Il mercoledì mattina Bob uscì presto di casa per passare dal medico prima di andare a scuola, ma non si fermò molto dopo la prova, negativa, della terza iniezione, perché non sapeva a che ora Charles Teroa sarebbe andato dal dottor Seever, e non aveva voglia di incontrarlo. A scuola andò tutto come al solito, ma quando uscirono, invece di scendere a lavorare sulla barca i ragazzi decisero di salire di nuovo al cantiere. Malmstrom però se ne andò per conto suo senza dare spiegazioni, e Bob ebbe la tentazione di seguirlo; poi pensò che c’erano altri due sospetti da tenere d’occhio, e cambiò idea.
Al cantiere, per tipi come loro c’era da divertirsi. Bob e Colby, quest’ultimo fornito di guanti da lavoro, si misero in testa di aiutare gli uomini intenti a segare delle spesse tavole di legno. Norman Hay e Kenny Rice si rifornirono di chiavi inglesi, e convinsero un altro gruppo di operai a lasciarli stringere dei bulloni. Dopo un po’ naturalmente si stancarono e cambiarono occupazione, e Bob ottenne il permesso di guidare un carrello fino al serbatoio per farsi riempire una latta di vernice. Sulla strada del ritorno incontrò Rice intento a trasportare tubi metallici, e gli disse perché avesse cambiato lavoro.
«Ho lasciato cadere un bullone e per un pelo non ho preso in pieno mio padre» rispose Rice più divertito che mortificato, «e lui mi ha detto di andarmene immediatamente di là finché non avevo ancora ucciso nessuno! Mi chiedo cosa direbbe se lasciassi cadere tutti questi tubi lungo il sentiero in discesa.»
«Non ti consiglio di provare» rispose Bob.
«Forse hai ragione.»
I due ragazzi si separarono. Dopo aver aiutato per un po’ suo padre reggendo l’attrezzo per i rilievi, Bob passò a osservare, dall’alto di una scala, le varie forme delle sezioni prefabbricate, cercando di indovinare dove erano destinate: occupazione sufficientemente interessante per divertirlo e abbastanza sicura da non suscitare le ire di suo padre.
Soltanto dopo una mezz’ora il ragazzo si ricordò improvvisamente che sarebbe dovuto andare dal dottor Seever dopo la scuola, ma come capita ai cospiratori non gli venne in mente che non c’era nessun bisogno di rendere conto gli altri dei suoi movimenti, e cominciò a cercare una scusa valida per allontanarsi dal cantiere. Ci stava pensando quando gli arrivò la voce di Colby che lavorava più in alto di lui.
«Sta arrivando Charlie, da solo. Credevo che Kenneth fosse andato da lui!»
Bob guardò verso il sentiero. Era vero, Charles Teroa saliva lentamente verso il cantiere.
Da quella distanza non era possibile distinguere la sua espressione, ma da come camminava, a testa bassa, strascicando i piedi, il ragazzo capì che il polinesiano era già stato dal dottor Seever. Per un attimo Bob pensò di scendere di lì e andare a nascondersi da qualche parte.
Adesso Teroa era abbastanza vicino, e la sua faccia solitamente allegra aveva una espressione indecifrabile, motivo più che sufficiente per far capire agli operai che lo salutavano al passaggio senza ricevere risposta, che qualcosa non andava per il verso giusto. Diplomaticamente nessuno fece commenti. Ma il termine diplomazia non esisteva nel vocabolario di Kenny Rice.
Il ragazzo stava lavorando più in basso, a circa trenta metri dalla scala di Bob. Era intento a trasportare paletti usando la treggia che aveva riparato e che sembrava assurdamente grande accanto a chi la trascinava, perché Rice era piuttosto piccolo.
Alzò la testa dal lavoro sentendo Teroa avvicinarsi, e lo salutò.
«Salve, Charlie. Tutto a posto per il tuo viaggio?»
Charlie non cambiò espressione, e rispose in tono apatico: «Non parto.»
