Kyle aveva in vista un’eccezionale dimostrazione, di grande importanza per garantire l’ininterrotto finanziamento del suo progetto di ricerca. Vi si sarebbe dovuto dedicare con ogni sua energia e invece, in quel periodo, era continuamente preoccupato per l’accusa di Becky.
Sinora, oltre a Heather e Zack, non ne aveva parlato con nessuno, eccetto Cita. L’unica persona con cui si fosse confidato non era affatto una persona. E invece aveva bisogno di parlarne a una persona vera. Ma di chi fidarsi? Difficile scelta. Alla facoltà d’Informatica nessuno faceva al caso suo; molto meglio lasciare il luogo di lavoro fuori da quella storia, a parte le sue chiacchiere segrete con Cita. Nei mesi a venire, quel laboratorio avrebbe anche potuto rappresentare il suo unico rifugio.
Mullin Hall sorgeva a due passi dal Newman Centre, che ospitava il cappellano cattolico dell’Università. Kyle accarezzò brevemente l’idea di parlare a costui, ma non avrebbe funzionato. Dopotutto anche una tonaca è bianca e nera, proprio come il mantello di una zebra.
Poi gli venne in mente.
La persona ideale.
Kyle non lo conosceva molto bene, ma negli ultimi anni si erano incontrati in tre o quattro commissioni e di tanto in tanto avevano pranzato assieme, o per lo meno nello stesso gruppo, al Club di Facoltà.
Kyle sollevò il micro dell’ufficio e pronunziò il nome desiderato: — Elenco interno. Bentley, Stone.
Il telefono segnalò il contatto, poi una voce stridula ne scaturì. — Pronto?
— Stone? Sono Kyle Graves.
— Chi? Ah… Kyle, sì. Ciao.
— Stone, ti volevo chiedere se non avresti tempo per un goccio con me stasera.
— Uh, sì, va bene. Al Club di Facoltà?
— No, no. Da qualche parte fuori del campus.
— Ti andrebbe l’Abbeveratoio di College Street? — propose Stone. — Lo conosci?
— L’ho visto da fuori.
— Bene, allora passa dal mio ufficio alle cinque. Persaud Hall, stanza 222.
— Ci sarò.
Kyle riattaccò, chiedendosi che cosa avrebbe detto esattamente a Stone.
Heather entrò in ufficio. Non era certo un ambiente enorme, ma per fortuna le università non avevano mai assegnato cubicoli al corpo insegnante. Di solito divideva il locale con Omar Amir, anche lui professore associato, che però trascorreva tutto luglio e agosto alla villetta di famiglia nel Kawartha. Così, per lo meno durante l’estate, Heather aveva agio di pensare e lavorare in assoluta tranquillità. Oltretutto, mentre in alcuni degli uffici più recenti venivano adottati pannelli terratetto in vetro smerigliato accanto a porte sottilissime, la stanza di Heather e Omar aveva l’aspetto di uno studio privato vecchio stile, con una porta di legno massiccio che cigolava sui cardini e una normale finestra con vista a oriente sul cortile in cemento fra Sid Smith e St. George Street. C’erano persino le tende, un tempo probabilmente di un bel rosso borgogna, ma ridotte attualmente a marrone chiaro. Ottime, da chiuse, per schermarsi dal sole insistente del mattino.
Il radiomessaggio alieno del giorno innanzi campeggiava ancora sul monitor. Poiché l’intervallo fra l’inizio di un messaggio e l’inizio del messaggio successivo era di trenta ore e cinquantuno minuti, ciascun messaggio incominciava, ogni giorno, quasi sette ore più tardi rispetto a quello precedente. L’ultimo era stato ricevuto mercoledì mattina alle 4.54, ora della costa orientale; l’inizio di quello odierno era dunque previsto per le 11.45 antimeridiane. I messaggi venivano captati dai radiotelescopi di varie nazioni, a seconda di quale zona del globo terrestre fosse diretta verso Alpha Centauri all’ora della ricezione, e immediatamente si provvedeva alla loro diffusione sul Web. Esisteva inoltre un ricevitore orbitale costantemente puntato verso la sorgente dei segnali.
Heather continuava a sperare che un bel giorno avrebbe guardato l’ultimo messaggio e il significato complessivo le sarebbe scaturito chiaro nella mente. Rimpiangeva la limpidezza dei primi undici messaggi… semplici raffigurazioni del teorema di Pitagora, di formule chimiche, di sistemi planetari. Doveva ammettere però che anche quelli ponevano dei quesiti: i composti chimici descritti nelle formule, per esempio, erano stati sintetizzati senza difficoltà, ma nessuno era ancora riuscito a comprendere a che cosa potessero servire.
