16

Il mattino seguente, dopo aver trascorso una notte tranquilla e priva di sogni, Staunton andò da Hank Purdy, l’unico carpentiere del paese. Ma Purdy aveva troppo lavoro, e almeno per una settimana non avrebbe potuto montare le zanzariere. Ordinò ugualmente il lavoro. Non sarebbero servite per il gatto dato che non poteva tenerlo tutto quel tempo chiuso in casa, ma sarebbero state una specie di regalo all’amico che gli aveva prestato la casa.

Poi andò dalla signorina Talley. Doveva averlo visto arrivare perché spalancò la porta ancora prima che lui avesse bussato.

— Venite avanti, dottore. È tutto pronto. Accomodatevi. Vado a prendervi il quaderno.

— Grazie, signorina, ma non penso di dettare le due lettere. Prima di spedirle voglio pensare ancora ad alcune cose. Potrebbero anche succedere dei fatti nuovi.

— Come volete, dottore. — Gli porse una grossa cartella marrone. — Volete leggere subito la relazione?

— La leggerò a casa — disse Staunton. — Adesso vorrei parlare qualche minuto con voi, se avete tempo.

La signorina Talley aveva tempo, e Staunton le raccontò del gatto.

— Avevo paura di quell’animale. O meglio, avevo paura della sua presenza. Penso che sia stata un po’ colpa vostra, e dei vostri discorsi sulle possessioni. Ora la paura mi è passata, e mi piace vedermelo girare attorno. Mi fa sentire meno solo. Credo che quel gatto sia assolutamente normale, signorina Talley.

— Anche Buck era un cane assolutamente normale prima di buttarsi sotto le ruote della vostra macchina. Nonostante tutto ciò che avete detto, dottore, sono preoccupata all’idea che quel gatto viva con voi. Sarà stupido, ma…

— Andrà tutto bene, signorina. Comincio a pensare che noi due abbiamo esagerato leggermente ogni cosa.

— Forse. Dottore… mi volete promettere che spedirete le lettere e i rapporti ai due amici che mi avete nominati?

Staunton sospirò.

— D’accordo. Voglio soltanto pensarci ancora qualche giorno.

— Benissimo. In questi ultimi giorni della settimana rimarrò a casa nelle prime ore del pomeriggio. Quindi, se volete venire a dettare…


Quella sera, dopo aver lavato i piatti, Staunton si andò a sedere sul divano del soggiorno, accanto al gatto, e cominciò a carezzargli il pelo.

— Allora, Gatto, ti piace questo posto? E ti piace stare con me? O senti nostalgia dei Kramer? Voglio fissare la data in cui tu farai la tua scelta. La data e l’ora. Ti va bene lunedì? Ti darò da mangiare a metà pomeriggio della domenica, e ti lascerò uscire, se ancora vorrai uscire, il lunedì mattina. Se per caso dovessi andare in città, non starò via molto. Partirò dopo averti lasciato andare e farò in modo di essere a casa per mezzogiorno. D’accordo?

Il gatto, naturalmente, non rispose.

— Se hai qualche rimorso ti dirò che i Kramer ti hanno ceduto a me. Però, se vuoi, puoi anche tornare da loro. Allora, chi preferisci, i Kramer o me?

Si alzò per andarsi a mettere sulla sua poltrona preferita, di fronte al divano.

— Gatto, perché ti sei nascosto? Perché sei entrato dalla finestra del primo piano? Accidenti, perché non ti sei comportato subito come ti comporti in questo momento?

Il gatto si stirò e chiuse gli occhi.

— Gatto — esclamò Staunton, facendo spalancare gli occhi all’animale. — Gatto, non dormire! Non è educazione dormire quando una persona ti sta parlando. Gatto, tu vivevi nella fattoria vicino a quella dei Gross. Conoscevi il loro gatto? Quello che si è ucciso la notte in cui è morto il padrone? Non dirmi che un gatto che salta in bocca a un cane feroce non commette suicidio. E se è stato un suicidio, perché lo ha fatto? Se non è stato suicidio, cosa può essere?

Il gatto aveva richiuso gli occhi, ma per qualche strana ragione Staunton «sentiva» che non era addormentato.

