19

Non accadde più niente. E venne la notte. Staunton fece il giro della casa per accendere le luci, tutte.

E poi tutte le luci si spensero. Tutte in una volta.

Il generatore? Il motore che lo azionava aveva nel serbatoio tanto carburante da farlo funzionare ininterrottamente per ancora un paio di giorni.

Il nemico doveva aver preso un altro ospite. Un topo? Forse. Dovevano essercene parecchi, in cantina.

Era inutile tentare di riparare il guasto. Dopo il primo topo ne sarebbe venuto un secondo. E poi forse non era neppure un topo. Bastava un insetto a provocare un corto circuito.

Oscurità.

La cosa più importante era quella di non dormire. Con il sonno sarebbe stata la fine.

La luna si alzò. Non era la luna piena, ma illuminava tutta la zona circostante con grande chiarezza. E gli permetteva di vedere discretamente anche in casa. Aveva la torcia, ma con una sola pila di ricambio non avrebbe potuto tenerla accesa per tutta la notte. Doveva usarla con parsimonia.

Per quanto tempo sarebbe riuscito a stare sveglio? Per altre ventiquattro ore, forse.

Aveva fame, ma decise di non mangiare. Un uomo affamato può stare sveglio con maggiore facilità.

Cominciò a passeggiare avanti e indietro. Doveva contrattaccare in qualche modo. Ma come?

In che modo era vulnerabile il suo nemico? Era incorporeo, o aveva un corpo… forse, addormentato mentre usava gli ospiti? Si convinse che doveva avere un corpo. Primo, perché gli era impossibile pensare a una entità incorporea, secondo perché si stava ricordando una strana cosa accaduta la stessa notte della morte di Siegfried Gross. La sparizione dal frigorifero di Elsa Gross di una zuppiera di brodo e di una scodella di sugo. Siegfried non poteva averli mangiati così com’erano, né aveva motivo di versarli nel lavandino. Li aveva portati forse al nemico perché si potesse nutrire. Sembrava grottesco. Ma tutto ciò che stava accadendo sembrava grottesco. Quindi anche quello era possibile.

Andò in cucina e, facendosi luce con la pila, si preparò un altro caffè. Poi tornò a sedere sul bracciolo della poltrona davanti alla finestra.

Dove poteva essere il suo nemico? Con tutta probabilità, dato che doveva avere un raggio limite entro cui operare, doveva trovarsi nelle vicinanze della casa. Forse nella casa stessa. Il giorno dopo avrebbe iniziato il contrattacco. Avrebbe perquisito accuratamente tutta la casa, pronto a sparare a qualsiasi cosa vivente avesse vista.

Fu una notte molto lunga, la notte più lunga che avesse mai trascorsa. Ma alla fine venne il giorno.

Quando fu abbastanza chiaro cominciò la perquisizione della casa, camera per camera. Poi scese in cantina. Non sapeva cosa stava cercando, né di che grandezza poteva essere il nemico, ma alla fine (a meno che non avesse la possibilità di diventare invisibile), si convinse che non doveva essere in casa.

In cantina però vide che la sua supposizione circa la causa del guasto al generatore era stata esatta. Un topo si era infilato tra gli ingranaggi del motore bloccando la macchina e facendosi maciullare. Rimettere in moto la macchina? Ma per quale motivo? Se il nemico aveva deciso di lasciarlo senza elettricità, un altro topo si sarebbe infilato negli ingranaggi non appena lui fosse risalito al piano terreno.

Durante la notte gli era venuta in mente un’altra possibilità. Dato che il nemico poteva uscire da un ostaggio solo nel momento della sua morte, lui avrebbe potuto voltare le carte in tavola. Se fosse riuscito a prendere vivo, e senza ferirlo, l’animale in cui il nemico si trovava, avrebbe neutralizzato ogni sua azione almeno per un po’ di tempo.

Ma gli si sarebbe presentata questa occasione?

Sollevò gli occhi al soffitto e vide una falena. Era forse lei? Una falena non poteva essere pericolosa. Ma forse il nemico la controllava solo per spiarlo.

Lentamente andò nello sgabuzzino e si chiuse la porta alle spalle. Uscì una decina di minuti dopo con una rudimentale rete per la caccia alle farfalle.

La falena stava ancora volando vicino al soffitto. Dopo alcuni tentativi riuscì a prenderla. Poi la tolse dalla rete con delicatezza cercando di non ferirla neppure a un’ala, e la portò in cucina. Vuotò una scatola di fiammiferi e chiuse la falena in quella piccola prigione. Sarebbe vissuta abbastanza. Il tempo che gli sarebbe occorso per giungere fino al paese. Sempre che la falena fosse…

Comunque poteva controllare subito. Prese il fucile e aprì la porta di casa. Fece alcuni passi. Intorno non si vedeva nessun animale. E neppure nell’aria.

Si lasciò sfuggire un profondo sospiro e cominciò a camminare.

Non aveva fatto che una decina di passi quando qualcosa gli fece sollevare lo sguardo. Un falco, enorme, si era alzato dal tetto e si stava sollevando nell’aria. Poi si lanciò contro di lui. Per ucciderlo, non più per spaventarlo!

Sollevò il fucile e lasciò partire il colpo. Appena in tempo, quando il rapace era ormai a pochi metri dalla sua testa. Piume e sangue gli volarono in faccia. Tutto il resto dell’uccello, spostato dalla sua traiettoria, cadde a terra a soli cinquanta centimetri da lui.

Tornò in casa di corsa e si lavò la faccia. Poi andò in cucina a liberare la falena. La sua idea era stata buona, ma il nemico non aveva intenzione di concedergli una così facile vittoria.

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