Il dottor Staunton aveva passato una notte agitata, e alle sette rinunciò a tentare di dormire.
Si preparò la colazione poi si mise a sedere aspettando un’ora adatta per andare in paese. La sera prima lui e la signorina Talley si erano attardati a parlare dopo cena, e dubitava che la donna avesse finito il lavoro prima di mezzanotte. Non poteva andare a casa sua prima delle nove. Cercò di ingannare l’attesa in diversi modi, poi alle otto e mezzo salì in macchina e si avviò verso il paese.
Ma non voleva andare dallo sceriffo e non voleva neppure telefonargli prima di avere in mano la relazione che la signorina Talley aveva battuto a macchina. Si fermò quindi al bar per prendere un caffè.
Alle nove e un quarto, decise di concedere alla signorina Talley ancora quindici minuti e poi telefonarle per sentire se poteva andare da lei. Intanto poteva telefonare allo sceriffo e fissare un apputamento per il pomeriggio.
Stava parlando con lo sceriffo e stavano già fissando l’ora in cui si sarebbero dovuti incontrare, quando lo sceriffo lo interruppe.
— Un momento, dottore. Rimanete in linea. — Passò un minuto, poi lo sceriffo tornò a parlare. — Dovreste telefonare più tardi. Ho ricevuto in questo momento una chiamata da una macchina della polizia di Stato. Tra Bartlesville e Green Bay c’è stato un incidente. Devo andare immediatamente. Scusate.
Staunton riappese il ricevitore e rimase con gli occhi fissi al telefono chiedendosi se quell’incidente poteva essere capitato a una persona che conosceva. Forse no, altrimenti lo sceriffo glielo avrebbe detto… però lo sceriffo non poteva sapere quali fossero le sue conoscenze, e poi aveva molta premura.
Tornò a chiamare l’ufficio dello sceriffo. Questa volta rispose l’aiutante. Staunton gli disse che stava parlando con il suo capo quando era giunta una chiamata che lo aveva fatto partire immediatamente. Poteva dirgli chi era la vittima dell’incidente?
L’aiutante non fece obiezioni. Si trattava, rispose, di uno studente, James Kramer, abitante alla periferia di Bartlesville. Era solo in macchina e stava andando verso Green Bay. Con tutta probabilità si era addormentato al volante ed era andato a urtare il muretto di un ponte. Era morto sul colpo.
Staunton lo ringraziò e riappese. Poi cercò di ricordare qualcosa dei Kramer. Era la famiglia che viveva nella fattoria vicino a quella della signora Gross. Ora ricordava di aver sentito dire che il loro figlio, un ragazzo dell’età di Tommy, aiutava la signora Gross nei lavori della fattoria. E i Kramer gli avevano dato il gatto rimasto con lui fino a ieri!
E ora il figlio dei Kramer era morto, in circostanze che potevano benissimo essere un suicidio. Suicidio umano numero tre, e ancora una volta legato al suicidio di un animale!
Di colpo il dottor Staunton non ebbe più paura. Si sentiva calmissimo. Sapeva cosa doveva fare, immediatamente, senza perdere altro tempo.
Tutta quella storia non riguardava più uno sceriffo di contea. Era un lavoro per l’F.B.I., e per uno scienziato. Ne avrebbe parlato anche con lo sceriffo, ma era un lavoro superiore alle forze della polizia locale, e anche alle forze della polizia di Stato. Forse era il caso di interessare anche l’esercito. Fortunatamente, dato il lavoro che svolgeva, Staunton era in amicizia con diversi alti ufficiali e con due uomini dell’F.B.I. La cosa più importante però era che loro lo conoscevano bene e che avrebbero preso in seria considerazione lui e il suo racconto.
Però c’era una cosa da fare prima di ogni altra, una cosa per cui non gli sarebbe occorsa più di un’ora: abbandonare la zona pericolosa.
Sarebbe tornato a casa per caricare in macchina tutto ciò che gli apparteneva. Poi doveva passare dalla signorina Talley per prendere i rapporti, infine si sarebbe spostato a Green Bay, suo nuovo quartier generale, e da lì avrebbe fatto le telefonate. Se aveva tutta l’influenza che sperava di avere, gli uomini dell’F.B.I. sarebbero arrivati a Green Bay il giorno dopo. E mentre aspettava il loro arrivo, lui avrebbe cercato di conoscere tutti i particolari sulla morte di Jim Kramer e aggiungerli al rapporto. Gli sarebbe stato facile trovare una stenografa a Green Bay. a meno che la signorina Talley non volesse andare con lui. Ed era quasi certo che ci sarebbe andata.
