5

Era stata una notte terribile per Gus Hoffman.

Aveva aspettato accanto al corpo del figlio mentre Jed Garner andava in cerca di aiuto. Frattanto, aveva rivestito Tommy con la giacca e le scarpe che Garner aveva portato sotto il braccio. Non aveva intenzione di mentire allo sceriffo, ma gli sembrava più decente che il figlio fosse in ordine.

Garner raggiunse immediatamente casa sua. Lungo la strada era passato davanti a tre fattorie, ma aveva preferito che Charlotte fosse la prima a sapere di Tommy e non voleva dirglielo per telefono. La ragazza accolse la notizia con più tranquillità di quanto il padre avesse osato sperare, ma era solo perché Charlotte se l’aspettava. Aveva sentito la verità fin da quando si era messa in cammino per tornare sola verso casa. In quel momento aveva capito che non avrebbe più rivisto Tommy.

Poi Garner telefonò a Wilcox, sede dello sceriffo della contea, a venti chilometri di distanza. Lo sceriffo venne con l’ambulanza per portare il corpo in città in modo da poterlo esaminare immediatamente. Con lui venne anche il magistrato inquirente. Garner li portò fino al punto in cui aveva lasciato Hoffman, e quattro infermieri trasportarono fuori dal bosco la barella su cui avevano adagiato Tommy. Buck rimase sul ciglio della strada finché l’ambulanza non si mise in moto, poi partì di corsa verso casa, attraverso i campi.

All’obitorio di Bartlesville il magistrato inquirente esaminò il corpo di Tommy mentre lo sceriffo parlava con Hoffman e Garner.

Terminato l’esame del medico legale, le cause della morte vennero attribuite a dissanguamento prodotto dalle due ferite ai polsi. Gli unici altri segni sul corpo erano dei graffi alle gambe e alcuni tagli sotto le piante dei piedi. Se lo sceriffo avesse voluto, si sarebbe proceduto all’autopsia. Ma il medico legale non vedeva l’utilità, dato che la causa del decesso era ovvia.

Anche lo sceriffo fu d’accordo, ma ritenne necessario svolgere una inchiesta. Sperava di scoprire qualcosa che chiarisse il mistero di quella improvvisa esplosione di pazzia in un ragazzo che non aveva mai mostrato sia pure i più piccoli sintomi di instabilità mentale. Poi c’era il mistero dell’arma del suicidio. Il coltello arrugginito. Hoffman affermava con sicurezza che non era di Tommy. E sia Hoffman che Garner giuravano di non avergli visto niente in mano quando fuggiva davanti a loro. Teneva le mani aperte lungo i fianchi. Doveva aver raccolto il coltello nel luogo stesso in cui lo aveva usato. Ma come aveva potuto trovarlo, al buio?

— Apriremo l’inchiesta domani pomeriggio alle due. Siete d’accordo? — disse lo sceriffo.

Hoffman e Garner fecero un cenno di conferma.

— Perché così presto, Hank? — domandò il medico legale.

— Potrebbe risultare qualcosa per cui diventi necessaria l’autopsia. E in questo caso, più presto la si farà, meglio sarà. Terremo L’inchiesta qui all’obitorio. Un posto vale l’altro, ed è inutile muoversi tutti fino a Wilcox. Gus, dopo l’inchiesta potrete prendere gli accordi per il funerale. Sempre che non si debba fare l’autopsia… cosa che non credo. Chi era il medico di Tommy? Il dottor Gruen?

— Sì — rispose Hoffman. — Ma Tommy non lo vedeva spesso. Godeva ottima salute…

— A ogni modo lo interrogheremo. Vorrei interrogare anche qualche suo insegnante… ma forse è meglio che vada prima a parlare con loro per sentire se hanno mai notato in Tommy qualcosa di strano. Mi sembra inutile farli venire se non sanno niente. — Si rivolse a Garner: — Jed, Charlotte dovrà testimoniare. Cercherò di non fare molte domande, ma si verrà a sapere che lei e Tommy… erano insieme, e la gente fa in fretta a sommare due più due. Quello che voglio sapere… Mentre interroghiamo vostra figlia potrei far sgombrare l’aula. Volete che faccia così?

Garner rimase per un po’ soprappensiero.

