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La domenica mattina i cinque amici si trovarono per la progettata esplorazione in barca, e ognuno si era portato la colazione. Tutti si misero subito in costume da bagno, tranne Bob che per ovvi motivi non gradiva una seconda razione di raggi solari. Con lui e Malmstrom ai remi, la barca puntò verso nordovest. Fecero un brevissimo scalo all’isoletta di Norman: l’acqua della pozza adesso aveva la giusta dose di salinità. Poi proseguirono. Raggiunta una posizione favorevole si misero a raccogliere conchiglie, pezzi di corallo e campioni di flora subacquea. Norman fu particolarmente fortunato nelle sue ricerche, e il suo recipiente si riempì presto di novità per l’acquario. Niente di strano, perciò, che fosse favorevole a tornare all’isoletta per deporre in acqua i suoi tesori. Gli altri invece volevano continuare le ricerche. Mentre discutevano fecero colazione su una delle poche rocce abbastanza grandi da ospitarli. Comunque non portarono i campioni di Norman all’isoletta e non proseguirono l’esplorazione.

La soluzione al problema fu opera di Rice, per quanto non intenzionalmente. Risaliti tutti in barca, il ragazzo coi capelli rossi si alzò in piedi per indicare ai compagni un punto della scogliera che secondo lui era interessante. A nessuno di loro era venuto in mente che di solito, quando un’asse del fondo di una barca è ridotta in tale stato da sfondarsi sotto il peso di un ragazzo di quattordici anni, anche le altre non sono in condizioni brillanti. Ci pensarono quando videro il piede di Rice sprofondare nell’asse accanto a quella nuova. Kenny Rice evitò di cadere fuori bordo afferrandosi saldamente al parapetto, ma se anche si fosse lasciato andare le cose non sarebbero cambiate molto, perché due o tre secondi più tardi la barca era piena d’acqua e i ragazzi stavano praticamente seduti nella baia.

Per un attimo furono tutti troppo sbalorditi per qualsiasi reazione. Poi Colby cominciò a ridere e gli altri lo imitarono. «Spero di non sentire più dire che qualcuno è passato attraverso il fondo di una barca!» esclamò Colby tra una risata e l’altra. «Io per lo meno ho avuto il buonsenso di farlo vicino a casa.»

Nuotando spinsero l’imbarcazione fino alla spiaggia dopo aver racimolato tutti i loro averi, tranne i campioni di Norman che erano tornati da dove venivano. Dopo di che, sorse il problema di cosa fare della barca. Le soluzioni erano solo due, dal momento che nessuno intendeva abbandonare il legno: o trasportarla attraverso la giungla, oppure fare tutto il giro dell’isola. Ce n’era una terza, volendo. Potevano procurarsi il legname necessario a cambiare tutto il fondo, gli arnesi da carpentiere e tornare lì ad aggiustare la barca, perché ormai avevano capito che era l’unica cosa da fare per non ritrovarsi a bagno ogni due giorni. Però il giorno seguente era lunedì, e dovevano andare a scuola, e…

Fu ancora Rice a decidere, ma questa volta in piena coscienza.

«Ve lo dirò io cosa conviene fare» disse Kenny Rice. «Uno o due di noi vanno su al nuovo serbatoio a vedere se si può trovare là quello che ci serve, come ha suggerito Bob. Gli altri intanto riportano la barca al canale facendo il giro dell’isola. Se la spingiamo a nuoto non facciamo molta fatica. Domani poi, finita la scuola, andiamo a farci dare il materiale e ci mettiamo subito al lavoro.»

«A me pare che funzioni. Però di legname ce ne serve un bel po’… Sarà prudente chiedere tutta quella roba in una sola volta?» obiettò Norman.

«Possiamo sceglierlo e farne tante pile. Poi chiediamo ogni pila a un uomo diverso. In questo modo non sembrerà troppo» suggerì Bob.

Norman e Bob vennero destinati all’opera di ricerca al cantiere, e dopo aver aiutato gli amici a portare il relitto fin dove l’acqua era abbastanza fonda da sostenerlo, i due emissari si avviarono seguiti dalla voce di Rice che aveva intonato I Battellieri del Volga.

«Io consiglio di andare a prendere le biciclette» disse Norman.

«Mi pare una buona idea. Perderemo un po’ di tempo ad attraversare la giungla, ma poi la bici ce lo farà riguadagnare. Ti aspetto davanti a casa mia?»

