote parlava tutti si fermavano ad ascoltarlo.

— Vi è stato insegnato che l’ignoranza è bene. Io vi dico invece che è male!

“Vi è stato detto che pensare è male. Io invece vi dico che è bene!

“Vi è stato detto che il vostro destino è quello di sgobbare giorno e notte, fino a quando la schiena vi fa così male che temete stia per spezzarsi e le vostre mani si coprono di vesciche. Io invece vi dico che il destino di tutti gli uomini è quello di lottare per un’esistenza migliore!

“Voi avete permesso che i sacerdoti governassero la vostra esistenza. Io invece vi dico che voi stessi dovete prendere le redini della vostra vita!

“Voi credete che i sacerdoti siano dotati di poteri soprannaturali. Io invece vi dico che non hanno poteri che voi stessi non siate in grado di esercitare!

“Voi credete che i sacerdoti vengano scelti per servire il Grande Dio e per trasmettere i suoi ordini. In verità, se mai da qualche parte esiste davvero un dio, ciascuno di voi nel suo cuore di ignorante lo conosce meglio del più potente arciprete.

“Vi è stato insegnato che il Grande Dio governa tutto l’universo, il cielo e la terra. Io invece vi dico che il Grande Dio non esiste!”

Come colpi di frusta, quelle frasi brevi e taglienti sferzavano ogni angolo della Grande Piazza, costringendo gli occhi di tutti verso di lui. Nessuno, però, capiva quelle parole, se non il fatto che erano molto diverse da quelle che venivano solitamente pronunciate dai ministri del culto. Facevano paura. Facevano quasi male. Ma esercitavano una forza di attrazione irresistibile. Ovunque, uomini e donne cercarono con lo sguardo il sacerdote più vicino e, non ricevendo alcun ordine in senso contrario, si affrettarono in direzione di Jarles.

Il quale, adesso, si guardava attorno sconcertato. Era convinto che lo avrebbero zittito all’istante e il suo unico scopo era stato quello di dire più cose possibili, o meglio, di dare finalmente libero sfogo alla sua rabbia, anche se per pochi secondi.

Ma non accadde nulla. Nessuno dei suoi fratelli sacerdoti si precipitò verso di lui, o si comportò come se stesse succedendo qualcosa fuori dall’ordinario. E la sua rabbia implacabile continuò a parlare per lui.

— Cittadini di Megateopoli, quello che sto per chiedervi di fare vi costerà molto. Vi costerà molto più del lavoro in miniera, anche se non vi chiederò di alzare neppure un dito. Voglio che voi ascoltiate le mie parole e che poi le soppesiate per vedere se sono vere, che giudichiate il valore di quanto dico e che agiate di conseguenza. Voi forse non capite neppure il significato di quello che vi sto dicendo, ma dovete sforzarvi di farlo. Soppesare le mie parole per vedere se dico la verità? Significa semplicemente confrontarle con quanto accade nella vostra vita quotidiana, non con quello che vi è stato detto. Giudicare? Significa decidere se volete qualcosa oppure no dopo aver appreso di che cosa si tratta. Io lo so che i preti vi hanno detto che questo è sbagliato, ma voi dimenticatevi dei preti! Dimenticate che io indosso questa veste rossa. E ascoltate, ascoltate!

Adesso era chiaro che la Gerarchia sarebbe intervenuta. Non gli avrebbero permesso di pronunciare una sola parola di più! Senza volerlo sollevò gli occhi sulla statua del Grande Dio. Ma l’idolo, imperturbabile, non prestava alcuna attenzione a quanto accadeva nella Piazza, non più di quanta un essere umano avrebbe potuto prestarne a uno sciame di formiche attorno a un grumo di zucchero.

