Quando sentì dire dalla voce di Staunton: «Va bene, gatto…» la mente si spaventò.
Fu una reazione dovuta per lo più al fatto di scoprire che oltre a essere il miglior ospite-schiavo che potesse sperare di avere sotto il suo controllo, quell’uomo sospettava qualcosa molto vicino alla verità, e poteva quindi rappresentare un pericolo. Fino a quel momento aveva provato solo disprezzo per i cervelli umani già conosciuti.
Staunton era l’ospite perfetto… un elettronico di chiara fama, libero di viaggiare, scapolo e senza responsabilità familiari. La mente aveva ascoltato con interesse ciò che aveva dettato alla signorina Talley, e la conversazione che si era svolta tra i due umani.
Era poi certa che Staunton avrebbe potuto procurarsi quegli apparecchi a lei necessari. Facendo lavorare Staunton avrebbe potuto raggiungere il suo pianeta nel breve tempo di qualche settimana… e per aver scoperto un pianeta meritevole di colonizzazione sarebbe diventata l’eroe della sua razza.
Perché aveva commesso l’errore di nascondersi quando si era accorta che la signorina Talley stava fissando il gatto? Se solo si fosse ricordata di far agire il gatto come un qualsiasi gatto normale! Ma in quel momento era troppo eccitata per tutto ciò che aveva scoperto su Staunton. Non appena avevano scorto il gatto doveva farlo avanzare verso di loro. Se si fosse mostrato amico, e se loro amavano i gatti, lo avrebbero accarezzato, gli avrebbero offerto del latte, e lo avrebbero fatto uscire dalla porta. Nella peggiore delle ipotesi, cioè in cui i gatti non godessero la loro simpatia, lo avrebbero cacciato fuori a colpi di scopa. In tal modo sarebbe stata libera parecchie ore prima per far morire il gatto, tornare nel proprio corpo, e progettare la scelta del nuovo prigioniero.
Doveva essere uno schiavo in grado di trasportarla dalla fattoria dei Gross a quella di Staunton e nasconderla nelle vicinanze della camera da letto, in modo da avere Staunton addormentato nel raggio del suo senso percettivo.
Ecco, così avrebbe dovuto fare.
Invece si era nascosta. Era stato uno sbaglio. Aveva pensato di poter fuggire dalla prima porta o finestra lasciata aperta. Ma Staunton, maledetto lui, le aveva preclusa ogni possibile via di fuga. E ora, per colpa di quelle impronte lasciate sulla farina, Staunton sapeva con certezza che il gatto era ancora in casa.
Che altro sapeva Staunton? Per aver cosparso il pavimento di farina doveva sospettare qualcosa fin da prima di uscire di casa. Quando si era accorta che il gatto stava camminando su uno strato di farina, aveva pensato di stenderne un altro strato su quello calpestato. Ma era una cosa che il gatto non poteva assolutamente fare.
Il maggior terrore l’aveva provato al momento del ritorno di Staunton, quando lui si era rivolto al gatto come a un essere intelligente. La logica e la intuizione di quell’uomo l’avevano portato a scoprire che il gatto chiuso in casa era in effetti qualcos’altro? Le sembrava impossibile.
Ma poteva anche essere. Staunton, non doveva mai dimenticarlo, era uno scienziato. Gli unici veri contatti che la mente aveva avuti con cervelli umani erano stati quelli con Tommy e Gross. Con tutta probabilità nessuno di quei due conosceva cose che per Staunton erano invece elementari. Forse sulla Terra esistevano specie che potevano impadronirsi della mente di altri esseri. Proprio come faceva la sua razza. Forse alcuni esseri umani potevano dominare le creature meno intelligenti. Be’, avrebbe trovato la risposta nel cervello di Staunton. Se, e quando fosse riuscita a impadronirsi di lui.
Il problema immediato era quello di fuggire dalla casa. Il suicidio, anche se fosse riuscita a trovare un modo di compierlo, era assolutamente da escludere. L’inspiegabile serie di suicidii di uomini e animali aveva già destato la curiosità della mente scientifica di Staunton. Trovando il cadavere del gatto in casa sua, avrebbe avuto la conferma di ciò che per il momento forse non era, almeno la mente lo sperava, che un semplice sospetto.
