15

Per il Cacciatore, che aveva esaminato da vicino tanto le ossa dello sfortunato Tip quanto il ramo appuntito che aveva fatto quel guaio alla gamba di Bob, non c’erano dubbi: il Fuggitivo non aveva niente a che fare né con l’una cosa né con l’altra. Bob però la pensava diversamente, il che, alla lunga, risultò essere un bene.

Il ragazzo se ne stava sdraiato immobile da qualche tempo, secondo il consiglio del Cacciatore, quando si sentì chiamare. Fece per saltare in piedi, e per poco non cadde, sotto la furiosa protesta della gamba ferita.

«Mi ero completamente dimenticato di Norman» disse. «Si sarà stancato di aspettare e sta venendo a cercarmi!» Più cautamente questa volta, posò a terra la gamba destra. Il Cacciatore sollevò qualche obiezione ma il ragazzo ribatté: «Caro mio, non c’è altro da fare. Se mi ficco in un letto non potremo combinare niente. Vedrò di sforzarla il meno possibile, ma devo ben camminare! Del resto, in queste cose il pericolo maggiore viene dalle infezioni, e queste ci pensi tu a evitarle.»

D’accordo, non te ne verrà un danno permanente, ma…

«Niente ma! Se qualcuno solo sospetta che la faccenda è grave, mi spediranno dal medico, e lui non crederà mai che mi sia conciato in questo modo senza inzuppare l’isola di sangue, e tu verrai subito scoperto.»

Detto questo Bob cominciò a muoversi zoppicando, e il Cacciatore tacque riflettendo sulla sventura che aveva dato al suo ospite, unico membro attivo della loro società, una natura troppo irrequieta e troppo poco prudente. Poco dopo gli venne in mente che anziché dannoso poteva essere utile che il dottor Seever venisse a sapere di lui. Sfortunatamente ormai era troppo tardi per parlarne: Bob e Norman si erano incontrati.

«Dove ti eri cacciato?» fu il saluto di Norman. «Ho aspettato davanti a casa tua abbastanza da’ farmi crescere la barba!»

«Sono caduto» rispose Bob, «e mi sono fatto male a una gamba. Ho dovuto sedermi un po’ perché non riuscivo a camminare.»

«Oh, adesso capisco! Ti fa male ancora?»

«Non tanto. Riesco a camminare e posso benissimo montare su una bicicletta.»

I due ragazzi si erano incontrati a poca distanza dalla casa dei Kinnaird. Norman non aveva osato inoltrarsi troppo nella giungla, per paura che Bob ne uscisse in un altro punto. In un paio di minuti, nonostante l’impedimento di Bob, raggiunsero l’abitazione.

Pedalare risultò facile: bastava che il ragazzo premesse sul pedale il calcagno anziché la punta del piede.

Arrivati al cantiere cominciarono subito a raccogliere il materiale, e molto prima dell’ora di cena c’erano diversi mucchi di legname e altro, ben mimetizzati in posti sicuri perché nessuno li portasse via fino al giorno seguente dopo la fine delle lezioni. A loro modo erano ragazzi onesti.

Il lunedì accaddero due cose che impedirono a Bob di tornare al cantiere dopo le lezioni. Una capitò il lunedì mattina quando suo padre, vedendolo scendere per la prima colazione, gli chiese perché zoppicasse. Bob ripeté quello che aveva detto a Norman. La seconda domanda però fu un po’ più pericolosa.

«Fammi vedere» disse il signor Kinnaird.

Bob non trovò altra soluzione che rimboccare il calzone per mostrare il lievissimo segno rosso che andava dalla caviglia al ginocchio, e il signor Kinnaird non parve preoccupato. Comunque aggiunse: «Va bene, ma ricordati che se zoppichi ancora la prossima volta che ti vedo, sarà molto meglio per te dirmi che sei andato a farti vedere dal dottor Seever.»

Il rispetto del Cacciatore per il signor Kinnaird aveva motivo di aumentare di giorno in giorno.

