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In fondo al vialetto, a Bob venne in mente qualcosa, e il ragazzo si fermò per fare una domanda al Cacciatore.

«Se riusciamo a rendere impossibile per il tuo amico continuare a restare nel corpo di mio padre, come farà a uscirne? Voglio sapere se papà ne avrà un danno.»

Se trovassimo una droga efficace, lui se ne uscirebbe e basta. Se creiamo una situazione che gli riesce sgradita, provocherebbe una specie di paralisi, come ti ho detto.

«Hai anche detto però che non sei sicuro di quali potrebbero essere gli effetti postumi di questa paralisi.»

Per quanto riguarda la tua razza è così, infatti, rispose il Cacciatore, e ti ho spiegato il perché.

«Lo so. Quindi voglio che tu provi prima su di me. Ci inoltreremo per un pezzo nella giungla così non ci vedrà nessuno.»

Ti ho già spiegato i motivi per cui non lo voglio fare, disse il Cacciatore.

«Se tu non vuoi rischiare su di me, io non voglio rischiare su mio padre. Mi è venuta un’idea che potrebbe funzionare, ma non ne farò niente se prima non sono sicuro su questo punto. Avanti, comincia.» Parlando, il ragazzo si era inoltrato nel folto degli alberi, e adesso sedette accanto a un cespuglio.

Pareva proprio che per il Cacciatore non ci fosse scelta, nonostante la sua riluttanza a fare qualcosa che potesse nuocere al ragazzo. Che Bob non desse corso al suo progetto come aveva minacciato non era poi molto grave, ma poteva anche rifiutare di collaborare ai progetti del Cacciatore, e questo avrebbe compromesso tutto. Per farsi coraggio l’extraterrestre si disse che in ultima analisi le creature di quel pianeta non erano fondamentalmente diverse dai suoi precedenti ospiti. E cominciò.

Bob sperimentò all’inizio una totale perdita di sensibilità al collo, poi si accorse che braccia e gambe non gli appartenevano più. La spiacevole sensazione durò qualche minuto, per quanto alla vittima l’esperimento sembrasse molto più lungo poi, a poco a poco la sensibilità tornò senza nemmeno la sensazione di punture d’ago che Bob si era aspettato.

«Credi che avrò delle conseguenze?» chiese, alzandosi in piedi.

Pare di no. Hai impiegato più tempo a perdere la sensibilità e l’hai recuperata più in fretta del mio ospite precedente. Non so dire però se questa sia una caratteristica tua o una particolarità della tua razza. Soddisfatto?

«Sì. Se a mio padre capiterà solo questo, non ho obiezioni da fare. Ma continuo a temere che il tuo amico possa ucciderlo.»

Potrebbe farlo se volesse, ma dovrebbe impiegare molto più tempo e faticare il doppio, cose entrambe negative dal suo punto di vista. Credo quindi che tu non ti debba preoccupare.

«D’accordo, allora.» Bob tornò sulla strada, rimontò sulla bicicletta e pedalò verso la scuola, immerso nei suoi pensieri. L’altro extraterrestre, essendo intelligente, non si sarebbe dunque mosso dal corpo di suo padre poiché quello era un rifugio sicuro. Ma cos’avrebbe fatto quando gli fosse venuta a mancare questa sicurezza? La risposta pareva abbastanza logica. La difficoltà era creare una situazione pericolosa per l’extraterrestre ma non per il signor Kinnaird, e per il momento il problema era sotto studio.

C’era poi l’altro problema, del quale Bob aveva accuratamente evitato di parlare con il Cacciatore: il ragazzo non sapeva se l’alieno era veramente quello che dichiarava di essere. Un particolare del piano escogitato da Bob era destinato a dargli la risposta definitiva su questo argomento. Tutto l’atteggiamento del poliziotto era stato convincente, sempre, ma il ragazzo voleva vedere se questo atteggiamento veniva conservato all’atto pratico.

Quel giorno Bob non fu molto attivo a scuola, e solo la minaccia di essere trattenuto oltre la fine delle lezioni lo convinse a dedicare maggior attenzione al professore. Appena suonata la campana Bob schizzò fuori dalla scuola, e lasciata la bicicletta al suo posto filò a piedi attraverso i giardini. Erano due i motivi per cui aveva evitato di prendere la bicicletta. Primo: non gli serviva per il suo piano immediato così come se l’era visto davanti agli occhi. Secondo: vedendo lì la bicicletta i suoi amici avrebbero pensato che lui sarebbe tornato dopo pochi minuti e non si sarebbero presi il disturbo di seguirlo.

