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Kyle e Stone pranzavano all’Abbeveratoio; durante il giorno le lampade Tiffany rimanevano spente e le finestre sgombre di tendaggi, facendo assomigliare il locale più a un ristorante che a un bar… sebbene il menù continuasse a propendere per una semplicità da pub.

— Oggi è venuto a trovarmi il rettore Pitcairn — dichiaro Kyle, aggredendo una pantagruelica porzione di pane, formaggio e sottaceti. — È letteralmente entusiasta del mio lavoro sul calcolo quantico.

— Pitcairn — ribatté Stone in tono sprezzante. — Proprio un neandertal, quel tipo. — Fece una pausa. — Be’, non nel vero senso del termine, ovviamente… comunque gli assomiglia di brutto, sopracciglia sporgenti e tutto il resto.

— Forse ha un po’ di sangue neandertal nelle vene — azzardò Kyle. — Non è questa la teoria? Che l’Homo sapiens sapiens dell’Europa orientale si sia incrociato con l’Homo sapiens neanderthalensis, sicché per lo meno qualcuno di noi moderni si porta appresso geni neandertal?

— Ma dove sei vissuto, Kyle, in una caverna? — domandò Stone, sottolineando la battuta con uno sbuffo compiaciuto. — Sono quasi vent’anni che abbiamo frammenti di DNA mitocondriale di origine neandertal, e circa diciotto mesi fa siamo riusciti a ottenere una sequenza completa di DNA nucleico. La Natura delle Cose gli ha dedicato un’intera puntata.

— Be’, come dici tu, nessuno guarda più gli stessi programmi.

Stone approvò con un grugnito. — A ogni modo, il problema è stato risolto. Non è mai esistita una roba come l’Homo sapiens neanderthalensis. Nel senso che l’uomo di Neandertal non era una sottospecie della stessa specie cui apparteniamo noi, bensì qualcos’altro. Homo neanderthalensis, una specie completamente diversa. Diciamo che forse, e sottolineo forse, un umano e un Neandertal avrebbero potuto generare un figlio, ma il frutto della loro unione sarebbe stato quasi certamente sterile, come un mulo.

— No — continuò Stone — è un ragionamento superficiale… sostenere che solo perché uno ha le arcate sopracciliari sporgenti allora deve anche avere sangue neandertal. Le creste sopracciliari rientrano fra le normali variazioni possibili per l’Homo sapiens, come il colore degli occhi o l’entità della membrana interdigitale fra il pollice e l’indice. Se si considerano elementi più caratteristici dell’anatomia neandertal, tipo la cavità nasale con le sue escrescenze triangolari, o l’attaccatura fra muscoli e arti, o anche la totale mancanza di mento, la differenza fra loro e gli umani moderni risulta evidente. — Bevve un sorso di birra. — I Neandertal sono completamente estinti. Furono signori del creato per forse centomila anni, ma noi li abbiamo soppiantati.

— Comunque è un peccato — commentò Kyle. — Mi è sempre piaciuta l’idea che invece li avessimo incorporati.

— Solo che la cosa non funziona così. Certo, all’interno della stessa specie a volte accade; entro la fine del secolo su questo pianeta ci sarà più gente di razza mista che gente di razza pura. Ma nella maggior parte dei casi non abbiamo un pacifico passaggio del testimone, il passato non finisce incorporato nel presente e chi c’era prima viene semplicemente spazzato via da chi arriva dopo.

A Kyle vennero in mente i mendicanti di Queen Street. — Fra i tuoi studenti ce l’hai qualche nativo canadese?

Stone scosse la testa. — Neanche uno. Non più.

— Nemmeno io. E anche nel corpo insegnante non credo che ci siano autoctoni, vero?

— Che io sappia no.

— Neppure a tradizioni popolari? Stone fece nuovamente di no.

Kyle bevve un goccio. — Forse hai ragione tu.

— Ho ragione di sicuro — precisò Stone. — Naturalmente di aborigeni ne esistono ancora, ma sono estremamente emarginati. Per decenni hanno avuto il maggior tasso di suicidi, di alcolismo, di povertà, di mortalità infantile e disoccupazione rispetto a ogni altro gruppo demografico dell’intero paese.

— Ricordo comunque che una ventina d’anni fa, quando venivo a studiare qui, ai corsi c’erano anche un po’ di indigeni.

