13

— Siete sicura di non volere una birra, signorina Talley? — domandò Staunton.

La donna sorrise.

— Se insistete, dottore… Ma dovete promettere che la cosa rimarrà segreta. Il paese è piccolo, e gli insegnanti non devono bere né fumare.

— Rimarrà un segreto — rispose Staunton girandosi a prendere una scatola di birra dal frigorifero. — Vorrei potervi offrire anche da fumare. Purtroppo io fumo solo la pipa… A proposito, vi dà fastidio se fumo mentre detto?

— Affatto. Anzi, mi piace il profumo del tabacco da pipa.

Staunton prese due bicchieri e li depose sul tavolo.

— Mettete giù un momento la penna, signorina Talley. Sono troppo pigro per cominciare subito a dettare. A meno che voi non preferiate scrivere piuttosto che sentirmi parlare. A volte penso che i miei studenti vorrebbero che rallentassi il mio ritmo, proprio come sto facendo in questo momento.

— I vostri studenti? Anche voi insegnate, dottore?

— Sì, signorina Talley. Insegno fisica al Politecnico del Massachusetts. Sono docente in elettronica, ma tengo anche lezioni di fisica nucleare.

La Talley appoggiò la penna al tavolo e lo guardò.

— Staunton… Il dottor Ralph S. Staunton? Certo! Avete dato la vostra opera nella progettazione di tutti i più grandi satelliti!

Staunton sorrise.

— Non di tutti. Facendomi capire che avete sentito parlare di me, voi mi adulate, signorina Talley. Vi interessate di scienza?

— Certo! Specialmente quella che tratta lo studio per raggiungere la Luna e i pianeti. Da diversi anni sono anche un’accanita lettrice di libri di fantascienza.

— Voi, signorina Talley?

— Certo, perché no?

Già, perché no, pensò Staunton, senza sapere cosa rispondere. Non poteva dirle che gli era sembrata l’ultima persona che potesse interessarsi ai libri di fantascienza.

— Perché no? — ripeté a voce alta. — Anch’io devo confessare che il mio svago consiste nel leggere racconti polizieschi. Parecchi scienziati leggono libri di fantascienza. Io invece devo leggere qualcosa che mi porti il più lontano possibile dalla scienza.

— Vi capisco — disse Amanda Talley. — Dovete dettarmi qualcosa di scientifico, o si tratta semplicemente di corrispondenza?

— Né una cosa né l’altra… Mi spiace, ma è difficile spiegare quello che voglio fare. Da queste parti sta succedendo qualcosa di strano. Be’, sto compiendo qualche indagine, e voglio trascrivere tutto ciò che ho saputo prima di dimenticare qualche particolare.

Amanda Talley lo fissò.

— Volete parlare… dei due suicidii?

— Sì. Non mi venite a dire che hanno destato anche la vostra curiosità! Pensavo che in paese tutti, dallo sceriffo all’ultimo abitante, li considerassero avvenimenti normali.

— Non esattamente, dottore. A proposito, ora ricordo dove vi ho visto… è stato all’inchiesta per la morte di Tommy Hoffman. Eravate dietro di me, e uscendo vi sono passata accanto.

Staunton riempì la pipa e cominciò a schiacciare il tabacco nel fornello.

— Sì, c’ero anch’io. Non ricordo d’avervi vista, ma deve essere stato perché tenevo d’occhio il signor Garner. Volevo parlargli prima che se ne andasse. Non ci sono riuscito, comunque ho scambiato quattro chiacchiere con lo sceriffo.

— E siete riuscito a ottenere altre informazioni collegate al fatto? Oh, non ha importanza che rispondiate, dottore. Se si tratta di cose che hanno a che fare con il suicidio di Tommy, verrò a saperlo mentre detterete. Non c’è bisogno che diciate due volte le stesse cose.

Staunton finì di accendere la pipa.

— Avete ragione. A ogni modo avete detto che anche in voi si è destato un certo interesse per questi avvenimenti. Vorrei che mi diceste quel che sapete. Se c’è qualche fatto di cui non sono ancora a conoscenza, sarà bene che lo scopra prima di cominciare a dettare. Di Tommy Hoffman, per esempio, sapete qualcosa che all’inchiesta non è stata detta?