— Voi tutti conoscete la storia dell’Età dell’Oro — stava già dicendo Jarles, con la voce vibrante di segreti da svelare. — La sentite ripetere tutte le volte che vi recate alla Cattedrale. In origine, il Grande Dio aveva donato a tutti gli uomini poteri divini, affinché potessero vivere come in paradiso, senza faticare né soffrire. Ma con il passare del tempo, nel loro cuore ingrato germogliò il seme dello scontento. Nella loro insoddisfazione, gli uomini pretendevano sempre di più; peccavano in tutti i modi possibili e immaginabili e vivevano nel vizio e nella lussuria. Ciò nonostante, nella sua misericordia, il Grande Dio tratteneva la sua ira, sperando che si pentissero e ritornassero sulla retta via. Ma un giorno, spinti dal loro orgoglio malvagio, gli uomini cercarono di prendere d’assalto il cielo stesso, con tutte le sue stelle. Allora, come i sacerdoti non si stancano mai di ripetervi, il Grande Dio si levò nella sua saggezza e nella sua ira, e separò coloro che avevano peccato dai pochi che ancora obbedivano alle sue sante leggi e riunì questi ultimi nella Gerarchia, concedendo loro poteri soprannaturali ancora più grandi. Gli altri, i peccatori, il Grande Dio li umiliò, li gettò nella polvere e diede alla Gerarchia potere su di loro, cosicché coloro che di propria spontanea volontà non avevano vissuto secondo virtù fossero costretti a farlo con la forza! Poi decretò che la sua Gerarchia scegliesse ogni anno fra gli uomini quelli che per la loro natura giusta e retta fossero degni di accedere al sacerdozio, e condannasse gli altri a una vita di beata ignoranza e di duro lavoro, sotto la guida gentile ma inflessibile, dei preti, che sono la Gerarchia.

Fece una pausa e studiò minuziosamente i volti che lo fissavano.

— Tutto questo voi lo sapete già a memoria, ma nessuno di voi immagina neppure lontanamente quale sia la verità che si cela dietro questa storia!

Se la rabbia non lo avesse spronato a continuare, forse Jarles avrebbe smesso di parlare e se ne sarebbe ritornato nel Santuario e nelle sue cripte, tanto stupida era la reazione dei cittadini, che dimostravano di non capire proprio niente, o peggio, di fraintendere ogni parola. Dapprima si erano mostrati soltanto scioccati e confusi, benché attenti come sempre; poi, quando lui li aveva invitati a riflettere e a giudicare, un’ombra di apprensione aveva offuscato il loro sguardo, come se paventassero che quella tiritera non fosse nient’altro che il preambolo all’assegnazione di qualche nuovo lavoro, più duro, nel senso letterale della parola, di quello nelle miniere. La storia dell’Età dell’Oro li aveva un po’ acquietati, perché la conoscevano bene, ma quell’ultima frase li aveva gettati di nuovo in uno stato di ansioso e ottuso sconcerto.

Ma che cos’altro poteva aspettarsi? Tutt’al più poteva sperare di riuscire a piantare i serpi della dialettica nella testa di uno solo di quei cittadini!

— Un tempo esisteva l’Età dell’Oro, questo è vero, anche se, per quanto ne so io, gli uomini lavoravano e soffrivano anche allora. Ma almeno godevano tutti di un po’ di libertà e stavano per conquistare altri diritti. Ma la strada verso la libertà è irta di pericoli, tanti pericoli, e a un certo punto gli scienziati si spaventarono e… ma voi non sapete nemmeno che cosa sia uno scienziato, vero? Così come non sapete che cosa sia un medico, un avvocato, un giudice, un insegnante, uno studioso, uno statista, un dirigente o un artista. Perché i sacerdoti sono tutte queste cose, perché la Gerarchia ha riunito tutte le professioni, tutte le classi privilegiate in una sola. Voi non sapete esattamente nemmeno che cos’è un sacerdote! Perché dovete sapere che a quei tempi esistevano diverse religioni, intendo dire nell’Età dell’Oro e nelle epoche che l’hanno preceduta; l’uomo ha adorato un dio fin da quando ha cominciato la sua lotta per innalzarsi e per diventare, con l’aiuto delle mani e del cervello, signore di questo pianeta. Ma in quelle religioni i sacerdoti si occupavano solo di cose spirituali e morali, per lo meno nelle epoche della storia in cui erano buoni e saggi. Tutto il resto lo lasciavano nelle mani di uomini che esercitavano altre professioni. E non usavano la forza.

