La signora Kinnaird aveva pensato tutta mattina a come persuadere il figlio a farsi visitare dal medico dell’isola. Infine aveva pensato che le scottature le avrebbero fornito un ottimo pretesto. La signora Kinnaird non ebbe l’occasione di parlarne con il marito, perché Bob arrivò a casa prima di suo padre, quindi non le restò che affrontare l’argomento dopo mangiato. Si era aspettata di dover discutere, perché sapeva che Bob si vergognava di essersi bruciato come un novellino e non ci teneva a farlo sapere a più persone di quanto fosse indispensabile, perciò rimase molto sorpresa quando il ragazzo approvò la sua idea senza battere ciglio.
Bob però non aveva accettato per docilità. C’erano alcune domande alle quali il Cacciatore non aveva risposto, e Bob era preoccupato specialmente per quelle che riguardavano il sistema che lo straniero avrebbe usato per aver partita vinta del suo avversario, una volta individuato in quale ospite si nascondeva. Se il Cacciatore sapeva come fare, tanto meglio, ma il ragazzo temeva che il suo compagno non lo sapesse affatto, e si era messo in testa di scoprire qualcosa per conto suo. Ma per avere qualche buona idea bisognava sapere qualcosa di più di biologia. Lo straniero aveva detto che la sua razza era nata da un virus. Benissimo. Bisognava quindi imparare tutto o quasi tutto sui virus, e il posto più adatto era lo studio del medico. Essere lui stesso a proporre di consultare il dottore sarebbe sembrato strano e non conforme al suo carattere, ma non appena sua madre aveva dato il consiglio, il ragazzo aveva accettato senza protestare, e l’aveva preso come un autentico colpo di fortuna.
Il dottor Seever conosceva bene Robert Kinnaird, come conosceva tutti quelli che erano nati sull’isola. Dopo aver letto la lettera che il preside della scuola aveva scritto al signor Kinnaird aveva espresso il desiderio di visitare personalmente il ragazzo.
Quando lo vide, rimase stupito dal colore della sua pelle:
«Santo cielo, Bob!» disse. «Hai proprio festeggiato bene il tuo ritorno!»
«Già. Se potete, dottore, toccatemi con delicatezza!» ribatté Bob sorridendo.
«Stai tranquillo. Su, vieni qui. Guarda che roba! Una volta stavi più attento a queste cose…» Il medico cominciò a esaminare le scottature senza smettere di parlare. «Sei stato per caso malato, a scuola, negli ultimi tempi?»
Bob non si aspettava una domanda così presto, né formulata in quel modo, ma ormai aveva deciso di portare il discorso sull’argomento che gli stava a cuore.
«No, dottore» rispose. «Potete esaminarmi per un giorno intero, ma non troverete tracce di germi.»
«Possibilissimo, ma non significa che tutto vada bene. Non sono stati i germi a farti queste scottature, ad esempio» ribatté il medico.
«Se è per questo, mi sono anche slogato una caviglia e mi sono fatto un paio di tagli, ma non mi sembrano malattie. Mi avete chiesto se ero stato malato, no? Non potete scoprirlo con il vostro microscopio?»
Il dottore sorrise, convinto di sapere a cosa mirasse il ragazzo. «Fa piacere trovare qualcuno con una simile fiducia nella scienza medica» disse, «purtroppo devo deluderti. Se hai pazienza un attimo ti dimostro il perché.» Finì di applicare sulle scottature l’unguento apposito, mise via il barattolo, e tolse dall’armadietto il microscopio. Frugando, trovò anche i vetrini che cercava, e cominciò a infilarne uno sotto la lente.
«Questo germe è facilmente riconoscibile» cominciò a spiegare. «È un protozoo o un’ameba del tipo che provoca la dissenteria.»
«Sì, ne ho visti a scuola durante le lezioni di biologia» disse il ragazzo. «Ma non sapevo che provocassero malattie.»
«Non tutti, infatti. Adesso, guarda questo…» Il dottor Seever mise a posto un secondo vetrino. «È molto più piccolo. L’altro, per la verità, non era un germe. Questo invece causa la febbre tifoidea quando si trova in ambiente favorevole. Quello che ti farò vedere adesso, è ancora più piccolo, e genera il colera.»
«Pare una salsiccia ancora legata con la corda!» commentò Bob.
