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Rovistando nella mente di Kyle, Heather trovò ogni genere di ricordi relativi a Becky, ma nessuno che riguardasse la sua accusa.

Trascorse ore nello psicospazio, interrompendosi solo ogni tanto per andare in bagno, e durante una di quelle soste si ricordò di dare un’occhiata alla registrazione attraverso il mirino del camcorder.

Osservò sbigottita l’intera struttura accendersi d’un luccicore sfolgorante, sia la vernice sia il substrato, poi ciascun cubo parve rapidamente allontanarsi sganciandosi con una torsione dal complesso.

E all’improvviso, incredibilmente, più nulla. Andato. Scomparso.

Spostandosi con l’avanti veloce lo vide d’un tratto tornare a esistere scaturendo dal nulla.

Fantastico.

Quindi si ripiegava davvero anà o katà, infrangendo gli ordinari limiti del reale per trasferirsi in un’altra dimensione.

Heather continuò a cercare per tutto il fine settimana, imbattendosi in molti aspetti di Kyle. Sebbene fosse concentrata nell’individuare i suoi pensieri riguardo alle figlie, trovò anche ricordi sul suo lavoro, sul loro matrimonio… e su di lei. Scoprendo che non sempre era apparsa ai suoi occhi del tutto esente da pecche… Come sarebbe, un principio di cellulite? Ma scherziamo!

Un’esperienza illuminante, un itinerario affascinante, un’avventura appassionante. Quante cose avrebbe voluto continuare a imparare, su di lui… Ma non poteva indugiare. Era in missione.

Finalmente, lunedì mattina, dopo tanto girovagare, trovò quel che stava cercando.

E si arrestò, sgomenta, non sapendo se andare avanti.

Lo stupro di quell’anonima ragazza francese la tormentava ancora, ma questo…

Questo, se i suoi mai sopiti timori si rivelavano fondati…

I Questo l’avrebbe straziata, deturpata, orripilata, lasciala in preda a una furia omicida. I Marchiata a fuoco con immagini che mai, lo sapeva, sarebbe riuscita a cancellare dalla propria mente.

Ma se nella sua ricerca v’erano stati un senso, uno scopo, una giustificazione, si concentravano e realizzavano proprio qui. Non poteva, non doveva rinunziare. Quindi…

…Notte. Camera di Becky. Luce fioca che filtra dalla strada attraverso le veneziane. Alla parete, difficile da distinguere nella penombra, un oloposter di Cutthroat Jenkins, idolo del rock adorato da Becky verso i quattordici anni.

Il punto di vista è quello di Kyle, fermo appena fuori la soglia della stanza. Il corridoio è immerso nell’oscurità. Kyle guarda Becky distesa a letto, sotto la pesante trapunta verde che le piaceva tanto. Becky è sveglia. Solleva lo sguardo su suo padre. Heather si aspetta di scorgere paura, o ripugnanza, o anche mesta rassegnazione, sul suo volto… e invece, sorprendendola, Becky sorride. Un bagliore nella notte: l’apparecchio dentale che portava allora.

Sì, Becky sorride.

Non esistono rapporti consensuali fra minori e adulti, Heather lo sa bene, eppure quel sorriso è così caldo, così fiducioso, così spontaneo ed affettuoso…

Kyle entra in camera, si avvicina al letto, e Becky, dimenandosi un po’, si scansa di lato per fargli posto. Poi si tira su a sedere.

Kyle invece si china, sistemandosi garbatamente in proda. Becky tende una mano verso suo padre…

…e prende la tazza che lui le offre.

— Proprio come piace a te — annuncia Kyle. — Col limone.

— Grazie, papà — risponde Becky con voce rauca. Tenendo la tazza con entrambe le mani comincia a bere.

Anche Heather ricorda. Cinque anni prima, più o meno, Becky s’era buscata un tremendo raffreddore e aveva finito per attaccarlo a tutti.

Kyle tende una mano e accarezza Becky sui capelli. — Non c’è niente che non farei per fa mia signorinella.

Becky sorride ancora. — Mi dispiace averti svegliato a forza di tossire.