— Come no. Ma era per via di certi stanziamenti statali, e né Ottawa né le province spendono più soldi in programmi del genere se non c’è la prospettiva di cavarne un mucchio di voti… e temo che non sia questo il caso. Ma lo sai che in Canada ormai ci sono più ucraini che nativi? E comunque i programmi statali di quel genere non hanno mai avuto successo. Anni fa ho svolto qualche incarico per il Ministero degli Affari Indiani, prima che lo abolissero, e ti posso assicurare che gli indigeni non la vogliono, la nostra cultura. Quanto a noi, non appena deciso che la loro cultura era estranea al nostro modo di vivere, abbiamo smesso di dar retta alle loro pretese territoriali e adesso stiamo semplicemente aspettando che si estinguano. La verità è che noi europei abbiamo preso il sopravvento e ci siamo accaparrati in blocco il Nordamerica strappandolo agli indigeni.

Kyle rifletté un istante, poi disse la sua: — Be’, meno male che nessuno sta per prendere il sopravvento su di noi.

Stone mandò giù una sorsata. — Aspetta che gli alieni di tua moglie arrivino sulla Terra, poi ne riparliamo — sentenziò, terribilmente serio.


Che sballo! Spettacoloso e palpitante, come l’acido che aveva provato, insieme a tante altre cose, i primi tempi dopo il suo arrivo nella grande città.

Un’altra mente umana!

Era sconcertante, inebriante, terrificante, elettrizzante.

Cercò di dominare eccitazione e sconcerto, facendo appello alla razionalità.

Ma l’altro era così… alieno!

Anche perché si trattava di un maschio. La mente di un uomo.

Ma la stranezza non stava tutta lì.

Le immagini non apparivano dei colori giusti. Tutti marroni e gialli e grigi e…

Ah, già, è vero. Bob, un cugino di Heather, aveva lo stesso problema. Quell’uomo, chiunque fosse, doveva essere daltonico.

Comunque c’era anche qualcos’altro che non quadrava. Heather riusciva a… “udire” (termine improprio, a rigore, ma che rende l’idea) i suoi pensieri, un ruminìo silenzioso, una voce senza fiato, un suono senza vibrazione, parole che ruzzolavano a destra e a manca come dadi gettati alla rinfusa.

Ma le giungevano prive di significato, incomprensibili…

Perché non erano in inglese.

Heather si concentrò nel tentativo di cavarne un senso. Nessun dubbio che fossero parole, ma senza sonorità né accenti era difficile stabilire a che lingua appartenessero.

Vocali. Consonanti.

Anzi, no. Consonanti, poi vocali, sempre in alternanza. I gruppi consonantici sembravano assenti.

Gran parte del giapponese è congegnato così.

Esatto. Una persona che parlava giapponese. Che pensava giapponese.

Già, perché no? Soltanto settecentocinquanta milioni di persone, più o meno, parlavano (e pensavano) inglese la maggior parte del tempo. Americani, canadesi, inglesi, australiani, un piccolo numero di popolazioni minori. Certo, mezzo mondo masticava un po’ d’inglese, ma come lingua madre apparteneva solo a un decimo del totale.

Che fare? Riprovare? Scollegarsi? Scegliere un altro appiglio sulla muraglia dell’umanità?

Sì, ma aspetta, non ancora.

Era un’esperienza assolutamente affascinante.

Essere in contatto con una mente umana.

Chissà se quell’uomo se ne rendeva conto? A ogni modo, non ne dava segno.

Immagini vacillanti si formavano per un secondo scomparendo subito dopo.

Venivano e svanivano così rapidamente che Heather non riusciva a discernerle tutte. Molle apparivano distorte. Vide la faccia di un uomo, un asiatico, ma le proporzioni erano sbagliate: labbra, naso e occhi giganteggiavano, mentre il resto del volto si sfaldava nell’oscurità. Stava forse cercando di ricordare qualcuno? In certi punti il dettaglio era sbalorditivo: i pori del naso, la peluria nera (non proprio baffi, ma neppure abbastanza da giustificare l’intervento del rasoio) sopra il labbro superiore, gli occhi iniettati di sangue. Altre zone apparivano invece appena abbozzate: come le orecchie, due grumi di creta sporgenti informi ai lati del capo.

Nuove immagini. Notte, una strada affollata, luci al neon dappertutto. Un gatto bianco e nero. Una donna, asiatica, giovane, carina… e all’improvviso nuda, evidentemente spogliata dall’immaginazione dell’uomo. Di nuovo la sconcertante distorsione, mentre alcuni elementi si danno rapidamente il cambio al centro dell’attenzione: mammelle di alabastro gonfie come palloni, con strani capezzoli color giallo-grigio causa il difetto di percezione cromatica; genitali che ingigantiscono a riempire il campo visivo, quasi volessero divorare l’osservatore.

E, incredibilmente, anche le emozioni di lui: desiderio sessuale per una donna… un impulso che a dire il vero Heather stessa ha forse provato una o due volte, mai però assolutamente con quella intensità.