«Cos’è? A bordo non ci sono letti sufficienti?» Fu una frase cattiva, e Rice si pentì di averla detta nell’attimo stesso in cui pronunciava l’ultima parola, perché in fondo era un buon ragazzo. Ma non si scusò. Non ne ebbe il tempo.
Come Bob aveva intuito, Teroa aveva appena visto il dottor Seever. Erano mesi che il ragazzo aveva desiderato partire, da circa una settimana aveva progettato tutto, quel che è peggio, aveva annunciata in giro la sua partenza. La dichiarazione del dottore, secondo cui bisognava aspettare almeno un altro viaggio, era stata un gran brutto colpo per lui: Teroa non riusciva a vedere la ragione del rinvio, e questo era comprensibile. Dopo essere uscito dallo studio del dottore, aveva camminato senza meta per più di un’ora, prima che i piedi lo portassero al cantiere. Probabilmente, se avesse fatto caso a dove stava andando, avrebbe evitato la zona inevitabilmente affollata di lavoratori e ragazzi. Non era certo nella vena più adatta per stare in compagnia. Più ci pensava, meno gli sembrava giusta la decisione del medico, e più cresceva la sua collera. La battuta di Kenny Rice, a parte ogni altra considerazione, era capitata nel momento meno adatto.
Il polinesiano non perse tempo a pensare. Era a un paio di metri da Rice quando questi aveva parlato, e reagì immediatamente. Scattò in avanti, e sferrò un pugno.
Rice ebbe una reazione fulminea che lo salvò dalle conseguenze del colpo. In quel pugno, Teroa aveva messo tutta la sua forza. Rice si piegò all’indietro, lasciò andare la treggia, e si mise in posizione di difesa. Teroa, perdendo qualsiasi briciolo di controllo che poteva essergli rimasto nel momento in cui il suo pugno si perdeva nell’aria, riprese l’equilibrio, e si scagliò di nuovo in avanti, roteando tutti e due i pugni. E l’altro, con le spalle contro i cassoni che gli impedivano di indietreggiare, rispose al martellamento dell’altro.
Le squadre di operai vicino ai quali lavorava Rice, erano state colte talmente di sorpresa che non fecero in tempo a intervenire. Bob era troppo lontano, come tutti quelli che si trovavano al di là del serbatoio. Colby non aveva modo di scendere dall’impalcatura. Così la lotta continuò per alcuni minuti con tutta la violenza di cui erano capaci i due avversari. Rice, che in un primo momento si era limitato a difendersi, perse la calma quando un pugno di Teroa superò la sua guardia e lo colpì con forza alle costole, e da quel momento passò a fare del pugilato vero e proprio.
Il fatto che l’altro fosse di tre anni più anziano, di una buona testa più alto, e di conseguenza più robusto, aveva un peso considerevole sulle sue possibilità di successo. Nessuno dei due si batteva scientificamente, ma nonostante questo alcuni colpi efficaci arrivarono ugualmente a segno, soprattutto da parte di Teroa, che si trovava la faccia dell’avversario proprio all’altezza giusta; però le sue costole furono sottoposte a un buon fuoco di fila, e almeno una volta il ragazzo meno giovane barcollò all’indietro per un colpo in pieno stomaco.
Indietreggiò, e abbassò i pugni sulla parte colpita. Per Rice quello fu il momento della riscossa. Agì d’istinto, e non era certo un pugile professionista, ma non avrebbe potuto reagire più rapidamente e correttamente dopo anni di allenamenti sul ring. Nel momento in cui le braccia di Teroa si abbassavano, il pugno sinistro di Rice scattò in su e raggiunse in pieno il naso dell’avversario. Fu un colpo perfetto, e Rice lo ricordò sempre con piacere, anche se aveva poco da essere fiero per quella rissa. Fu tutta la soddisfazione che ebbe. Teroa riprese fiato, si rimise in guardia, e rispose con un pugno talmente identico nella collocazione da dare la misura della totale inefficacia della guardia di Rice. Qui finì il combattimento. L’uomo con l’altra treggia si era ripreso dalla sorpresa, e aveva afferrato Teroa alle spalle. Bob, che aveva avuto il tempo di raggiungere una scala e precipitarsi sul teatro dello scontro, fece altrettanto con Rice. Nessuno dei due contendenti fece seri sforzi per liberarsi. L’improvvisa azione li aveva caricati. Adesso la pausa diede loro la possibilità di valutare la situazione, e tutti e due assunsero un’espressione confusa.