— Non dei fatti. Ma conoscevo Tommy. E anche Charlotte. Ero loro insegnante di lettere. Tommy non era una cima e non studiava con grande impegno, ma era un ragazzo normale e senza complessi. Fisicamente era il ritratto della salute. Ho parlato con il dottor Gruen, il medico che ha curato Tommy fin da piccolo, e mi ha detto che il ragazzo era fisicamente perfetto. Da piccolo ha avuto la rosolia e la pertosse, ma sono state le sue uniche malattie.

— Ciò significa che il dottore è stato diversi anni senza vederlo.

— No. Questa primavera Tommy si è fatto male durante una partita di baseball. Si era rotta una costola. E il dottor Gruen lo ha curato. La nostra scuola ha poi come regola, ottima regola, che un ragazzo ferito durante le gare debba passare un accurato controllo fisico prima di essere riammesso in squadra. Quando la settimana scorsa ho chiesto notizie, il dottor Gruen mi ha confermato che due mesi fa, quando ha visitato Tommy, lo ha trovato sanissimo di mente e di corpo.

— Cosa potete dirmi di Charlotte Garner?

— Un’ottima ragazza… non sono di mentalità ristretta, dottore, nonostante la mia età e la mia professione. Una ragazza sveglia, forse leggermente più sveglia di Tommy. E furba abbastanza da non fargli capire di essere superiore a lui.

— Aveva fantasia?

— No, dottore. Se state pensando alla storia del topo, deve essere accaduto proprio come lei ha raccontato. Non deve avere né esagerato né diminuito le cose. Non so se può avere qualche interesse, certo che è una storia troppo strana per non venire ricordata quando si parla dell’incomprensibile suicidio di Tommy.

— Sono d’accordo con voi, signorina Talley. Sapete qualche altra cosa, oltre quelle che sono state dette all’inchiesta?

— No. So ben poco sul suicidio di Gross. Certo che due suicidii a così breve distanza l’uno dall’altro danno da pensare. Però mi sembra difficile trovare un collegamento tra i due casi. Tommy doveva conoscere Gross soltanto di vista, e viceversa. Non credo che si siano mai parlati.

Staunton sorrise.

— Cosa direste, signorina Talley, di sei suicidii? Due uomini e quattro animali, partendo da quel topo che si è fatto uccidere da Tommy. Riuscireste a trovare un legame tra gli apparenti suicidii di un topo e di un cane, quello degli Hoffman, con ciò che ha fatto Tommy? E tra gli apparenti suicidii di un gufo e di un gatto, quello dei Gross, con la morte di Siegfried Gross? Per non parlare poi del mistero minore, se poi è minore, circa la scomparsa dal frigorifero della signora Gross di una zuppiera di brodo e di una scodella di sugo. È stato la notte in cui il marito si è ucciso.

Amanda Talley spalancò gli occhi.

— Dottor Staunton — disse — se non… se tutto ciò che mi dite è vero sarà meglio che cominciate a dettare, altrimenti esplodo per la curiosità.

Staunton riaccese la pipa e cominciò a dettare passeggiando avanti e indietro. Ma non troppo alla svelta. A volte, tra una frase e l’altra, passavano dei minuti, dato che voleva ricostruire l’esatta sequenza di ogni avvenimento senza dimenticare nemmeno il più piccolo particolare. Verso le tre, dopo un’ora e mezza, aveva finito la descrizione delle prime tre morti e aveva parlato della diagnosi negativa sulla idrofobia del cane esaminato dal laboratorio di Green Bay.

Si mise a sedere di fronte alla signorina Talley e riaccese la pipa.

— Prima di cominciare il caso Gross è meglio concederci un po’ di riposo — disse. — Io devo aver fatto due o tre chilometri e a voi deve essere venuto il crampo alla mano.

La Talley scosse la testa.

— Non sono stanca. Ma voi avete camminato veramente parecchio. Ora siamo arrivati a una parte veramente nuova per me. Di Tommy conoscevo tutto, tranne la faccenda del cane. Ma ciò che riguarda Gross sarà per me un’assoluta novità.

— Concedetemi dieci minuti, signorina Talley. Intanto, perché non beviamo un altro bicchiere di birra?

Dopo una breve esitazione la donna accettò.

— Quante copie devo battere a macchina? — domandò Amanda Talley.