— Quella stessa notte si è ucciso un gufo. Sapevi anche questo? E sai che collegata alla morte di Tommy Hoffman c’è quella di un topo che si è fatto deliberatamente uccidere? E quella di un cane? Sai che sono stato io a ucciderlo con la mia macchina? E che aspettava nascosto in un cespuglio che io fossi a distanza giusta per gettarsi sotto le mie ruote? Sono pronto a giurare che anche questo è stato un suicidio… perché ho saputo che quel cane aveva paura delle macchine.

«Due esseri umani e quattro animali… è tutto ciò che sappiamo. Naturalmente non ci sono stati altri suicidii di persone, ma quanti animali, specialmente quelli che vivono nel bosco, si sono dati la morte dopo… Dopo cosa? Dopo aver servito gli scopi di qualcuno o di qualcosa che si è impadronita di loro?

«Gatto, perché quegli animali si sono uccisi? Perché tu non cerchi la morte? Forse perché non trovi un modo adatto per ucciderti? Aspetta un momento».

Andò nello sgabuzzino che lui usava come deposito dei suoi attrezzi da pesca e delle armi. Per quanto sapesse che nel Wisconsin non si può andare a caccia in estate, lui aveva portato le armi per fare un po’ di tiro a segno.

Prese la pistola, una Smith Wesson calibro 38, e tornò nel soggiorno.

— Senti, Gatto — disse. — Proviamo in questo modo. Se vuoi uscire da questa casa per cercare un modo di ucciderti, io ti posso togliere il pensiero. Se capisci quello che sto dicendo e vuoi che io ti uccida, mettiti contro la porta.

Per un attimo il gatto rimase a fissarlo poi tornò a mettere la testa tra le zampe e riprese a dormire… o a fingere di dormire.

Staunton sospirò. Non si era aspettato che il gatto si mettesse contro la porta. Oltre tutto lui non avrebbe potuto sparare. Specialmente con una pistola che non si era neppure preoccupato di caricare. Mise la pistola nel ripostiglio e andò a letto.

Il giorno seguente non accadde niente di particolare. Staunton fece il suo solito giro in paese per vedere se c’era posta, poi andò nell’ufficio del giornale per dire di aver trovato i padroni del gatto e per chiedere a Ed Hollis le ultime novità.

Non era successo niente di particolare: i Garner avevano trovato un acquirente per la loro fattoria e stavano progettando di spostarsi in California, e Gus Hoffman era venuto al giornale a fare l’annuncio che offriva in vendita la sua fattoria. Voleva mettere lo stesso annuncio su un quotidiano di Green Bay.

— Immagino che Charlotte aspetti un bambino — disse Hollis. — Ecco perché i Garner se ne vanno.

— E io immagino che sia meglio non mettere una notizia simile sul giornale, Ed.

Hollis lo guardò, risentito, e Staunton fu costretto a scusarsi.

— Mi sto chiedendo — disse Hollis ad alta voce — perché Gus Hoffman sia deciso a partire. Voglio dire, con la morte di Tommy lo scandalo non lo avrebbe toccato.

— Eppure è semplice, Ed. Da questo momento in avanti, Hoffman sarà l’ombra dei Garner. Non ha moglie né figli, ma c’è un nipote o una nipote in arrivo. Il vecchio Hoffman diventerà matto per quel bambino.

— Accidenti, sì! Come ho fatto a non pensarci?


Quel pomeriggio Staunton tornò a casa molto presto e decise di trascorrere il resto della giornata a pesca. Era la prima volta che andava a pescare da quando aveva investito il cane, dal giorno, cioè, in cui aveva incominciato a interessarsi delle stranezze che circondavano la morte di Tommy Hoffman.

Nei giorni successivi il gatto parve rassegnato a rimanere in casa, e non fece più tentativi di scappare ogni volta che lui apriva la porta per entrare o uscire. Cominciava ad abituarsi.

O era perché aveva capito tutto e aspettava il lunedì per riacquistare la libertà promessa? Scacciò questo pensiero cercando di concentrarsi sul piacere che gli offrivano le giornate di vacanza.

Il lunedì mattina decise che avrebbe liberato il gatto verso le dieci. Poi avrebbe aspettato le cinque o sei ore di libertà per vedere se sarebbe tornato all’ora da lui fissata per la colazione. Doveva lasciarlo andare, ma voleva tenerlo d’occhio, e fino a un certo punto poteva farlo. Aveva portato con sé un binocolo fortissimo. Poteva salire alle finestre del primo piano e osservarlo. Se si fosse diretto verso la fattoria dei Kramer, con tutta probabilità non lo avrebbe più rivisto. Se avesse preso una qualsiasi altra direzione, forse. E se si fosse fermato nelle vicinanze della casa, era certo che sarebbe rientrato non appena lo avesse chiamato.

