La mente era ancora nella cavità dell’albero. Non si era più mossa dal momento in cui il cane l’aveva messa lì per poi andarsi a buttare sotto le ruote della macchina.
Da allora era entrata in un solo ospite-schiavo, ma soltanto per una esplorazione. Voleva una visione della zona più chiara di quella acquisita grazie a Tommy. Una visione a volo d’uccello. Così, poco prima dell’alba, dal suo nascondiglio, prese possesso di un corvo (sapeva che era un corvo per una immagine trovata nel cervello di Tommy). Aveva aspettato fino al sorgere del sole, poi l’uccello era partito per un ampio giro, in modo che la mente potesse vedere con gli occhi dell’animale. Volando molto in alto arrivò sopra la strada, e cominciò a seguirla cercando di ricordare con esattezza la posizione di ogni fattoria che sorvolava. Collegandosi ai ricordi di Tommy riuscì a ricostruire il numero degli abitanti della maggior parte delle fattorie, ognuno con le sue caratteristiche. Andò in volo fino alla casa che si trovava al termine della strada. Tommy aveva sempre creduto che fosse vuota, ma si era sbagliato. Nell’area davanti alla casa era parcheggiata una macchina.
Il corvo tornò indietro, seguendo la strada fino a Bartlesville, passando sopra la fattoria di Hoffman e dei Garner. Quando raggiunse la periferia del paese la mente lasciò che il corvo si riposasse su una pianta. Poi gli fece compiere un volo circolare sul paese, cercando ancora una volta di collegare ciò che vedeva con i ricordi di Tommy.
Un negozio per le riparazioni radio e televisive fu la cosa che l’interessò maggiormente. Certo il proprietario di quel negozio doveva avere qualche nozione di elettronica, e con tutta probabilità sarebbe stato un ottimo ospite. Per un po’ almeno. Ma Tommy non aveva saputo né il nome di quell’uomo, né dove abitasse, anche se sapeva che non dormiva in negozio. Le ci sarebbe voluto parecchio tempo per scoprire tutti questi particolari. Inoltre le serviva uno schiavo umano che la portasse in città, in un punto da dove il suo raggio di percezione potesse arrivare al radiotecnico addormentato.
Il corvo non le serviva più, quindi lo fece cadere dall’alto mandandolo a schiacciarsi sul selciato. Non c’era scopo di farlo tornare fino al bosco. E la mente rientrò immediatamente in sé stessa, nel cavo dell’albero.
Era stata fortunata nella scelta del suo secondo nascondiglio. In quel punto il bosco era più inaccessibile della grotta. E numerose creature passavano nelle vicinanze, a una distanza sufficiente per essere studiate con attenzione. Era passato un cervo, e anche un orso. Un gatto selvatico e una puzzola. E molti uccelli, inclusi quei due che la mente già conosceva, e che erano in grado di trasportarla: un gufo e un falco. Trasporto aereo diurno o notturno, a seconda dei suoi desideri. Da quel momento in avanti una qualsiasi di quelle creature avrebbe potuto diventare sua nel momento opportuno.
C’erano anche animali più piccoli, e c’erano i serpenti, ma questi non la interessavano gran che: si spostavano troppo lentamente… e morivano lentamente. Uno schiavo duro a morire era una scomodità.
Così trascorse il tempo fino al pomeriggio, poi accadde, o meglio, cominciò ad accadere qualcosa per cui capì di dover fare immediatamente la mossa successiva.
Aveva fame. O meglio, dato che non mangiava nel senso in cui noi intendiamo il mangiare, aveva bisogno di nutrimento. Sul suo pianeta, prima e durante le giornate che l’avevano portata all’esilio, il tempo doveva essere passato molto rapidamente. Adesso non ricordava con esattezza quando si era nutrita l’ultima volta. Aveva pensato di avere tutto il tempo di stabilirsi sulla Terra (quando aveva saputo che era abitata da esseri intelligenti), prima di doversi preoccupare della fame. Ma si era sbagliata.