— Tre — rispose Staunton. — Una la terrò per me, le altre due le manderò a degli amici per sentire le loro opinioni. Uno conduce ricerche nel campo della medicina. Voglio chiedergli se c’è la possibilità teorica dell’esistenza di una malattia, simile alla rabbia, che si pòssa trasmettere dagli uomini agli animali e viceversa, e che porti alla pazzia e al suicidio. L’altro mio amico è un matematico eccellente. La sua specialità è la logica dei simboli, ma conosce anche la matematica statistica. Con questa ha già risolto difficili problemi. Voglio che su questa serie di avvenimenti mi dica quante sono le probabilità che si tratti di semplici coincidenze contro quelle che si tratti di fatti collegati tra loro. Più tardi, non oggi forse, vi detterò le due lettere che allegheremo alla relazione.

— Vi spiace se ne faccio anche una copia per me, dottore?

— Niente affatto.

— Magnifico — disse la Talley sorridendo. — L’avrei fatta lo stesso, ma è più bello avere il permesso.

Staunton rise. Trovava che la curiosità e l’intelligenza di Amanda Talley erano veramente stimolanti. Gli piaceva, quella donna.

Stava persino pensando di farle un’offerta. L’amministrazione dell’università aveva concesso al loro laboratorio di tenere una segretaria stabile. Se fosse riuscito a farla assumere, la Talley sarebbe stata l’ideale per il loro lavoro. All’università avrebbe guadagnato molto di più, e le sue capacità sarebbero state sfruttate meglio. Ma per il momento non disse niente. Non c’era fretta.

Quando ebbero finito la birra Staunton riprese a passeggiare e a dettare. Finì alle quattro e mezzo. — Questo è tutto — disse, lasciandosi cadere su una sedia. — Lasciatemi riposare cinque minuti, poi vi riaccompagno a casa.

— Tutto? Vorrete dire per oggi. Non volete dettare anche le deduzioni sugli avvenienti?

— Ho cambiato idea — rispose Staunton. — E per un semplice motivo: non so quali siano le mie deduzioni. Almeno, non ho la certezza assoluta di ciò che penso. Oltre tutto, per lo scopo cui intendo usare il rapporto, sarebbe un errore giungere a delle conclusioni. I miei due amici, il medico e il matematico, devono avere semplicemente dei fatti e giungere a delle conclusioni senza essere influenzati dalle mie. Confesso di avere soltanto delle idee confuse… e di non credere a nessuna.

— Capisco ciò che volete dire. Però non dovreste impiegare molto a dettare le due lettere di accompagnamento. Perché non farlo subito? Non appena avrò finito di battere tutto a macchina, potrete immediatamente spedire la vostra relazione.

— Avete ragione, ma oggi non ho più voglia di dettare. La scriveremo quando verrò a ritirare il rapporto. Vi detterò le due lettere, e mentre voi le batterete a macchina io darò una scorsa al rapporto per vedere se c’è qualche correzione da fare. Subito dopo andrò a spedire le due buste.

— D’accordo così, allora — disse la Talley. Poi cominciò a contare i fogli che aveva scritto sotto dettatura. — Penso che mi ci vorranno due giorni. Se lavoro anche alla sera posso avere pronto il tutto per dopodomani a mezzogiorno.

— Lavorate anche alla sera?

— Di solito no. Ma per questo non voglio essere pagata, quindi le cose sono completamente differenti. Dottore, la possibilità di fare questo lavoro è la cosa più affascinante che mi sia mai capitata. Non voglio soldi. E non insistete per pagare, perché sprechereste tutto il pomeriggio.

Staunton sospirò. Conosceva poco la signorina Talley, ma quel poco bastava a capire che l’avrebbe spuntata lei. Decise di compensarla mandandole un regalo da Boston. Quello non avrebbe potuto rifiutarlo. A meno che non accettasse il lavoro di segretaria che aveva in mente di proporle.

— Bene, signorina Talley — disse. — Questo vi fa mia socia nelle ricerche. Ed è probabile che debba chiedere ancora la vostra collaborazione.

— Ne sarò felice. Che cosa avete in mente di fare?