Guardando dalla finestra si accorse che cominciava a piovere.

Con tutta probabilità, in questo caso, il gatto non sarebbe neppure uscito. I gatti odiano l’acqua. Ma quella pioggerella durò solo una quindicina di minuti. Il tempo sufficiente per inumidire il terreno e incollare al suolo la polvere.

Alle dieci esatte Staunton andò a spalancare la porta d’ingresso.

— Bene, Gatto, vuoi uscire un attimo?

Il gatto comprese il gesto più che le parole. Scese dal divano, si stirò senza troppa premura, e uscì.

Staunton afferrò il binocolo e salì al primo piano. Si affacciò alla finestra che dava sul fronte della casa. Il gatto si stava allontanando verso la strada. Camminava con il passo sicuro dei gatti che sanno benissimo dove devono andare, ma che non hanno alcuna premura di giungere a destinazione.

«Con tutta probabilità sta tornando dai Kramer» pensò. «Be’, se è questo che vuole, per me va bene».

Ma quando raggiunse la strada, il gatto si fermò. Girò la testa per guardare la casa da cui era appena uscito. Staunton si tirò indietro di scatto e fece sporgere dalla finestra soltanto il binocolo. Guardava la casa per prendere una decisione? O voleva vedere se lui lo stava osservando? Non poteva averlo visto, né poteva vederlo in quel momento.

Il gatto rimaste fermo in quel punto per oltre mezzo minuto, poi ripartì, con passo più veloce. Non lungo la strada che lo avrebbe portato alla fattoria dei Kramer, ma nei boschi che si stendevano dall’altra parte. Poté seguirlo soltanto per pochi metri ancora.

Dopotutto, il comportamento del gatto era perfettamente normale, ma…

Ricordò la pioggerella caduta mezz’ora prima. Il gatto avrebbe lasciato le impronte. Perché non seguirle e vedere dove era andato? Non aveva niente da fare, e una passeggiata sarebbe stata un modo come un altro per ingannare le ore di attesa.

Partì subito. Si fermò soltanto un attimo per prendere un cappello e l’impermeabile nel caso avesse ricominciato a piovere. Sulla polvere le impronte del gatto erano molto chiare. Camminando le studiò attentamente per non doverle poi confondere con quelle di qualche altro animale.

Ma quando giunse nel bosco le cose si complicarono: sull’erba non si potevano vedere impronte. Oltre tutto la leggera pioggia non era riuscita a penetrare tra le toglie, e il terreno, sotto, era perfettamente asciutto.

Però Staunton aveva notato che il gatto era andato in linea retta. Forse, procedendo in quella direzione, avrebbe raggiunto il luogo cui si era diretto il gatto.

Dopo circa un chilometro e mezzo si trovò di fronte a un ruscello largo, in quel punto, un metro e mezzo. Il gatto era passato dall’altra parte? Saltò anche lui, poi si fermò per cercare le impronte. Non ne vide. Lungo le due rive del ruscello correva una larga striscia di sabbia, e sulla sponda opposta le impronte erano tornate chiarissime. Il gatto quindi non aveva attraversato il corso di acqua, altrimenti le impronte ci sarebbero state anche lì. Ma allora perché i segni delle zampe finivano proprio sull’orlo del ruscello?

Staunton cominciò a seguire il corso d’acqua, e dopo una ventina di passi ebbe la conferma di ciò che aveva temuto appena si era trovato davanti al ruscello.

In mezzo all’acqua galleggiava il corpo di un piccolo gatto grigio.

Era un suicidio molto più evidente di quello commesso dal cane balzato sotto le ruote della sua macchina, di quello del gufo che si era lanciato contro il vetro di una finestra, di quello del topo che aveva assalito Tommy Hoffman, e di quello dell’altro gatto che si era scagliato contro un cane.

E questo gatto aveva vissuto con lui per diversi giorni. Aveva rifiutato di farsi uccidere dalla pistola, né aveva cercato la morte in un qualsiasi altro modo.