“Ma di questo vi parlerò dopo. Adesso voglio spiegarvi chi erano gli scienziati e come finì l’Età dell’Oro. Uno scienziato è un pensatore, cioè una persona che studia il modo in cui accadono le cose. Lo scienziato osserva le cose: poi, se sa che una certa cosa può accadere e che gli uomini la desiderano, a volte è capace, pensando e lavorando duramente, di far sì che quella determinata cosa accada. Non c’è magia in tutto questo, capite? E gli scienziati non hanno poteri soprannaturali. Loro si limitano a osservare, a pensare e a lavorare.”

A poco a poco Jarles aveva smesso di domandarsi come mai nessuno lo zittisse. Pensava soltanto a scegliere le parole giuste e al modo migliore per ficcarle in testa a quegli uomini e a quelle donne che lo fissavano a bocca aperta. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di vedere i loro occhi illuminarsi!

— A un certo punto, gli scienziati dell’Età dell’Oro cominciarono a temere che l’umanità sarebbe scivolata di nuovo nella barbarie e nell’ignoranza. La loro posizione di membri di una classe privilegiata era minacciata. Così, decisero che per un certo periodo di tempo sarebbe stato loro dovere reggere le sorti del mondo. Ma non erano abbastanza forti per compiere un’azione diretta. Non erano capaci di lottare. Di conseguenza pensarono di imporre una nuova religione, simile a quelle antiche, ma fondata sulla scienza. Nelle religioni antiche, benedizioni e maledizioni agivano attraverso la mente degli uomini, mentre nella religione voluta dagli scienziati agivano direttamente, con la forza!

“Ne volete una prova? Non potete non volerla. Eccola!”

Si portò rapidamente la mano al collare della pesante veste scarlatta e con uno strattone l’aprì fino all’orlo. Apparve un lungo spacco bordato di metallo. Quindi, Jarles fece un passo avanti e uscì dall’involucro rosso; aveva indosso soltanto un paio di calzoncini vermigli. Molti cittadini rabbrividirono e indietreggiarono in preda allo sconcerto. Vedere un sacerdote svestito era una cosa empia e, benché fosse chiaro che aveva fatto tutto da scilo e di sua spontanea volontà, era possibile che la colpa venisse fatta ricadere su di loro.

— Vi è stato insegnato che i ministri del culto sono inviolabili, grazie a un effluvio divino emanato dalla loro santa carne e controllato dalla loro forza di volontà. Guardate!

Con un rapido gesto della mano colpì la veste vuota, che immediatamente si gonfiò, assumendo una vaga sembianza di fungo. Poi la spinse lontano da sé, mandandola a volteggiare in aria e giù dalla panca. I cittadini, spaventati, presero a spintonarsi e ad aggrapparsi gli uni agli altri per paura di venire toccati dall’abito.

Ma dopo aver fluttuato per un po’, la tunica si fermò a circa mezzo metro da terra, rimbalzando leggermente: era in tutto e per tutto simile a un sacerdote sdraiato, completo perfino di guanti rigonfi, con la sola differenza che non vi era alcuna testa tonsurata sotto la terribile aureola violetta, che tutti sapevano essere il segno esteriore dei sacri pensieri dei ministri del Grande Dio.

A poco a poco, i cittadini che si erano allontanati in preda al panico si radunarono in circolo attorno alla veste, a quella che, si auguravano, fosse una distanza sicura e rispettosa.

La voce di Jarles era amara come una medicina. — Forse potete cercare di raggiungere il paradiso della Gerarchia come sta cercando di farlo questa veste. Io non conosco nessun altro modo. Non vi accorgete che è tutto un trucco? Strappate quell’abito — interpretando quelle parole come un ordine, un uomo spalancò la bocca e rivolse a Jarles uno sguardo stralunato dal terrore — e al suo interno troverete una rete di sottili fili elettrici. Che se ne fa il Grande Dio dei fili elettrici? Quei fili producono quello che si chiama un campo di repulsione polivalente, bilaterale e a breve raggio. Una cosa che spinge, capite? Una cosa che serve a proteggere il prete da eventuali ferimenti e a rendere le sue dita mollicce più robuste di quelle di un fabbro. E perfino a tenere in piedi la sua aureola! Smettete di fissarlo con quell’espressione ebete! È tutto un trucco vi dico!