«Sì, se arrivi prima di me» rispose Norman. «La tua casa è più vicina, ma per arrivare alla mia c’è meno giungla.»

«Comunque, restiamo d’accordo così.»

I due ragazzi si separarono. Norman proseguì ancora per un pezzo lungo la spiaggia, mentre Bob tagliò subito attraverso la fitta vegetazione che ricopriva il fianco della collina. Conoscere bene l’isola era un conto, ma non si poteva conoscere bene quella giungla. Gli alberi più grossi sarebbero stati ottimi punti di riferimento, potendo però andare dall’uno all’altro in linea retta, cosa impossibile per il groviglio della vegetazione più bassa. L’unico indizio sulla direzione da tenere era dato dall’inclinazione del terreno. Conoscendo la sua posizione iniziale rispetto alla propria abitazione Bob si sentiva sicuro di uscire dall’altra parte della giungla in un punto abbastanza vicino a casa, soprattutto se era tanto fortunato da incontrare il sentiero che alcuni giorni prima aveva seguito salendo dalla parte opposta. Si cacciò nel sottobosco senza esitazioni.

Il Cacciatore taceva, ma quando vide contemporaneamente al ragazzo un autentico muro di cespugli, pensò a cos’avrebbe potuto dire di veramente caustico. Senza scoraggiarsi, Bob si mise carponi e cominciò a cercare un passaggio sotto i rami. Il Cacciatore rinunciò alle sue velleità linguistiche quando colse qualcosa di biancastro al limite del suo campo visivo.

Alla loro destra c’era un gruppo d’alberi abbastanza distanziati fra loro, col tronco perfettamente diritto e foglie sottili, dure e spinose, che cominciavano a circa trenta centimetri dal suolo. La cosa che aveva attirato l’attenzione del Cacciatore si trovava accanto all’ultimo di questi alberi.

Bob, che cos’è quello?

Il ragazzo girò la testa nella direzione indicata, e subito anche l’extraterrestre riconobbe il mucchietto di oggetti bianchi.

«Ecco che cos’è successo a Tip!» mormorò il ragazzo, dopo essersi avvicinato allo scheletro del cane. «Hai idea di cosa l’abbia ucciso?»

Non mi pare che sia stato vittima di qualche animale, per lo meno non di un animale grosso come lui, rispose il Cacciatore.

«Già. Infatti non esistono sull’isola carnivori di quel genere. Le formiche possono averlo divorato dopo morto. Ma non riesco a capire che cosa l’abbia ucciso. Pensi anche tu quello che ho in mente io?»

Non sono un indovino, disse l’altro, però credo di sapere a che cosa pensi, e riconosco che il nostro amico può aver ucciso la bestia dopo averla forzata a venire fin qui, e che poi l’abbia mangiata. Però non vedo il motivo di scegliere questo posto, anche perché mi pare il meno adatto a trovare un nuovo ospite! Inoltre il corpo del cane aveva carne sufficiente per alcune settimane. Perché il fuggitivo avrebbe dovuto stare qui tutto il tempo necessario a divorarlo?

«Per paura. Forse ha pensato che tu fossi già sulle sue tracce e ha ritenuto che questo fosse un buon nascondiglio.» Il Cacciatore non rispose, ma dovette ammettere che l’ipotesi del ragazzo era logica. «Senti, Cacciatore» riprese Bob, «tu non saresti in grado di dire se queste ossa sono state ripulite da uno della tua razza, o no? Se io ne prendo uno e lo tengo in mano per tutto il tempo che ti ci vuole per i tuoi esami, riesci a capirci qualcosa?»

Sì. Anzi, ti prego di farlo. Può essere utile.

Bob scelse un osso dal mucchietto, e lo tenne stretto in mano resistendo stoicamente alla tentazione di allentare la stretta per vedere almeno parzialmente il Cacciatore. E fece bene, perché avrebbe fatto una brutta figura per niente: i filamenti che l’alieno mandò in esplorazione attraverso i pori della pelle del ragazzo erano talmente sottili da risultare invisibili a occhio nudo. L’esame durò parecchi minuti.

Puoi metterlo giù, disse alla fine il Cacciatore.

«Scoperto qualcosa?»

Poco. Posso solo dirti che non è stato il nostro amico a fare questo lavoro. Con tutta probabilità la tua ipotesi sulle formiche era esatta.

«Ne sei sicuro?»

Matematicamente sicuro, no. E adesso cosa fai? Hai un amico che ti aspetta, te ne sei dimenticato?

