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Imprecando fra i denti, il dottor Staunton frenò per fermare la macchina. Non era colpa sua. Non avrebbe potuto in nessun modo evitare l’investimento del cane. Comunque, era sempre un fatto spiacevole.

Ma cos’era preso a quel cane? Era comparso dal nulla balzando dai cespugli che costeggiavano la strada. Anche se non si era fermato per guardare, doveva aver sentito il rumore della macchina in arrivo! Era l’unico suono che si sentiva lì nella campagna. La macchina sua poi, una vecchia berlina acquistata due settimane prima a Green Bay, dopo essere arrivato in aereo dal Massachusetts, era alquanto rumorosa. L’aveva pagata così poco che, anche rivendendola per niente alla fine delle sue vacanze nel Wisconsin, gli sarebbe sempre costata meno che prendere una macchina a nolo per sei settimane.

Spense il motore, scese dalla macchina e si incamminò verso il cane. Non era possibile che fosse sopravvissuto. Tutte e due le ruote, sia quella anteriore che quella posteriore, erano passate sul corpo dell’animale. Dato che la bestia doveva morire, gli sarebbe spiaciuto vederla soffrire in agonia. Il corpo era à circa venti metri dietro la macchina. Sembrava che non si movesse, ma quando Staunton giunse a dieci passi dal cane, si accorse che la bestia era ancora viva e respirava in modo convulso.

Imprecò ancora una volta e tornò verso la macchina. Non aveva pistola, ma una chiave inglese sarebbe benissimo servita allo scopo. Prese il ferro e tornò di corsa verso il cane, ma ormai l’animale era morto. Aveva gli occhi spalancati e vitrei.

— Mi spiace, vecchio — disse Staunton a bassa voce. — Immagino che adesso dovrò cercare il tuo padrone per dirgli cos’è accaduto.

Si chinò ad afferrare il cane per le zampe, per portarlo sul ciglio della strada. Ma si fermò. Il cane avrebbe dovuto essere in ogni modo seppellito, da lui o dal suo padrone. Se lo avesse lasciato lì per andare a Bartlesville alla ricerca del padrone, impresa che avrebbe potuto richiedere anche qualche ora, al suo ritorno avrebbe trovato la bestia coperta di formiche, e il lavoro di seppellirlo sarebbe stato ancor meno piacevole. In macchina non aveva pala, però c’era un vecchio telo impermeabile che poteva benissimo servire allo scopo. Prese il telo e lo distese a terra, poi sollevò il cane, lo avvolse con cura e lo caricò nel bagagliaio della macchina.

Poco dopo, nella piccola città, entrò in diversi negozi per fare acquisti, e a tutti i bottegai descrisse il cane: un cane da caccia maschio, a chiazze bianche e marroni… Al terzo tentativo una persona gli disse che doveva trattarsi del cane di Gus Hoffman, e che in quel momento era in città per assistere all’inchiesta sul suicidio del figlio, avvenuto la sera prima. L’udienza aveva luogo nell’obitorio del paese.

Il dottor Staunton non aveva mai assistito a un’inchiesta, e dato che era curioso di sapere come venivano condotte, raggiunse l’obitorio. L’inchiesta era appena incominciata. Tutte le sedie erano occupate, ma diverse persone stavano appoggiate alla parete di fondo della sala, e il dottor Staunton si mise accanto a loro per ascoltare.

Sul banco dei testimoni c’era Charlotte Garner. A poco a poco Staunton sentì una grande ammirazione per la ragazza, per la sua calma e coraggiosa franchezza nel raccontare tutta la verità riguardo alla relazione avuta con Tommy Hoffman e gli avvenimenti del giorno prima. Quando Charlotte ebbe finito di descrivere le sue ricerche, la sua ansia, la corsa pazza fino a casa per avvertire i genitori, il magistrato inquirente dichiarò di non aver altro da chiedere. Ma c’era ancora una cosa da dire, così ribatté la ragazza. Le domande che le erano state rivolte non le avevano permesso di parlare del topo. Lei invece voleva parlarne, perché poteva anche darsi che Tommy, quando aveva dato la manata all’animale, fosse stato morsicato e di conseguenza infettato da qualche specie di idrofobia…

Il magistrato la lasciò finire, poi, prima di chiamare il testimonio seguente, volle spiegare alla giuria i sintomi dell’idrofobia, sottolineando che il periodo di incubazione della malattia era relativamente lungo. Il morso di un topo non avrebbe potuto infettare Tommy immediatamente, e oltre tutto non sarebbero stati quelli i sintomi. Infine, disse, anche ammettendo che il topo fosse affetto da idrofobia, cosa che avrebbe potuto spiegare lo strano modo di comportarsi dell’animale, le mani di Tommy non presentavano segni di morsicature.

