Il dottor Staunton aveva passato tutta la mattinata a prendere appunti sui due casi di suicidio e sui fenomeni che sembravano connessi alle due morti, con particolare cura per il tempo e il luogo. Ma voleva qualcosa di più delle semplici note. Si era trovato presente all’inchiesta e a diversi colloqui, specialmente quello avvenuto alla fattoria dei Gross, e voleva trascriverli sulla carta, parola per parola. Ma scrivere tutto sarebbe stata una grossa fatica dato che non aveva una dattilografa e che lui batteva a macchina con estrema lentezza. Impiegò mezz’ora per scrivere a mano tutto ciò che riguardava la morte del cane. E riempì tre pagine. Quando stava cominciando il resoconto della deposizione di Charlotte Garner, gli venne un crampo alla mano. Si rese conto che per scrivere tutto avrebbe dovuto riempire dalle trenta alle cinquanta pagine. Per non contare le sue deduzioni e i suoi ragionamenti che non gli permettevano di accettare i fatti collaterali (gli animali che sembravano essersi suicidati e la sparizione del brodo e del sugo dalla cucina della signora Gross) come fenomeni isolati e coincidenze fortuite che non avevano niente a che vedere con le morti degli esseri umani. Sarebbe stato come scrivere tutto un libro a mano.
Eppure era necessario avere tutto scritto fedelmente, finché i ricordi erano freschi nella sua mente. Pensò di andare a Green Bay e noleggiare un registratore. Ma odiava quel genere di apparecchi, specialmente per il fatto che a lui piaceva dettare camminando avanti e indietro. Oltre tutto avrebbe dovuto poi assumere una dattilografa che trascrivesse quello che era inciso sui nastri. Meglio quindi trovare una stenografa in grado di seguire il suo dettato, e poi farle trascrivere tutto a macchina.
Probabilmente avrebbe trovato la persona adatta a Green Bay, comunque avrebbe prima domandato a Bartlesville.
Il direttore di «Clarion», il giornale settimanale di Bartlesville, avrebbe potuto dargli l’informazione che cercava. Staunton lo conosceva perché era una delle persone con cui aveva giocato a poker. Forse Ed Hollis conosceva qualcuno a Wilcox, città molto più grande di Bartlesville e molto più vicina a Green Bay.
Poco prima di mezzogiorno, quando Staunton entrò negli uffici del giornale, Hollis stava correggendo un articolo.
— Un secondo, Staunton — disse. Finì la frase poi si rivolse al visitatore: — Che c’è di nuovo? Ci siete anche voi al poker di questa sera? Hans mi ha appena telefonato, e ho detto che non c’è modo di raggiungervi per telefono. Se volete vincere un altro po’ dei nostri quattrini…
— Farò il possibile, Ed. A ogni modo sono venuto qui per un altro motivo. In paese c’è qualcuno che sappia stenografare e battere a macchina?
— Certo. C’è la Talley. La signorina Amanda Talley.
— È impiegata?
— No, fa solo lavori saltuari. Insegna lettere alle scuole superiori. D’estate, dopo un breve periodo di vacanza, accetta tutti i lavori che le possono capitare.
— Stenografa velocemente?
— Sì. Anch’io sono ricorso a lei diverse volte. Prima di passare all’insegnamento vero e proprio dava lezioni di stenografia. E in seguito è sempre rimasta in esercizio.
— È quanto di meglio potessi desiderare — commentò Staunton. — Sarà libera?
— Posso telefonare. — Ed Hollis sollevò il microfono, ma prima di comporre il numero tornò a girarsi verso Staunton: — Quanto durerà il lavoro? Un’ora, una settimana…
— Penso che si tratterà di quattro o cinque ore di dettato, e un giorno o due per battere il tutto a macchina…
Hollis fece un cenno con la testa, poi fece il numero.
— Signorina Talley? Un mio amico avrebbe da farle fare un paio di giorni di lavoro. Si tratta di stenografare e scrivere a macchina. Potete farlo? Bene. Un attimo, prego.
Mise la mano sul microfono, e si rivolse a Staunton.
— Dice che può cominciare quando volete. Ora è mezzogiorno. Volete che fissi un appuntamento per l’una? Vi posso insegnare la strada. È a pochi isolati di distanza.
— Benissimo.
Hollis tornò a parlare al telefono.
— D’accordo, signorina Talley. Verrà da voi verso l’una. È il dottor Staunton… D’accordo.
Hollis fissò Staunton e sorrise.
— Mi ha raccomandato di dirvi la sua tariffa. Pensa che vi possa spaventare. Dieci dollari al giorno. Un dollaro e mezzo all’ora per lavori di breve durata.
— Mi sembra una pretesa piuttosto ragionevole. Volete venire a pranzo con me, Ed?
— Vorrei, ma devo finire un lavoro che mi terrà impegnato per più di un’ora. E ho già telefonato a casa di preparare più tardi.
Diede a Staunton l’indirizzo della Talley, lo accompagnò fino alla porta e gli indicò la strada che avrebbe dovuto prendere.