— No, sceriffo — rispose poi. — Penso di poter rispondere per mia figlia, e sono certo che Charlotte vorrà testimoniare davanti a tutti. Comunque la storia circolerebbe ugualmente, diventando peggiore di quello che è. E se il paese e i vicini segneranno a dito mia figlia, il diavolo se li porti tutti quanti! Venderò e me ne andrò. Ho sempre desiderato andare in California.

Rimasero d’accordo così. Gus Hoffman tornò a casa verso l’una. La casa più triste e più vuota che avesse mai conosciuto. Pensò che non sarebbe riuscito a dormire, allora si ricordò di avere una bottiglia di whisky medicinale nella credenza. Se ne versò un bicchiere. Di solito non beveva. Di tanto in tanto, assaggiava qualche goccia, in compagnia. Ma nel bicchiere che si versò quella notte c’era più whisky di quanto non ne avesse mai bevuto in un anno. Quella era la notte peggiore di tutta la sua vita, peggiore ancora della notte in cui era morta sua moglie. Quando era mancata, lui sapeva da diverse settimane che stava per morire. Ed era preparato. E gli rimaneva Tommy. Tommy aveva solo tre anni, allora.

Adesso era completamente solo. E sarebbe rimasto solo. Sapeva che non avrebbe ripreso moglie. Non perché fosse troppo vecchio… il prossimo anno avrebbe compiuto cinquant’anni… ma da quando era morta sua moglie non aveva mai pensato di poter vivere con un’altra donna, né l’aveva mai desiderato.

Tutte le sue speranze le aveva riposte in Tommy. Gus Hoffman non era molto espansivo, e non aveva mai fatto capire a Tommy quanto fosse importante, per lui, la decisione che il ragazzo aveva presa di rimanere alla fattoria anche dopo il matrimonio con Charlotte. Aveva sempre desiderato dei nipoti, e ora non avrebbe mai più potuto averne.

A meno che… Al terzo sorso gli venne improvvisamente una speranza. Si alzò dal tavolo della cucina e raggiunse il telefono. Ma tornò a sedere rendendosi conto che non poteva telefonare ai Garner nel cuore della notte per sapere una cosa simile. Non gli rimaneva che aspettare e vedere. E mantenere viva la speranza il più a lungo possibile.

Quella speranza poteva forse alleviare la sua pena e la sua solitudine. Poteva anche fare dei progetti. Se e quando i Garner fossero venuti a sapere che Charlotte aspettava un bambino, avrebbero venduto la fattoria per lasciare il paese. Jed Garner aveva detto che lo avrebbe fatto se si fosse accorto che Charlotte veniva segnata a dito da quelli del paese. Be’, anche lui avrebbe venduto la sua fattoria, e sarebbe andato con loro, in qualsiasi posto fossero andati, in California o sulla Luna. Poteva proporre a Garner di comperare una fattoria in società, e vivere insieme a loro… oppure, se Jed non avesse accettato di prendere una fattoria in società, lui ne avrebbe comperato una il più vicino possibile. Quella accanto magari, anche se avesse dovuto pagare qualcosa in più per convincere i proprietari a vendere. Grazie a Dio il denaro non era una preoccupazione. Aveva dodicimila dollari investiti in banca, e c’era sempre la fattoria, per la quale gli erano già state fatte ottime offerte.

Finì il suo whisky e si accorse che per la prima volta nella sua vita, certamente per la prima volta dopo i vent’anni, era ubriaco. Quando si alzò scoprì che per stare in piedi doveva appoggiarsi ai mobili. Non si preoccupò di salire al piano superiore o di svestirsi. Andò semplicemente a coricarsi sul divano del soggiorno. Cercò di togliersi le scarpe, e questa fu l’ultima cosa che ricordò.

Tutto questo era successo la sera precedente.

Adesso era mattino. Si era svegliato all’alba. Aveva fatto il caffè e si era sforzato di mangiare qualcosa. Poi era andato a mungere le sue bestie e aveva messo il bidone del latte davanti alla porta perché l’uomo del Consorzio lo potesse ritirare. Infine aveva sbrigato quei due o tre lavori che bisognava fare subito. Ma era ancora molto presto. C’era altro lavoro da fare, ce n’è sempre in una fattoria, ma erano tutte cose che potevano essere fatte al pomeriggio, dopo l’inchiesta. Ora aveva in mente una cosa molto più importante di qualsiasi altro lavoro.