La sua specie si era sviluppata nell’acqua, ed era vissuta assorbendo direttamente i microrganismi esistenti nell’acqua. Un sistema digestivo vero e proprio non si era mai sviluppato. Quando l’evoluzione aveva fornito le menti di un guscio protettivo, questo guscio, nonostante la sua durezza, aveva mantenuto sufficiente porosità da permettere loro di assorbire il nutrimento come avevano sempre fatto. Prima di avere il guscio, la loro unica protezione contro i nemici naturali era stata la velocità. Su un pianeta a bassa gravità, la levitazione, che permetteva di muoversi in qualsiasi direzione, aveva fornito un mezzo di fuga veramente efficace. Questa qualità, e il senso di percezione, erano sempre state le particolarità della loro razza.
L’abilità di controllare altre menti, di prendere il sopravvento mentale su altre creature, si era sviluppata in seguito, con il crescere della loro intelligenza. Questa nuova qualità aveva permesso ai più intelligenti di abbandonare le profondità delle acque per vivere vicino alle spiagge. Sulla terraferma, l’evoluzione era avvenuta in modo differente. E c’erano creature che a volte dormivano tanto vicine alla spiaggia da poter essere fatte schiave. Erano creature più utili di qualsiasi altra che vivesse nelle profondità delle acque. Infatti possedevano mani… non erano, in fondo, molto diverse dalle nostre scimmie… e se dirette con intelligenza, potevano fare e costruire qualunque cosa.
Con l’aiuto di questi schiavi la specie a cui apparteneva la mente aveva sviluppato una civiltà e la scienza. In un primo tempo la sua razza doveva stare nell’acqua e dirigere gli schiavi che operavano sulla terraferma. Alla fine però erano riusciti a sviluppare una tecnica che eliminava questo inconveniente: avevano scoperto che immergendosi in una soluzione nutriente, potevano assorbire il loro nutrimento più in fretta e con maggiore efficacia che non stando di continuo immersi nell’acqua. Adesso, con l’aiuto dei loro schiavi, potevano vivere molto distanti dall’acqua e soddisfare il loro bisogno di cibo facendosi immergere dagli schiavi nella speciale soluzione nutriente. Un’ora circa di bagno, ogni due o tre mesi. Alcuni di loro vivevano ancora nell’acqua, ma si trattava di gruppi civilmente arretrati, specie di aborigeni australiani o pigmei dell’Africa in confronto agli scienziati atomici.
Ma i gruppi civilizzati della sua specie erano stati nutriti per migliaia d’anni con quella soluzione, e avevano perso l’abilità di vivere con ciò che potevano assorbire dall’acqua. La loro situazione era in un certo senso analoga a quella di un umano tenuto in vita per diversi anni con iniezioni, e che non può vivere tornando a prendere il cibo nel modo che una volta gli era normale.
La mente avrebbe potuto farsi preparare il nutrimento usando gli animali del bosco, ma l’operazione sarebbe stata lunga e difficoltosa, e si sarebbe dovuto ricorrere a tutta una serie di schiavi, ciascuno adatto, o abbastanza adatto, a una particolare fase del compito.
Uno schiavo umano, in una normale cucina, avrebbe invece potuto preparare in breve tempo la soluzione nutriente. Gli esatti ingredienti non avevano importanza, bastava che fosse ricca di proteine. Il suo corpo avrebbe assorbito solo le sostanze che gli erano necessarie. Quello del gusto era un fattore trascurabile, dato che la creatura non aveva un equivalente del senso del gusto. Una zuppa di verdure, o del sugo di carne sarebbero serviti egregiamente. Anche il latte era indicato, ma le sarebbe stata necessaria una immersione più lunga di quella richiesta in una soluzione di carne.
Resasi conto che doveva procurarsi il nutrimento con una certa urgenza, la mente decise di farlo immediatamente. Valeva la pena di togliersi il pensiero del nutrimento per diversi mesi, anche se doveva correre il piccolo rischio di usare uno schiavo umano prima di quanto avesse progettato.
