Era uno di quei momenti di confuso dormiveglia. Heather stava sognando… e sapeva di sognare. E da buona junghiana stava cercando d’interpretare il sogno nel suo divenire.
C’era una croce, nel sogno. Cosa di per sé inconsueta, essendo Heather niente affatto incline al simbolismo religioso.
Comunque non era una croce di legno; sembrava fatta piuttosto di cristallo. Anche la forma appariva tutt’altro che funzionale… decisamente inadatta a crocifiggerci un uomo. Le braccia erano molto, molto più spesse del necessario e anche abbastanza tozze.
Mentre Heather la osservava, la croce di cristallo prese a rotare attorno all’asse maggiore, rendendo con ciò evidente che non si trattava di una vera croce. Oltre alle due protuberanze laterali, essa ne presentava infatti di identiche sia nella parte anteriore sia in quella posteriore.
11 punto di osservazione subì un avvicinamento, tanto che Heather fu in grado di scorgere delle linee di giunzione. L’oggetto era in effetti composto da otto cubi trasparenti: una colonna di quattro, più altri quattro disposti attorno alle facce del terzo cubo dal basso. L’oggetto roteava sempre più rapidamente, proiettando barbagli di luce dalla vitrea superficie.
Ecco che cos’era: lo sviluppo di un ipercubo.
E nell’approssimarglisi ancor più, Heather udì una voce.
Profonda, virile, stentorea.
Una voce possente.
La voce di Dio?
No, no… un entità superiore, ma non Dio.
Il suo schema indica pensiero tridimensionale.
Heather si svegliò in un bagno di sudore.
Nel film, Spock aveva pronunziato quella frase a proposito di Khan. Che l’entità del sogno avesse voluto riferirsi invece a lei?
Khan aveva tralasciato qualcosa… la cosa più ovvia. II fatto cioè che le astronavi possono andare non solo a destra e a sinistra e avanti e indietro, ma anche verso l’alto e verso il basso. Anche Heather doveva evidentemente aver trascuralo qualcosa di ovvio… e il suo subconscio stava cercando di dirglielo.
Ma mentre giaceva sola nel suo letto, non le riuscì di capire che cosa fosse.
— Buon giorno, Cita.
— Buon giorno, dottor Graves. Ieri, nel lasciare il laboratorio, lei non mi ha messo in stato d’interruzione temporanea. Ne ho quindi approfittato per compiere qualche ricerca in rete e avrei alcune domande da rivolgerle.
Kyle si diresse innanzitutto alla caffettiera e la mise in funzione, poi sedette di fronte al pannello di Cita. — Sentiamo.
— Ho esaminato certe vecchie notizie giornalistiche. Rilevando, sia detto per inciso, che la versione elettronica di gran parte dei quotidiani risale a non prima degli anni Ottanta o Novanta del secolo scorso.
— Perché mai dovresti interessarti a notizie vecchie di decenni? Che notizie sono se non sono nuove?
— Debbo intenderla come una battuta di spirito, vero, dottor Graves?
— Diciamo di sì — brontolò Kyle. — E adesso spiegami per quale motivo impieghi il tuo tempo a leggere i vecchi giornali.
— Lei mi considera non-umano perché, fra l’altro, non sono in grado di formulare giudizi morali analoghi a quelli che esprimerebbe un essere umano. Ho quindi cercato articoli giornalistici riguardanti questioni morali e sto cercando di analizzare il comportamento dei veri esseri umani in particolari circostanze.
— Benissimo — concesse Kyle. — E fra le storie che hai trovato, qual è quella che ti ha lasciato più perplesso?
— Questa. Nel millenovecentoottantacinque una diciannovenne di nome Kathy era al suo primo anno di corso alla Cornell University. Il venti dicembre la ragazza stava accompagnando in auto il suo fidanzato al lavoro presso una drogheria di Ithaca, New York. L’auto incappò in un tratto ghiacciato, slittò per dieci metri e andò a urtare con violenza contro un albero. Il giovane si fratturò alcune ossa, ma un pneumatico poggiato sul sedile posteriore venne proiettato in avanti e colpì Kathy alla testa. La giovane cadde in stato vegetativo cronico, praticamente in coma, e venne ricoverata al Westfall Healthcare Center di Brighton, New York. Dieci anni dopo, nel gennaio del novantasei, mentre Kathy giaceva ancora in coma, si scoprì che era incinta.