Continuò a camminare finché diverse case lo separarono dalla scuola, poi svoltò in direzione est. Incontrò alcune persone sul suo cammino, ma tutte semplici conoscenze che non avevano motivo d’interessarsi a quello che lui faceva. Venti minuti più tardi raggiunse la spiaggia. Da lì andò a nordovest, lungo la parte più corta dell’isola, mettendo in breve la cresta di alture tra sé e la maggior parte delle abitazioni. Su quel lato la vegetazione era folta e intricata come dall’altra parte delle alture. I cespugli erano fitti ma non crescevano alberi d’alto fusto. A un certo punto il ragazzo riprese a salire in diagonale, e infine emerse dal sottobosco quasi in cima alla collina, e messosi carponi raggiunse un punto vicino allo spiazzo dove si era addormentato la sera che aveva voluto assistere alla colata di cemento. Anche da lì si vedeva chiaramente quello che succedeva attorno al nuovo serbatoio.

Al cantiere ferveva la solita attività: gli uomini sudavano a lavorare e i ragazzi stavano loro tra i piedi. Bob osservò attentamente tutti per vedere se c’erano i suoi amici, ma non li vide. Probabilmente erano andati a lavorare alla barca o avevano fatto una spedizione all’isoletta di Norman. Suo padre c’era, però, e il ragazzo lo tenne costantemente d’occhio mentre aspettava che si presentasse l’occasione sperata. Dalla quantità di parete ancora da fare, Bob era certo che la squadra addetta alla verniciatura fosse tuttora impegnata nel suo lavoro, quindi, prima o poi, gli uomini avrebbero avuto bisogno di altra vernice. Non era detto che fosse proprio il signor Kinnaird ad andarla a prendere, ma c’erano buone possibilità in questo senso.

Il Cacciatore si rese conto che il suo ospite era più agitato di quanto lo fosse mai stato da quando lo conosceva. I suoi occhi si posarono su ogni particolare della scena che si svolgeva sotto di loro, come se da ogni minimo movimento gli venisse l’ispirazione per completare il suo piano. Bob non aveva detto una sola parola da quando era uscito di scuola, e questo era notevole in un tipo come lui. Il Cacciatore non riusciva a capire che cosa avesse in mente il ragazzo, ma sapendo che non era affatto stupido si augurava che il suo progetto non facesse acqua.

A un tratto Bob si mosse, per quanto il poliziotto non avesse notato nessun cambiamento nella scena del cantiere. Senza cercare di nascondersi il ragazzo scese verso i serbatoi e si fermò accanto all’impastatrice. Lì attorno, per terra, c’erano parecchie camicie depositate dagli operai. Con gesti disinvolti Bob si mise a frugare nelle tasche delle camicie, senza curarsi che qualcuno lo vedesse. Infine parve aver trovato quello che cercava: una scatola di fiammiferi. Si rialzò, girò attorno gli occhi, incontrò lo sguardo del proprietario della camicia, e mostrò la scatoletta guardando l’operaio con espressione interrogativa. L’uomo gli fece segno di prenderla pure e tornò al suo lavoro. Bob intascò i fiammiferi, si sedette in un punto da dove poteva vedere quasi tutto il nuovo serbatoio, e riprese a seguire i movimenti del padre. E finalmente accadde quello che Bob aspettava. Il signor Kinnaird comparve reggendo sulle spalle un recipiente metallico, e mentre Bob si alzava in piedi per vedere meglio, sparì dietro il serbatoio, nel punto in cui di solito stava la jeep.

Bob si alzò con aria indifferente e andò dietro il vecchio serbatoio, camminando lentamente finché la massiccia costruzione non l’ebbe completamente nascosto agli operai sparpagliati su una vasta zona, poi riprese a correre a perdifiato tagliando dritto giù per la discesa. Pochi minuti più tardi arrivava alla strada asfaltata dove cominciava la fila di baracche in lamiera e qui, con sbalordimento del Cacciatore, cominciò a esaminarle da vicino. Nelle prime venivano tenute le macchine da costruzione, come le impastatrici e le scavatrici. Alcune di queste baracche, ovviamente, erano vuote dato che le macchine erano utilizzate in quel momento al cantiere. Parecchie altre erano piene di recipienti di benzina, petrolio e olio lubrificante. Bob osservò queste da tutte le parti, poi si dedicò a un’attività frenetica.