Si accertò di avere ancora in tasca la calza di Tommy e il guinzaglio di Buck. Poi chiamò il cane e si diresse verso la fattoria dei Garner.

Garner stava zappando un piccolo orto dietro la casa. Come vide Hoffman arrivare, mise giù la zappa.

— Buongiorno — disse Hoffman. — Come sta Charlotte?

— Dorme ancora. Spero, almeno. Questa notte non è riuscita ad addormentarsi fino a tardi. Che cosa vuoi fare, Gus?

— Sono venuto a dirti che torno dove siamo stati ieri sera.

— Perché?

— Per dare un’occhiata alla luce del giorno. Ieri sera potrebbe esserci sfuggito qualcosa. Non so che cosa possa essere, ma se c’è da scoprire un indizio è meglio farlo adesso, prima dell’inchiesta.

— Hai ragione — disse Garner.

— Un’altra cosa. Porto Buck perché voglio andare nel punto in cui Tommy ci è comparso davanti. Forse riuscirò a fargli seguire la traccia da lì fino a dove era nascosto poco prima. Non scoprirò niente, ma voglio tentare.

— Vengo con te — disse Garner. — Non ho voglia di lavorare. Aspetta un momento, dico in casa che mi allontano.

Gus Hoffman aspettò. Poi i due uomini si avviarono.


La mente era furibonda con se stessa per aver dovuto uccidere il suo primo ospite-schiavo umano. Ripensando agli avvenimenti con più calma si era resa conto di aver fatto una còsa non necessaria. Doveva allontanare quei due estranei dalla grotta, certo, ma non c’era bisogno di uccidere il suo prigioniero. Dopo avere guidato quei due a una certa distanza, avrebbe potuto sdraiarsi a terra e far finta di dormire, o di essere svenuto. Una volta raggiunto e svegliato avrebbe potuto fingersi sorpreso di trovarsi in quel posto e dire che non ricordava nulla dal momento in cui si era messo a dormire accanto alla ragazza. Vero che un caso simile non sarebbe più stato definito come una semplice amnesia, dato che Tommy si era messo a scappare di fronte a suo padre, ma non sarebbe comunque finito in un manicomio come aveva pensato Tommy. Questo era il motivo per cui lo aveva fatto uccidere: chiuso tra quatttro mura, il ragazzo sarebbe stato uno schiavo privo di valore. Da Tommy la mente aveva appreso che le case di cura per malattie mentali avevano adottato elaborate precauzioni per evitare che i malati si uccidessero. E lei si sarebbe trovata per un certo tempo prigioniera nel cervello di Tommy.

Ma adesso si era resa conto che per un breve periodo d’insanità Tommy non sarebbe stato rinchiuso a vita in una casa di cura. Lo avrebbero solo tenuto sotto osservazione per un po’. Ma non per molto, se fosse sembrato perfettamente guarito. Naturalmente avrebbe parlato con il medico curante di Tommy, il quale gli avrebbe raccomandato di andare da uno specialista. Uno psichiatra. Il che sarebbe stata un’ottima cosa dato che, sia a Bartlesville come a Wilcox, non c’erano psichiatri (che Tommy conoscesse, almeno). Si sarebbe presentata la necessità di fare un viaggio a Green Bay, o forse anche a Milwaukee. Entrambe queste città dovevano avere biblioteche pubbliche di una certa importanza, che sarebbero state molto utili alla mente.

Sì, aveva fatto cilecca. Così si sarebbe espressa la mente di Tommy. A ogni modo non era del tutto da biasimare. È molto difficile capire immediatamente la mentalità di un mondo del tutto sconosciuto e di una cultura così diversa. In particolar modo considerando che fino a quel momento i concetti su quel mondo le erano venuti da un cervello mediocre, che non aveva altro interesse oltre quello di dirigere una fattoria. Tommy sarebbe stato solo un perfetto contadino.

