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I primi ad arrivare furono i gabbiani. Planarono a uno a uno, attirati dalla vista e dall’odore. Il Cacciatore si ritrasse nella parte più bassa del corpo e non fece niente per mandarli via, nemmeno quando uno beccò gli occhi del grande pesce privandolo del mezzo di vedere all’esterno. Se fossero arrivate altre forme di vita se ne sarebbe accorto ugualmente. Se non ne arrivavano, avere a tiro i gabbiani diventava utile.

Gli uccelli grigiastri rimasero indisturbati sulla carcassa sino alle prime ore del pomeriggio, per quanto la durezza della pelle del pescecane resistesse in diversi punti ai loro becchi. Ma erano uccelli tenaci, e quando volarono via di colpo il Cacciatore capì che lì vicino doveva succedere qualcosa di interessante. Fece uscire dalla carcassa abbastanza tessuto per formare un occhio e guardò attorno con prudenza. Vide subito quello che aveva causato la fuga dei gabbiani. Dalla zona alberata si avvicinavano diverse creature assai più grandi degli uccelli. Erano bipedi. Più vicino a lui correva invece un piccolo quadrupede che lanciava nell’aria secchi suoni acuti. Il Cacciatore stimò il peso del quadrupede in circa diciotto chili, e quello del bipede più grande in sessanta chili. I bipedi erano quattro, e correvano anche loro ma non così in fretta come il quadrupede. L’osservatore nascosto li esaminò attentamente, sempre più soddisfatto. Potevano muoversi abbastanza velocemente, le loro teste erano di dimensioni tali da assicurare una buona intelligenza (ammesso che quella razza avesse il cervello nella testa), la loro pelle era quasi completamente senza protezione, cosa che permetteva un facile accesso attraverso i pori. Quando i bipedi si fermarono accanto al corpo del pesce martello, il Cacciatore ebbe un’altra prova della loro intelligenza: le creature si scambiarono suoni articolati che avevano tutte le caratteristiche di un linguaggio. Il Cacciatore era, a dir poco, felice. Non aveva affatto sperato di imbattersi così presto in un ospite ideale.

Restavano ancora da risolvere diversi problemi. Il Cacciatore era pronto a scommettere che quegli esseri non praticavano la simbiosi, e certamente non avevano mai visto uno della sua specie. Perciò, se lo vedevano accostarsi a loro si sarebbero immediatamente allontanati per evitare ogni contatto. E lui non voleva penetrare di forza in una di quelle creature, per non creare precedenti che avrebbero compromesso la futura collaborazione del suo ospite. Bisognava agire con prudenza e diplomazia.

I quattro bipedi restarono accanto al corpo dello squalo per parecchi minuti a parlare, poi si ritirarono di qualche metro sulla spiaggia. Il quadrupede si fermò più a lungo, ma non notò lo strano occhio che seguiva tutti i suoi movimenti. Poi qualcuno lo chiamò, e lui corse via in direzione del richiamo.

I bipedi nuotavano con facilità. Entrarono tutti nell’acqua e si misero a nuotare agevolmente, con grande stupore dello straniero. Il Cacciatore lo considerò un altro punto favorevole, unito al particolare che, nonostante la mancanza di branchie, potevano restare a lungo sott’acqua. Questa considerazione lo portò a pensare che forse avrebbe potuto avvicinarli più facilmente nel mare. Era evidente, dal loro comportamento, che le creature non vedevano molto bene sott’acqua, ammesso che qualcosa vedessero, perché a intervalli alquanto frequenti sollevavano la testa sopra la superficie per orientarsi. Il quadrupede poi aveva ancora meno probabilità di vederlo avvicinarsi, perché teneva costantemente la testa sopra il pelo dell’acqua.

L’azione seguì subito il pensiero. Uno pseudopodo partì all’avanguardia diretto verso l’acqua, due o tre centimetri sotto la sabbia. L’occhio venne mantenuto in funzione finché la maggior parte del corpo gelatinoso ebbe percorso i quattro metri di spiaggia, poi il Cacciatore ne formò un altro, proprio sul limite dell’acqua, e raccolse tutto il corpo dietro l’occhio. Trascinarsi fra i granelli di sabbia era stato alquanto seccante, e c’erano voluti parecchi minuti per percorrere pochi metri.

L’acqua era limpida e ci si poteva vedere bene attraverso. Il Cacciatore si modellò nella forma di un pesce e nuotò verso i ragazzi il più in fretta possibile, sperando che il suo contatto venisse scambiato per uno spruzzo d’acqua. Ma loro erano molto più svelti di lui, e il Cacciatore non riuscì ad avvicinare nessuno. Riflettendo su questa difficoltà il Cacciatore cercò un altro mezzo d’approccio, e notò allora una medusa che si lasciava dondolare nell’acqua secondo un’abitudine della sua razza. A quanto pareva, i bipedi non consideravano pericolose le meduse perché lì attorno ce n’erano altre e i ragazzi non se ne curavano.