C’era una sola cosa da fare. Aspettare il mattino seguente, comparire davanti a Staunton, e cominciare a comportarsi come un qualsiasi gatto normale. Avrebbe potuto essere pericoloso, ma non vedeva altra alternativa. Il pericolo non consisteva nel fatto che Staunton potesse uccidere il gatto, ciò l’avrebbe liberata immediatamente. Ma se Staunton aveva dei sospetti, non l’avrebbe certo fatto. Il pericolo era che Staunton mettesse il gatto in una gabbia per poterlo studiare. Sarebbe stata una enorme perdita di tempo, per la mente. Forse non sarebbe riuscita a uscire dalla gabbia fino al momento della morte naturale del gatto, e i gatti potevano vivere parecchi anni. Il pericolo poi sarebbe stato ancor più grande se Staunton, con i suoi esperimenti, fosse riuscito ad avere la conferma che si trattava di una creatura controllata.
E se Staunton fosse riuscito a scoprirlo… Dalla mente di Tommy aveva saputo dell’esistenza di un siero chiamato della verità. Iniettandolo al gatto avrebbe potuto costringere la mente a portarli dove era nascosto il suo corpo. E sarebbe stata davvero la fine.
Improvvisamente si rese conto che con il gatto in gabbia la sua fine sarebbe avvenuta comunque. Durante la vita naturale del gatto lei non avrebbe potuto nutrirsi. La soluzione in cui Gross l’aveva immersa sarebbe stata sufficiente per alcuni mesi, non mai per anni!
Passò la notte a vagliare tutte le varie possibilità. Pensò di saltare contro un vetro della finestra e di romperlo… ma avrebbe dato l’impressione di volersi uccidere, confermando i sospetti dell’uomo che la teneva prigioniera nella casa.
Poteva solo sperare che si trattasse di soli sospetti e che Staunton lasciasse andare il gatto. Sperare, e fare in modo che la bestia agisse nella maniera più naturale.
Il dottor Staunton era andato a letto molto tardi e il mattino si svegliò dopo le dieci. Aveva sognato continuamente, nel sonno, e rimase coricato cercando di rievocare i suoi sogni. Poi si ricordò del gatto.
Alla luce del giorno la situazione non gli sembrava sinistra come la sera prima. Forse aveva esagerato nel voler stabilire un legame tra il gatto che era entrato in casa e gli strani suicidii avvenuti nei giorni precedenti.
Cominciò a vestirsi, deciso a trovare il gatto.
Per precauzione mise in tasca un paio di guanti. Gli avrebbe evitato i graffi nel caso in cui avesse dovuto afferrare il gatto con la forza. A giudicare dalle impronte che aveva lasciato non doveva però trattarsi di una bestia molto grossa.
Uscì dalla stanza, chiuse accuratamente la porta, e cominciò una meticolosa ricerca. Dopo aver ispezionato una stanza, richiudeva attentamente la porta.
Il gatto non era al primo piano.
Lo vide mentre scendeva la scala. Era seduto davanti alla porta, come fanno tutti i cani e i gatti quando vogliono uscire.
Non sembrava pericoloso. Era un piccolo gatto grigio del tutto normale. E non parve spaventato dalla presenta dell’uomo. Anzi, rimase a fissare Staunton per un attimo, poi miagolò e con una zampa cominciò a grattare la porta.
Solo un gatto, un normalissimo gatto che chiedeva di uscire.
«Troppo normale, per un gatto rimasto nascosto per tutta la giornata di ieri» pensò Staunton. Sedette sui gradini e si mise a osservare la bestia.
— Miaou — fece il gatto.
Staunton scosse la testa.
— Non ora, gatto. Forse ti lascerò uscire più tardi. Prima però voglio fare quattro chiacchiere con te. Che ne diresti di una buona colazione? Io ho un certo appetito.
Andò in cucina e si girò soltanto quando fu davanti al frigorifero.
Il gatto lo aveva seguito, non troppo da vicino, e ora lo stava fissando. Poi, come colto da una improvvisa idea, raggiunse la porta d’ingresso posteriore e miagolò.
Staunton tornò a scuotere la testa.
— No, gatto. Prima ci devo pensare.
Prese una bottiglia di latte e ne versò una parte in una scodella, che mise a terra. Ma il gatto non si avvicinò.
Per tutto il tempo in cui Staunton rimase davanti al fornello per friggere due uova e preparare il caffè, il gatto non si mosse dalla porta.
Quando finalmente l’uomo sedette a tavola, il gatto raggiunse la scodella e cominciò a bere il latte con grande avidità.
— Sei un bel gatto — disse Staunton. — Perché non rimani un po’ di tempo con me?
Il gatto non sollevò nemmeno la testa. Fissandolo Staunton decise che gli sarebbe veramente piaciuto tenerlo con sé. Poi, se c’era veramente qualcosa di strano nell’animale, avrebbe avuto modo di osservarlo con comodità. Per evitare che scappasse dalle finestre, bastava comperare delle zanzariere metalliche. Comunque avrebbe dovuto prima cercare il proprietario del gatto. Non voleva rubarlo a nessuno. Per pochi dollari glielo avrebbero ceduto.