Bob si preparò ad andare a scuola con quel chiodo fisso in mente. Cacciatore o non Cacciatore, avrebbe certo zoppicato ancora per diversi giorni, e quel pomeriggio, su al cantiere, avrebbe certo incontrato suo padre. Dopo l’ultima ora di scuola si verificò il secondo episodio. Il professore incaricato di seguire i più grandi gli chiese di fermarsi un po’ per concertare insieme un programma di studi. Bob spiegò agli amici che si doveva trattenere, li guardò partire per il cantiere e rientrò in classe. La discussione sul programma durò parecchio, e quando finalmente professore e allievo raggiunsero un accordo soddisfacente sul ritmo degli studi, gli altri dovevano essere già tornati e scesi al canale.

E restava il problema del prossimo incontro col padre.

Bob aveva cercato tutto il giorno un modo di camminare che non desse nell’occhio, ma c’era riuscito solo in parte. Prima di avviarsi, rimase qualche minuto sulla porta della scuola a pensare, e infine prospettò i suoi timori al Cacciatore.

Io ti consiglio di fare come ha detto tuo padre. Vai dal dottor Seever.

«Ma quello non è cretino, sai? Non penserai che creda ai miracoli… Vorrà vedere la gamba, e come vuoi che gli spieghi la faccenda senza parlargli di te?»

Ci ho pensato. Quale guaio credi che ce ne venga, se gli dici la verità?

«Non voglio passare per matto, ecco tutto!»

Probabilmente non ti capiterà mai più un’occasione migliore di questa per dimostrare l’autenticità della tua storia, se il dottore è un uomo in gamba come dici tu. Non che ci tenga a rendere pubblica la mia presenza, ma credo che un medico possa esserci di aiuto. Lui può sapere cose che noi ignoriamo, e dovrebbe essere contento di aiutarci perché ti assicuro che non è un’esagerazione presentare il fuggitivo come un’epidemia.

«E se poi è lui l’ospite del tuo amico?»

Il dottore è uno dei meno sospetti di tutta l’isola, ma se fosse come dici tu, potrei averne presto la conferma. Comunque prenderemo qualche precauzione. Spiegò a Bob quali erano queste precauzioni, e il ragazzo ascoltò attentamente.

Lo studio del medico non era lontano dalla scuola, e non sarebbe valsa la pena di andarci in bicicletta se non fosse stato per la gamba dolorante. Il ragazzo dovette fare un po’ di anticamera perché c’era un altro paziente, poi entrò insieme al suo invisibile compagno.

«Di nuovo qui così presto, Bob?» salutò il dottor Seever. «Ti danno ancora fastidio quelle scottature?»

«No, anzi, me n’ero quasi dimenticato.»

«Non del tutto, spero!» commentò il medico sorridendo.

«Si tratta di un’altra cosa, dottore» disse Bob. «Ieri sono caduto, su nella giungla, e mio padre ha detto che dovevo venire da voi, oppure smetterla di zoppicare.»

«Bene. Vediamo questo nuovo guaio, allora.»

Bob sedette su una sedia, e arrotolò il calzone sulla gamba destra. Il dottor Seever osservò attentamente i due punti, d’uscita e d’entrata, fatti dal legno nella gamba, poi si appoggiò allo schienale e chiese: «Sentiamo un po’ com’è andata.»

«Sono sprofondato in un punto molle del letto del torrente. Sotto c’era un ramo spuntato che mi è entrato nella gamba.»

«Continua.»

«Non c’è altro, mi sembra. Non mi dava molto fastidio perciò non sono venuto da voi finché non me l’ha detto mio padre.»

«Capisco» disse il medico. Poi rimase pensieroso per un paio di minuti. Infine chiese: «Ti era accaduto qualcosa di simile a scuola sul continente?»

«Ecco…» Bob non fece nemmeno finta di non aver capito cosa volesse dire il dottor Seever. «A scuola mi è successo questo» e mostrò il braccio. Il medico esaminò la cicatrice appena visibile.

«Quanto tempo fa ti sei fatto male?»

«Sono circa tre settimane.»

Un’altra pausa, lunga. «Vediamo» disse infine il dottor Seever, «tu ti sei accorto che c’era qualcosa di strano in te, qualcosa che rendeva insignificanti delle ferite che invece avrebbero dovuto costringerti a letto, e ti sei preoccupato. È così?»

«Non esattamente» rispose Bob. «È come avete detto voi, ma… Ma io so da che cosa deriva questa stranezza.» Dopo la dichiarazione Bob trovò facile raccontare tutta la storia, che il medico ascoltò con grande interesse.