— Ma come possibile che fosse incinta? — obiettò Kyle.
— Riconosco benissimo il tono che lei utilizza quando affronta con me questioni legate alla sessualità. Lei crede che essendo io una simulazione mi trovi del tutto impreparato di fronte a certi argomenti. E invece è proprio lei a dimostrarsi ingenuo, dottor Graves. La giovane I donna era incinta, e lo era già da cinque mesi al momento della scoperta, poiché qualcuno l’aveva violentata.
Kyle non poté impedirsi di trasalire leggermente. — Oh.
— La polizia si mise alla ricerca del responsabile — continuò Cita. — Fu redatta una lista di settantacinque uomini che avevano avuto accesso alla stanza di Kathy, ma ben presto l’indagine si concentrò su un portantino cinquantaduenne di nome John L. Horace. Costui era stato licenziato tre mesi prima per avere infastidito una paziente quarantanovenne affetta da sclerosi multipla.
In relazione all’accusa di stupro egli rifiutò di fornire un campione del proprio DNA, ma la polizia riuscì comunque a procurarselo recuperando tracce di saliva lasciate dal sospettato sul lembo di una busta e sopra un francobollo. Fu stabilito che le probabilità erano di oltre cento milioni contro una a favore della paternità di Horace.
— Sono contento che l’abbiano preso.
— Non lo metto in dubbio. Mi chiedo tuttavia per quale motivo quello stupratore debba senz’altro appartenere alla razza umana mentre io sono costretto a dar continua prova dei miei diritti in tal senso.
Kyle arrancò sino alla caffettiera e si versò una tazza. — Ottima domanda, non c’è che dire — commentò infine.
Dopo una pausa di silenzio Cita soggiunse: — Ma la vicenda non finisce lì.
Kyle bevve un sorso di caffè. — In che senso?
— C’era il problema della conseguenza zigotica connessa.
— Ah, la famosa czc… No, aspetta… ti riferisci al bambino. Accidenti, è vero. Be’, come andò?
— Prima dell’incidente, Kathy era stata una cattolica praticante. Contraria quindi all’aborto. In considerazione di ciò, i suoi genitori decisero di farle avere il bambino, che poi loro avrebbero provveduto ad allevare.
Kyle era incredulo. — Avere il bambino mentre era ancora in coma?
— Sì. È possibile. Era già accaduto che donne in coma partorissero, ma quello era il primo caso noto di una donna resa gravida dopo essere entrata in coma.
— Avrebbero dovuto farla abortire — commentò Kyle.
— Voi umani esprimete giudizi così rapidamente… — replicò Cita, con quello che sembrava un pizzico d’invidia. — Per quanto mi riguarda ho tentato e ritentato di risolvere il dilemma, accorgendomi infine di non esserne capace.
— Ma per quale soluzione propenderesti?
— Tenderei a ritenere che avendo lasciato nascere il bambino lo si sarebbe dovuto dare in adozione.
— E perché mai? — domandò Kyle perplesso.
— Perché il padre e la madre di Kathy, costringendola ad avere un figlio in condizioni tanto eccezionali, dimostravano di essere inadatti al ruolo di genitori.
— Posizione interessante. Furono condotti sondaggi, all’epoca, circa la decisione da prendere?
— Sì. Uno venne realizzato dal “Rochester Democrat & Chronicle”. Ma la possibilità che ho appena espresso non venne neppure presa in considerazione… e ciò significa, credo, che deve trattarsi di qualcosa che non verrebbe in mente a un normale essere umano.
— Proprio così. La tua proposta possiede in sé una certa logica, ma non appare corretta sul piano emozionale.
— Lei ha detto che avrebbe optato per l’aborto — riprese Cita. — Perché?
— Be’, io sono a favore della libera scelta, comunque anche molti di coloro i quali si dichiarano contrari all’aborto ammettono eccezioni in casi d’incesto o violenza. Ma… del bambino, poi, cosa ne è stato? Che effetto avrà avuto su di lui quell’origine così particolare?
— Non ho informazioni in merito — rispose Cita. — Il bambino… in effetti si trattava di un maschietto… nacque il diciotto marzo del novantasei e, se è ancora invita, ora dovrebbe avere ventun anni. Naturalmente la sua identità è rimasta segreta.
Kyle non fece commenti.