«Non ci vorrà molto, voglio solo guardare qui attorno per vedere se il fuggitivo ha lasciato qualche traccia dal momento che il non aver mangiato Tip non esclude che sia stato lui a farlo morire!» E Bob cominciò a girar attorno a ogni albero guardando sopra e sotto le foglie.

Oh, capisco!, disse il Cacciatore. Ti rendo noto però che se le nostre supposizioni rispondono a verità, tu in questo momento potresti anche cadere dritto in una trappola… credo che si dica così. Non è indispensabile che tu sia logico, ma potresti almeno essere coerente.

«Questa frase devi averla letta su un mio libro, perché la conosco» ribatté Bob. «Comunque qui non c’è niente.»

A proposito di indizi, una delle prossime notti bisognerà decidersi a controllare Charles Teroa.

Bob fece un cenno di conferma e cominciò a elaborare un possibile piano, in ogni particolare. Il ragazzo era finalmente riuscito ad attraversare la barriera di cespugli e adesso poteva camminare di nuovo eretto. Erano già vicini al corso d’acqua che dalla casa di Bob passava sotto la strada diventando poi canale, e lo raggiunsero in un punto in cui aveva la larghezza di un metro. Il ruscello nasceva da una sorgente in cima alla collina, e restava senz’acqua nei periodi in cui non pioveva per parecchio tempo, però aveva un letto profondo, per quanto non diventasse mai molto largo. Le radici della fitta vegetazione invadevano in alcuni punti il corso d’acqua, e dove la mancanza di terreno aveva reso pericoloso l’equilibrio degli alberi meno robusti, i tronchi avevano finito per cadere trasversalmente formando sostegno per piccole cascate, o pozze da cui l’acqua defluiva lentamente. Bob incontrò sulla sua strada proprio una di queste pozze. Per la verità fu abbastanza a ridosso dell’albero caduto da anni, ma anche così, appena il peso del suo corpo posò sulla gamba destra, il terreno improvvisamente parve aprirsi, e il ragazzo sprofondò, sentendo istantaneamente un dolore acutissimo alla caviglia. La reazione di Bob fu rapida: pigiò forte con le mani sull’altra gamba, evitando così di cadere, ma la posizione era scomoda perché la destra era sprofondata fino al ginocchio. Appena ripreso fiato, fece per liberare la gamba impantanata, ma il Cacciatore intervenne.

Aspetta, Bob! Non ti muovere!

«Cos’è successo? Mi fa male la gamba!»

Ci credo! Adesso stai fermo, e lascia che sistemi il guaio. Un ramo ti ha raschiato la carne e se ti muovi peggiori la situazione.

Il guaio era davvero grave perché la scheggia di legno era penetrata a fondo, intaccando un’arteria. Senza il Cacciatore il ragazzo sarebbe morto dissanguato prima di ricevere aiuto. Così invece, sporcò solo di sangue il ramo incrinato, perché l’extraterrestre era intervenuto appena la scheggia era penetrata nella carne sopra la caviglia. Però non bastava. Il Cacciatore dovette distruggere i microrganismi penetrati nel corpo del suo ospite, saldare vene e capillari recisi, e combattere lo shock dovuto al dolore. Inoltre si preoccupò di capire fin dove sprofondava il ramo, e scoprì che sprofondava parecchio. Troppo. E Bob doveva restare immobile finché il ramo fosse stato rimosso o dal terreno o dalla sua gamba.

Il Cacciatore avrebbe voluto risparmiare più male possibile al suo ospite, ma data la situazione preferì metterlo al corrente.

Mi dispiace davvero di non poter far niente per lenire il dolore senza correre il rischio di rovinarti il sistema nervoso, disse, dopo aver spiegato come stavano le cose. Sentirai molto male, ma non c’è altro sistema. Devo costringere il tuo tessuto muscolare ad allentare la pressione attorno alla scheggia mentre tu sollevi la gamba.

«Va bene, fai pure» disse Bob. Il ragazzo era pallidissimo, nonostante che il Cacciatore stesse tenendo alta la sua pressione sanguigna.

Il Cacciatore cominciò a lavorare, e Bob muoveva la gamba, o stava immobile, a seconda di quello che diceva il suo ospite. Ci vollero parecchi minuti, ma alla fine ce la fecero. L’unico danno visibile erano le chiazze di fango. Di sangue, nemmeno una goccia.


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