Heather si versò una tazza di caffè e guardò di nuovo il messaggio del giorno prima.
Come sempre, il messaggio era rappresentato come due reticoli rettangolari. Ciascun messaggio consisteva in una stringa di circa centomila cifre binarie ricevuta nell’arco di due o tre ore. Il numero totale delle cifre componenti ciascun messaggio era sempre il prodotto di due numeri primi e ciò significava che le cifre potevano essere disposte in due diversi modi. Secondo l’intestazione del Centro Segnale Alieno di Karachi, Pakistan, in quel messaggio c’erano 108.197 bit. Essendo tale numero il prodotto dei numeri primi 257 e 421, le cifre potevano essere disposte come 257 righe di 421 colonne o, viceversa, come 421 righe di 257 colonne. A volte una delle due immagini appariva a occhio più corretta dell’altra, mostrando quadrati o cerchi mentre lo schema inverso dava semplicemente luogo a un guazzabuglio senza capo né coda. Ma siccome nessuno aveva ancora stabilito che cosa mai quei messaggi dovessero in realtà rappresentare, non si poteva esser certi di quale fosse veramente l’interpretazione corretta.
Quando, nel 2007, i messaggi erano cominciati ad arrivare, milioni di persone si erano dedicati a decifrarli. Ma, col passare degli anni, il numero di ricercatori era andato via via scemando. Heather sapeva che attualmente meno di trecento erano attivamente impegnati nell’analisi di ciascun nuovo messaggio.
La versione teoricamente più corretta dell’ultimo messaggio mostrava tre rettangoli e due cerchi immersi in una distesa apparentemente senza senso di quadratini bianchi e neri; ciascun bianco rappresentava la cifra binaria uno, ciascun nero la cifra binaria zero. Nel fissare lo schema, Heather si sentì invadere dalla frustrazione. Doveva avere trascurato, ne era certa, qualcosa di elementare. Da qualche parte, fra le centinaia di milioni di bit già pervenuti da Alpha Centauri, doveva esserci una stele di Rosetta, una chiave d’interpretazione che avrebbe dato senso a tutti gli altri messaggi.
Divergenti le opinioni in merito. Un ricercatore portoghese aveva a lungo sostenuto che la chiave sarebbe giunta col messaggio conclusivo, non con uno dei primi; in tal modo, gli alieni avrebbero automaticamente messo fuori gioco tutte le razze cui mancasse la pazienza necessaria alle comunicazioni interstellari. Secondo altri, gli alieni erano semplicemente troppo alieni, quindi noi e loro non saremmo mai stati in grado di comunicare. Un terzo schieramento asseriva che l’umanità non era abbastanza intelligente, o abbastanza evoluta, per comprendere il significato di quanto le giungeva dallo spazio.
In qualità di psicologa junghiana, Heather riteneva che tutte le menti umane condividessero un vocabolario di simboli e archetipi posti alla base del pensiero. I Centauri, ne era convinta, disponevano inevitabilmente di un diverso bagaglio di metafore e simboli; se fosse riuscita a individuarli, avrebbe potuto decifrare il codice.
Bevve un sorso di caffè. Quel messaggio era sconcertante come tutti gli altri. Magari non si trattava d’altro che di un gigantesco cruciverba, pensò. In effetti il reticolo di quadratini bianchi e neri suggeriva quell’idea, sebbene il riempimento degli spazi bianchi, intesi come vuoti, fosse un concetto umano, legato forse (ammettendo di riuscire per un attimo a calarsi in panni freudiani) alla fisiologia dei sessi. Non era comunque la prima volta che Heather si domandava se il messaggio potesse essere deliberatamente incompleto, yin ma non yang, e se gli alieni fossero in attesa che l’umanità fornisse la parte mancante onde ottenere il risultato complessivo.
Secondo un vecchio concetto diffuso negli ambienti del progetto SETI, i segnali inviati da esseri senzienti avrebbero alta probabilità di rientrare in un gruppo di frequenze definite “sorgente”, tra la frequenza di emissione dell’idrogeno, 1420 MHz, e quella dell’ossidrile, 1667 MHz. Idrogeno (H) e ossidrile (OH) sono i componenti dell’acqua (H20), e se proprio in quella gamma di frequenze l’atmosfera terrestre è particolarmente trasparente alle radioonde, al tempo stesso lo spazio interstellare vi è, in larga misura, libero da interferenze. Poiché tutta la vita, come noi la conosciamo, ha avuto origine nell’acqua, tale zona dello spettro sembrerebbe un naturale luogo d’incontro per quelle specie desiderose di stabilire radiocomunicazioni interstellari.