— Gatto — disse, parlando con grande serietà — vorresti vivere per un po’ in questa casa? A proposito, come ti chiami?
Il gatto continuò a bere il latte senza scomporsi.
— D’accordo, non me lo vuoi dire. Allora te ne darò uno nuovo. Ti chiamerò «Gatto». Mi sembra appropriato… spero.
Il gatto bevve solo metà del latte, poi tornò vicino alla porta.
— Miaou — disse.
— Ho capito — rispose Staunton. — Un richiamo della natura. Il fatto che tu chieda di uscire con insistenza mi dice che sei stato allevato in una casa. Non ti preoccupare, ti fornirò di ogni servizio.
Finì di mangiare poi scese in cantina, dove scovò un sacco di segatura e diverse scatole di cartone. Ne prese una delle dimensioni che gli parvero adatte e dopo averla riempita di segatura andò a deporla in un angolo della cucina.
— Dovrai usare la scatola, Gatto. Mi spiace, ma per qualche giorno non uscirai di casa. Intanto vedremo se ci siamo simpatici a vicenda.
Il gatto guardò la scatola di segatura, ma rimase vicino alla porta.
— Miaou — supplicò.
Staunton prese i piatti usati per la colazione e li portò nel lavandino.
— Senti, Gatto — disse, senza girarsi — se non riesci a immaginare a cosa serva la segatura, pulirò il pavimento per qualche giorno. — Poi decise di continuare le sue faccende senza più badare al gatto, per vedere come si sarebbe comportato.
La mente costrinse il gatto a rimanere vicino alla porta. L’animale provava un forte desiderio di uscire, ma era chiaro che Staunton non glielo avrebbe permesso. Anzi, per diversi giorni l’avrebbe tenuto chiuso, in quella casa. Il problema era se usare la scatola, o se fingere di essere un gatto randagio e sporcare il più possibile, in ogni angolo della casa, in modo da disgustare Staunton e costringerlo a cacciare via la bestia prima del previsto.
Guardò Staunton. Senza odio, perché odio e amore erano sentimenti che la creatura poteva provare soltanto verso quelli della sua razza.
Improvvisamente si rese conto della possibilità che Staunton cercasse informazioni sul gatto: da che parte fosse venuto, chi era il suo proprietario, quando era scomparso… Così avrebbe saputo che il gatto era stato allevato in casa. Allora capì che avrebbe dovuto far agire il gatto in maniera conforme alla sua natura.
Non le occorse che un secondo per trovare questo ricordo particolare nella memoria del gatto. Poi si avvicinò alla scatola di segatura.
Staunton girò la testa da quella parte.
— Bravo micio — disse.
La mente capì che da quel momento in avanti doveva esaminare il cervello del suo ospite-schiavo e farlo agire nel modo in cui si sarebbe comportato in analoghe circostanze. Se solo avesse fatto così il giorno prima, quando la donna lo aveva visto…
Ora doveva continuare su quella strada. Esplorò il cervello del gatto: trovare un posto soffice e addormentarsi. C’era un divano nel soggiorno. Lo raggiunse e si sdraiò comodamente.
Staunton lo guardò.
— Bene, Gatto — disse. — Fai pure come se fossi a casa tua. Perché ieri pomeriggio e ieri sera ti sei nascosto? — Poi l’uomo tornò in cucina.
La mente lasciò che il corpo del gatto si addormentasse, ma lei continuò a pensare. Era stata una vera sciocchezza quella di nascondersi.
Cominciava a far caldo, e la mente sentì Staunton che si spostava da una finestra all’altra per socchiudere i battenti e accertarsi che rimanesse uno spiraglio da cui il gatto non potesse passare.
Dopo un po’ Staunton comparve nuovamente sulla soglia.
— Gatto, io vado un momento in paese. Ti affido la difesa del forte. Intanto comprerò qualche specialità per gatti. Voglio essere un ospite perfetto.
La mente per poco non fece fare un salto al gatto, ma subito si rese conto che Staunton aveva usato la parola «ospite» con un senso diverso.
Quando l’uomo si avviò lungo il corridoio, il gatto, per rimanere in carattere, saltò dal divano e lo accompagnò alla porta. Ma Staunton fece in modo da non lasciarlo uscire.
A Bartlesville, Staunton si fermò prima di tutto alla sede del «Clarion».
Hollis sollevò gli occhi dalla macchina da scrivere.