Scelse una delle baracche vuote, e dopo aver ripulito dagli sterpi il terreno lì davanti, prese ad accumulare, appena davanti alla porta, recipienti di benzina, portandone sei, sette per volta. Il Cacciatore se ne stupì, finché si accorse che erano vuoti. In breve tutte le latte erano sistemate a formare una piramide più alta del ragazzo. Soddisfatto di questa prima impresa, Bob entrò in un’altra baracca e cominciò a leggere attentamente le diciture che spiccavano su un’altra catasta di recipienti, questa volta pieni. Contenevano petrolio. Bob ne sistemò due in punti strategici della sua piramide, e apertone un terzo ne versò attentamente il contenuto sulla pila di latte e sul terreno intorno. Il Cacciatore collegò di colpo queste strane manovre con la scatola di fiammiferi.

Vuoi provocare un incendio? chiese. Perché hai preso le latte vuote?

«L’incendio ci sarà» rispose il ragazzo. «Ma non voglio far saltare in aria tutta questa parte dell’isola!»

Non capisco lo scopo. Un fuoco non può nuocere al nostro amico senza causare danni assai peggiori a tuo padre!

«Questo lo so anch’io. Ma se lui pensa che papà si trovi intrappolato dal fuoco senza via di scampo, immagino che cercherà di scappare. E io sarò pronto con un’altra latta di combustibile e altri fiammiferi.»

Magnifico, commentò il Cacciatore, rimpiangendo di non poter esprimere ironia col suo sistema di comunicazione. E in che modo pensi di mettere tuo padre in una situazione del genere?

«Lo vedrai!» rispose Bob, e il Cacciatore cominciò a preoccuparsi seriamente, e a chiedersi che cosa diavolo frullasse per la testa del suo giovane ospite. Questi intanto, dopo aver osservato la sua opera, andò a prendere una nuova latta, di olio questa volta, e versò anche quella sulla piramide, poi, aperto un recipiente di petrolio, andò a mettersi in un punto da dove poteva vedere la strada prima dell’ultima curva che portava sin sulla spiaggia per poi risalire verso le baracche. Di tanto in tanto il ragazzo lanciava anche qualche occhiata in direzione del cantiere, per evitare che qualcuno arrivasse inaspettatamente da qualche parte. Nel quale caso Bob Kinnaird avrebbe dovuto faticare non poco per spiegare i motivi del suo capolavoro.

Il ragazzo non sapeva quanto tempo aveva impiegato a scendere e a fare tutto il resto, quindi non aveva idea di quanto ancora avrebbe dovuto aspettare. Comunque preferì non muoversi dal suo punto di osservazione.

Il Cacciatore non aveva fatto altre domande. Saggia decisione perché Bob non avrebbe risposto. Non gli piaceva comportarsi così verso l’extraterrestre, ma l’idea di uccidere una creatura intelligente gli piaceva ancora meno, perciò voleva essere sicuro di uccidere l’individuo giusto.

Per avere quindici anni scarsi, Robert Kinnaird aveva un cervello assai obiettivo.

Alla fine, con suo immenso sollievo, dalla curva comparve la jeep. Il ragazzo aspettò che scomparisse di nuovo, poi tornò alla sua piramide e tolse di tasca la scatola di fiammiferi. E allora rispose all’ultima domanda che il Cacciatore gli aveva fatto. «Vedrai, Cacciatore, non sarà difficile attirare mio padre verso l’incendio, perché io andrò a mettermi dentro la baracca.» Dicendo le ultime parole Bob tolse un fiammifero dalla scatola. A questo punto si aspettò di perdere l’uso degli arti. Se il Cacciatore non era l’individuo che aveva sostenuto di essere, non avrebbe permesso a Bob di accendere quel fiammifero. Per estrema cautela il ragazzo non si era mai messo in modo che l’ospite potesse vedere la finestra che si apriva nella parete posteriore della baracca, quindi avrebbe dovuto sentirsi veramente in trappola. Il ragionamento di Bob faceva acqua da diversi punti, e non teneva affatto conto della rapidità di riflessi che un delinquente come quello che gli era stato descritto doveva necessariamente possedere. Forse con maggior tempo a disposizione se ne sarebbe reso conto anche lui, ma non aveva avuto tempo.