“Come faccio io a sapere tutte queste cose? — proseguì Jarles quasi urlando. — È questa la domanda che dovreste pormi. Ebbene, me l’hanno insegnato i sacerdoti! Sì proprio loro! Sapete cosa succede a un ragazzo quando supera le prove e viene ammesso come novizio nella Gerarchia? — Aveva fatto centro, ne era sicuro. Ci voleva una domanda piccante come quella per stuzzicare la loro spenta curiosità. — Gli accadono un sacco di cose che voi non immaginate neppure. Ve ne dirò una per tutte. Un poco per volta, gli viene spiegato che il Grande Dio non esiste. Che non esistono poteri soprannaturali, che i sacerdoti sono soltanto scienziati che governano il mondo per il bene dell’umanità e che lui ha il dovere di aiutarli in questo compito e la fortuna di condividerne i privilegi.

“Ma non capite? Il piano degli scienziati dell’Età dell’Oro ha funzionato! Sono riusciti a imporre la loro religione in tutto il mondo e quando finalmente lo hanno avuto in pugno l’hanno plasmato a loro piacimento. Per se stessi hanno creato un paradiso monastico inquadrato come un ordine militare. E per organizzare il mondo dei comuni cittadini si sono rifatti al Medio Evo e hanno riesumato un’istituzione tanto carina chiamata servitù della gleba. Oh sì, l’hanno ripulita qua e là, hanno introdotto qualche norma igienica, un po’ di disciplina e qualche tocco di pura schiavitù; ma per il resto non l’hanno modificata di una virgola. Lo scopo era lo stesso: tenere il mondo intero in uno stato di riconoscente sottomissione, una sottomissione basata sul terrore, l’ignoranza e il lavoro duro, che rompe la schiena e ottenebra la mente.

“Di sicuro sono riusciti a evitare la barbarie, instaurandola loro stessi! Esisteva anche un particolare espediente nel Medio Evo, di cui avete appena visto un saggio. I miei insegnanti sacerdoti non hanno ancora avuto il tempo di spiegarmelo, ma io ne ho capito ugualmente il perché e il percome: la stregoneria! No, non dovete avere paura, stupidi che siete! È solo un altro dei loro trucchi, possiamo esserne certi. In alcuni culti antichi, la religione si mescolava alla magia per soddisfare le più meschine paure e superstizioni degli uomini. Così gli scienziati decisero che anche nel loro nuovo ordine del mondo sarebbe esistita la stregoneria. È per questo che permettono che vecchie donne scervellate come Madre Jujy se ne vadano in giro fingendo di leggere la mano, di predire il futuro e di preparare pozioni d’amore. Proprio la cosa che ci vuole per rafforzare la superstizione e concedere al povero schiavo una valvola di sfogo. E un meraviglioso uomo di paglia da mettere fuori combattimento con i loro esorcismi scientifici. Per non parlare del fatto che la stregoneria costituisce un ottimo pretesto per togliere di mezzo le persone indesiderate, come la ragazza che è stata accusata poco fa.”

Jarles si girò per cercare Sharlson Naurya in mezzo alla folla ma non la trovò. Non vide nemmeno Fratello Chulian. Stava imbrunendo. I contorni di quel piccolo mare bianco di volti si facevano sempre più indistinti. Quando si accorse che il sole era tramontato trasalì. Una brezza fredda spirava dai versanti arati delle colline e raggelava il suo corpo nudo.

E la Gerarchia tratteneva ancora la mano. Attorno alla Piazza, i sacerdoti indugiavano in coppia e lo guardavano senza fare niente, racchiusi nelle loro vesti scure come il vino.

Ma in un paio dei volti bianchi che lo fissavano, a Jarles parve di scorgere una traccia di qualcosa di più di un’ignorante curiosità o di un riverente stupore. E, come un uomo in mezzo ai ghiacci polari sorveglia con amore la piccolissima fiamma che rappresenta il suo unico baluardo contro la morte per assideramento, vi raccoglie attorno le mani a coppa, vi soffia sopra con infinita cautela, vi sbriciola sopra minuscole schegge di legno, allo stesso modo Jarles covò con lo sguardo quell’ombra di genuina comprensione, che forse era solo uno scherzo delle nuvole.