Cominciò a considerare i diversi esseri umani adatti allo scopo. Meglio trovarne uno che vivesse solo. Qualcuno che non dovesse spiegare né giustificare ad altri le sue azioni nel caso in cui fosse stato sorpreso in piena notte a trafficare in cucina. La persona sola che la mente conosceva meglio era Gus Hoffman, il padre di Tommy. Ma la sua fattoria era almeno due volte più distante della più vicina, e ogni chilometro in più di trasporto aumentava il rischio. La fattoria ai margini del bosco era abitata da due sole persone, una anziana coppia di sposi: Siegfried ed Elsa Gross. Siegfried, come la maggior parte dei mariti tedeschi, era il capo assoluto della loro piccola comunità. Se sua moglie, svegliandosi, fosse scesa in cucina a vedere cosa stava facendo, sarebbe bastato un suo ordine per farla tornare immediatamente a letto.
Dato che l’incursione doveva avvenire di notte, la scelta del mezzo di trasporto cadeva sul gufo. Naturalmente prima avrebbe dovuto fare una prova per accertarsi che il gufo potesse trasportare il suo peso. Se il gufo falliva, restava il falco. Con questo animale però avrebbe dovuto controllare sia la sua possibilità di trasportare il guscio, sia le sue facoltà visive nel buio della notte. Sarebbe stato assai grave se, mentre la trasportava, fosse andato a urtare un albero. Se anche il falco fosse risultato inadatto… Comunque non era il caso di prendere in esame tutte le eventualità. Avrebbe fatto altri piani in seguito.
Prima del cadere della notte, quando ancora la maggior parte delle creature notturne è immersa nel sonno, la mente si concentrò su un gufo, e immediatamente si trovò a controllarne uno. Del rèsto non ne aveva dubitato. Conosceva già abbastanza bene le abitudini delle creature terrestri, e sapeva che soprattutto gli animali inferiori erano pronti ad addormentarsi dozzine di volte oltre il loro normale periodo di riposo. Il cane, nella grotta, si era addormentato in meno di un minuto, quando si era sdraiato. Uno dei cervi che le era passato vicino, dopo aver pascolato per alcuni istanti, si era addormentato in piedi edera rimasto immerso nel sonno fino al momento in cui il battere di un picchio su una pianta vicina l’aveva svegliato. Quindi la mente aveva la certezza di trovare un animale diurno addormentato durante il giorno, e un animale notturno addormentato di notte. Anche se non con la facilità con cui avrebbe potuto trovarli durante i loro periodi normali di sonno.
Preso il controllo del gufo, continuò a lasciarlo dormire. Voleva che fosse perfettamente riposato per le prove cui intendeva sottoporlo. Lo svegliò quando ormai era calata l’oscurità. E lo fece volare. Controllò il battito e la forza delle sue ali e ne valutò la velocità. Poi fece alcuni calcoli. Considerando la forza di gravità del pianeta, che stimò quattro volte superiore a quella del suo, calcolò che una caduta da due metri non le avrebbe procurato alcun danno. Da quattro o cinque metri, si sarebbe probabilmente salvata se fosse caduta in mezzo ad erba molto alta o su terreno soffice. Lasciata cadere dall’altezza di un tetto, per lei sarebbe stata la fine, a meno di non avere la fortuna di finire su un grosso cuscino.
Quando fu soddisfatta della manovrabilità del gufo, usò i suoi occhi per cercare un sasso di una certa grandezza. E alla fine lo vide. Doveva pesare più o meno come il suo guscio, forse qualcosa di più, ed era appiattito, pressappoco della sua forma. Fece posare il gufo sulla pietra e gliela fece afferrare con gli artigli. Il decollo fu difficoltoso, ma una volta nell’aria, il rapace riuscì a volare portando il peso con una certa facilità. E con una presa sicura. Alla fine lasciò che mollasse la pietra e lo mandò a posarsi su un albero vicino a quello dentro cui era nascosta.
Lo lasciò fermo fino alle dieci. Il suo senso del tempo era eccellente quanto il senso di direzione. Aveva calcolato che il viaggio, dato che avrebbe dovuto essere compiuto a zig-zag fra gli alberi, sarebbe durato circa un’ora. Alle undici la vecchia coppia era certamente a dormire.