— Macché, ero in piedi comunque. Delle volte proprio non mi riesce di prendere sonno. — Poi, deposto un bacio delicato sulla guancia di sua figlia, si rialza. — Speriamo che domani tu stia meglio, eh, Testolina?

Ciò detto, Kyle lascia la camera di Becky e…

…Heather si ricordò di respirare. Sentiva un crampo attanagliarle lo stomaco. Inutile nascondersi che era stata pronta ad attribuire a suo marito gli atti più bestiali. Non c’era mai stato un briciolo di prova a conferma dell’accusa di Becky e molte buone ragioni per ritenerla esclusivamente frutto dell’eccessivo zelo di un’analista incosciente… eppure, non appena il ricordo aveva preso a dipanarsi, mostrando Kyle che entrava a notte fonda in camera di sua figlia, si era aspettata il peggio. Bastava evidentemente anche solo un’ombra, la più remota ipotesi di abuso su un minore, a infamare un uomo. Per la prima volta, Heather capiva davvero in quale orrore Kyle doveva essersi sentito precipitare. E tuttavia…

I Sì, diciamolo, era sufficiente l’innocenza di un unico incontro notturno, agevolmente riemerso, a garantire che nulla di sconveniente fosse mai accaduto? Becky aveva vissuto coi suoi genitori per diciott’anni, equivalenti a oltre seimila notti. Che cosa dimostrava, il fatto che in una qualunque di esse Kyle si fosse comportato da padre rispettoso e amorevole?

Heather stava acquisendo destrezza nell’accedere a ricordi specifici; in fondo non era poi così difficile: bastava concentrarsi su un’immagine associata all’episodio desiderato. Però doveva essere una ricostruzione molto accurata. Cercar di evocare un’immagine di Kyle intento a molestale Becky non solo sarebbe stato disgustoso in sommo grado, ma anche sostanzialmente inutile. A meno che l’immagine non corrispondesse esattamente a un determinato ricordo di Kyle dal suo personale punto di vista, il ricordo sarebbe rimasto bloccato.

A Heather era capitato di vedere sua figlia nuda anche da grandicella. Frequentavano insieme una palestra in Dufìerin Street, dove Heather aveva cominciato a portare Becky dopo i dodici anni. Pur non essendosi mai proposta di esaminare sua figlia con particolare attenzione, non aveva potuto fare a meno di notare, con un pizzico d’invidia, il suo fisico armonioso, la sua figura raggiante di gioventù, senza nessuna delle smagliature che si erano invece manifestate in lei sin dalla prima gravidanza. In particolare aveva osservato che le alte mammelle coniche di Becky non avevano cominciato ancora a insellarsi.

Il petto di Becky…

Un’ondata di ricordi… ma appartenenti a Heather, non a Kyle.

All’età di quindici o sedici anni, proprio nel periodo in cui aveva cominciato a uscire coi ragazzi, Becky era andata da sua madre per parlarle di una cosa importante. Sfilatasi la camicetta e sganciato il piccolo reggiseno, aveva mostrato a Heather il vistoso neo scuro che, rilevato come un gommino di matita, le spuntava nello spazio fra i seni.

— Non lo sopporto più — aveva detto Becky.

E Heather aveva capito al volo. Erano anni che Becky si teneva quel neo senza problemi; in effetti tre anni prima, vincendo il pudore, si era rivolta al dottor Redmond e lui le aveva assicurato che era benigno. Chissà a scuola, nello spogliatoio, quante ragazze dovevano averlo visto. Ma ora, coi suoi primi appuntamenti, senza dubbio Becky si chiedeva che effetto avrebbe fatto a un ragazzo. Heather, presa un poco alla sprovvista, aveva pensato che la sua bambina stava crescendo davvero troppo in fretta…

Oppure no? Anche lei era appena sedicenne la prima volta che aveva consentito a Billy Karapedes d’infilarle una mano sotto la camicetta. L’avevano fatto al buio, nella macchina di lui, e il giovanotto non aveva visto un bel nulla… ma se Heather avesse avuto un neo come quello di Becky, lui l’avrebbe sentito di sicuro. E allora come avrebbe reagito?

— Voglio farmelo togliere — aveva aggiunto Becky.