— Kathy — continuò Cita — non uscì mai dal coma. Morì all’età di trent’anni, il giorno precedente il primo compleanno di suo figlio. — Poi, dopo una pausa: — È un caso che costringe a riflettere. Il dilemma etico… se consentire o no un aborto… non avrebbe potuto essere posto in termini più netti, sebbene io non appaia in grado di risolverlo in maniera adeguata.
Kyle annuì. — Tutti quanti veniamo di continuo messi alla prova in vari modi.
— E io lo so meglio di molti altri — commentò Cita, con un tono in cui vibrava una convincente nota di mestizia. — Ma quando io vengo messo alla prova, l’esaminatore è lei. Quando invece la verifica riguarda gli esseri umani… e un caso del genere ha indubbiamente tutta l’apparenza di un banco di prova… chi è che conduce l’esame?
Kyle aprì la bocca per rispondere, la richiuse, poi la riaprì. — Anche questa è davvero una domanda niente male, Cita…
Seduta nel suo ufficio, Heather era immersa in profonde riflessioni.
Per anni aveva scrutato senza tregua i messaggi provenienti dallo spazio, cercando di penetrarne il significato.
Innanzitutto erano di sicuro immagini rettangolari. Aveva tentato di stabilire se esistesse qualche pregiudizio culturale relativo ai numeri primi, qualche motivo che potesse indurre lei a interpretarli in una certa maniera, e uno studioso residente in Cina, o in Chad, o in Cile, in maniera differente. Tempo perso. L’unica incertezza cui l’argomento si prestasse consisteva in una disputa accademica sull’opportunità o meno di considerare primo il numero 1.
Quindi, se la lunghezza di ciascun segnale risultava immancabilmente dal prodotto di due numeri primi, l’unica conclusione logica era che i segnali fossero destinati a essere disposti secondo reticoli rettangolari.
Nel suo computer erano immagazzinati tutti i 2843 messaggi.
Alcuni di essi, giusto all’inizio della serie, in effetti erano stati decifrati. Undici messaggi, per l’esattezza… anche lì un numero primo. Quelli ancora da decifrare ammontavano dunque a 2832.
Numero che, in quanto pari, non era un numero primo, poiché a parte il 2 non esistono, per definizione, numeri in cui siano compresenti entrambe le condizioni.
Un elaboratore quantico avrebbe potuto dirle in un batter d’occhio quali fossero i fattori di 2832. Fattore era ovviamente la metà di tale numero: 1416. E la sua metà: 708. E la metà di questo: 354. E ancora la metà: 177. Ma 177 è dispari, e dividendolo per due non si sarebbe ottenuto un numero intero.
Heather aveva pensato a volte che forse ciascun messaggio costituiva solo parte di un insieme più grande, ma non era mai riuscita a escogitare una sequenza plausibile secondo cui ordinare le pagine di quel libro misterioso. Senza contare che, fino a pochi giorni prima, non si sapeva neppure quante pagine fossero in totale.
Adesso, però, almeno tale dato era noto a tutti. Forse potevano essere unite a formare gruppi più grandi, così come spesso, ad accostare diverse carte di credito, si ottiene sul dorso un’immagine precisa.
Aperto il foglio elettronico sul desktop, Heather preparò un semplice intervallo di celle in cui il numero 2832 veniva diviso per alcuni numeri interi consecutivi a partire da 1.
C’erano solo venti numeri per cui il 2832 poteva essere diviso in parti uguali. Eliminati, quindi, quelli che fornivano risultati con decimali, ecco ciò che rimaneva:
Naturalmente molti ricercatori sostenevano la tesi delle 2832 pagine separate… però poteva anche trattarsi di una sola pagina composta di 2832 tessere. Oppure due pagine con 1416 tessere ciascuna. O tre pagine di 944 tessere. E così via.
Come stabilire quale fosse, nella logica dei Centauri, la giusta combinazione?
Heather osservò il duplice elenco, notandone la simmetria: nella prima riga c’erano 1 e 2832; nell’ultima il contrario: 2832 e 1. Così anche per le altre righe, che si rispecchiavano fra metà superiore e metà inferiore sino a giungere alle due centrali: 48 e 59; 59 e 48.
Sembrava quasi che le due righe mediane fossero il perno, il fulcro attorno al quale ruotava tutta quella incastellatura numerica.