All’una Staunton raggiunse la casa di Amanda Talley, un piccolo cottage. Nel vialetto di fianco alla casa vide parcheggiata una Wolkswagen.
Bussò, e quando la porta venne aperta, Staunton si trovò di fronte a una donna parecchio più alta di lui. In compenso era magrissima. Amanda Talley era di età indefinita, fra i cinquanta e i sessantacinque anni, e Staunton decise per una via di mezzo. Portava occhiali con la montatura in ferro, vestita completamente in grigio, con abiti che non erano né antichi né moderni, e aveva i capelli arrotolati dietro la nuca.
Con un vecchio cappello e un ombrello in mano sarebbe stata il ritratto della donna-investigatrice di Stuart Palmer, Hildegarde Withers. Ma aveva l’aria della donna che sa il suo lavoro, e dopo tutto lui non era venuto per invitarla a un ricevimento.
— Il dottor Staunton? — Come lui fece un cenno affermativo, la Talley si tirò da parte. — Volete accomodarvi?
— Ecco… signorina Talley, potrei benissimo dettare qui, ma penso di distrarmi, e preferisco farlo a casa mia. È a otto chilometri dal paese. Se a voi non spiace… Battere a macchina potrete benissimo farlo qui da voi.
— Ma perderemo del tempo!
— Naturalmente — disse Staunton — cominceremo a calcolare il tempo da questo momento. Dall’una. Se volete andare a prendere fogli e penna…
Chiusa la porta di casa, Amanda Talley insisté per prendere anche la sua automobile, così lui avrebbe evitato di rifare la strada per accompagnarla a casa. Non volle credere (e aveva ragione) che Staunton dovesse comunque tornare in paese sul tardo pomeriggio. Alla fine si lasciò convincere e salì in macchina con lo scienziato.
Meravigliosi schiavi i gatti. Silenziosi, veloci, con l’udito finissimo, e con la prerogativa di poter andare in qualsiasi posto senza che la gente se ne stupisca.
Con diversi gatti, uno alla volta, la mente aveva visitato tutte le fattorie tra quella dei Gross e il paese. Tutte, tranne due, custodite da cani piuttosto feroci.
Ma non si preoccupò per quelle due fattorie. In tutte le altre non aveva appreso niente di interessante. Aveva poi cominciato a ispezionare il paese. Logicamente aveva cominciato dalla persona che in teoria avrebbe dovuto essere uno schiavo perfetto: il radiotecnico, ma si era accorta che non sarebbe stato molto utile, se non altro per le sue difficoltà finanziarie.
Il gatto nero che aveva diviso la colazione con Willie Chandler aveva trascorso il resto del pomeriggio a esplorare il paese e ad ascoltare ciò che veniva detto in giro. Ma non apprese nulla d’importante. A un tratto la mente si ricordò dell’ometto chiamato Staunton, che aveva visitato la fattoria dei Gross assieme allo sceriffo. Decise di lasciar perdere tutto e di cercare quell’uomo.
Con gli occhi del passero, quando aveva cercato di seguire Staunton, aveva visto due macchine che si allontanavano in opposte direzioni. Poiché era probabile che lo sceriffo si fosse diretto verso Bartlesville, per poi raggiungere il suo ufficio di Wilcox, quella di Staunton doveva essere la macchina che si era allontanata in direzione opposta al paese.
Da quella parte c’erano solo una decina di fattorie. Le avrebbe ispezionate il mattino seguente.
Fece uscire il gatto dalla città, ma dopo un tratto di strada l’animale cadde a terra, esausto. Era sfinito, e aveva le zampe tagliate. Anche il riposo di tutta una notte non sarebbe stato sufficiente a ristabilirlo. Allora la mente forzò il gatto ad alzarsi e lo fece correre in mezzo ai campi finché non cadde a terra, morto.
Il mattino seguente prese un altro schiavo. Un piccolo gatto grigio che viveva nella terza fattoria dopo quella dei Gross. Subito ispezionò i ricordi dell’animale, e si accorse di essere stata fortunata. Quel gatto aveva esplorato in lungo e in largo la zona, e grazie ai suoi ricordi la mente evitò di perdere tempo a cercare Staunton nelle cinque fattorie dopo quella del gatto.
Non rimanevano da esplorare che tre fattorie.
Cominciò a camminare stando sul ciglio della strada in modo da non lasciarsi sfuggire Staunton nel caso in cui si fosse allontanato dalla fattoria in macchina.
E fu proprio ciò che accadde. Verso le undici sentì il rumore di una macchina che s’avvicinava, e poco dopo una vecchia berlina passò accanto al gatto. Al volante della macchina c’era il dottor Staunton.
Ora la mente, mettendo insieme diverse cose, tra cui i ricordi di Tommy Hoffman, seppe con certezza che Staunton abitava nell’ultima casa. Staunton, per il suo aspetto, per il suo modo di parlare quando lo aveva sentito alla fattoria dei Gross, non poteva essere un contadino. E solo i campi dell’ultima fattoria non erano coltivati.