Il testimonio successivo fu Gus Hoffman. Poi parlò Jed Garner. Le loro storie furono identiche perché praticamente erano stati sempre insieme.

Il dottor Staunton ascoltò con molta attenzione, specialmente quando venne nominato il cane, Buck… La sera prima Buck aveva seguito le tracce di Tommy. E quel mattino Buck li aveva guidati fino alla grotta. Alla fine testimoniò lo sceriffo.

Poi la giuria si ritirò in un’altra stanza, ma ne uscì quasi immediatamente con il verdetto: suicidio dovuto a improvvisa pazzia. La gente cominciò a sgombrare la sala.

Staunton fece per raggiungere l’uomo al quale apparteneva il canie, ma Hoffman scomparve in un ufficio assieme a Garner e a Charlotte. Senza dubbio era andato a dare disposizioni per il funerale.

Allora raggiunse lo sceriffo, si presentò e raccontò l’investimento del cane.

— Forse è meglio che io abbia parlato con voi anziché con il signor Hoffman — disse allo sceriffo. — Il signor Hoffman ha già avuto un brutto colpo per la perdita del figlio… Lasciamogli pensare che il cane è scappato e che si è perso. Lentamente si renderà poi conto che la bestia non tornerà più indietro. Che cosa ne pensate?

Lo sceriffo si grattò la testa.

— Be’… — esitò.

— Posso farvi una proposta? — riprese Staunton. — Mentre voi riflettete su ciò che conviene fare, io vi faccio alcune domande sul suicidio, argomento che m’interessa moltissimo. Perché non andiamo a bere qualcosa al bar di fronte?

Al bar, Staunton ordinò una birra, riempì la pipa, e l’accese. La birra gelata era molto buona, e stava finendo il bicchiere quando lo sceriffo prese posto di fronte a lui.

— Bel colore, quella birra — esclamò, e girandosi verso il banco: — Ehi, Hank, porta due birre. Grandi. — Poi si rivolse al forestiero. — Mentre venivo qui ho pensato che forse avete ragione. È meglio non dire a Gus del cane. Ma a proposito, se avete lasciato il cane sulla strada, quando torna a casa Gus può vederlo. O qualcuno potrebbe telefonargli di averlo visto.

Staunton scosse la testa.

— L’ho avvolto in un telone impermeabile, e l’ho messo nel portabagagli della mia macchina. Lo seppellirò quando arrivo a casa. — Riaccese la pipa che nel frattempo si era spenta. — Mi dispiace moltissimo per quel cane. Ma non ho potuto fare niente. È balzato fuori all’improvviso. Non ho avuto neppure il tempo di toccare il freno.

— Strano — disse lo sceriffo. — Buck aveva paura delle macchine, e quando ne sentiva una arrivare correva in mezzo ai campi. Aveva il terrore delle macchine, come altri cani hanno il terrore delle armi.

Staunton fissò lo sceriffo.

— Allora doveva essere impazzito per correre in quel modo alla cieca! C’è stato qualche caso di rabbia da queste parti?

— Niente, da un paio d’anni, e forse anche più. — Pareva che la storia non lo interessasse affatto.

Lo scienziato fissò la faccia tonda dello sceriffo domandandosi se per caso non fosse stupido. Forse no. Forse era di media intelligenza, ma privo di immaginazione. Poteva sorvolare sulla stranezza del comportamento del topo e del cane per pensare solo alle azioni di Tommy. Quelle erano importanti. Ma si trattava di un ragazzo impazzito improvvisamente, e la gente pazza agisce in modo strano. Questo doveva essere il ragionamento dello sceriffo e probabilmente di tutti coloro che avevano assistito all’inchiesta.

Cosa voleva chiedere ancora allo sceriffo? Ah, sì.

— Sceriffo… Sono arrivato a inchiesta già incominciata, e non mi è stato possibile sentire il rapporto del medico. C’è stata un’autopsia?

— Autopsia? E per quale motivo? Non c’è dubbio che il ragazzo si sia ucciso tagliandosi i polsi con un coltello.

Staunton aprì la bocca per parlare, poi cambiò idea.

— Dite — domandò lo sceriffo — sto cercando di capire quale casa abitate. È quella che si trova al termine della strada, a circa otto chilometri da qui?

— Esatto — rispose Staunton. — Il vecchio «Burton Place» come viene chiamato. Era una bella fattoria, ma ormai è completamente abbandonata. Un mio amico di Boston l’ha comprata per venire a passarvi le vacanze. Quest’estate però non ha potuto venire, e mi ha offerto di usarla al suo posto.