E poi…
Accidenti!
A parte l’1, il 3 e il 177, l’unico numero primo possibile dell’elenco era il 59; tutti gli altri, in quanto numeri pari, non potevano per definizione essere primi.
Vediamo un po’. Anni addietro, Kyle le aveva insegnato un trucco: se la somma delle cifre che compongono un numero è divisibile per tre, allora anche tale numero è divisibile per tre. Dunque, la somma delle cifre che formano 177… uno più sette più sette… è quindici, e il quindici è divisibile per tre, di conseguenza 177 non poteva essere un numero primo.
Ma come regolarsi col 59? Heather non aveva idea di come fare a stabilire se un certo numero è primo, tranne che a forza di prove. Preparò quindi rapidamente una nuova serie di celle in cui il 59 veniva diviso per tutti i numeri interi più piccoli di lui. Nessuno di tali numeri divideva il 59 in parti uguali. Nessuno, a parte l’1 e il 59 stesso.
Cinquantanove era pertanto, senza alcun dubbio, un numero primo.
Le venne in mentre un’altra cosa. Il numero uno è talvolta considerato primo. Il due lo è sicuramente, e così pure il tre. Ma, in un certo qual modo, si tratta di numeri primi di scarsa rilevanza, poiché qualunque numero intero compreso entro l’intervallo da essi formato è divisibile solo per se stesso e per uno. Per trovare un numero primo davvero interessante bisogna insomma giungere al cinque, il quale è l’unico, nell’intervallo da uno a cinque, ad avere almeno un numero inferiore che non sia primo e cioè il quattro.
Scartando quindi l’uno, il due e il tre, nelle due colonne simmetriche ottenute da Heather il 59 rimaneva il solo numero primo significativo che dividesse in parti uguali il totale dei messaggi non ancora decifrati.
Ecco dunque, dopo la sua centralità, un secondo indicatore dell’importanza di quel numero. Non era perciò da escludersi che le trasmissioni aliene andassero suddivise in 48 pagine di 59 messaggi ciascuna, oppure in 59 pagine di 48 messaggi.
Da anni gli studiosi cercavano d’individuare nei messaggi degli elementi ricorrenti; sinora però nulla era emerso che non fosse parso frutto del caso. Ma adesso che il totale dei messaggi era noto, si poteva condurre tutta una serie di nuove analisi.
Heather aprì un’altra finestra e visualizzò l’elenco dei file contenenti i messaggi alieni. Poi copiò l’immagine dell’elenco in un file di testo, per poterci trafficare un po’. Selezionò la dimensione in bit dei primi 48 messaggi non decifrati e ne calcolò il totale: ammontava a 2.245.124 bit. Dopo selezionò i successivi 48 e sommò: totale, 1.999.642 bit.
“No, non ci siamo.”
Allora provò a selezionare la dimensione in bit dei messaggi dal 12 al 70, cioè i primi 59 messaggi non decifrati.
Totale, 11.543.124 bit.
Quindi selezionò i messaggi dal 71 al 129 e ne sommò la dimensione.
II totale ammontava di nuovo a 11.543.124 bit.
Heather sentì che il cuore le galoppava; forse qualcuno se n’era già accorto, però…
Continuò il procedimento coi successivi gruppi di 59 messaggi.
Ci rimase molto male quando vide che il quarto gruppo totalizzava appena 11.002.997 bit… ma dopo un attimo si accorse di aver evidenziato soltanto 58 messaggi invece di 59. Riprovò.
Totale, 11.543.124.
Proseguì nel conteggio sino a esaurire i 48 gruppi di 59 messaggi.
Ogni gruppo comprendeva esattamente 11.543.124 bit.
Si lasciò finalmente andare a un grido di gioia. Fortuna che il suo ufficio aveva quella solida porta di quercia.
Gli alieni non avevano inviato 2832 messaggi separati… bensì 48 pagine composite.
E adesso, se solo fosse riuscita a comprendere in qual modo i singoli messaggi andassero collegati fra loro… Purtroppo ce n’era di tutte le dimensioni, e non sembravano ripetersi regolarmente di pagina in pagina. Il primo messaggio del primo gruppo, per esempio, era lungo 118.301 bit (prodotto dei numeri primi 281 e 421), mentre il primo messaggio di pagina due era lungo 174.269 bit (prodotto dei numeri primi 229 e 761).