La prima cosa di cui la mente si rese conto era che Staunton non si trovava in casa. Ma non ne fu sorpresa. A volte Staunton si recava in paese molto presto. Non doveva essere andato a pesca perché la macchina mancava. Tuttavia…
Fece un esame più accurato della casa, e vide che tutti gli oggetti personali c’erano ancora. I piatti nel lavandino indicavano che aveva fatto colazione. Per un suo motivo particolare doveva essere andato in paese prima del solito. A ogni modo non c’era da preoccuparsi. Sarebbe ritornato.
Come gatto, per quanto avesse trascorso diversi giorni in quella casa, non aveva potuto guardare nelle stanze chiuse o nei cassetti. Ora con il suo senso di percezione poteva perfino leggere i libri e le lettere ripiegate nelle buste. Per cominciare a conoscere il suo nuovo ospite e per ingannare l’attesa, lesse tutto ciò che le fu possibile.
Finalmente percepì le vibrazioni di una macchina in arrivo. Era Staunton, ed era solo. L’orologio della cucina segnava le dieci.
Come Staunton entrò in casa, la mente, per completare il suo inventario, scrutò le cose che Staunton teneva in macchina. Improvvisamente si accorse di aver sbagliato qualcosa. Avvolto in una coperta, c’era il corpo del gattino grigio. Come aveva fatto Staunton a trovarlo? La pioggia… certo! Doveva aver lasciato delle tracce visibili, e Staunton le aveva seguite. Ancora una volta si era tradita!
A ogni modo Staunton era tornato a casa. Prima o poi si sarebbe addormentato…
Ma cosa stava facendo? Metteva i suoi vestiti nelle due valigie, e aveva ritirato il rasoio e tutte le altre cose dal bagno. Stava per partire, e per sempre, dato che aveva messo in valigia tutto quanto.
«Ma non può. Devo fermarlo. A qualsiasi costo!».
Il dottor Staunton caricò le due valigie in macchina, poi tornò verso la casa. Fece un rapido giro in tutte le stanze per accertarsi che le finestre fossero chiuse. In cucina sprangò la porta posteriore, poi si fermò un attimo davanti all’interruttore del generatore. Rimase un attimo incerto, poi decise di lasciarlo acceso. Nel frigorifero c’era ancora parecchio cibo e forse avrebbe dovuto ritornare. Non per fermarsi, ma per mostrare la casa alle persone incaricate delle indagini.
Alla fine entrò nello sgabuzzino, prese tutte le sue canne e l’attrezzatura per la pesca e andò a caricarle in macchina. Poi tornò a prendere i fucili e la pistola. Non aveva lasciato altro. Mise la pistola in tasca e tenendo i due fucili sotto il braccio chiuse la porta della fattoria. Poi si diresse verso la macchina.
Stava per aprire la portiera quando vide il cervo. Era fermo a una quindicina di metri, ai margini del bosco, vicino al punto in cui cominciava la strada. Non fece nessun tentativo di nascondersi. Rimase a fissarlo, poi abbassò la testa e diede alcune zampate al terreno per prepararsi alla carica.
Staunton balzò in macchina e avviò il motore. Immaginava quello che sarebbe accaduto, ma c’era un solo modo per scoprirlo. Innestò la marcia e si avviò. Doveva passare a qualche metro dal cervo, e poi si sarebbe potuto allontanare… se il cervo glielo avesse permesso.
Il cervo partì alla carica nel momento in cui la macchina si mosse. Staunton frenò di scatto, poi tentò, ma solo tentò, di ridurre il colpo innestando la marcia indietro. Il cervo fu un missile di duecento chili che colpì il muso della macchina in mezzo ai fari. Dopo di che l’animale cadde al suolo con il cranio fracassato. La vettura aveva fatto un salto indietro di cinquanta centimetri e Staunton si era lasciato cadere di traverso sul sedile per evitare di battere la testa.
Si raddrizzò lentamente. Tolse la chiavetta d’accensione senza neppure tentare di mettere in moto il motore. Sapeva che la macchina avrebbe dovuto essere portata in garage per far mettere, come minimo, un nuovo radiatore e una nuova ventola.