— Ho capito. Si chiama… Hastings. Lo incontravo qualche volta durante l’estate. C’è con voi vostra moglie o siete solo?

— Sono solo. E non sono sposato. Mi piace di tanto in tanto fare un po’ l’eremita. Quando si insegna…

— Cosa insegnate, dottor Staunton?

— Lasciate perdere il «dottore», sceriffo. Insegno fisica al Politecnico del Massachusetts. Sono specializzato in elettronica e ho fatto alcuni studi sui satelliti. Anzi, ho perso metà delle mie vacanze lavorando proprio a questo. Ora però voglio riposare.

— Volete dire che avete lavorato ai razzi? — C’era del rispetto nella voce dello sceriffo.

— Non proprio ai razzi. Più che altro ai detectors e agli apparecchi trasmittenti collocati nel satellite. Quelli che ci inviano le notizie sulle radiazioni, i raggi cosmici e altre cose simili. In questo momento, però, tutto il mio interesse è rivolto alla pesca. C’è un torrente a circa un chilometro dalla casa in cui abito che…

— Lo conosco. Ma… voi e il vostro amico proprietario della casa, il signor Hastings, dovreste venire qui nella stagione di caccia. I boschi a nord della fattoria sono ricchi di cervi.

— Mi spiace, ma non sono un buon cacciatore, sceriffo. Ho portato carabina e pistola, ma solo per fare un po’ di tiro a segno. Ho con me anche un fucile da caccia perché Hastings mi ha detto che da queste parti ci sono serpenti a sonagli. A ogni modo non ne ho ancora visto uno. Un’altra birra?

— Okay — accettò lo sceriffo, e fece un cenno al barista.

— Ci sono state altre strane morti da queste parti? — domandò Staunton.

Lo sceriffo lo guardò con curiosità.

— Non so che cosa vogliate intendere per «strane» — disse. — Negli ultimi anni ci sono stati un paio di delitti insoluti, ma sono stati commessi a scopo di rapina. Non c’è niente di strano in questo.

— No, parlavo di altri casi di persone che si siano uccise, o che abbiano ucciso in preda a pazzia.

— No, direi di no… Per lo meno, da quando ci sono io. E sono ormai circa sei anni. Ma non è strano che la gente impazzisca, non vi pare?

— Sì. Solo che la pazzia segue normalmente una linea precisa, e Tommy Hoffman… ecco…

— Volete dire che non è stato un suicidio?

— Mi stavo solo chiedendo quale strano tipo di psicosi abbia potuto avere. E perché sia stato colpito così improvvisamente, e proprio in un momento in cui doveva essere felice e rilassato! È una cosa che non ha senso. Be’, lasciamo perdere. Avete detto che siete andato a pescare nel mio torrente. Che esca avete usato per le trote?

Finita la seconda birra lo sceriffo disse che doveva tornare a Wilcox, e se ne andò. Staunton ordinò un’altra birra, e con il bicchiere davanti e in bocca la pipa, che non voleva stare accesa perché lui si dimenticava di tirare, si perse nei suoi pensieri. Le tre morti, del topo, del ragazzo e del cane, formavano una sequenza quasi incredibile. Lo sceriffo non la pensava così, tuttavia…

Un topo di campagna aveva agito in modo strano. Prima si era messo a sedere e aveva agitato le zampe come se cercasse di fare allontanare i due ragazzi. Poi si era lasciato prendere dalla ragazza, ma l’aveva morsa. Dopo essere caduto a terra si era messo a fuggire, ma subito era tornato per attaccare il ragazzo e di conseguenza farsi uccidere.

Poi c’era il ragazzo, Tommy Hoffman. Ancora un’improvvisa pazzia, iniziata mentre dormiva o subito dopo essersi svegliato accanto alla ragazza, e terminata con il suicidio. La gente può impazzire e uccidersi, ma Staunton aveva letto parecchio sulla psicologia anormale, e mai gli era capitato di leggere di persone impazzite improvvisamente e completamente senza aver mostrato sintomi preliminari o senza una precisa causa, un trauma ad esempio.

Poi il cane. Naturalmente il cane poteva essere affetto da rabbia, e correre per questo alla cieca in mezzo ai campi… Ma se non fosse stato idrofobo, se fosse stato normale, allora anche lui, lanciandosi sotto la macchina, aveva cercato il suicidio. Tanto più trattandosi di una bestia che aveva il terrore delle macchine.

Ma gli animali, solitamente, non si uccidono.