Probabilmente le singole tessere sarebbero andate a comporre forme quadrate o rettangolari, se giustapposte correttamente. Ma dubitava di poterne venire a capo procedendo per tentativi.
Kyle, invece, sarebbe stato senz’altro capace di scriverle un programma in grado di farlo.
Certo, con quello che era successo poche ore prima aveva qualche scrupolo a chiedergli aiuto…
Ma insomma. Si fece coraggio e prese il telefono.
— Sì? — disse la voce di Kyle.
Sapeva di sicuro che a chiamare era Heather: bastava un’occhiata all’identitel. Però nella sua voce non c’era la minima traccia di calore.
— Ciao, Kyle. Avrei bisogno di una mano.
— Ieri sera però la mia mano non l’hai voluta — ribatté lui glaciale.
Heather sospirò. — Mi spiace. Mi spiace davvero. È un momento difficile per tutti.
Kyle non disse nulla. Heather sentì il bisogno di riempire quel vuoto. — Ci vorrà tempo per fare ordine nella nostra situazione.
— Ormai sono via da un anno — replicò lui. — Mi sai dire quanto tempo ti serve?
— Non lo so. Senti, scusa se ti ho chiamato, non ti volevo disturbare.
— Dai, lascia perdere. Volevi dirmi qualcosa?
Heather deglutì e non si fece pregare. — Sì. Credo di aver fatto un passo avanti coi messaggi dei Centauri. Se li consideri a gruppi di cinquantanove, tutti i gruppi risultano della stessa dimensione.
— Davvero?
— Sì.
— E quanti gruppi ci sarebbero? — Esattamente quarantotto.
— Quindi penseresti… vediamo… penseresti che i singoli messaggi formino quarantotto pagine lunghe uguale?
— Esatto. Però dentro ogni pagina vi sono messaggi tutti diversi fra loro. A mio parere si dovrebbe poterli aggregare secondo un qualche reticolo rettangolare, ma in pratica non so come procedere.
Kyle emise un suono che pareva un grugnito.
— Non c’è bisogno di farla cadere dall’alto — commentò Heather.
— Ma no, scusa, che hai capito. È buffo, sai? Ora ti spiego. Vedi, è un problema di “copertura”.
— Cioè?
— Ecco, questo problema di copertura… verificare se un numero finito di tessere possa essere disposto secondo un reticolo rettangolare… è del tutto risolvibile, semplicemente a forza di calcoli. Ma si pongono altri problemi di copertura, derivanti dalla necessità di stabilire se tessere di una determinata forma possano coprire un piano infinito senza lasciare spazi vuoti, che sin dagli anni Ottanta sappiamo non essere, in sostanza, risolvibili tramite elaboratore. Ammesso che tali soluzioni esistano, saranno ottenibili per via d’intuizione e non certo di calcolo.
— In conclusione?
— In conclusione è proprio buffo che i Centauri abbiano scelto, per i loro messaggi, un formato che richiama uno dei grandi dibattiti sulle capacità della mente umana e i limiti della conoscenza. Tutto qui.
— Hmm… Comunque hai detto che per il mio problema una soluzione si può trovare, vero?
— Certo. Mi servono le dimensioni di ciascun messaggio… lunghezza e larghezza in bit o pixel. Posso scrivere abbastanza facilmente un programma che proverà a spostarli uno rispetto all’altro finché non si raccorderanno tutti quanti in una forma rettangolare… ammesso, naturalmente, che tale forma sia ottenibile. — Kyle s’interruppe qualche istante, poi soggiunse: — Ci sarà anche un interessante effetto collaterale, sai? Se le diverse tessere non sono quadrate e giungono a connettersi complessivamente in un modo solo, potrai dedurne l’orientamento di ogni singolo messaggio. Non dovrai più darti pensiero per la questione dei due possibili orientamenti.
— Non ci avevo pensato, ma hai ragione. Quando te ne potresti interessare?
— Be’, in realtà sono troppo occupato. Scusa, ma è cosi. Però posso incaricare uno dei miei laureati. Dovremmo avere una risposta in un paio di giorni.
— Grazie, Kyle — gli disse, sforzandosi far vibrare un po’ di affetto in quelle semplici parole… ma ebbe quasi l’impressione di sentirlo scrollare le spalle.
— Sempre a tua disposizione — rispose lui, e riattaccò.