La carabina, essendo solo una calibro 22, gli sarebbe stata inutile. E anche con la pistola e con un fucile a pallini gli sarebbe stato impossibile proseguire a piedi anche fino alla più vicina fattoria. Nei campi che costeggiavano la strada c’erano mucche, e forse anche qualche toro, appisolati all’ombra delle piante. Nella foresta che costeggiava l’altro lato della strada, c’erano certamente altri cervi, e forse orsi, o linci. E c’era anche una possibilità peggiore. Cosa sarebbe accaduto se il suo nemico si fosse impadronito di un essere umano? Cosa sarebbe successo se la signora Kramer, o la signora Gross fossero uscite con un fucile in mano e avessero cominciato a sparargli? Rispondere al fuoco? Naturalmente non sarebbero state le «vere» signore Kramer o Gross… comunque lui non sarebbe mai stato capace di sparare a una donna. Ora sapeva, si sentiva quasi certo, almeno, che dietro tutto ciò c’era una sola «mente», ma era una mente che poteva mandargli contro una successione senza fine di animali o di esseri umani. Più di quanti ne avrebbe potuto affrontare.
Be’, si disse, se non altro la guerra fredda è finita. Il nemico, chiunque fosse, non si nascondeva più. Voleva tenerlo in quella fattoria, e poteva riuscirci. Caricò il fucile da caccia e la pistola e si riempì tutte le tasche di cartucce.
Strano, ma non aveva paura. Si sentiva calmo. Doveva esserlo, se voleva vincere quella guerra. Però la sua arma più potente avrebbe dovuto essere il cervello. Le armi fanno vincere soltanto le battaglie, mai le guerre.
Prima domanda: sarebbe stato più sicuro in macchina o in casa? Pensò che la casa era più comoda, specialmente per un assedio prolungato. Il nemico sembrava intenzionato a ucciderlo per impedirgli di andare in cerca di aiuto. Ma l’avrebbe ucciso anche se mostrava di accettare lo stato di assedio senza più tentare la fuga?
Non poteva esserne sicuro, ma gli sembrava di capire che il suo nemico volesse soltanto impedirgli di lasciare la fattoria. Infatti il cervo avrebbe potuto caricare molto prima… invece di aspettare che salisse in macchina.
Uscì cautamente dalla macchina e si guardò attorno. Nessun animale in vista. A meno che…
Guardò in alto. A una trentina di metri da terra un’anitra selvatica stava volando in cerchio sopra la casa… come se fosse un nibbio. Le anitre non volano in quel modo. Un attacco dal cielo? Non ci aveva pensato, ma un attacco dall’aria di un uccello di una certa grandezza sarebbe stato pericoloso come la carica di una mucca o di un cavallo imbizzarriti. S’incamminò verso la casa tenendo d’occhio l’uccello. Improvvisamente lo vide scendere in picchiata. Sollevò il fucile tenendosi pronto a sparare, ma non ce ne fu bisogno. L’uccello non si stava dirigendo contro di lui. Piombò sul terreno a una dozzina di metri da lui, sollevò una nuvola di polvere e rimase immobile.
Staunton entrò in casa e sprangò la porta. No, il nemico non stava cercando di ucciderlo. Voleva solo farlo rimanere in quella casa. La picchiata dell’anitra, se fosse stata diretta contro di lui, non lo avrebbe mancato di tanti metri. Il nemico aveva voluto mostrargli quanto sarebbe stato inutile ogni suo tentativo di fuga.
Appoggiò il fucile alla porta, poi tolse tutte le cartucce di tasca e le mise sul divano, a portata di mano. Infine sedette sul bracciolo della poltrona e guardò fuori dalla finestra.
Nessun animale si stava movendo attorno alla casa.
Nessun attacco in vista. Ed era sicuro che non ce ne sarebbero stati finché lui non avesse tentato di uscire. Ma perché?
Andò al frigorifero e prese una scatola di birra. Ma poi rinunciò a berla. La birra gli avrebbe ridotte le capacità di pensare. E doveva rimanere assolutamente lucido.
Di che natura era il suo nemico? Un essere umano? Un mutante con la capacità psichica di occupare la mente degli altri esseri? Un essere di un altro pianeta? La signorina Tally aveva fatto osservare che c’erano milioni di pianeti abitati. Perché su uno di quei mondi non doveva essersi sviluppata una vita intelligente? Perché la Terra doveva essere l’unica? Perché una vita intelligente non doveva aver sviluppato una forma di viaggio nello spazio? Perché doveva essere l’uomo il primo a fare un esperimento simile?