Staunton si accorse di aver finito la birra. Allora vuotò il fornello della pipa e si alzò. A Green Bay c’erano dei laboratori che avrebbero potuto dirgli se Buck era o non era idrofobo. Green Bay distava solo un’ottantina di chilometri, e non erano che le tre del pomeriggio. Il cane era già in macchina. Avrebbe fatto più che in tempo. Oltre tutto, una serata a Green Bay sarebbe stato un piacevole diversivo. Avrebbe potuto mangiare in qualche buon ristorante e poi, se ci fosse stato uno spettacolo decente, andare al cinema.

Detto e fatto. Lasciò il cane al laboratorio e pagò in anticipo, in modo da poter avere il rapporto telefonando da Bartlesville il pomeriggio seguente, poi, prima di andare a cena, si fermò a comprare qualcosa di divertente da leggere. Durante l’anno si dedicava solo a letture serie, ma durante le vacanze preferiva cose che potessero svagarlo. La cena fu ottima. Era stanco di mangiare quel che si cucinava da solo. Al cinema davano un film in lingua originale francese, con Brigitte Bardot. Ebbe qualche difficoltà nel seguire la trama, e alla fine decise di limitarsi a guardare Brigitte. E si divertì moltissimo.

Poco dopo le dieci raggiunse la fattoria alla fine della strada, la casa avuta in prestito dall’amico Hastings. Al piano superiore c’erano tre camere da letto di cui due sole arredate, e il bagno. Al piano terreno c’erano la cucina, un grande soggiorno, e una stanza che veniva usata come ripostiglio, e dove lui aveva messo le sue armi e le canne da pesca. La corrente era fornita da un piccolo generatore collocato nel sotterraneo. Lo stesso generatore veniva usato di tanto in tanto per pompare l’acqua dal pozzo al serbatoio sul tetto. Non c’era telefono, ma Staunton non se ne era mai preoccupato, anzi preferiva così. L’area attorno alla casa e i terreni verso sud erano stati della fattoria, poi, per un motivo che lui non conosceva, i vecchi proprietari li avevano abbandonati. Da circa vent’anni quei campi non venivano più arati, e tutta la zona, tranne quella immediatamente vicino alla casa, era stata invasa dalle erbe selvatiche e dalle piante. La si poteva distinguere dalla zona ancora selvaggia che si stendeva immediatamente dietro quel terreno soltanto perché c’erano meno alberi, e più piccoli.

Fino a quella sera gli era sembrato un rifugio confortevole.

Prese una scatola di birra dal frigorifero e si mise in poltrona, a leggere una delle riviste comprate a Green Bay. Ma non riuscì a concentrarsi. Si sentiva a disagio. Per la prima volta da quando si trovava lì, si sentiva oppresso dall’isolamento. Ebbe l’impulso di abbassare le persiane in modo di non poter essere osservato dall’esterno.

Ma chi avrebbe avuto ragione di raggiungere quella casa fuori mano per guardare attraverso le finestre? E al di fuori delle persone, solo gli animali potevano guardare attraverso una finestra. Perché avrebbe dovuto preoccuparsi se un animale lo stava osservando? Si accusò di ridicolo, e si punì con un’altra scatola di birra, e imponendosi la massima attenzione sulla lettura del racconto poliziesco.

La rivista era aperta alla pagina venti, ma Staunton non riuscì a ricordare niente di tutto ciò che con ogni probabilità aveva letto. Ricominciò da capo. Doveva essere un racconto avvincente. C’era un assassinio fin dalle prime pagine. Ma lui non riuscì a interessarsi alla trama. Tra il libro e la sua mente c’era la storia di Tommy Hoffman. Svegliarsi, rivestirsi a metà, abbandonare la ragazza, correre in una grotta dal fondo sabbioso e rimanerci fino al momento in cui aveva visto la luce delle lanterne portate da suo padre e dal padre della fidanzata, e sentito l’abbaiare di Buck. Per poi fuggire davanti a loro, tornare di corsa nella radura, raccogliere un coltello rotto e arrugginito e tagliarsi i polsi. Tutti e due i polsi.

Il libro era aperto ora a pagina quindici, ma ancora una volta lui non ricordava niente oltre le prime due pagine. Chiuse il fascicolo e diede sfogo ai suoi pensieri.

Alla fine decise di non preoccuparsi più del caso di Hoffman fino al pomeriggio del giorno dopo, quando avrebbe telefonato al laboratorio per sapere il rapporto su Buck. Se il cane fosse risultato affetto da rabbia, cosa che avrebbe spiegato almeno «una» delle tre morti, non avrebbe più pensato a quella storia e si sarebbe goduto le cinque settimane di vacanza che ancora gli restavano. Ma se Buck non risultava idrofobo…

Bevve l’ultimo sorso di birra, e si mise a letto. Pochi minuti più tardi dormiva.

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