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Cambiamenti di pressione, occhi pieni di stelle. Poi nuovamente le pareti della struttura si dispersero ai confini del nulla, e Heather ebbe ancora una volta la sensazione di galleggiare nel vuoto col suo corpo invisibile.

Al di sotto, uno strano territorio s’incurvava verso il basso come se lei stesse osservando da grande altezza un’ignota regione della Terra.

Al di sopra, il cielo s’incurvava nella direzione opposta… solo che non era il cielo ma piuttosto un altro mondo, con dissimili tratti geografici. Era come se due pianeti orbitassero vicinissimi l’un l’altro in spregio delle meccaniche celesti e Heather fluttuasse lungo il corridoio doppiamente convesso che li separava. Lontanissimo, laggiù, s’intravedeva un maelstrom d’oro e verde e argento e rosso.

Sentiva il cuore galopparle in petto. Era incredibile, stupefacente.

Lottò per mantenere l’equilibrio mentale, si aggrappò alla ragione, cercando di dare un senso a tutto ciò.

In alto il paradiso e in basso l’inferno?

0 forse i due emisferi di un cervello con in mezzo lei a cavalcare il corpus callosum?

O non stava chissà come scivolando entro la fenditura di qualche smisurata Terra Madre?…

Yin e yang separati e rovesciati?

Due mandala?

Tutte interpretazioni fantasiose e insoddisfacenti. Decise di tentare un approccio più scientifico. Le due sfere avevano eguale diametro? Difficile a dirsi: quando si concentrava su una, l’altra svaniva completamente persino dalla visione periferica, come se per esistere in concreto necessitasse della sua attenzione.

Si sentiva vibrare tutta di un’ebbrezza nuova. Mai prima d’allora aveva vissuto un’esperienza paragonabile a quella. Comprendeva davvero, per la prima volta, il significato del termine “estasiante”.

Si domandò se non stesse vedendo il sistema del Centauro. Esso consisteva innanzitutto di tre stelle: A, gialla e vivida; B, più fioca, arancione; e la minuscola Proxima, rosso ciliegia. Chissà i pianeti di un simile sistema che caroselli dovevano affrontare?

Ma no, quelle sfere non erano pianeti. E neppure soli gemelli. Piuttosto, ne era certa, si trattava di “regioni”, territori ben determinati seppure sprovvisti di concretezza fisica. Ciò che a prima vista aveva preso per laghi riflettenti la luce solare sulla superficie di una delle sfere erano, in realtà, gallerie che l’attraversavano, rivelando il maelstrom policromo che faceva da sfondo al tutto.

Si accorse di avere la gola asciutta e deglutì a fatica, cercando di calmarsi, cercando di pensare.

Se la struttura si era davvero ripiegata in un ipercubo, allora lei forse si trovava adesso in un universo quadridimensionale. Il che poteva spiegare come mai gli oggetti si dileguassero se non li guardava direttamente: scivolavano infatti non solo a destra e a sinistra del campo visivo, ma anche anà e katà.

Heather era sbigottita, frastornata, incerta sul da farsi. Cercare d’innalzarsi verso il globo superiore? O abbassarsi verso quello inferiore, magari inoltrandosi attraverso una delle gallerie che lo pervadevano? O invece puntare direttamente innanzi verso il maelstrom?

Ma ben presto ogni opzione divenne superflua. Senza esercitare alcuno sforzo si vide galleggiare verso la sfera superiore… a meno che non fosse la sfera stessa a scenderle incontro. Impossibile determinare se la brezza lieve che avvertiva dipendesse dal suo movimento o dall’aria circolante entro la struttura.

Mentre si librava all’insù rimase impressionata nel vedere quella che pareva una bocca aprirsi nella sfera sovrastante, e un lungo, iridescente nastro serpentiforme guizzarne fuori superandola in un lampo per piombare a congiungersi con la sfera inferiore, ove immediatamente venne inghiottito da un’altra bocca. Intanto che continuava la propria ascesa, altri due serpenti compirono il tragitto dall’alto verso il basso, mentre un terzo balzò dalla sfera sottostante verso quella superiore.

Nonostante l’assoluta estraneità di tutto ciò rispetto a ogni sua esperienza precedente, Heather si sentiva in qualche modo persuasa che sfere e serpenti fossero entità organiche: manifestavano infatti l’aspetto di strutture biologiche, il rorido luccicore della vita, le irregolarità di cose cresciute anziché costruite. Ma se fossero formazioni a sé stanti, o invece soltanto organi di una creatura più grande, non avrebbe saputo dire. E il maelstrom sullo sfondo avrebbe potuto tanto situarsi nelle profondità dello spazio… quanto costituire una ben più vicina membrana di contenimento.

Il cuore continuava a martellarle. L’idea che tutto ciò fosse anche solo in parte vivente la spaventava. E nell’approssimarsi alla superficie della sfera superiore poté constatare che essa si espandeva e contraeva lievemente… pompando, oppure respirando. Le dimensioni dell’oggetto erano fantastiche: supponendo che lei avesse conservato la propria statura di 164 centimetri, la sfera doveva essere ampia decine se non centinaia di chilometri. Poteva anche darsi, d’altronde, che lei fosse invece rimpicciolita sino a una minuscola frazione delle dimensioni originali e che adesso stesse affrontando un suo personale viaggio allucinante attraverso l’anatomia di un Centauro.