«Tu non hai mai visto personalmente questo… Cacciatore?» chiese il dottor Seever quando il ragazzo tacque.

«No. Non vuol farsi vedere. Dice che ne sarei sconvolto.»

«Capisco. Ti disturba se per qualche minuto ti metto nell’impossibilità di vedere?» Bob fece cenno di no con la testa. Il medico bendò gli occhi del ragazzo, poi disse: «Per favore, appoggia le mani sul tavolo… qui… a palmo in su. Adesso, Cacciatore, hai capito cosa voglio?»

Il Cacciatore aveva capito perfettamente e agì di conseguenza, Bob non poteva vedere, ma dopo qualche secondo sentì un lieve peso su un palmo e istintivamente fece per chiudere le dita. Prontamente il dottor Seever gliele tenne giù. «Un momento, Bob!» disse.

Per qualche minuto il ragazzo continuò a provare la sensazione di peso sulla mano aperta, poi cominciò a dubitare dei propri sensi e non avrebbe più saputo dire se la cosa c’era ancora o non c’era più, come quando si toglie una matita rimasta per un po’ infilata dietro un orecchio e resta la sensazione che ci sia ancora. Poi il dottore gli tolse la benda. Non c’era niente da vedere, naturalmente, tranne la faccia del medico, ancora più impassibile di prima.

«Parte della sua storia, almeno, risponde a verità» disse il dottor Seever. «Adesso, dimmi qualcosa di più sulla missione del tuo amico.»

«Prima vi devo mettere al corrente di alcune cose» rispose Bob. «Cercherò di ripetervi il più esattamente possibile quello che mi ha detto il Cacciatore. Voi adesso siete convinto almeno della parte essenziale della storia, la presenza del mio ospite, perciò avrete capito perché finora abbiamo mantenuto tutto segreto, e il rischio che abbiamo affrontato nel mettervi al corrente. Infatti, per quanto piccola, esiste la probabilità che l’ospite dell’individuo che cerchiamo siate proprio voi. In questo caso le possibilità sono due: o voi sapete della presenza e state coscientemente collaborando con lui perché è riuscito a convincervi di essere dalla parte della ragione, o voi non lo sapete. Nel primo caso state certamente studiando come averla vinta su di me, o sul mio ospite, per meglio dire. Nel secondo caso, adesso il vostro ospite sa dov’è il suo inseguitore. Ma sa anche che voi siete un medico e quindi in grado più di ogni altro di scoprire la sua presenza nel vostro corpo. E questo significa che vi abbiamo messo in pericolo, perché lui non esiterà davanti a niente pur di mettersi in salvo. Io non posso darvi nessun consiglio, dovrete pensare da solo a prendere qualche precauzione, ma non esponete a voce alta i vostri progetti: limitatevi a pensarli. Mi dispiace, ci dispiace, di avervi esposto a dei rischi, ma ritengo che rientrino nei vostri doveri di medico. Però se non volete correre pericoli non avete che da dirlo e noi non insisteremo. Alla prima occasione il mio ospite vi controllerà, ma almeno, non pressato dal terrore di venire scoperto immediatamente, il vostro eventuale ospite può lasciare il vostro corpo senza bisogno di farvi del male. Ora ditemi che cosa decidete.»

Il dottor Seever non esitò. «Accetto il rischio, qualunque sia» disse, e rivolgendosi direttamente al Cacciatore proseguì: «Ho anche il mezzo per controllare me stesso. A quanto pare voi siete nel corpo di Bob da circa sei mesi. Il vostro amico, se si trova nel mio, c’è pressappoco dallo stesso periodo. Un periodo lungo abbastanza per la formazione di particolari anticorpi, dal momento che secondo le vostre dichiarazioni voi in effetti siete un virus. Posso preparare un siero prelevando un campione di sangue da Bob, e procedendo all’esperimento su un campione del mio saprò subito se il mio corpo ospita l’individuo che state cercando.»

Bob rispose lentamente, leggendo la risposta del Cacciatore: «Sfortunatamente, il sistema non darebbe risultati. Se la nostra razza non avesse già da tempo elaborato un mezzo per evitare la formazione di anticorpi, il nostro modo di vita non sarebbe possibile.»