— Alcuni di voi hanno sentito perché Sharlson Naurya è stata accusata di stregoneria. Le era stato ordinato di servire nel Santuario e lei ha rifiutato. Rifiutato con coraggio e semplice decoro. Allora un sacerdote del Grande Dio l’ha toccata con quelle sue dita grasse e senza calli, più forti di quelle di un fabbro, e prima di strapparle il grembiule ha impresso sulla sua spalla i segni della pratica malefica.

“Non vi dovrebbe essere difficile immaginare il motivo del rifiuto di Sharlson Naurya. Sapete tutti chi vive lì. — Così dicendo indicò la piccola strada buia che conduceva al Santuario. Decine di occhi seguirono il suo dito teso. — Le Sorelle Perdute, così vengono chiamate. Giovani donne elette dalla Gerarchia al sacro monacato, che poi hanno così gravemente peccato contro il Grande Dio da non poter più essere tollerate all’interno del Santuario né far ritorno alle proprie case per non corrompere degli innocenti. E nella sua infinita misericordia, il Grande Dio ha stabilito un luogo in cui potessero vivere separate dalla comunità. — La sua voce trasudava ironia. — Lo sapete, non è vero? Alcuni di voi ci sono stati quando i sacerdoti glielo hanno permesso.”

Nell’udire quelle parole, un sommesso bisbiglio si levò dalla folla.

— Chi prende le vostre figlie più dolci per farle diventare monache, Cittadini di Megateopoli?

“Chi vi spedisce a lavorare nei campi, sulle strade, in miniera, dove vi rompete la schiena e consumate i vostri anni?

“Chi cerca di attenuare il vostro dolore con false emozioni?”

Adesso, il bisbiglio si era trasformato in un mormorio rabbioso. Un rancore sordo, con qualche rara eccezione, e pericoloso. Agli angoli della Piazza cominciarono a baluginare le aureole violette e le ombre scure come il vento lievitarono impercettibilmente. Jarles se ne accorse all’istante.

— Guardate come cercano rifugio nella loro inviolabilità! Si gonfiano come palloni per salvarsi la pelle. Hanno paura di voi, Cittadini di Megateopoli. Una paura mortale.

“Con le loro invenzioni sacre i sacerdoti potrebbero coltivare tutte le terre del pianeta, coprire il mondo di una rete perfetta di strade, scavare miniere in ogni suo recesso. E tutto questo senza che un solo uomo sia costretto a lavorare di pala o di piccone.

“C’è un’altra storia che vi raccontano sempre. Vi dicono che il giorno in cui la Gerarchia sarà finalmente riuscita a purificare l’umanità, il Grande Dio darà inizio a una nuova Età dell’Oro, la Nuova Età dell’Oro, l’Età dell’Oro senza Feccia.

“Ma io vi chiedo, e mi rivolgo soprattutto a quelli più anziani fra di voi: non è forse vero che ogni anno che passa l’avvento della Nuova Età dell’Oro si allontana sempre di più? Non è forse vero che i sacerdoti continuano a rimandarlo nel futuro? Fino a ora è stato soltanto un sogno vago, una favola da raccontare ai vostri bambini quando piangono, con le ossa rotte alla fine del loro primo giorno di lavoro.

“Forse, gli scienziati dell’Età dell’Oro avevano davvero intenzione di risollevare l’umanità, una volta scongiurata la minaccia della barbarie. Sì, credo di sì.

“Ma adesso la preoccupazione della Gerarchia è soltanto una: quella di mantenere il potere fino a quando gli uomini popoleranno la terra, fino al giorno in cui il sole si oscurerà e il nostro pianeta diventerà freddo come il ghiaccio!” A quel punto Jarles si accorse che il brusio era svanito e che gli occhi dei cittadini non erano più rivolti verso di lui, ma fissavano qualcosa al di sopra della sua testa. Una luce blu, plumbea e spettrale, si stava lentamente diffondendo sui loro volti, trasformandoli in un mare di visi di annegati. Questa volta fu lui a seguire la direzione del loro sguardo.