L’unico svantaggio presentato dalla grotta in cui era nascosta, stava nella quasi assoluta impossibilità di penetrare in un altro essere umano. Gli uomini venivano nel bosco per cacciare. Ma le probabilità che uno di loro si mettesse a dormire nelle vicinanze, nel raggio dei quaranta metri di percezione, erano molto remote.

Per raggiungere un ospite-schiavo umano avrebbe dovuto servirsi di uno schiavo animale che la trasportasse vicino a un luogo in cui dormiva un essere umano. Per quanto nessun animale fosse entrato fino a quel momento nel suo raggio di percezione, aveva saputo da Tommy che nel bosco ne vivevano parecchi. Un cervo avrebbe potuto trasportare in bocca il suo guscio con estrema facilità. Poi ci sarebbe stata la possibilità di un trasporto aereo. Il falco, che poteva sollevare animali molto più pesanti di lei, sarebbe stato l’ideale. Anche un gufo sarebbe forse potuto servire. Tommy sapeva che i gufi si lanciano sui topi e che li sollevano nell’aria, ma non aveva un’idea esatta del peso che potevano portare in volo.

Tutto sommato, pensò, un uccello sarebbe stato l’animale più adatto. Un cervo o un orso avrebbe potuto incontrare qualche difficoltà nel superare i recinti; e se vicino alle fattorie ci fossero stati dei cani, questi avrebbero cominciato ad abbaiare svegliando tutti. Un cane però non si sarebbe accorto di un falco in volo nella notte per depositare qualcosa sul tetto della casa. Poi, non appena il falco si fosse allontanato per andare ad uccidersi o per farsi uccidere, la mente avrebbe potuto scegliere uno schiavo tra tutti coloro che dormivano nella casa. La prima azione da far compiere al suo nuovo prigioniero, sarebbe stata quella di andare a prendere il suo «io» corporeo dal tetto, per nasconderlo in un posto più sicuro.

Ma non c’era fretta. Questa volta doveva studiare attentamente ogni dettaglio. Non voleva più commettere errori. Oltre tutto, nessun gufo e nessun falco era ancora entrato nel suo raggio di percezione. E neppure orsi o cervi. Vicino a lei erano passati solo topi, conigli e altre piccole creature.

Ma studiò attentamente, uno a uno, anche quegli animali. Non era detto che una di quelle piccole bestie non fosse uno schiavo temporaneo migliore di un animale più grosso.

Una volta studiato attentamente un animale, dentro e fuori, avrebbe potuto procurarsi un prigioniero di quella specie, sempre che dormisse, fino a una distanza di circa dieci chilometri. Dopo aver studiato un coniglio, per esempio, non aveva da far altro che concentrarsi sul concetto di coniglio, e se uno di quegli animali dormiva nel raggio di dieci chilometri, il più vicino, nel caso ce ne fossero stati diversi, sarebbe diventato suo ospite-schiavo. Se un falco fosse passato entro il suo raggio percettivo, non aveva importanza a quale velocità, la mente sarebbe stata in grado di procurarsi uno schiavo falco in qualsiasi momento della notte. E prima o poi falchi, gufi, cervi e orsi sarebbero passati entro il suo raggio, e lei si sarebbe procurata una vasta scelta di schiavi potenziali.

Peccato che non fosse così anche per le creature intelligenti. Queste opponevano una resistenza inconscia, e tra la mente e la creatura si svolgeva uno scontro mentale che poteva durare parecchi secondi. Per vincere doveva usare tutta la sua forza e avere la creatura, una creatura singola, entro i limiti del suo senso di percezione. E, logicamente, la creatura doveva essere addormentata.

Questo era stato sperimentato su quasi tutti i pianeti abitati da esseri intelligenti che la sua specie aveva esplorato o occupato. Tranne rare eccezioni. Durante la notte, la mente aveva fatto alcuni esperimenti per accertarsi che la Terra non fosse uno di questi pianeti.