«Già. Avrei dovuto arrivarci da solo» mormorò il dottor Seever, corrugando la fronte. «Allora, come pensate di scoprire la sua presenza?»

Bob spiegò le difficoltà del Cacciatore e concluse, sempre leggendo quello che l’extraterrestre gli proiettava negli occhi: «La mia intenzione è di effettuare personalmente un controllo sugli individui sospetti.»

«Allora, perché non mi controllate adesso? Non credo che abbiate particolari motivi per sospettare di me, ma vorrei lo stesso esserne certo, senza contare che se vi devo aiutare è giusto che non abbiate il minimo dubbio su di me.»

«Il Cacciatore non vuole entrare o uscire da un corpo umano se la persona è sveglia» rispose Bob.

«A questo penso che si possa rimediare» ribatté il dottor Seever, e alzatosi andò a staccare un cartellino da una parete, lo appese all’esterno della porta, la chiuse a chiave e tornò nello studio dove cominciò a cercare nei suoi armadietti.

«Quanto pesi, Bob?» chiese, senza voltarsi. Il ragazzo glielo disse e il medico, fatto un rapido calcolo mentale, scelse una bottiglietta che conteneva un liquido trasparente, si rivolse al Cacciatore nella persona di Bob.

«Questo sonnifero ci farà dormire per un paio d’ore. Nel frattempo voi potete lasciare il corpo di Bob, controllare me e rientrare senza essere visto da nessuno.»

So che è indispensabile controllarvi, dottore, rispose l’extraterrestre. Ma il mio ospite rimarrebbe indifeso durante il procedimento, e questo prima che io sia sicuro sul vostro conto. C’è un altro mezzo. Se voi e Bob vi sedete vicini, tenendovi stretti per le mani, e mi giurate che non vi staccherete per almeno venti minuti, io potrò mandare una parte di me stesso in esplorazione, e rientrare.

Il dottor Seever si dichiarò subito d’accordo e Bob non fece obiezioni.

Ci volle un po’ più di venti minuti, ma con sollievo di tutti il risultato fu negativo. Dopo di che poterono parlare con libertà. Il problema in discussione risultò così pieno d’interesse che il dottor Seever si ricordò della gamba di Bob solo al momento di lasciarsi, «Da quello che ho capito il Cacciatore non può fare niente per affrettare la guarigione clinica della ferita» disse il medico. «Perciò io ti consiglierei di non affaticare quella gamba, che deve avere i muscoli seriamente compromessi.»

«Disgraziatamente» rispose il ragazzo, «io funziono da Divisione Trasporti per il nostro esercito, e in più servo da automezzo per il nostro Comandante in capo! Quindi non posso star fermo.»

«In questo caso ci metterai di più a guarire. Date le circostanze, però, non vedo altri inconvenienti oltre a questo. Cerca comunque di non strafare.»

Chiusa la porta alle spalle di Bob, il dottor Seever s’immerse subito nel suo nuovo lavoro. La razza del Cacciatore rendeva impossibile la formazione di anticorpi, ma la scienza medica offriva altri mezzi di immunità validi per esperimenti.

Bob e il Cacciatore intanto, dato che mancava ancora parecchio all’ora di cena, raggiunsero gli altri al canale. Erano tutti occupatissimi, ma smisero subito di lavorare appena arrivò l’amico.

«Dove sei stato? Ti sei risparmiato un sacco di fatica questo pomeriggio. Guarda qui cos’abbiamo fatto!»

Bob guardò. In fondo non c’era granché da vedere perché l’eliminazione di tutte le parti rovinate aveva lasciato ben poco della barca, e le parti nuove messe a posto erano pochine. E c’era anche poco materiale nuovo!

«Dov’è finito tutto il legname che abbiamo raccolto ieri?» chiese Bob a Norman.

«Domanda interessante» ribatté l’altro seccato. «Una parte era ancora dove l’avevamo messa noi, ed è quella che vedi qui. Il resto era sparito. Non so se qualche ragazzo dei più piccoli l’ha trovato e se l’è preso, oppure se sono stati gli operai a usarlo. Così abbiamo pensato che la cosa migliore da fare per il momento fosse di portare qui quello che restava, e utilizzarlo prima che scomparisse a sua volta. Però dovremo tornare a procurarcene dell’altro, perché questo è quasi finito.»