«Poi ci sono batteri infinitamente più piccoli di questi, alcuni innocui, e altri no» continuò il medico, sistemandosi nella sua poltrona, mentre Bob osservava attentamente attraverso lo strumento ottico. «E infine abbiamo i virus.»
Bob alzò la testa cercando di dimostrarsi interessato, senza però lasciar capire che la conversazione era finalmente arrivata al punto desiderato.
«Potete farmi vedere un virus?» chiese.
«No, Bob. Alcuni sono stati fotografati con l’aiuto di un microscopio elettronico, e più o meno assomigliano al germe del colera che hai appena visto, ma anche ammesso che ne avessi una coltura, questo microscopio non servirebbe neppure se regolato al massimo ingrandimento. Per lungo tempo la stessa definizione virus è stata fra i medici un’implicita confessione di ignoranza. Poi gli studi progredirono, ma passò ancora molto tempo prima che si potesse vedere un virus. Qualche scienziato pensava, e pensa tuttora, che siano singole molecole. Esistono libri molto interessanti sugli studi effettuati sui virus. Dovresti leggerne qualcuno.»
«Mi piacerebbe» disse Bob, cercando di non sembrare soddisfatto. «Voi ne avete, qui?»
Il medico si alzò e prese a frugare in un altro armadietto, dal quale tolse un grosso volume.
«Qui c’è parecchio, ma forse è un po’ troppo tecnico. Puoi prenderlo, se vuoi. Ne avevo un altro migliore, più comprensibile, ma l’ho già prestato.»
«Ah, sì? Chi ve l’ha chiesto?»
«Uno dei tuoi amici, Norman Hay. Ultimamente ha cominciato a interessarsi di biologia. Forse sai anche tu che ha tentato di andare al Museo di Storia Naturale di Papeete. Non so se è attirato dalla professione di medico e dal laboratorio di Rance. Ormai sono alcuni mesi che ha il libro. Se riesci a fartelo dare, tienilo pure.»
«Grazie, dottore. Glielo chiederò. Ma adesso mi potete dire qualcosa degli esperimenti che hanno fatto gli studiosi?»
«Si è trattato per lo più di esami chimici. Sai che cos’è un siero?»
«Sì, mi pare. Non è quello che voi adoperate per immunizzare da una malattia?»
«Questo è l’uso più conosciuto. Ma io definirei i sieri una specie di impronte digitali chimiche. Se, ad esempio, abitui un animale al siero umano, dalla reazione tra il siero animale e una data sostanza sconosciuta puoi accertare se essa contiene o no tessuti umani. I particolari degli esperimenti variano, naturalmente ma con l’applicazione del siero si può determinare se una macchia di sangue o di altre sostanze organiche proviene da un uomo o da un animale diverso.»
«Il libro che mi avete dato parla di questi esperimenti?» s’informò il ragazzo.
«No. Se vuoi qualcosa sull’argomento posso darti un altro volume, però ti avverto che sarà difficile per te da capire, perché è un manuale di chimica in uso nelle Università. Ma mi vuoi spiegare questo tuo interesse? Stai decidendo la tua carriera?»
«Come? Oh, certo, penso anche a quello, ma non farò il vostro mestiere, dottore. Questa è una mia curiosità. Voglio cercare di capire una cosa da solo. Se non ci riesco tornerò da voi. Grazie, dottore.»
Il dottor Seever tornò a immergersi nel suo lavoro, e il ragazzo se ne andò. Più tardi, quello stesso pomeriggio, il medico disse al padre di Robert: «Se fossi in voi non mi preoccuperei affatto per il ragazzo, Art. Robert è soltanto preso dalla smania di risolvere un problema scientifico che ha stuzzicato la sua curiosità. Il giovane Hay ha fatto lo stesso qualche mese fa. Probabilmente vostro figlio ha in mente di sfidare il mondo!»
Bob non aveva nessuna intenzione di sfidare il mondo, né su vasta né su piccola scala. Appena lasciato il dottor Seever, si consigliò con il Cacciatore.
«Non ci servirebbe quel trucco del siero?»
Ne dubito. Conosco la tecnica per quegli esami, e so che il tuo siero sanguineo potrebbe andar bene, ma c’è un particolare: non sappiamo ancora su chi usarlo, e quando lo sapremo sarà molto più rapida una mia esplorazione personale.