Ispezionò le due ultime fattorie senza troppa attenzione, e giunse alla casa in fondo alla strada.
Sul terreno si vedevano tracce recenti di una macchina. Poi si vedevano altri segni che mostravano come la casa fosse stata abitata in quegli ultimi giorni. Ma Staunton se n’era andato forse per sempre?
Per fortuna sembrava che non ci fossero cani. Così poté avvicinarsi senza pericolo alla casa. Dalle finestre della cantina giungeva il ronzio di un generatore elettrico. Ciò significava che Staunton non se n’era andato per sempre. Ma viveva solo, o c’era qualcun altro in quella casa?
Il gatto fece il giro dell’isolato, guardando in tutte le finestre. Non c’era nessuno. Tutte le finestre del piano terreno erano aperte, ma solo di pochi centimetri. Una sola era spalancata, ma si trovava al primo piano.
La mente si rese conto che per fare ulteriori indagini avrebbe dovuto aspettare il ritorno di Staunton. Ma ciò sarebbe forse avvenuto il pomeriggio tardi, o forse la sera, quindi cominciò a esplorare la zona circostante. Cercando di mantenersi nascosto il più possibile, il gatto fece diversi giri nei dintorni. L’unica altra costruzione oltre la casa era una piccola baracca di legno, che forse era servita come deposito degli attrezzi, ma era senza porta, e dentro non c’era niente. Si vedevano i segni delle fondamenta di quella che una volta doveva essere stata la stalla, ma della costruzione non restava altro. Forse la stalla si era incendiata, o era stata demolita per recuperare il materiale.
Tornò verso la casa e si fermò sotto le finestre per sentire eventuali rumori o voci. Ancora niente.
La mente mandò il gatto dietro alcuni cespugli e lasciò che si coricasse per dormire. Dopo l’esperienza fatta con il gatto nero aveva scoperto che non conveniva spingere uno schiavo a compiere sforzi superiori alle sue possibilità. Inoltre sapeva che si sarebbe svegliato al minimo rumore.
L’attesa fu meno lunga del previsto. Il gatto dormiva da solo mezz’ora quando venne svegliato dal rumore di una macchina che si stava avvicinando alla casa. La mente aprì gli occhi del gatto e lo fece girare attorno al cespuglio.
Era la macchina di Staunton, e Staunton stava al volante. Ma c’era una donna con lui. Una donna alta, magra e piuttosto anziana.
La mente la conosceva. Dai ricordi di Tommy Hoffman sapeva che si trattava di Amanda Talley. Era amica di Staunton? E Staunton, era forse anche lui un professore? Poi vide che la donna aveva in mano dei fogli di carta e una penna, allora ricordò che di tanto in tanto la Talley arrotondava lo stipendio d’insegnante con lavori di stenografia o di contabilità. Questa doveva essere la ragione per cui Staunton l’aveva portata con sé. Era un’ottima cosa. Se doveva dettare delle lettere, la mente sarebbe riuscita a sapere parecchie cose.
Appena l’uomo e la donna scomparvero nella casa, il gatto uscì rapido dal suo nascondiglio e andò a mettersi sotto le finestre. Da quella che doveva essere la finestra della cucina udì le loro voci, ma non poteva distinguere le parole. Si raccolse per spiccare un salto sul davanzale, ma non riuscì a raggiungere la finestra.
Quel maledetto gatto era troppo piccolo. Considerò subito l’opportunità di liberarsi di quell’ospite. Ma tutti gli altri gatti disponibili si trovavano a diversi chilometri di distanza. Troppo lontani per farli giungere prima che Staunton finisse di dettare le lettere.
Fece rapidamente il giro della casa per arrivare alla porta della cucina. Ma il legno del battente era troppo grosso, e anche da lì poteva sentirli parlare senza afferrare ciò che stavano dicendo.
Compì un altro giro attorno alla casa. La finestra del primo piano era ancora aperta. Poi vide una cosa cui prima non aveva fatto caso. Proprio accanto alla casa c’era un olmo, e uno dei suoi rami raggiungeva quasi la finestra. Da lì forse il gatto sarebbe riuscito a raggiungere il davanzale.
Si arrampicò sulla pianta e si spinse sull’estremità del ramo. Sì, da quella posizione il salto risultava abbastanza facile. Prima però volle guardare nella stanza, era la camera da letto, per accertarsi che anche la porta fosse aperta. Sarebbe stato seccante spiccare il salto e trovarsi chiuso in una camera da letto.
Saltò. Quando fu sul davanzale si volse per osservare il ramo. Come aveva sospettato, sarebbe stato impossibile uscire da quella parte.
Il ramo, che si era leggermente piegato sotto il peso del suo corpo, in condizioni normali era leggermente alto per poter essere raggiunto. Comunque avrebbe trovato un modo per uscire. Staunton avrebbe pur aperto a un certo momento qualche finestra del piano terreno.
Raggiunse il piano terreno e si fermò dietro l’angolo del piccolo corridoio che portava alla cucina.
Da quella posizione poteva sentire perfettamente tutto ciò che i due umani stavano dicendo.