I bambini che avevano fatto cerchio intorno ai due, si stavano divertendo un mondo, ma gli uomini che si erano fatti largo fra i piccoli spettatori non mostravano lo stesso entusiasmo. Il signor Rice aveva un’espressione che sarebbe bastata da sola a togliere ogni altra velleità al figlio.
Un figlio che non era certo migliorato nell’aspetto. Le ammaccature stavano cominciando a prendere un bel color rosso porpora che si intonava perfettamente al rosso dei capelli, e gli sanguinava il naso. Le ferite del suo avversario erano quasi tutte nascoste dalla camicia, ma anche lui perdeva sangue dal naso, e questo testimoniava a favore dell’abilità di Rice.
Rice padre si piantò a gambe larghe davanti a Kenny, e dopo avere ingoiato la voglia di dire quello che aveva sulla punta della lingua, perché non sarebbe stato bello, davanti a tanti spettatori, sibilò: «Kenneth, sarà meglio che tu vada a lavarti la faccia e a togliere le macchie di sangue dalla camicia, prima che tua madre ti veda. Parleremo più tardi.» Poi si rivolse al polinesiano: «Charles, ti sarò grato se andrai con lui a fare la stessa cosa. In seguito mi farà piacere sapere esattamente come è successa questa stupida storia.»
I ragazzi non dissero niente, e si avviarono subito giù per il sentiero diretti alla baia, con aria mortificata. Bob, Norman e Hugh li seguirono. Bob e Hugh avevano assistito all’inizio della lite, ma non intendevano parlare finché i protagonisti non avevano deciso cosa fosse meglio dire.
Il signor Kinnaird conosceva a sufficienza suo figlio e gli altri ragazzi per capire il motivo di quel silenzio. Per questo non disse niente mentre girava attorno al serbatoio per andare incontro al gruppetto che arrivava.
«Nella jeep ho del sapone per acqua di mare» disse. «Andrò a prenderlo e ve lo darò se uno di voi va a portare questo al signor Meredith, alla segheria.» Mosse un braccio. Involontariamente, alla vista del grosso disco, Colby si tirò indietro, poi, ripresosi, il ragazzo infilò il dito nel foro centrale della lama e risalì la collina mentre il signor Kinnaird si avviava alla jeep. Rice e Charles accettarono il sapone con gratitudine, soprattutto Rice, preoccupato all’idea di quella che poteva essere la reazione di sua madre alla vista delle chiazze di sangue.
Mezz’ora più tardi le macchie erano quasi sparite del tutto dalle camicie, e Kenny Rice cominciò a preoccuparsi della prossima reazione di sua madre di fronte a un paio di magnifici occhi blu. Per un miracolo aveva ancora tutti i denti, ma a parte questo Bob e Norman erano pronti a giurare che sarebbe passato parecchio tempo prima che la gente smettesse di chiedere a Kenny notizie della sua salute. Da questo punto di vista Charles era messo meglio. Il polinesiano era stato colpito alla faccia soltanto una volta, e il gonfiore sul mento sarebbe sparito in un paio di giorni.
Alla fine di quella mezz’ora l’animosità fra i due ragazzi era completamente sparita. I due contendenti avevano passato la maggior parte del tempo a scusarsi a vicenda tra un impacco e l’altro, e Bob e Norman si divertirono a vederli risalire la collina l’uno accanto all’altro per andare a presentarsi al vecchio Rice.
«Be’» commentò Norman, «bisogna ammettere che Kenny se l’è voluta. Spero che si ricordi per un pezzo della lezione.»