— Salve. Che c’è di nuovo?
— Niente d’importante, Ed. Volevo solo farvi una domanda. Sapete se qualcuno ha perduto un gatto?
Hollis scoppiò a ridere.
— Un gatto? Ce ne sono a centinaia da queste parti. Se un gatto scompare, scompare e basta. Perché? Ne avete trovato uno?
— Sì. Vorrei tenerlo per un po’, perché mi piace. Ma naturalmente, se venissi a sapere che il padrone lo sta cercando, glielo riporterei. Potrebbe essere il gattino dei suoi bambini, per esempio.
— Ho capito. Dunque… Vediamo un po’… Ecco, sono in tempo a mettere un’inserzione sul numero che uscirà dopodomani.
Staunton ci pensò un momento.
— D’accordo — disse poi. — Mettiamo questa inserzione: «Trovato piccolo gatto grigio». Aggiungete voi il numero della cassetta postale. Verrò da voi la settimana prossima per vedere se hanno risposto.
— Bene. — Poi Hollis sollevò di scatto la testa dal foglio sul quale stava annotando l’inserzione. — Ehi, un momento. Forse so di chi è il gatto! — esclamò. — La settimana scorsa ero dai Kramer e ho visto che avevano diversi gatti, tra questi ce n’era uno piccolo, grigio. Potreste fermarvi a domandare. È sulla vostra strada.
— A che punto, esattamente?
— Subito dopo la fattoria dei Gross. Sapete dov’è. Ci siete stato con lo sceriffo. C’è quella dei Loursat, quella dei Gross, e la terza è dei Kramer.
— Graze, Ed. Tornando a casa mi fermerò a domandare. Arrivederci.
Quando fece le provviste comprò anche due scatole di cibo per gatti. Dovevano bastare per qualche giorno.
Poi, dal negozio stesso, telefonò alla signorina Talley per chiedere come andava il lavoro, e se aveva saputo qualche novità. Sì, l’avrebbe finito per il giorno stabilito, e no, non aveva appreso niente d’importante. Ma avrebbe avuto più possibilità di tenere le orecchie aperte non appena finito di battere a macchina la relazione.
Poi la signorina Talley volle sapere se lui aveva trovato il gatto. Staunton raccontò ciò che era accaduto e la mise al corrente delle sue decisioni.
Sulla strada di casa si fermò alla fattoria che gli era stata indicata. Sotto il portico c’erano due gattini che sembravano una copia.
Una donna dalla faccia cordiale gli venne ad aprire la porta.
— Sono Ralph Staunton — si presentò lo scienziato. — Abito nella casa in fondo alla strada. Io…
— Oh, sì. Vi ho sentito nominare. E vi ho visto passare con la macchina. Entrate?
— Sì, grazie, un solo istante. Non è una cosa molto importante, signora Kramer. Ho trovato un gatto grigio, grosso pressappoco come quelli che sono qui sotto il portico, e mi chiedevo…
— Oh, sì, non lo vedevo da un giorno o due, e mi stavo chiedendo se non gli fosse capitato qualcosa.
— Gli è capitato di finire a casa mia, e ho pensato di poterlo tenere. Vi spiacerebbe venderlo?
La donna scoppiò a ridere.
— Venderlo? Se vi piace, tenetelo pure. Ho già tre gatti, e mi bastano.
— Vi ringrazio — disse Staunton. — Sempre che il gatto voglia rimanere con me! Ora è chiuso in casa. Ma non posso tenerlo sempre così. Quando aprirò la porta vedremo se vorrà tornare da voi o rimanere con me. Non posso forzare la volontà di un gatto. Sono animali indipendenti.
— Avete ragione, signor Staunton. Io spero che voglia restare con voi. A proposito, si chiama Jerry.
— Non più. Gli ho cambiato nome: adesso si chiama «Gatto».
La signora Kramer rise.
Il gatto doveva averlo sentito arrivare perché stava dietro la porta. Cercò di uscire, ma Staunton fu più veloce. Lo prese in braccio e richiuse la porta con un calcio.
— No, Gatto, ti ho già spiegato che per qualche giorno dovrai rimanere chiuso in casa. Poi ti lascerò fare la scelta, o restare con me, o tornare Jerry coi Kramer. Come vedi ora so chi sei.
Lo mise sul divano e rimase a fissarlo.
— Lo so veramente? — aggiunse a bassa voce.
Si avvicinò alla finestra per aprire i battenti, e in quel momento ricordò di non aver comprato le zanzariere. Le avrebbe prese il giorno dopo. Aspettare un giorno non aveva alcuna importanza.