— Vi chiedo di tenere le orecchie aperte. Di solito io vado in paese solo una volta al giorno… Se accade qualcosa di importante vorrei esserne informato senza troppo ritardo. Com’è successo per il suicidio di Gross. A ogni modo, a parte la morte di qualche altro essere umano, potrebbe accadere qualche fatto interessante senza che io lo venissi a sapere. Fatti di per se stessi non spettacolari, ma che potrebbero avere qualche interesse riguardo ciò che… che ci ha fatto soci. Sapete esattamente quello che so io, così potete giudicare quali siano i fatti che valgono la pena di essere presi in considerazione.

— Sarò felice di esservi utile. Ma come posso mettermi in comunicazione con voi? In questa casa non c’è telefono, vero?

— No. Ed è la prima volta che me ne rammarico. A ogni modo io vado invariabilmente all’ufficio postale a vedere se c’è corrispondenza per me. Potrete lasciare un messaggio, e io vi telefonerò subito. Comunque, verrò da voi dopodomani nel pomeriggio. Be’, ora possiamo andare. Siete pronta?

La signorina Talley raccolse fogli, matita e borsetta. Uscirono dalla parte anteriore della casa e raggiunsero la macchina.

— Oh — disse la signorina Talley come si furono accomodati sui sedili — volevo chiedervi di presentarmi al vostro gatto, ma me ne sono dimenticata. Pazienza.

Staunton tolse la mano dalla chiavetta d’accensione, e si girò verso di lei.

— Gatto? Io non ho gatti. Volete dire che ne avete visto uno in casa?

— Io… mi sembra di sì. Anzi, sono certa di averne visto uno, ma…

Staunton aprì la portiera della macchina.

— Deve essere entrato da qualche finestra. Se non vi spiace aspettare vado a vedere. Meglio lasciarlo uscire. Così potrà tornare a casa sua, se ne ha una.

Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle. Poi fece un rapido giro del piano terreno, ma non vide gatti. Né finestre aperte da cui potesse essere uscito. La porta della cantina era chiusa. Salì al piano superiore. Nessun gatto in vista, anche se non guardò sotto i letti e in altri due o tre possibili nascondigli. L’unica finestra aperta era quella della sua camera.

Si fermò a guardare il ramo che giungeva fin quasi alla casa. Ma era leggermente troppo alto per poter essere raggiunto con un salto dal davanzale. Da quel ramo un gatto avrebbe potuto introdursi nella casa, ma mai uscire. Guardò in basso. Sotto la finestra si stendeva una fascia di cemento. Saltando da quell’altezza, un gatto si sarebbe senz’altro ferito seriamente, o addirittura ucciso.

A un tratto gli venne in mente che se c’era un gatto, l’animale avrebbe potuto sentire l’impulso di uccidersi. Come aveva fatto il gatto di Gross, e tutti gli altri animali…

Chiuse la finestra e uscì. Lo avrebbe trovato al suo ritorno.

Raggiunse la macchina e mise in moto il motore.

— Non c’erano gatti, signorina Talley. Siete sicura di averne visto uno?

— Pensavo di esserne sicura, ma forse si è trattato di un’illusione ottica. È stato mentre voi dettavate. O meglio, durante una vostra pausa tra una frase e l’altra. Ho sollevato lo sguardo e ho visto, mi è sembrato di vedere, la testa di un gatto che sporgeva da dietro l’angolo del corridoio vicino alla scala. Non ho detto niente perché non volevo interrompervi. Poi avete ripreso a dettare, e quando ho riguardato in corridoio il gatto era scomparso. — Tacque un attimo, e poi riprese: — Ripensandoci, è molto probabile che me lo sia immaginato. È stata una visione molto rapida, e in quel momento avete ripreso a dettare. È facile immaginare le cose quando si è influenzati da certe circostanze.

— Forse è così — rispose Staunton cercando di mantenere un tono di voce naturale.

Rimasero alcuni minuti in silenzio.

— Dottore, credete veramente che possa esserci una… malattia contagiosa che si può trasmettere dagli uomini agli animali e viceversa e… che porti i contagiati al suicidio?

— Devo ammettere di non averne mai sentito parlare, ma potrebbe trattarsi di una malattia molto rara.

— Molto rara… ma dovrebbe anche essere conosciuta appunto perché insolita. Se esistesse, uno di noi dovrebbe aver letto qualcosa al riguardo, o per lo meno averne sentito parlare.

— È probabile. Ma, lasciando perdere questa possibilità, o quella delle coincidenze, potete trovare qualche altra spiegazione?

— Certo. Vi ricordate dei porci di Geraseni, dottore?

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