La cosa più difficile fu uscire dal buco fra le radici dell’albero. Per un attimo la mente pensò di doversi liberare del gufo per prendere uno schiavo più adatto allo scopo, magari una lepre in grado di passare dall’altra parte del buco e spingere fuori il guscio, e poi prendere possesso di un altro gufo per il viaggio. Ma alla fine una delle corte zampe del gufo riuscì ad afferrare l’orlo del guscio e liberarlo.
Il viaggio fu più lungo di quanto aveva previsto. Il gufo, per quanto riuscisse a trasportarla con una certa facilità, mostrò di non essere in grado di volare rapido con un peso tra gli artigli. E quando la mente si accorgeva che i muscoli delle ali del gufo si stavano stancando, lo faceva posare per un breve riposo. Arrivarono alla fattoria dei Gross verso mezzanotte.
Si fece mettere in mezzo all’erba che cresceva tra la strada e lo steccato che cingeva la fattoria, poi compì alcuni voli d’ispezione attorno alla casa, alla ricerca di un nascondiglio sicuro. L’edificio era immerso nell’oscurità e nel più completo silenzio. La prima cosa che notò fu l’assenza di cani, il che eliminava uno dei possibili problemi. Poi vide che il miglior nascondiglio doveva essere quello sotto i gradini di legno che salivano alla porta posteriore. Tra l’altro, quel posto aveva anche il vantaggio di essere vicino alla stalla. Prima di prendere possesso di un altro ospite-schiavo umano avrebbe avuto la possibilità di studiare uno degli animali chiusi nel recinto. Fino a quel momento tutti gli animali potenzialmente suoi schiavi, tranne i cani, erano animali selvatici. Poteva essere utile, per il futuro, disporre di un animale domestico per qualche scopo particolare.
Il gufo tornò a prendere il guscio, e dopo averlo portato oltre lo steccato lo depose accanto ai gradini della scala posteriore. Poi lo spinse più in fondo che poté, in un punto completamente fuori dalla vista.
Con questo finiva l’utilità del gufo. Lo fece salire molto in alto, poi lo lanciò in picchiata contro il muro della costruzione. Sapeva che il tonfo avrebbe, con tutta probabilità, svegliato gli abitanti della casa, ma il muro era senz’altro più duro del terreno. Che poi gli abitanti si svegliassero non aveva un’eccessiva importanza. Prima o poi sarebbero ritornati a letto, e mentre lei aspettava che si riaddormentassero, con il suo senso di percezione avrebbe potuto studiare gli animali della stalla.
All’ultimo istante qualcosa non andò per il verso giusto. Vedendosi volare contro un muro il gufo chiuse gli occhi. Fu una reazione muscolare involontaria, e la mente non ebbe il tempo di correggerla. Avrebbe dovuto immaginarlo, dato che la stessa cosa era accaduta quando aveva fatto precipitare il corvo sulla strada di Bartlesville. Ma forse allora non ci aveva fatto caso, dato che in quel momento non aveva nessuna importanza. Con il gufo invece ne aveva moltissima. Volando per un secondo alla cieca, invece di sbattere contro il muro andò a infrangere il vetro di una delle finestre del piano superiore.
Si trovò all’interno della casa, stordito, con un’ala rotta, ma ancora in vita. Nella stanza accanto si accese la luce, poi la porta si aprì e il fascio luminoso che penetrò nel locale in cui si trovava quasi l’accecò. Dalla soglia, Siegfried ed Elsa Gross, tutti e due in camicia da notte, stavano fissando il gufo.
— Dannato uccellaccio — esclamò Gross. — Vado a prendere il fucile e…
— Siegfried, perché ucciderlo? I gufi ammazzano i topi e…
Il gufo raccolse le forze e cercò di mettersi in piedi per attaccare, se fosse stato necessario attaccare per venire ucciso.
La donna fece un passo verso il gufo, ma il marito la fermò.
— A letto, Elsa — disse, secco. — Se cerchi di afferrarlo potrebbe colpirti con gli artigli o darti una beccata. Possono essere molto pericolosi. Oltre tutto, guarda, ha un’ala rotta.
I due si allontanarono, e dopo alcuni istanti l’uomo fece ritorno con una carabina calibro 22. Mirò tra gli occhi del gufo.
E il gufo rimase fermo in attesa del colpo.