«Lo vedo» disse Bob guardando la carcassa della barca. Quella vista gli fece venire in mente qualcos’altro, e il ragazzo si rivolse a Rice: «Kenny, ho paura di aver ritrovato Tip, ieri» disse.

Gli altri rimisero giù gli arnesi con i quali stavano per rimettersi al lavoro, e guardarono Bob interessati.

«Dove?» chiese Kenny Rice.

«Su nella giungla, vicino alla sorgente del canale. Poco dopo sono caduto, e così mi sono dimenticato di parlarvene. Non ho la sicurezza che fosse proprio Tip, ma certo si trattava di un cane grosso come lui. Se volete ci andiamo dopo cena. Adesso ormai è troppo tardi.»

«Da che cosa è stato ucciso?» chiese Rice, che da parecchio si era convinto della morte del cane.

«Non l’ho capito. Credo che nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a trovare un indizio, ma tu puoi provare!»

La notizia della morte della bestiola mise la parola fine al lavoro, per quel pomeriggio.

Dopo cena si trovarono per andare a vedere i resti del cane. Bob fece da guida attraverso la giungla, e si fermò solo per indicare il buco nel quale era caduto il giorno prima. Norman ficcò un braccio nel fango, armeggiò alla cieca e infine estrasse il lungo ramo colpevole del guaio.

«Poteva andarti peggio, con questo legno così lungo» disse Norman mostrando il ramo agli altri.

«Mi è bastato così, stai tranquillo» rispose Bob. Il mattino, come aveva fatto con il padre, aveva mostrato agli amici il punto d’entrata del ramo, appena sopra la caviglia. Adesso Norman osservò il ramo più da vicino e notò le tracce di sangue.

«Accidenti però, ne hai perso di sangue» disse. «Il ramo è tutto sporco per una ventina di centimetri! Chissà come mai non ho notato sangue sui tuoi pantaloni, ieri.»

«Forse non hai guardato» rispose Bob, stringendosi nelle spalle, e riprese la strada. Norman rimase ancora un po’ a rimirare il legno, poi lo buttò via e raggiunse gli altri già raccolti attorno al mucchietto di ossa. Bob si era portato lì gli amici con un progetto ben chiaro in mente, e adesso li osservò a uno a uno con attenzione. Nonostante le affermazioni del Cacciatore, Bob continuava a pensare che Tip fosse stato ucciso dall’altro extraterrestre il quale aveva poi trovato un ospite che faceva al caso suo senza spostarsi troppo. Un ospite arrivato fin lì seguendo il corso d’acqua, com’erano soliti fare appunto Bob e i suoi amici. Ne conseguiva l’ipotesi che uno di loro fosse stato per qualche suo motivo da quelle parti, e sempre per un motivo suo fosse rimasto immobile il tempo sufficiente perché la creatura raggiungesse il suo scopo. Bob non aveva mai sentito parlare di una spedizione nella giungla, ma sperava che adesso, se un episodio del genere c’era stato, qualcuno ne accennasse. Dopo aver deciso che il corpo del cane poteva essere stato divorato soltanto da insetti, Malmstrom volle esaminarne le ossa, e scelse il cranio. Per prenderlo dovette allungare cautamente una mano fra le lunghe spine che proteggevano alla base il tronco dell’albero. Non fu facile, ma portò alla scoperta che in quel punto i duri pungiglioni seguivano un’inclinazione che ne riportava irregolarmente le punte verso il tronco formando una spiacevole trappola, tant’è vero che il ragazzo ci guadagnò diversi graffi e punture nel tentativo di recuperare il teschio del cane. Estratta finalmente la mano dal groviglio, il ragazzo porse il teschio a Colby e si osservò la mano ferita.

«Quelle maledette spine sono messe in modo che si può entrare facilmente nel groviglio da questa parte, ma poi ti infilzano se cerchi di uscirne» osservò Malmstrom. «Scommetto che Tip ha infilato lì la testa per annusare qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, e poi è rimasto intrappolato.»

L’ipotesi non mancava di logica, e anche Bob ne rimase colpito. Un po’ seccato per non aver ricavato nessun utile da quella camminata, il ragazzo prese la via del ritorno insieme con gli altri, facendo lavorare il cervello all’impazzata.


Загрузка...