Prima di pronunziarsi, Heather ci aveva riflettuto un po’. Due compagne di liceo di Becky avevano già subito interventi correttivi al naso. Un’altra si era fatta schiarire le lentiggini col laser. Una quarta si era addirittura sottoposta a un ampliamento chirurgico del seno. In confronto, il neo di Becky era cosa da nulla: anestesia locale, un tocco di bisturi, e voilà, quel piccolo grande assillo non c’è più.

— Ti prego — aveva insistito Becky, vedendo che sua madre non rispondeva; e palpitava nella sua voce un tale senso di urgenza da fare temere per un istante a Heather che sua figlia fosse lì lì per domandarle di sbrigare la faccenda entro venerdì sera. Ma per fortuna la questione non era così impellente!

— Avrai bisogno di un paio di punti, credo.

Becky considerò la cosa. — Potrei farlo sotto le vacanze di Pasqua — propose, preferendo evidentemente non affrontare lo spogliatoio con una sutura sporgente dallo sterno.

— Certo, come preferisci — aveva acconsentito · Heather sorridendo. — Ci faremo consigliare qualcuno dal dottor Redmond.

— Grazie, mamma, sei favolosa… Però mi raccomando, non dirlo a papà, morirei di vergogna.

Il sorriso di Heather si era fatto complice. — Segreto assoluto.

Se lo ricordava bene, quel neo. L’aveva rivisto due volte prima dell’asportazione, e un’altra volta dopo l’intervento, galleggiante in un piccolo contenitore per campioni in attesa di essere portato in laboratorio per le analisi di rito: meglio andare sul sicuro. Come promesso a Becky, Kyle era rimasto completamente all’oscuro circa il piccolo intervento di chirurgia plastica. Trattandosi di semplice cosmesi, il Servizio Assicurativo Sanitario dell’Ontario non lo rimborsava, ma la spesa non arrivava a cento dollari, così Heather aveva pagato con carta di credito e si era riportata a casa una figliola contenta.

Evocò un’immagine dei seni di sua figlia, rosei, lisci, color vino sulla punta, con in mezzo il neo. E inserì quella suggestione entro la matrice mnemonica di Kyle, cercando una corrispondenza.! Che non venne.

Poiché erano trascorsi circa tre anni e il suo ricordo poteva essersi affievolito, provò a immaginare mammelle un pochino più voluminose, capezzoli di varie sfumature, nei più o meno grandi…

Nessuna corrispondenza. Kyle non aveva mai visto quel neo.

“Lui veniva nella mia stanza, mi faceva togliere la giacca del pigiama, mi accarezzava i seni e poi…”

E poi niente. Kyle non aveva mai veduto sua figlia a seno nudo, mai comunque dopo la pubertà, mai da quando Becky aveva iniziato a sviluppare un petto da donna.

Heather si sentiva tremare in tutto il corpo. Non era mai accaduto, dunque. L’accusa era infondata. Non c’era stato alcun abuso.

Brian Kyle Graves era un uomo degno di ogni rispetto, un buon marito… e un padre esemplare. Non aveva mai fatto del male a sua figlia. Heather ne era certa. Finalmente ne era certa.

Sul suo volto scorrevano le lacrime. Ma lei se ne accorgeva appena: sensazione d’umidore, gusto salato a fior di labbra, un’intrusione dal mondo esterno.

Aveva avuto torto… anche solo a sospettare suo marito. Se l’accusa avesse riguardato lei, Kyle le sarebbe rimasto accanto, senza mai dubitare della sua innocenza. Lei, invece, aveva dubitato, recandogli in tal modo un’offesa tremenda sebbene non l’avesse mai accusato direttamente. E la vergogna di aver dubitato era quasi intollerabile.

Con uno sforzo di volontà, Heather si distaccò dallo psicospazio. Rimosse la porta cubica, uscì barcollando nella luce cruda delle lampade di scena.

Poi si asciugò gli occhi, si soffiò il naso e, abbandonata nella poltroncina dell’ufficio, lo sguardo fisso sulle tende scolorite, si mise a raccogliere i pensieri, cercando da che parte incominciare per far la pace con suo marito.

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