La mente ritornò nel suo guscio, ma continuò ad osservare ciò che stava accadendo, questa volta con il suo senso di percezione.
Gross toccò il gufo con la canna del fucile, poi lo raccolse da terra e lo gettò fuori attraverso il vetro rotto della finestra. Quindi tornò in camera e andò a mettere la carabina in un angolo. La moglie era già coricata. Lui si mise al suo fianco e spense la luce.
— Maledetto gufo — borbottò. — Doveva essere pazzo. O cieco.
— Ma i suoi occhi…
— Gli uomini o gli animali possono diventare ciechi e avere gli occhi che sembrano normali. Ricordi il cavallo che abbiamo ucciso cinque anni fa perché era diventato cieco? Sembrava che ci vedesse benissimo, a guardarlo. Perché non può essere la stessa cosa con un gufo?
— Forse hai ragione. L’hai lasciato nella stanza?
— L’ho buttato dalla finestra — rispose Gross. — Domani mattina gli scaverò una fossa. Maledetto — borbottò ancora. — Dovremo andare in paese a prendere una lastra di vetro.
— Siamo in estate. Non c’è fretta — disse la moglie. — Possiamo aspettare fino a sabato. Per evitare che entrino le mosche metteremo un pezzo di tela. Se tu avessi messo la zanzariera metallica…
— Perché avrei dovuto farlo? Non usiamo la stanza, e la finestra può benissimo stare chiusa. Oltre tutto il gufo sarebbe riuscito a sfondare anche quella, così avrei avuto due cose da riparare. Hai visto che ore sono?
— Sì, è appena passata mezzanotte.
— Bene, dormiamo.
Nella stanza si fece il silenzio, e la mente distolse la sua attenzione. Voleva che la donna fosse profondamente immersa nel sonno in modo che l’uomo potesse scendere al piano terreno senza svegliarla. Si concentrò sulla stalla.
Lungo un lato c’era il recinto dei maiali. Di fronte, il pollaio con le galline. Ma ignorò questi due tipi d’animali. Sapeva che non le sarebbero stati di nessun aiuto.
Ma nella stalla, oltre a diversi topi, c’erano anche tre mucche, un cavallo e un gatto. Trascurò i topi. Erano quasi identici a quello già studiato nel bosco, e sapeva con esattezza quali erano i loro limiti.
Le mucche erano più interessanti, e perse tempo ad esaminarne una. Se non altro possedevano una considerevole forza fisica. Intelligentemente diretta una mucca sarebbe riuscita a uscire da una stalla sollevando il paletto con le corna oppure sfondando la porta a cornate. E se il battente avesse opposto troppa resistenza, sarebbe stata capace di uccidersi insistendo nel tentativo. Quindi non c’era niente da perdere. Inoltre la mucca poteva diventare un efficiente strumento di morte. La carica di un simile quadrupede poteva essere molto pericolosa. Durante il giorno sarebbe stato ancor più facile prendere possesso di uno di quegli animali. Al pascolo le mucche si fermano spesso a sonnecchiare o addirittura a dormire all’ombra delle piante. E nessun recinto avrebbe potuto resistere all’impeto di una mucca in corsa.
Passò al cavallo. Anche questo animale poteva esserle utile. Forse anche più della mucca. Era più veloce, molto più veloce. E poteva saltare i recinti, o eventualmente abbattere con le zampe anteriori quelli troppo alti. E aveva zoccoli micidiali quanto le corna della mucca.
Per ultimo, il gatto. Mentre lo stava esaminando (come aveva fatto con tutti gli altri animali) corredava i suoi studi con tutte le notizie sulle caratteristiche e sulle capacità dell’animale imparate nel cervello di Tommy. E a poco a poco si rese conto di trovarsi di fronte, per certi scopi speciali, a un ospite-schiavo quasi perfetto.
Poteva entrare quasi in ogni posto senza essere notato. Era veloce e silenzioso. Poteva vedere di notte come il gufo, ma al contrario del gufo era in grado di vedere perfettamente anche di giorno. E aveva un udito eccellente. Dato che c’erano dozzine di gatti tra quella fattoria e il paese (altre dozzine vivevano poi nel paese stesso), e dato che i gatti dormivano sia di giorno che di notte, le sarebbe stato possibile entrare in uno di quegli animali in qualsiasi momento.