«Forse hai ragione. Però se tu fossi in condizioni di lasciare il mio corpo, potrei fare io stesso l’esperimento.»
Questo è vero. Ricordiamoci quindi che abbiamo questa possibilità. Ma, a proposito, sai qualcosa di Teroa? Quando partirà?
«Il mercantile arriva ogni otto giorni, perciò sarà qui tra una settimana. Penso che Charles partirà con quello. Prima è impossibile. Non credo che ci sia in giro la Beam.»
Che cos’è?
«Una nave di una Compagnia privata. Qualche volta fa servizio tra le isole e il continente. Ho preso quella quando sono partito da qui. Ma lasciami pensare… Dunque, doveva andare in bacino di carenaggio a Seattle, dopo quel viaggio, per far qualcosa al motore. Dev’essere ancora là. Immagino che adesso mi chiederai chi è partito con la Beam quando siamo partiti noi. La risposta è: nessuno è partito.»
Grazie per aver afferrato con tanta prontezza e aver risposto così rapidamente, disse il Cacciatore. Se avesse potuto avrebbe sorriso.
Bob non aveva orologio, ma a occhio e croce giudicò che mancasse poco alla fine delle lezioni, perciò si diresse alla scuola. Era un po’ presto, e il ragazzo aspettò lì davanti. L’attesa non fu lunga.
«Non cominciate a dirmi che sono fortunato perché non ero a scuola come voi!» disse subito, interpretando le espressioni degli amici che gli si affollarono intorno appena usciti. «Propongo di andare ad aggiustare la barca. Lunedì comincerò anch’io le lezioni, e vorrei divertirmi un po’ in questi giorni.»
«Fortuna ne hai portata, comunque» disse Hay. «Per settimane abbiamo cercato un’asse, e non l’abbiamo trovata finché non sei arrivato tu! Ragazzi, andiamo ad aggiustare il fondo finché dura la fortuna.» Un coro di approvazioni salutò la proposta, e tutti andarono a prendere le biciclette. Bob venne portato in canna da Malmstrom, perché era andato a piedi dal dottore. All’altezza di casa sua smontò per andare a prendere alcuni arnesi, poi, insieme all’amico, raggiunse il corso d’acqua e lì si fermarono ad aspettare gli altri che erano andati a loro volta a rifornirsi di attrezzi. Quando furono di nuovo riuniti, depositarono le biciclette, rimboccarono i pantaloni, tolsero le scarpe e imboccarono il sentiero che portava al punto dove c’era la barca. Il sentiero faceva praticamente parte del corso d’acqua, e i ragazzi non si erano mai preoccupati di costruire dei ponti.
Guazzando e saltando tra l’acqua e i cespugli, finalmente arrivarono a posare il loro carico di attrezzi nel punto in cui il piccolo canale finiva nella baia. Lì c’era la barca in secca, e accanto alla barca la grossa tavola di legno.
I ragazzi tirarono un respiro di sollievo. Nessun pericolo che qualcuno si prendesse la barca, soprattutto in quelle condizioni, ma per il legname era un’altra faccenda. Il fondo dell’imbarcazione era veramente conciato male: c’era un bel buco, largo una decina di centimetri e lungo almeno sessanta.
I ragazzi non erano carpentieri, ma, rivoltata la barca, tolsero la striscia di legno rovinata a tempo di primato.
Sostituire l’asse fu più complicato. Il primo tentativo diede vita a una striscia troppo stretta e irregolare, per la loro incapacità di segare diritto dove c’erano i nodi del legno. La seconda striscia risultò troppo larga, ma finalmente, dopo una bella faticata, ottennero le dimensioni volute.
L’opera di sostituzione, con l’aiuto di qualche tassello ricavato dalle schegge, riuscì in modo soddisfacente.
Subito spinsero la barca in acqua, recuperando i remi nascosti fra i cespugli, e saltarono nell’imbarcazione. Pensarono per un attimo di aspettare un po’ perché la nuova tavola si gonfiasse e fosse possibile controllare che non imbarcasse troppa acqua, ma l’impazienza e il sapere di essere tutti eccellenti nuotatori giocò in favore di una partenza immediata. Effettivamente acqua ne entrava, ma in quantità tale da poter essere tolta facilmente con le apposite tazze. Se ne incaricarono i due più giovani, mentre Rice si metteva al timone e Bob e Kenneth Malmstrom remavano.