Immediatamente il Cacciatore mutò la sua forma copiando quella delle meduse. Era di un colore leggermente più chiaro, ma poiché anche quelle vere non erano tutte uguali nella tinta, non se ne preoccupò e, dondolando nell’acqua, si accostò lentamente alla zona in cui giocavano i ragazzi. Pensò di aver avuto l’idea giusta perché arrivò accanto a uno dei bipedi senza provocare allarme. Era abbastanza vicino da sperare di entrare in contatto, e per la verità ci riuscì, ma si accorse che il tegumento colorato che ricopriva una parte del corpo dei ragazzi era un tessuto artificiale. Poi non poté far altro perché il ragazzo scivolò su un fianco e si allontanò. Ma siccome non aveva dato segno di paura, il Cacciatore ritentò una seconda volta. Stesso risultato. Tentò di nuovo a turno con gli altri bipedi, e ottenne solo il medesimo seccante mezzo-successo. Allora, perplesso, si portò a una certa distanza, e si mise a osservare per cercar di capire i motivi di quel fallimento. Gli bastarono pochi minuti per rendersi conto che per quanto quelle creature non avessero paura delle meduse evitavano però con cura di venirne a contatto. Aveva scelto la mimetizzazione sbagliata.

Robert Kinnaird evitò istintivamente la medusa. Aveva imparato a nuotare all’età di cinque anni, e nei nove seguenti aveva avuto modo di sperimentare di persona i dolorosi effetti del contatto con i tentacoli delle meduse, ragione per cui preferiva non venirne toccato. Pochi minuti dopo, pressappoco nel momento in cui il Cacciatore capì di aver scelto la forma sbagliata, i ragazzi, stanchi di nuotare, tornarono sulla spiaggia. Lui li tenne d’occhio mentre correvano su e giù, impegnati in un gioco incomprensibile. Che quei bipedi non stessero mai fermi? Come diavolo poteva entrare in contatto con creature così diabolicamente attive? Rimase a guardare.

Finalmente i ragazzi si misero tranquilli sulla spiaggia. Uno di loro si sedette con la faccia rivolta all’oceano. «Bob» disse, «a che ora viene tua madre con la merenda?»

Robert Kinnaird si distese supino al sole prima di rispondere. «La mamma ha detto alle quattro o alle quattro e mezzo. Ma possibile che tu pensi sempre e soltanto al mangiare?»

Il ragazzo con i capelli rossi brontolò una risposta confusa e si sdraiò sulla schiena, gli occhi fissi sul cielo tornato del tutto sereno.

Un altro disse: «Peccato che tu debba partire domani. Io non sono più andato sul continente da quando i miei si sono trasferiti qui.»

«Non ci si sta male» rispose Bob. «A scuola ci sono dei tipi simpatici, e d’inverno si può andare a sciare, cosa che qui è impossibile. Ma tornerò l’estate prossima.»

La conversazione languì, e i ragazzi si crogiolarono al sole in attesa che la signora Kinnaird arrivasse con la merenda. Bob era il più vicino all’acqua. Gli altri si erano messi più vicino alle palme, per potersi trasferire rapidamente all’ombra, volendo. Il ragazzo era già molto abbronzato ma voleva approfittare il più possibile del sole, dato che poi, per dieci mesi, non avrebbe più avuto modo di godersi giornate così. Faceva caldo, e nell’ultima mezz’ora si era stancato parecchio. E non c’era nessuna ragione ai mondo perché dovesse stare sveglio.

Il Cacciatore si mosse rapido. Il più vicino dei ragazzi era a circa dieci metri dall’acqua, e per coprire buona parte almeno della strada lo straniero conservò la sfortunata forma di medusa, che questa volta gli servì per arrivare sino a tre metri dal ragazzo senza suscitare reazioni. Del resto c’erano altre meduse sparse indisturbate sulla sabbia.

Se qualcuno però avesse tenuto d’occhio quella particolare vicino a Bob avrebbe notato una sensibile diminuzione delle sue dimensioni, diminuzione che fino a un certo punto sarebbe anche potuta sembrare il naturale effetto del sole, ma avrebbe certo cominciato a stupirsi nel vedere che continuava a rimpicciolire, e che alla fine scompariva del tutto lasciando solo sulla sabbia una notevole depressione che andava dalla riva al punto in cui si era fermata.

Il Cacciatore tenne in funzione l’occhio durante la maggior parte del suo sondaggio sotto la sabbia, e finalmente incontrò qualcosa che individuò subito come carne viva. Essendo sdraiato sulla pancia, i piedi di Robert affondavano nella sabbia, e questo permise al Cacciatore di agire senza emergere alla superficie. Fu in quel momento che il resto della medusa scomparve dalla spiaggia.