«Già, non ha scelto il momento per fare lo spiritoso» disse Bob. «Proprio quando Charles ha detto che non sarebbe partito! Doveva essere di umore nero anche senza bisogno di quel commento!»
«Non ho sentito. Charlie ha detto che non parte?»
«No, non parte…» Bob si fermò a tempo, ricordandosi che ufficialmente lui doveva ignorare come gli altri i motivi che impedivano la partenza del polinesiano. «Ma non ha avuto il tempo di spiegare il perché, e immagino che non sarebbe buona tattica chiederlo adesso… Vogliamo andare su a vedere l’incontro con il vecchio?»
«Sarebbe interessante, ma io devo andare a mettere i campioni nel mio acquario perché in questi giorni, con la barca da aggiustare, non ne ho avuto il tempo. Vieni con me? Ci possiamo andare a nuoto.»
Bob esitò. Dire di no sarebbe stata un’ottima occasione per andare dal dottor Seever a fare la nuova iniezione, per quanto lui non contasse molto sui risultati, ma il ragazzo aveva una gran paura di tradire i veri motivi del suo rifiuto.
«E Hugh?» chiese. «Non si è più visto. Forse verrebbe volentieri anche lui.»
«Avrà trovato qualche nuovo divertimento» disse Norman. «Allora, andiamo o hai qualcos’altro da fare? Se tu non vieni, io torno indietro.»
«Stavo pensando a una cosa infatti» rispose Bob. «Forse è meglio che me ne occupi adesso.»
«Bene. Ci vediamo più tardi.» Norman s’avviò per la salita seguendo a distanza Rice e Charles, mentre Bob, chiedendosi preoccupato cosa sospettasse l’altro, si mosse in direzione del grande dock. Camminava lentamente perché doveva riordinare le idee, e il Cacciatore non lo disturbò.
I suoi piani si arenarono davanti al cartello affisso alla porta del dottor Seever, con il quale il medico annunciava di essere fuori per una visita e di non sapere a che ora sarebbe rientrato.
La porta però non era chiusa: il medico non chiudeva mai. Dopo averci pensato un po’, Bob entrò nello studio. In fondo non aveva altro da fare. Forse il dottor Seever non avrebbe tardato molto. E poi lì c’erano parecchi libri che potevano essere utili o interessanti. Il ragazzo andò alla scansia, scorse i vari titoli, prese i volumi che gli parvero più promettenti, e sedette per consultarli.
I libri forse potevano essere utili, ed erano certamente interessanti, ma per quanto fosse intelligente Bob non riusciva a seguire il significato dei termini tecnici di cui i volumi erano zeppi, perciò, dopo qualche tentativo si trovò a seguire più spesso i suoi pensieri che la lettura.
Pensava agli avvenimenti di quel pomeriggio, e a un certo punto chiese al Cacciatore il suo parere sui sospetti che il giorno prima lui e il dottor Seever avevano elaborato contro Rice e Norman.
Ho evitato di criticare i vostri sforzi, rispose l’extraterrestre, perché mi sembra che, nei vostri ragionamenti, ci sia un certo fondamento, per quanto mi sembra che siate arrivati alla conclusione sbagliata. Preferisco non dirti la mia opinione su Norman Hay e Kenny Rice, o su uno qualunque degli altri tuoi amici, perché se mi metto a scoraggiare i tuoi sforzi solo basandomi sul fatto che divergono dai miei, allora tanto varrebbe che lavorassi da solo.
Bob riprese a pensare, riesaminando tutti i ragionamenti e le ipotesi fatte su ognuno dei suoi amici. E arrivò a un risultato. Ma non ebbe occasione di discuterne con il Cacciatore perché mentre l’idea gli balenava nel cervello sentì i passi del dottor Seever sotto il portico. Il ragazzo scattò in piedi, la fronte ancora corrugata per lo sforzo, e si voltò verso la porta che si apriva.
«Ho delle novità per voi» esclamò. «Potete lasciar partire Charles Teroa, e possiamo anche eliminare Rice dalla lista!»