A un tratto, Bob si rese conto che mancava qualcuno: il cane che di solito li accompagnava, accucciandosi a poppa.
A ripensarci bene, non l’aveva visto affatto dopo il suo ritorno.
«Che fine ha fatto Tip?» chiese a Rice.
«È un mistero» rispose l’amico. «È scomparso parecchio tempo fa, prima di Natale. L’abbiamo cercato dappertutto… Forse ha tentato di raggiungere a nuoto l’isolotto dove Norman ha il suo serbatoio, ricordandosi di essere andato là qualche volta con noi, ed è stato preso da un pescecane. Però non ne sono molto convinto. Non si è mai visto un pescecane così vicino a riva! Comunque, è scomparso.»
«Che strano. L’avete cercato nella giungla?»
«Sì, per quanto non molto bene. Però l’abbiamo chiamato e se fosse stato là, vivo, ci avrebbe sentiti. Ma che cosa potrebbe averlo ucciso nella giungla?»
«Già» approvò Bob. «Serpenti non ce ne sono.» Poi cambiò discorso. «Cos’è la storia del serbatoio? Norman vuol fare concorrenza alla Compagnia dei Petroli?»
«Ho ripulito una pozza su un isolotto della scogliera» rispose Norman Hay, interrompendo per un attimo il suo lavoro. «Poi ho tappato le fessure delle pareti e l’ho riempito con alghe, pesci, eccetera, per farne un acquario. In principio è stato solo per divertimento, ma poi ho scoperto che alcune riviste cercano fotografie a colori di vita marina, e io ne ho mandato qualcuna. Il guaio è che nella pozza pare che non riesca a vivere niente. Muore persino il corallo!»
«Andiamo a darci un’occhiata» disse Bob.
«È tardi, ora» osservò Norman. «Abbiamo perso molto tempo, oggi!»
I ragazzi alzarono le teste a guardare la posizione del sole. Nonostante il parere dei genitori, i cinque amici non rinunciavano alle loro gite alla scogliera, ma nessuno osava arrivare in ritardo per l’ora di cena. Non ci furono obiezioni quando Rice manovrò il timone girando la prua della barca verso l’isola, e i rematori raddoppiarono di lena.
Bob remava pensando che un altro giorno era passato senza portare niente di nuovo e di utile per la soluzione del loro problema, suo e del Cacciatore. L’extraterrestre diceva che bisognava esaminare Charles Teroa, ma non aveva particolari sospetti sul polinesiano. Diceva così solo perché Charles tra poco non sarebbe più stato sull’isola. Pensando all’amico, Bob ricordò il colloquio del mattino e si chiese se Rice fosse già al corrente della novità.
«Qualcuno ha visto Charles Teroa, oggi?» chiese.
«Io no» rispose Malmstrom. «Cosa ne pensate di quella sua idea di avere un imbarco? Ce la farà?»
«Conoscendo Charlie, direi di no» disse Rice. «Se fossi un armatore, preferirei assumere qualcuno che non si addormenta quando lavora.»
«Però ha lavorato bene nel suo giardino» disse Bob.
«Sì, ma con la madre che non gli stacca gli occhi di dosso e le sorelle che gli danno una mano. La sai l’ultima di Charlie? L’ultima volta che sono andati a liberare il passaggio a est, si è addormentato su una barca carica di dinamite.»
«Ma va… Stai scherzando!»
«Nemmeno per sogno. L’hanno mandato da solo a prendere un carico, raccomandandogli di tornare subito. Be’, venti minuti più tardi mio padre l’ha trovato che andava alla deriva a un palmo dalle rocce. Dormiva come un ghiro con i piedi appoggiati sulla cassetta di dinamite. Per fortuna il mare era calmissimo e non è stato sbattuto contro la scogliera.»
«Forse sapeva di non correre pericoli» disse Bob.
«Può darsi, però io non gli affiderei il mio gatto» commentò Rice con un sogghigno.
Bob guardò l’amico. «Un giorno o l’altro, se non la smetti di prenderlo in giro, dovrai ingoiare un rospo» disse. «Comunque, quella storia dell’imbarco clandestino non è stata un’idea tua?»
Rice avrebbe potuto chiedere che cosa c’entrava questo, ma in quel momento il fondo piatto della barca grattò sulla sabbia, e i ragazzi saltarono giù.