Aveva provato prima con un topo, concentrando il suo pensiero su uno di questi animali sulla scorta del ricordo di quello che era stato il suo primo schiavo terrestre. Le era occorsa poi un’ora per uccidere l’animale e poter tornare nel suo guscio. Aveva tentato di liberarsi costringendo il topo a buttarsi contro un albero, poi contro un sasso. Ma l’animale era troppo piccolo, e anche il colpo contro il sasso era servito solo a stordirlo momentaneamente. Scoprì poi che non poteva arrampicarsi sugli alberi in modo da raggiungere un’altezza sufficiente, da cui lanciarsi con la certezza di morire. L’aveva fatto correre allora in una zona illuminata dalla luna sperando che il movimento attirasse l’attenzione di qualche gufo o altro predatore notturno. Ma sembrava che non ci fossero uccelli di quella specie lì attorno. Alla fine fece ciò che avrebbe dovuto fare immediatamente. Esaminò i pensieri e i ricordi del topo. E scoprì che c’era una pozza di acqua nelle vicinanze. Allora il topo era partito immediatamente in quella direzione e si era tuffato, annegando.

Nuovamente in se stessa, la mente volle fare un secondo esperimento. Sapeva che dovevano esserci degli uomini addormentati entro un raggio di pochi chilometri, appena oltre i limiti del bosco. A dieci chilometri poi c’era Bartlesville, paese in cui centinaia di uomini stavano dormendo. Usando il ricordo di Tommy si concentrò su un uomo. Un qualsiasi uomo addormentato. Ma non accadde nulla.

Fece un altro esperimento. Con alcune specie intelligenti èra possibile prendere possesso a distanza di un essere, concentrandosi, anziché sulla specie, su di un singolo individuo. Uno che fosse già stato studiato e di cui esistesse un ricordo perfetto. Dopo aver studiato Tommy, prima di entrare nel suo cervello, la mente si era soffermata ad osservare Charlotte, dentro e fuori. Tornò a concentrarsi. Ma anche questa volta non accadde nulla.

Lei non poteva saperlo, ma in quel momento Charlotte non era ancora addormentata. A ogni modo ciò non aveva importanza perché l’esperimento non avrebbe funzionato anche se la ragazza fosse stata immersa nel sonno. La razza umana non faceva eccezione alla regola generale che impediva di prendere possesso a distanza delle creature intelligenti.

Dopo il secondo esperimento aveva riposato. Non dormito, perché la sua specie non dormiva mai. Riposavano cessando di pensare attivamente. A ogni modo avrebbe dovuto aspettare per poter prendere in esame potenziali ostaggi più utili dei conigli, topi e altri piccoli animali. Ma quella notte nessuna creatura più grande passò nelle vicinanze.

Ma ora udì… sentì le vibrazioni di qualcosa di grande che veniva verso di lei. Erano due… no tre. Due bipedi, e un quadrupede molto più grande di un coniglio. Concentrò la sua percezione da quella parte e dopo alcuni minuti le creature entrarono nel suo raggio. Era lo stesso trio che la sera precedente era venuto in cerca di Tommy: il padre di Tommy, il padre di Charlotte e Buck, il cane che stava tirando il guinzaglio trascinandoli verso la grotta. Stavano seguendo la strada percorsa da Tommy per vedere dove era stato nascosto prima di correre verso di loro.

Ma perché? Aveva pensato alla possibilità che facessero qualcosa del genere, ma poi si era convinta, dato che Tommy era morto, che non esisteva una ragione per sapere dove fosse prima. Ora poi, morto Tommy, la mente era indifesa. Pensò di cercare una qualunque bestia addormentata, e farla correre verso il cane in modo da distrarlo. Ma subito capì che non sarebbe servito a niente. Il cane era al guinzaglio, e se avesse cercato di correre dietro a qualche animale sarebbe stato trattenuto e rimesso sulla pista.

Se l’avessero trovata, per lei non ci sarebbe stato più niente da fare. Ma non si spaventò, perché le possibilità che la trovassero erano minime. Non avevano nessuna ragione per mettersi a scavare. Naturalmente avrebbero trovato la grotta, e si sarebbero anche meravigliati che Tommy fosse venuto in quel luogo… ma non avrebbero scavato, di questo era sicura. Buck girò attorno al cespuglio che nascondeva l’ingresso della grotta. Si fermò un attimo ad annusare nel punto in cui Tommy era rimasto seduto, poi entrò nella grotta. Hoffman lo trattenne.

— Una grotta! — esclamò Garner. — Avremmo fatto meglio à portarci dietro un paio di fucili e di lampade. La grandezza di quel buco fa venire in mente la tana di un orso.