Comunque poté accendere il fiammifero.

Si chinò e sfiorò con la fiamma la grossa pozza d’olio. Il fiammifero si spense.

Con mani tremanti, la jeep poteva comparire dall’angolo a ogni istante, ne accese un altro, e questa volta toccò il terreno in un punto dove l’olio aveva lasciato solo una debole traccia. Questa volta il combustibile prese fuoco con una spettacolare esplosione di fiamme, e un istante più tardi tutta la piramide bruciava.

Bob s’infilò nella baracca prima che le fiamme raggiungessero la pozza tra le latte e la porta, e si tirò indietro per sfuggire al calore soffocante, sbirciando la strada da una fessura.

Spero che tu sappia quello che fai, disse il Cacciatore. Se per caso ti mancherà il fiato sarò io quello che dovrà tener fuori il fumo dai tuoi polmoni! Dopo di che non interferì più con la vista del ragazzo.

Bob sentì la jeep prima ancora di vederla. Evidentemente il signor Kinnaird aveva notato il fumo e aveva premuto l’acceleratore. Sulla macchina non c’erano estintori capaci di aver ragione di un fuoco di quelle proporzioni e Bob si rese conto, mentre la macchina stava per superare la baracca, che l’intenzione del padre era di tornare su al cantiere per chiedere aiuto. A questo comunque c’era rimedio.

«Papà!» gridò con quanto fiato aveva. Non aggiunse altro. Se suo padre avesse concluso che lui era in pericolo, per Bob andava benissimo, però non voleva dire una bugia. Il ragazzo era sicuro che sentendo la sua voce venire, apparentemente, da dietro quell’inferno di fiamme, il signor Kinnaird avrebbe fermato la macchina e sarebbe corso a salvare il figlio. Bob sottovalutava la prontezza di riflessi e le risorse del padre. Lo stesso fece qualcun altro.

Appena sentita la voce di Bob, il signor Kinnaird sterzò di colpo a sinistra. Immediatamente Bob e il Cacciatore ne intuirono le intenzioni: voleva infilarsi per la porta con la macchina, che avrebbe offerto per qualche secondo un riparo sufficiente a lui e al figlio, e appena Bob fosse saltato a bordo, si sarebbe portato fuori da quell’inferno innestando la retromarcia. Un progetto semplice e ottimo. E aveva tutte le probabilità di riuscire, nel qual caso Bob e l’ospite avrebbero dovuto escogitare qualcos’altro, e studiare parecchie spiegazioni particolareggiate.

Fortunatamente, dal loro punto di vista almeno, un fattore estraneo s’incaricò di modificare la situazione. L’ospite del signor Kinnaird capì le sue intenzioni altrettanto rapidamente degli altri due spettatori, ma non trovò entusiasmante l’idea di andarsi a ficcare in mezzo a un falò, con il pericolo, magari, che da un momento all’altro la baracca crollasse sulla testa del signor Kinnaird e sulla sua.

La jeep era a una ventina di metri dalla parete di fiamme. Uomo e simbionte ne sentivano già il calore. Non c’era forza che potesse permettere al simbionte di costringere l’ospite a girare il volante della jeep e filare nella direzione opposta. E non c’era nemmeno il modo di fargli fermare la macchina, ma nella tensione del momento la creatura non lo capì. Comunque fece quello che gli parve meglio.

Il signor Kinnaird staccò una mano dal volante e se la passò sugli occhi, e il gesto disse ai due spettatori nascosti nella baracca quello che stava succedendo meglio di qualsiasi spiegazione. Ma il signor Kinnaird non aveva bisogno degli occhi per immaginarsi il figlio intrappolato in un inferno di fiamme, e la jeep non sterzò né rallentò. Resosi immediatamente conto che velare la vista non bastava, il simbionte passò ad altro, e a una decina di metri dalla baracca il signor Kinnaird si afflosciò sul volante.