Scomparsa la donna, ecco subentrare un’affollata metropolitana tappezzata di scritte in kanji. E un fiume di parole… sì, “parole”, linguaggio parlato. L’uomo sta ascoltando qualcosa. Anzi, no, sta “origliando”, aguzza le orecchie per seguire una conversazione di nascosto, cercando di mantenersi impassibile per non darlo a vedere.

Il convoglio si avvia con un sobbalzo. Ecco il ronzio dei motori.

Poi il ronzio si affievolisce, respinto ai margini della coscienza per non intralciarla.

Concrete immagini visive, relativamente prive di alterazioni, a parte la limitazione cromatica.

E immagini evocate mentalmente, una surreale galleria di quadri psichici vagheggiati, o a mezzo ricordati, o del tutto fiabeschi.

Molti dei quali non hanno alcun senso, per Heather. Proprio uno sconcertante risultato per una psicologa di fede junghiana: constatare che il relativismo culturale esiste davvero, e che la mente di un uomo giapponese può almeno in parte risultare aliena, per una donna canadese, quanto la mente di una creatura del Centauro.

Eppure…

Eppure quell’uomo apparteneva a pieno titolo al club dell’Homo sapiens. L’estraneità della sua mente andava imputata più al suo essere giapponese o al suo essere maschio? O si trattava semplicemente della sua unicità, delle specifiche qualità che rendevano questo… questo Ideko (era il suo nome: le si disvelò spontaneamente, con |a levità di una piuma discesa a volo in palmo di mano) un essere umano ben determinato, diverso da ciascuno dei sette miliardi di altri individui esistenti sul pianeta?

Heather aveva sempre creduto di comprendere Kyle e altri uomini, però non era mai stata in Giappone, e di quella lingua non conosceva neppure una parola.

Forse stava tutto nella mancanza di una stele di Rosetta a livello mentale. Forse i pensieri e i timori e i bisogni del signor Ideko erano simili a quelli di Heather, però sottoposti a un codice diverso. Gli archetipi dovevano esserci. Come Champollion aveva riconosciuto il nome Cleopatra in greco e in demotico e in geroglifico, aprendo finalmente la strada alla comprensione dell’antico testo egizio inciso sul famoso blocco di basalto nero, così, sottesi alla specificità di Ideko, bisognava che si annidassero l’archetipo della Madre Terra e quello dell’angelo caduto e quello dell’unità incompleta. Se solo fosse riuscita a scoprire una chiave…

Ma per quanti tentativi mettesse in atto, i pensieri di Jui continuavano in gran parte a rimanerle indecifrabili. Comunque, avesse avuto abbastanza tempo, era certa di poter trovare il bandolo della matassa…

Il convoglio stava entrando in un’altra stazione. Risultava a Heather, per sentito dire, che nel paese del Sol Levante nerboruti inservienti fossero addetti al compito di pigiare la gente dentro le carrozze della metropolitana stipandone quanta più possibile… tuttavia non scorse traccia di un simile procedimento. Forse si trattava solo di un’invenzione, magari addirittura di un archetipo: preconcetti nei confronti del “diverso”.

Nella mente di Ideko rampollò un nuovo pensiero sfacciatamente sessuale. Heather ne rimase sbalordita, tuttavia quel ghiribizzo venne soffocato pressoché all’istante. Altra specificità culturale? Nella sua carriera di pendolare era capitato anche a lei d’ingannare molte lunghe attese sbrigliandosi in oziose fantasticherie… più romantiche che pornografiche, a dire il vero. Ma Ideko rintuzzò sdegnoso quel capriccio passeggero, riconducendosi mentalmente entro le palizzate di un rigido autocontrollo.

Specificità culturale. Nel Vecchio Testamento non è inconsueto che i padri dormano con le proprie figlie.

Si sentì percorrere da un fremito…

,..ma era solo il convoglio che, rabbrividendo, si rimetteva in marcia. Ideko detestava (are il pendolare: chissà che non fosse un archetipo anche quello, un pilastro del moderno inconscio collettivo, una Cleopatra scalpellata nel granito.

Davvero inebriante, questo inserirsi in una mente altrui. Con una sua connotazione sessuale anche a prescindere da pensieri sessualmente espliciti, permeato com’era di voyeurismo.

Entusiasmante e affascinante, sì.

Ma sapeva di doversi distaccare.

Provò una subitanea fitta di tristezza. Ormai conosceva Ideko meglio di quanto conoscesse tante altre persone; aveva visto attraverso i suoi occhi, condiviso i suoi pensieri.

E adesso, dopo questo breve seppur profondo contatto, probabilmente non l’avrebbe incontrato mai più.

Ma bisognava affrettarsi a proseguire.

La verità era lì da qualche parte.

La verità indiscutibile.

La verità non altrimenti dimostrabile.

La verità su Kyle, su Becky, su Mary.

Una verità che Heather doveva trovare.

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