— Se Tommy è stato qui ieri sera — ribatté Hoffman — lì dentro non ci devono essere orsi. È più facile che un orso sia nella sua tana alla sera che di giorno.

La mente capì, perché ora poteva comprendere il linguaggio parlato. Se non avesse già avuto un ospite-schiavo umano, tutte quelle parole sarebbero state soltanto suoni senza senso… come tutto ciò che Tommy e la ragazza si erano detti sul sentiero e nella radura prima di addormentarsi.

— Io entro — disse Hoffman.

— Aspetta un momento, Gus. Vengo anch’io. Ma è meglio essere prudenti. Libera Buck dal guinzaglio e mandalo avanti. Se c’è qualcosa di pericoloso lo vedremo scappare. Noi saremmo chinati sulle mani e sulle ginocchia…

— Hai ragione. — Hoffman sganciò il collare e Buck si lanciò nella grotta. A metà cunicolo, nel punto in cui Tommy era arrivato, finiva la pista, e Buck si accucciò. I due uomini rimasero per un po’ in ascolto.

— Credo che si possa entrare — disse Hoffman alla fine.

Si chinò sulle ginocchia e strisciò all’interno. Garner lo seguì.

Quando raggiunsero il centro della grotta, nel punto in cui Buck li stava aspettando, si accorsero che il soffitto permetteva loro di alzarsi. Era buio, ma riuscivano a vedere abbastanza bene.

— Be’, eccoci arrivati — disse Garner. — Dato che Buck si è fermato, questo deve essere il punto in cui è arrivato Tommy. Non c’è niente. È solo un bel posto fresco. Mettiamoci a sedere, e riposiamo prima di tornare.

Si accomodarono a terra. La mente cominciò a studiare il cane. Era il potenziale animale-schiavo più grande che le fosse capitato.

Da quel momento Buck sarebbe stato suo se le fosse mai capitato di aver bisogno di lui. O di qualsiasi altro cane sorpreso nel sonno.

E Buck, stanco per la corsa lungo la pista, si addormentò. La mente considerò la possibilità di farlo schiavo, ma aspettò. Fosse entrata in Buck, avrebbe avuto solo i sensi del cane, non i suoi.

— Mi sto chiedendo perché Tommy sia venuto qui — disse Hoffman.

— Chi potrà mai saperlo, Gus! Era fuori di senno, ecco tutto. Probabilmente aveva scoperto questa grotta da ragazzino, se n’è improvvisamente ricordato, ed è venuto a nascondersi per sfuggire a chissà cosa. Come si fa a sapere cosa passa nella mente di una persona quando ha perso la ragione?

— Per nascondesi… Può darsi. Ma se fosse venuto in questa grotta per nascondere qualcosa? O per dissotterrare qualcosa nascosta in precedenza? Non chiedermi cosa ma il fondo della grotta è sabbioso, e si può scavare facilmente con le mani.

— Ma cosa avrebbe potuto nascondere? O dissotterrare?

— Non so. Ma cerchiamo.

Lo scontro fu più percettibile di quello avuto con il cervello del topo, ma la mente si trovò dentro Buck quasi nello stesso istante. Il cane sollevò la testa.

Lei, pensò la mente con il cervello di Buck, non sarebbe riuscita a uccidere tutti e due gli uomini. Però, con un attacco improvviso, sarebbe forse riuscita a morderli prima che potessero uccidere o fermare il cane. Questo, con tutta probabilità, avrebbe fatto loro dimenticare di fare ricerche. Con tutta probabilità sarebbero corsi in paese dal dottore. Non perché il morso in se stesso potesse essere pericoloso, ma perché avrebbero temuto quella malattia che si chiamava rabbia, e che anche Tommy e la ragazza avevano nominata.

— Non adesso, Gus — disse Garner. — Senti, non credo che ci sia qualcosa da trovare. Però possiamo tornare domani. Prima di tutto, è troppo buio per lavorare senza lanterna. Non ti pare? E ci vorrebbe anche una pala, e un rastrello. In secondo luogo ci manca il tempo. Partendo subito, saremo a casa poco prima di pranzo. E ci dobbiamo ancora pulire e cambiare per l’inchiesta.