Sì, in definitiva gli sembrava la ipotesi più plausibile, e anche la più pericolosa.
Ma perché solo lui veniva attaccato? Forse perché aveva dei sospetti che potevano nuocere al suo nemico? Sì, doveva essere così.
Usando il gatto grigio come ospite, il nemico aveva avuto la possibilità di passare cinque giorni con lui. E aveva sentito il contenuto del rapporto e sapeva che aveva intenzione di spedirlo a degli amici importanti. E il nemico aveva avuto modo di studiare lui.
Sì, lui era un pericolo per il nemico, e il nemico lo sapeva. Perché allora non lo uccideva? Il cervo, se avesse caricato un attimo prima, ci sarebbe perfettamente riuscito. Il nemico lo voleva vivo, in quella casa, e non in un altro posto. Perché?
Fuori non stava succedendo nulla. Andò in cucina e mise l’acqua sul fuoco per prepararsi un caffè. Era necessaria una speciale circostanza perché il nemico potesse prendere possesso di un ospite?
All’improvviso gli venne alla mente una possibile risposta, e più ci pensò più gli parve logica. Tommy Hoffman era stato «occupato» mentre dormiva. La stessa cosa valeva per Siegfried Gross. Per Jim Kramer non poteva esserne sicuro, ma era molto probabile. E gli animali, quasi tutti, specialmente i cani e i gatti, si addormentano spesso. Sia di giorno che di notte.
Se il nemico lo teneva in quella casa aspettando che si addormentasse in modo da potersi impadronire di lui, perché non lo aveva fatto la notte prima? Non aveva dormito molto bene, ma in certi momenti si era pure addormentato! E trovò la risposta, almeno, «una» risposta. Per una ragione particolare, dopo la morte del gatto il nemico aveva dovuto impadronirsi di Jim Kramer, poi aveva aspettato di poter far apparire la morte del ragazzo come un incidente. E questa era un’altra prova, per lo meno una indicazione, che il nemico era un essere solo, e che poteva operare con un solo ospite alla volta. Se avesse potuto accertarsene…
Di colpo decise di fare una prova.
Prese il fucile, aprì la porta e con cautela uscì dalla casa. Guardò in alto.
Uccelli, grossi uccelli, stavano volteggiando nel cielo. Erano sei o sette. Uccelli. Si era forse sbagliato?
Li guardò attentamente e respirò con sollievo. Quelli erano uccelli, non «ospiti». Erano nibbi che giravano sopra la carcassa del cervo. Scendevano lentamente per cominciare il grosso festino. Uccelli normali. Mai un nibbio gli parve bello come in quel momento.
Dal bosco vide uscire un altro uccello. Sembrava un’altra anitra. La vide venire vicino, poi sollevarsi nel cielo e infine tuffarsi contro di lui. Avrebbe potuto sparare, ma non ce n’era bisogno. Fece un passo indietro e chiuse la porta. Un secondo dopo sentì un colpo secco contro il battente e poi il rumore dell’anitra che cadeva a terra.
Staunton sorrise. Facendo quel passo fuori dalla porta, aveva avuto la conferma a una delle sue deduzioni. Se il nemico avesse potuto prendere possesso di una creatura sveglia, aveva i nibbi a disposizione. Erano molto più vicini. E avrebbe potuto prenderli tutti se fosse stato in grado di entrare in più di un ospite alla volta. Invece aveva dovuto perdere tempo a cercare un uccello lontano. Un uccello addormentato, con tutta probabilità.
Per quanto pericoloso potesse essere, il nemico aveva delle limitazioni.
Quindi c’erano ancora delle speranze. La signorina Talley lo stava aspettando. Prima o poi avrebbe cominciato a preoccuparsi, e avrebbe telefonato allo sceriffo. Lo sceriffo sarebbe venuto a cercarlo. Se fosse stato ucciso altri uomini sarebbero venuti a cercarlo. Se anche questi uomini fossero scomparsi, allora sarebbe entrata in azione la polizia di Stato. E contro un gruppo di uomini armati, il nemico avrebbe potuto fare ben poco, mandando all’attacco un animale alla volta.
Sì, l’aiuto sarebbe arrivato. Però bisognava rimanere sveglio fino a quel momento.