Il Grande Dio si era sporto in avanti, oscurando con il suo gigantesco profilo la prima debole luce delle stelle, e li stava scrutando intensamente, circonfuso dal nimbo blu che sfavillava in tutta la sua gloria mortale.

— Guardate il loro più grande trucco! — urlò Jarles. — Il Dio Incarnato! L’Onnipotente Automa!

Ma loro non lo ascoltavano più e adesso che aveva smesso di parlare gli tremavano i denti per il freddo. Si strinse le braccia per scacciare i brividi, solo, in piedi sulla piccola panca che adesso sembrava tanto bassa.

— Ecco la nostra punizione — stavano pensando i cittadini. — Era solo un pretesto per metterci alla prova, avremmo dovuto immaginarlo. È ingiusto, anzi no, perché i sacerdoti non sono mai ingiusti, mai. Non avremmo dovuto ascoltare. Non avremmo dovuto abbandonarci ai nostri sentimenti. E adesso dobbiamo venire puniti perché abbiamo peccato, perché abbiamo commesso la più grande colpa di cui un uomo possa macchiarsi: pensare male della Gerarchia.

La mano del Grande Dio si abbassò imperiosa, come un gigantesco campanile fermato a metà nella sua caduta. L’indice teso, grande come un tronco d’albero, indicò la veste rigonfia di cui Jarles si era disfatto e che adesso giaceva immobile, sospesa a mezzo metro da terra.

Con un forte crepitio, una fiammeggiante luce blu serpeggiò dal nimbo alla spalla montagnosa, quindi al braccio e alla punta del dito, dove brillò come un fulmine. La veste vuota avvampò, sfrigolò, si gonfiò ancora un po’ e alla fine si squarciò con uno scoppio sordo, come una fisalia gettata in mezzo al fuoco.

Quel rumore e la pioggia di frammenti incandescenti sciolsero il panico glaciale che paralizzava la folla, che si sgretolò e ognuno prese a correre disperatamente verso la bocca scura e stretta delle strade, di qualsiasi strada, andavano bene tutte purché conducessero lontano dalla Piazza.

Il raggio crepitante si spostò lentamente verso la panca sulla quale era rimasto Jarles, fondendo le pietre dell’acciottolato e lasciando dietro di sé un solco ardente: segno indelebile per i tempi futuri dell’ira divina del Grande Dio.

Lui l’attese.

D’un tratto, nel cielo si formò una nube scura e si udì il battito di gigantesche ali invisibili. Poi, intorno al sacerdote rinnegato si chiuse una sfera irregolare, screziata di nero, come se fosse macchiata d’inchiostro, in modo tale che parte della superficie restava trasparente e il corpo nudo dell’uomo vagamente visibile.

La sfera aveva la forma di due mani artigliate e racchiuse a coppa.

A quel punto, il raggio blu che saettava dal dito del Grande Dio si mosse più rapidamente, colpì la sfera e crepitò, per poi disperdersi in uno zampillio di scintille azzurre.

La sfera assorbì il raggio senza perdere neppure un briciolo della propria tenebra.

Allora, il raggio si dilatò fino ad assumere le dimensioni di una colonna di luce blu che illuminò la Piazza a giorno e risucchiò l’aria in ondate di calore. Ma il suo potere non parve accresciuto, perché per la seconda volta rimbalzò senza successo contro la sfera irregolare delle mani racchiuse, oltre le quali, attraverso le chiazze nere, era ancora possibile distinguere il profilo del prete rinnegato, simile a un insetto miracolosamente vivo nel cuore di una fiamma.

Poi, una voce possente, piena di gaudente perfidia, squarciò con un solo fiato l’aria bollente che saliva dalla Piazza, bloccando la fuga convulsa dei cittadini e costringendoli a voltarsi e a fissare, paralizzati dal terrore, quella visione di tenebra e di lingue fiammeggianti.

— Il Dio del Male sfida il Grande Dio!

— Il Dio del Male prende quest’uomo con sé!

Con uno strattone le due mani schizzarono verso l’alto e scomparvero.

Poi, sopra la Piazza, riecheggiò uno scroscio di risa sataniche, che parve far tremare le poderose mura del Santuario stesso.

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