I segnali dei Centauri, però, non rientravano nella “sorgente” e neppure le si avvicinavano… ulteriore esempio di una visione della realtà che, ritenuta condivisa, si rivelava non esserlo affatto.
Ma non potrebbero esserci, si chiedeva Heather, altre “sorgenti”, altri terreni comuni, condivisibili da tutte le creature esistenti nel nostro universo, indipendentemente dalla loro biologia e dalla struttura del loro pianeta?…
Aveva appuntamento a mezzogiorno e un quarto con la sua amica Judy per pranzare al Club di Facoltà. Poteva benissimo trattenersi in ufficio sinché non fosse iniziata la ricezione del messaggio odierno.
Mancavano dieci minuti. Heather non era tipo da stare con le mani in mano. Aveva sul digimemo l’ultimo numero del “Journal of Jungian Studies” e prese a spulciarlo senza fretta.
Dopo un poco trillò il telefono. Heather terminò il paragrafo che aveva sott’occhio, poi allungò distrattamente una mano a sollevare il micro. — Pronto?
— Heather! Te ne sei scordata?
Heather diede un’occhiata al suo orologio. — Oddio, scusa, Judy! — Alzò lo sguardo verso il computer. — Aspettavo l’arrivo del messaggio odierno… ero pronta a uscire non appena sentito il segnale di messaggio in ingresso. — Si avvicinò al computer e gli ordinò di collegarsi direttamente al sito del Centro Segnale Alieno. Niente.
— Judy, non ce la faccio. Oggi il messaggio alieno è in ritardo.
— Sei sicura di non aver sbagliato orario?
— Figuriamoci. Ascolta, ormai è andata. Ti va bene a pranzo domani?
— Ma certo. Ti chiamo io.
— Grazie, e scusa di nuovo. — Non fece in tempo a rimettere a posto il micro che il telefono riprese a squillare. — Sì, pronto?
— Heather — disse una voce femminile diversa dalla precedente. — Sono Salme van Horne.
— Salme! Dove sei? Qui in Canada?
— No, sono sempre a Helsinki. Hai provato a scaricare il messaggio odierno?
— Sì, ma a quanto pare non c’è niente in arrivo.
— È la prima volta che succede, vero? Finora i Centauri non hanno mai saltato un giorno.
— Esatto. Non sono mai nemmeno stati in ritardo… Aspetta, sta comparendo qualcosa sulla pagina web.
— Lo vedo anch’io.
— Ecco qua: “Non si rilevano guasti nel sistema di ricezione. Apparentemente, non è stato inviato alcun messaggio”.
— Ma le trasmissioni non possono essere finite — protestò Salme. — Dev’esserci “per forza” una chiave!
— Forse si sono stancati di aspettare la nostra risposta — suggerì Heather. — Può anche darsi che ricomincino, se ci facciamo vivi.
— Non sarà che…
— Cosa? — domandò Heather.
— Equazione di Drake, ultimo termine. Heather rimase in silenzio per qualche istante.
— Oh… — disse poi, sommessamente.
L’equazione di Drake, che fornisce una stima del numero di civiltà, entro la nostra galassia, capaci di effettuare trasmissioni radio, contiene sette termini:
R* fp ne fl fi fc L
Ritmo di formazione stellare, moltiplicato la frazione di stelle provviste di pianeti, moltiplicato il numero di pianeti adatti alla vita, moltiplicato la frazione di pianeti adatti alla vita su cui la vita effettivamente appare, moltiplicato la frazione di forme di vita che sviluppano l’intelligenza, moltiplicato la frazione di forme di vita intelligenti che sviluppano la radio, moltiplicato…
Moltiplicato L grande: cioè la lunghezza del ciclo vitale di una civiltà.
Una civiltà che possieda la radio è probabile che disponga altresì di armi nucleari o altre mostruosità altrettanto pericolose.
Le civiltà possono essere spazzate via in pochi minuti… certamente in meno di un solo giorno di trentuno ore.
— Non possono essere morti — disse Salme.
— O sono morti, o hanno interrotto volontariamente, oppure il messaggio è completo.
Bussarono alla porta. Heather coprì il micro. — Avanti!
Fece capolino l’assistente d’istituto. — Scusi il disturbo, professoressa Davis, ma c’è al telefono la CBC. Vogliono sapere da lei che cos’è successo agli alieni…