— Penso che tu abbia ragione, Jed. Meglio andare. Se non altro abbiamo saputo una cosa che possiamo dire all’inchiesta. Sappiamo dove era Tommy e dove è rimasto fino al momento in cui ha visto la luce delle nostre lanterne.

Buck tornò ad abbassare la testa. Quando i due uomini uscirono strisciando dalla grotta lui li seguì, e si mise a camminare accanto a Hoffman, proprio come avrebbe fatto il vero Buck, fino a che ebbero raggiunta la strada.

Poi si lanciò di corsa nella direzione opposta a quella presa dai due uomini. Ma non si buttò subito tra le piante. Non voleva far loro sospettare neppure lontanamente che stava tornando alla grotta. Hoffman lo chiamò, ma lui non fece caso alla voce del padrone e continuò a correre.

Quando fu fuori dalla loro vista rallentò l’andatura e tagliò per il bosco. Non c’era sentiero in quel punto, ma senza affidarsi al senso di orientamento di Buck e alla sua conoscenza della zona, la mente guidò il cane direttamente verso la grotta.

Una volta nella grotta Buck scavò i venti centimetri di sabbia, sollevò con i denti il guscio della mente, lo portò fuori dall’antro e lo depose delicatamente a terra. Poi tornò nella grotta e ricoprì il buco che aveva scavato. Quando lo ebbe riempito, si rotolò diverse volte sulla sabbia in modo da far sparire qualsiasi segno dello scavo. Poi tornò a uscire e raccolse la mente. Non era più pesante di una pernice, e lui, per trasportarla, usava la stessa delicatezza con cui avrebbe stretto in bocca un uccello ferito.

Si spinse nel folto del bosco, evitando i sentieri e le piste usate dai cacciatori, e si mise a cercare il posto più selvaggio e solitario. In un grosso tronco d’albero circondato da cespugli scoprì un piccolo buco tra le radici. Poteva servire, per un po’ almeno. Depose il guscio a terra, e con una zampa lo spinse nel buco in modo da farlo completamente sparire alla vista.

Poi si allontanò proseguendo nella stessa direzione. Se qualcuno con un altro cane avesse seguito la pista di Buck, sarebbe passato accanto a quell’albero senza fermarsi. Dopo alcune centinaia di metri Buck si accucciò a terra, e la mente fece il punto della situazione.

Era al sicuro, e se i due uomini fossero tornati nella grotta a scavare non l’avrebbero trovata. Le conveniva tenersi Buck come schiavo? Considerò attentamente questa possibilità, ma alla fine decise che non ne avrebbe avuto nessun vantaggio. Buck le era servito per uno scopo ma rimanendo nell’animale sarebbe rimasta limitata ai sensi dell’animale. Non avrebbe potuto studiare altri potenziali schiavi e non sarebbe stata in grado di entrare in loro.

Buck s’avviò, facendo un lungo giro, verso la strada.

Aspettò ai margini finché vide arrivare una macchina. Poi, all’ultimo momento, quando ormai il guidatore non avrebbe fatto più a tempo a frenare, si lanciò sotto le ruote.

Di nuovo in se stessa, un minuto dopo (tanto era occorso a Buck per morire), la mente pensò a tutto ciò che aveva appena fatto e si convinse che questa volta non aveva commesso errori. Tranne uno, che d’altra parte le sarebbe stato impossibile evitare. Avrebbe dovuto far lanciare Buck sotto un’altra macchina. Al volante di quella che lo aveva investito c’era Ralph S. Staunton, laureato in filosofia, laureato in scienze, e professore di fisica al Politecnico del Massachusetts.

Il dottor Staunton non aveva un aspetto imponente. Era piccolo e magro. Aveva cinquant’anni e i capelli erano tutti grigi. Ma possedeva una forza eccezionale, e una agilità di movimenti che lo facevano sembrare molto più giovane.

La prima cosa che si notava in lui erano gli occhi: estremamente vivaci. Quando era soddisfatto, cosa che gli capitava abbastanza spesso, i suoi occhi splendevano come gemme.

Quel giorno era in vacanza, indossava un abito comodo e quasi trasandato. E aveva bisogno di farsi la barba. Nessuno, vedendolo, avrebbe pensato di trovarsi di fronte ad uno dei più importanti scienziati di tutto il paese.

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