Allora decise, visto che ne aveva tutto il tempo, di sperimentare immediatamente l’efficacia del felino. Ed entrò nel cervello del gatto che dormiva nella stalla.
Aprì gli occhi. Sì, per quanto la capacità visiva fosse leggermente inferiore a quella del gufo, poteva vedere con chiarezza anche al buio di quella stalla illuminata soltanto da un debole raggio di luna che filtrava dalla finestra aperta. Guidò il gatto verso la finestra, gli fece raggiungere il davanzale, e con un salto si trovò all’aperto.
Fece diverse volte il giro della casa. Le zampe del gatto non producevano nessun rumore, solo un lieve fruscio quando si spostava sulla ghiaia del viale Ne provò la velocità. Poteva correre velocissimo, ma per brevi tratti. Nello scatto avrebbe distanziato facilmente un cane. In un inseguimento prolungato però sarebbe stato probabilmente raggiunto, a meno che non avesse trovato una pianta su cui arrampicarsi.
Su di un albero dietro la stalla sperimentò l’abilità di arrampicarsi. Eccellente.
Dalla cima, guardando tra le foglie dell’albero, vide una luce accesa alla finestra di una fattoria vicina. Non aveva cominciato con l’intenzione di tenere il gatto per tanto tempo, né di spingerlo così lontano, ma in quel momento le si presentava un’ottima occasione di provare le capacità del gatto come mezzo di spionaggio.
Lo fece scendere dall’albero e lo diresse di corsa verso la fattoria vicina. Si muoveva nella notte come un’ombra.
Quando raggiunse la casa, notò che c’erano due finestre illuminate al primo piano. Evidentemente due finestre di una unica camera d’angolo. Quella vista dalla fattoria dei Gross era la finestra che dava sul lato. L’altra aveva il davanzale a pochi centimetri dal tetto del portico che correva lungo tutta la facciata. E c’era un albero vicino al portico. Il gatto si arrampicò agilmente su per il tronco, passò sul tetto, superò il lieve pendio e si mise a sedere sul davanzale.
Strinse immediatamente gli occhi per guardare nella stanza illuminata. In un lettino un bambino tossiva in modo convulso. Una donna in vestaglia e pantofole era china su di lui. Sulla soglia un uomo in pigiama la stava osservando. Dalla loro conversazione, che il gatto poteva udire anche stando dietro i vetri della finestra, la mente apprese che il bambino aveva la gola infiammata. L’uomo stava chiedendo alla donna se riteneva che fosse il caso di telefonare al dottor Gruen.
Per la mente quella scena non aveva alcun interesse, tuttavia ora sapeva di aver avuto ragione nel ritenere il gatto un perfetto schiavo-spia.
Se non avesse avuto bisogno di nutrirsi avrebbe tenuto la bestia fino al giorno seguente, per conoscere meglio tutti gli abitanti delle fattorie vicine. E forse mandarlo anche in città per pedinare il proprietario del negozio di apparecchi televisivi e scoprire dove dormiva. Ma per prima cosa doveva nutrirsi. E in fondo lì c’era una grande abbondanza di gatti.
Il problema era come liberarsi di questo. Era stata con lui per circa un’ora, molto più di quanto fosse nelle sue intenzioni. Esaminò i pensieri del gatto per trovare un modo rapido e sicuro di morire. E trovò subito la risposta.
In quella fattoria c’era un cane feroce che veniva tenuto alla catena in un angolo della stalla. (Perché poi, si chiese, tenere un cane alla catena quando il suo compito doveva essere quello di fare la guàrdia!)
Fece scendere il gatto dal portico e lo mandò di corsa verso il retro della stalla. Anche lì c’era una finestra aperta. Il cane cominciò ad abbaiare furiosamente appena vide comparire il gatto nel riquadro della finestra. Rimase un attimo sul davanzale per abituare gli occhi al buio della stalla e vedere dove si trovava il cane. Poi saltò, corse verso il cane, e si lanciò tra le mascelle del nemico.