La penetrazione avvenne lentamente e cautamente, su un fronte di parecchi centimetri quadrati. Attraverso migliaia e migliaia di pori, le ultramicroscopiche cellule del Cacciatore fluirono nel corpo dell’ospite prescelto, infiltrandosi fra le cellule della pelle.

Il ragazzo dormiva sodo, ma il Cacciatore lavorò ugualmente il più in fretta possibile perché sarebbe stato un disastro se il piede si fosse mosso mentre lui era penetrato solo in parte. Con tutta la rapidità compatibile con la prudenza, l’alieno fluì delicatamente lungo le ossa e i tendini del piede e della caviglia, su lungo i muscoli del polpaccio, rasente la parete esterna dell’arteria femorale, in mezzo ai sottili canali dell’osso dell’anca, attorno alle giunture e attraverso altri vasi sanguigni. Filtrò nel peritoneo, inavvertito e senza causare danni, e finalmente tutta la massa della forma di vita aliena si raggruppò nella cavità addominale senza aver disturbato il sonno del ragazzo. E lì, il Cacciatore riposò.

Questa volta, essendo arrivato dall’aria e non dall’acqua, godeva di una riserva di ossigeno più abbondante. Sarebbe passato un bel po’ di tempo prima che dovesse attingere al suo ospite per avere altro ossigeno. Sperava di poter restare dov’era per un giorno intero, in modo da studiare con precisione tutti i processi fisiologici di quell’ospite, sicuramente diverso da quanti ne aveva conosciuti prima. Per il momento la creatura dormiva, ma non avrebbe continuato a lungo. Quegli esseri erano estremamente attivi.

Bob si svegliò come gli altri ragazzi sentendo la voce di sua madre. La donna aveva portato tutto in silenzio: la tovaglia, le bibite, i panini, la frutta, i dolci. Poi chiamò: «Forza ragazzi! Venite?» Per quanto invitata cordialmente a restare a far merenda con loro, la signora Kinnaird non si fermò e scomparve dietro le palme verso la strada. «Cerca di essere a casa prima del tramonto!» gridò a Bob, voltandosi un attimo. «Devi ancora preparare le tue valigie, e domattina dovrai alzarti presto.» Bob, la bocca piena, fece cenno di sì, e riportò subito l’attenzione sulla tovaglia imbandita.

Dopo aver mangiato, i ragazzi saltarono, corsero, chiacchierarono e tornarono in acqua. E alla fine, rendendosi conto che presto sarebbe stato buio, dato che ai tropici la notte segue immediatamente la scomparsa dell’ultimo raggio di sole, s’affrettarono a raccogliere la tovaglia e s’avviarono verso casa.

Salutati a uno a uno i compagni davanti alle rispettive abitazioni, Bob proseguì solo verso casa sua. Provava, come sempre in quelle occasioni, dispiacere e piacere insieme. Ma quando arrivò a casa il piacere all’idea di rivedere presto i compagni di scuola aveva superato il dispiacere di doversi separare dagli amici delle vacanze, e lui fischiettava allegramente.

Le valigie vennero preparate sotto la diplomatica supervisione della madre, e alle nove Bob era già a letto. Lui personalmente pensava che fosse un po’ presto per andare a dormire, ma non si era ribellato perché aveva imparato da piccolo che in certe circostanze è più conveniente obbedire.

Come aveva sperato, il Cacciatore riuscì a restare in riposo fino a parecchio tempo dopo che Bob si fu addormentato, ma era chiaro che non avrebbe resistito un giorno intero. Anche restando inattivo, il fatto stesso di vivere consumava energie, e quindi ossigeno. Alla fine si rese conto che la sua riserva si stava esaurendo, e capì di doversi rifornire prima che la situazione diventasse disperata.

Sapeva che l’ospite dormiva, ma non per questo fu meno cauto. Non volendo disturbare in nessun modo il cuore che sentiva battere appena sopra il diaframma, rimase dov’era; riuscì però a trovare senza difficoltà, lì nell’addome, una grossa arteria facile da penetrare quanto ogni altra parte dell’organismo umano esplorato fino a quel momento. Con soddisfazione scoprì di poter assorbire dai globuli rossi ossigeno sufficiente alle sue necessità senza compromettere l’afflusso nell’arteria. Controllò scrupolosamente il particolare. Il suo comportamento era adesso del tutto diverso da quello che aveva tenuto mentre era nel corpo del pescecane, perché adesso lui considerava il ragazzo quale compagno permanente per il periodo in cui sarebbe rimasto sulla Terra, e…

Non fare niente che possa danneggiare il tuo ospite.


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