Sfortunatamente per il suo ospite la jeep aveva ancora la marcia ingranata, cosa di cui si sarebbe accorto chiunque non fosse cieco alle faccende terrestri, e la macchina continuò la sua corsa deviando leggermente sulla sinistra. E finì contro la parete della baracca, a una dozzina di metri dalla porta. Il signor Kinnaird non si ruppe l’osso del collo solo perché nel momento in cui era stato colto dalla paralisi il suo piede era scivolato via dall’acceleratore. Le cose erano successe un po’ troppo in fretta per Bob, che preso di sorpresa dalla piega imprevista degli avvenimenti fu sul punto di perdere la testa.

Per complicare le cose una delle latte che Bob aveva collocato piene sulla piramide scelse quel momento per rotolare giù, e il liquido si sparse fino alla jeep prendendo fuoco. Allora il ragazzo si ricordò delle finestre posteriori. Girò su se stesso e corse alla più vicina urlando nel dialetto dell’isola: «Non ti preoccupare! C’è una finestra!» e sempre con in mano l’altra latta di olio sbucò all’esterno passando dalla stretta apertura. Aggirò rapidamente la baracca e quello che vide gli fece pensare di riadottare il progetto iniziale.

Il fuoco non aveva ancora raggiunto la jeep per quanto si stesse avvicinando in fretta, ma non furono le fiamme ad attirare l’attenzione di Bob.

Suo padre stava ancora ripiegato sul volante e accanto a lui, protetto dalla vampa del fuoco dal suo corpo, c’era qualcos’altro. Il Cacciatore non aveva mai permesso che Bob lo vedesse, ma il ragazzo non ebbe alcun dubbio sulla natura della massa gelatinosa che fluiva dalla manica della camicia dell’uomo paralizzato. Bob si riparò immediatamente dietro l’angolo della baracca, per quanto non avesse notato nessun occhio, e poi si sporse a sbirciare con cautela.

La creatura aliena emise un sottile tentacolo che raggiunse l’orlo del sedile e cominciò a scendere lungo il fianco della jeep, fino a toccare il suolo, e da quel momento la massa già a terra prese a ingrossare, mentre quella sul sedile diminuiva. Bob si preparò a entrare in azione.

Ci volle un minuto prima che tutta la creatura fosse ammucchiata sul terreno.

Nell’istante in cui l’alieno ruppe il contatto con la jeep, Bob scattò. Il Cacciatore si aspettava che il ragazzo versasse sulla creatura il contenuto della latta. Invece Bob degnò appena di un’occhiata l’extraterrestre, saltò sulla jeep, spinse da un lato il corpo del padre e messosi al posto di guida fece arretrare la macchina di una trentina di metri. Poi, e soltanto allora, si dedicò alla missione del Cacciatore.

Durante questa manovra il fuggitivo aveva potuto percorrere poca strada e aveva per lo più cercato di mettersi al riparo dal calore delle fiamme.

Adesso vide avvicinarsi Bob, e raccolto il proprio corpo in una massa sferica cominciò ad allungare diversi tentacoli in direzione dell’essere umano. La sua prima idea probabilmente era stata quella di servirsene almeno per allontanarsi da quella zona pericolosa. Poi dovette sentire la presenza del Cacciatore e per un attimo tentò di riprendere la fuga, ma resosi subito conto della sua velocità limitata tornò a raggrupparsi a forma di palla e Bob, ricordando quello che gli aveva detto il Cacciatore, comprese che la creatura cercava scampo sottoterra.

Ma c’era una notevole differenza fra il terreno battuto del sentiero e la morbida sabbia della spiaggia. Molto prima che la massa gelatinosa accennasse a diminuire di volume, il terreno attorno era imbevuto del combustibile della latta.

Quando nel recipiente rimase solo un dito di liquido, Bob lo fece sgocciolare in linea retta fra quel punto e la pozza che ancora bruciava con violenza, dopo di che il ragazzo si ritrasse a guardare la lingua di fiamma che avanzava lentamente verso il nuovo campo d’azione. Infine, visto che così ci voleva troppo tempo, il ragazzo ricorse di nuovo ai suoi fiammiferi, affrettando la marcia del fuoco verso la massa semiliquida al centro della macchia d’olio.


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