Già… che fosse davvero questo lo scopo dell’ipercubo? Molti scienziati del SETI avevano sostenuto che l’effettivo viaggio interstellare in forma fisica sarebbe sempre stato poco pratico. Forse i Centauri si erano limitati a inviare una serie di dettagliate informazioni circa la propria conformazione interna, affinché gli umani potessero, per conto proprio, ricostruire in loco uno dei loro amici dell’altra stella.

Heather continuava a salire sempre più su, e ciò indusse in lei una piccola riflessione di carattere gravitazionale. La precisa nozione dell’alto e del basso non l’aveva mai abbandonata e anche adesso i suoi sensi le dicevano che stava guadagnando quota. Ma se davvero era priva di peso, allora tali impressioni non possedevano alcun reale valore.

Su o giù? Salita o discesa?

Prospettive. Percezioni.

Durante un corso di psicologia della percezione, anni prima, Heather aveva fatto la conoscenza del cubo di Necker: dodici linee costituenti la rappresentazione schematica di un cubo in prospettiva:



Se lo si osserva abbastanza a lungo, esso sembra oscillare fra l’immagine di un cubo orientato verso l’angolo superiore sinistro e l’immagine di un cubo orientato verso l’angolo inferiore destro, con le due facce quadrate che si scambiano di posto fra primo piano e secondo piano.

Heather chiuse gli occhi, e…

…e dopo un secondo vide l’interno della costruzione. No, questo sistema non andava bene per cambiare prospettiva. Riaprì gli occhi, ma la sfera superiore era sempre là. Provò allora ad arretrare la messa a fuoco, fissando lo sguardo s’un oggetto immaginario distante pochi centimetri dal proprio naso. Lo sfondo si fece sfocato. Dopo qualche secondo rilassò i muscoli oculari, consentendo che la messa a fuoco tornasse all’infinito.

E, in effetti, la prospettiva si era capovolta. La sfera più vicina si presentava adesso sotto di lei. Le venne il sospetto che con uno sforzo di volontà avrebbe potuto farla apparire a destra o a sinistra, oppure davanti o di dietro, oppure…

Oppure katà o anà?

Se il suo cervello era capace di padroneggiare simultaneamente tre sole paia di direzioni, mentre davvero in questo luogo ne esistevano quattro fra cui scegliere, ciò comportava inevitabilmente che lei non fosse in grado di percepire una delle quattro possibilità. Ma certo non s’imponeva una gerarchia predefinita, non v’era motivo perché, per esempio, la lunghezza godesse di maggior diritto a essere la prima dimensione rispetto ad altezza o profondità.

Heather pose di nuovo lo sguardo fuori fuoco e cercò di sgombrare la mente.

Quando rimise a fuoco, tutto era identico a prima.

Tentò ancora, stavolta battendo anche le palpebre, stando attenta però a non chiudere gli occhi abbastanza a lungo da rivisualizzare l’interno della struttura.

E poi lo sfondo sfocato parve mutare…

E i suoi occhi si rimisero a fuoco…

E d’improvviso, incredibilmente, tutto apparve diverso. Heather si sentì mancare il respiro.

In prospettiva diametralmente rovesciata, trasformatisi i globi in due grandi coppe congiunte per i bordi, Heather fluttuava adesso nel ventre di una sfera gigantesca.

La faccia interna della sfera si presentava granulosa, quasi come la superficie di una stella, e nuovamente le venne da pensare che forse stava in qualche modo osservando il sistema del Centauro, malgrado la palpitante sensazione organica che da tutto ciò emanava.

Le sembrava ora, altro mutamento di prospettiva, di essere trascinata all’indietro. Ruotò dunque su se stessa nuotando nel vuoto, così da fronteggiare la direzione del movimento apparente. Nell’avvicinarsi alla superficie constatò che la granulosità consisteva in milioni di esagoni strettamente giustapposti.

Sotto il suo sguardo uno degli esagoni prese ad allontanarsi formando una lunga, profonda galleria. Mentre il canale si allungava, Heather vide le sue pareti farsi lucide, poi iridescenti… e comprese che data la sua nuova prospettiva stava osservando uno dei serpenti dall’interno. A un certo punto la galleria si assottigliò e scomparve, in concomitanza probabilmente col distacco del serpente dalla superficie.

Eccola giunta infine a poche centinaia di metri dall’immensa parete curvilinea.

Si sentiva stordita, disorientata… quasi avesse piroettato più e più volte su se stessa sino a farsi venire il capogiro. Avrebbe avuto una gran voglia di proseguire l’esplorazione, ma… diavolacci, quale improvvida intrusione della realtà! Aveva bisogno di fare pipi. Si augurò che, alla prossima escursione, potesse ritrovarsi là dov’era ora, in quel posto preciso, e non all’inizio dell’intero viaggio. Sarebbe stata una bella scocciatura, progredire nell’esplorazione per poi dover riaccedere a quel luogo portentoso sempre dallo stesso punto.

Chiuse gli occhi, attese che l’immagine della cavità le riapparisse nella mente, toccò il pulsante di arresto e rientrò, vacillando, nello strano mondo spigoloso chiamato casa.

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