Per uccidersi aveva aspettato di poter commettere l’atto inosservato, in mezzo al bosco. Se lui non avesse avuto ancora un residuo di sospetto, e se le impronte sul terreno non gli avessero indicata la direzione, il corpo del gatto con tutta probabilità non sarebbe mai più stato ritrovato.

Ma perché si era ucciso?

Il gatto «era» un gatto normale. Il cane Buck «era stato» un cane come tutti gli altri fino al momento in cui aveva cercato la morte.

C’era «qualcosa» che usava gli animali, per misteriose ragioni, e che poi se ne liberava facendoli uccidere?

«Cosa» aveva pensato il gatto in quei giorni che era rimasto con lui?

E cosa dire dei due esseri umani, Tommy Hoffman e Siegfried Gross? Li avevano costretti a compiere qualche azione troppo difficile per gli animali, e poi li avevano spinti a uccidersi?

Ma «chi»? E «perché»?

Rabbrividì. La paura provata la notte in cui il gatto si era tenuto nascosto, era niente in confronto a quella che provava adesso.

Prima aveva fatto soltanto delle congetture. Ora sapeva.

Ma cosa sapeva? Soltanto di aver paura.

Prese un ramoscello, e tirò il corpo del gatto vicino a riva per poterlo raccogliere. Alla fattoria avvolse il corpo del gatto in una vecchia coperta, e lo mise in macchina. Doveva portarlo al laboratorio di Green Bay. Non aveva ancora deciso. Cosa avrebbero potuto trovare? Questa volta non poteva esserci neppure il più lontano sospetto di rabbia. Fino ad un’ora prima il gatto era stato, o sembrato, perfettamente normale.

Si accese la pipa, poi andò a prendere la busta con le copie del rapporto dettato alla signorina Talley e raggiunse il paese. Avrebbe dovuto spedirle prima! Ora doveva aggiungere la storia del gatto, scrivere le due lettere d’accompagnamento e imbucarle immediatamente.

La signorina Talley non era in casa. Sulla porta però aveva lasciato un biglietto: «Torno verso le 15».

Era comunque ora di mangiare, perciò Staunton andò al ristorante. Poi, per passare il tempo che ancora restava, entrò in un bar e bevve un paio di birre.

Giunse davanti alla casa della signorina Talley con cinque minuti di anticipo, ma lei era già in casa.

— Dottore! — esclamò non appena lo. vide. — Entrate. È accaduto qualcosa?

— Si tratta del gatto — rispose. — Voglio dettare una aggiunta al mio rapporto. Se volete prendere il vostro quaderno…

Dettò tutta la storia, dal momento in cui la signorina Talley aveva scorto la bestiola quando lui stava dettando la prima parte del rapporto, al momento in cui aveva trovato il corpo del gatto nel ruscello. Impiegò circa un’ora a dettare.

Alla fine la Talley lo fissò, allarmata.

— Dottore! Oltre che spedire i rapporti ai vostri due amici, dovreste andare dello sceriffo. O chiamare l’F.B.I., nel caso in cui lo sceriffo non vi prendesse sul serio.

Staunton fece un cenno di conferma.

— Ci andrò, signorina. Prima di uscire vi dirò quali sono i miei piani. Ora vi detterò le due lettere di accompagnamento.

Le due lettere presero molto più tempo di quello che aveva immaginato. Quando finì erano le cinque.

— Signorina Talley, quanto pensate d’impiegare per battere a macchina tutto quello che ho dettato?

— Alcune ore. Quattro, diciamo. Se comincio subito posso finire prima di cena. Intanto voi potreste andare dallo sceriffo e…

— No, vorrei andare da lui con la copia completa del rapporto. Ma non voglio farvi lavorare tutta la sera senza mangiare. Prendete il soprabito e venite a cena con me al ristorante. Poi vi accompagnerò a casa, e potrete cominciare tranquillamente il lavoro. Domani mattina, con la copia completa, andrò dallo sceriffo. Anche finendo di battere a macchina per le nove sarebbe troppo tardi per spedire le due copie in serata.

— Sì… certo. A meno di non andare a imbucare a Green Bay. Ma… volete correre il rischio di passare la notte alla fattoria? Tutti gli avvenimenti si sono svolti sulla strada in cui abitate. L’ultimo, quello del gatto, proprio in casa vostra!

Staunton sorrise.

— Non mi succederà niente, questa notte, signorina.

Se avesse potuto conoscere i pensieri della mente, non ne sarebbe stato tanto sicuro.

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