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Un cerchio di cinque chilometri di raggio ha un’area di circa ottanta chilometri quadri. Di conseguenza, la cartina preparata da Roger ed Edith Wing non era molto dettagliata. D’altra parte, come fu costretto ad ammettere il loro padre, il fianco di una montagna ricoperto di alberi non presenta molti dettagli che possano finire su una cartina, e il disegno portato dai ragazzi conteneva tutti i sentieri e i corsi d’acqua a lui noti. Inoltre, e questa era la cosa più importante, mostrava chiaramente che i due ragazzi avevano effettivamente esplorato l’area in questione. Era appunto il tipo di esperienza che mancava alla ragazza, e che lui voleva farle fare, prima di permetterle di lasciare i sentieri battuti.

Infine sollevò lo sguardo dal vecchio quaderno. La famiglia era radunata accanto al fuoco e i due cartografi stavano a lato del padre. Don sedeva a terra tra le sedie, con Billy in braccio; Marjorie sedeva sulle ginocchia della madre. Tutti erano in attesa del verdetto.

«Mi sembra che abbiate fatto un buon lavoro» disse alla fine Wing padre. «Con l’aiuto di una cartina come questa, chiunque sarebbe capace di orientarsi nella zona. Edie, come pensavi di poterne fare senza?»

«Certo, hai ragione, papà» rispose la ragazza, in tono leggermente sorpreso. E aggiunse: «Perché, non devo usarla?»

Il padre alzò le spalle. «Decidi tu, se vuoi portarti dietro il quaderno per tutto il giorno. Per quanto mi riguarda, puoi benissimo lasciarlo a casa. E per i turni di guardia, come vi siete regolati, voi due?»

Rispose Roger, che si accostò al padre e, chinandosi sulla cartina, gli illustrò quanto andava dicendo. «Ci sono otto sentieri che entrano in diversi punti della zona da noi considerata. Io e Don avevamo questa abitudine: facevamo ogni giorno il giro dell’intero perimetro, percorrendo un piccolo tratto di ogni sentiero; quel tanto che bastava per assicurarci che nessuno fosse passato. In certi punti è praticamente impossibile transitare senza lasciare qualche traccia. Per andare da un sentiero all’altro usavamo scorciatoie dello stesso tipo: anche su quelle si poteva sempre capire se c’era passato qualcuno.

«Questa volta ci regoliamo in maniera un po differente. Io mi occupo sempre del controllo dei sentieri, ma abbiamo cercato i punti su cui può salire una persona che desidera spiare le mosse di coloro che si allontanano dalla casa. Fortunatamente, di questi punti non ce ne sono molti: meno dei sentieri. Edie può controllarli quasi tutti in due ore e mezza di cammino, e abbiamo stabilito che farà due giri al giorno, mattina e pomeriggio. Abbiamo già fatto delle prove. Quanto a me, posso controllare gli altri durante i miei giri di sorveglianza dei sentieri. È un sistema non molto diverso da quello che hai sempre adottato tu nel lasciare la casa: facevi un tragitto a zigzag, e ci incaricavi di controllare l’eventuale presenza di qualche osservatore, in modo che uno di noi facesse sempre in tempo ad avvertirti se vedevamo qualcuno. Non abbiamo mai visto nessuno, a quanto mi ricordo, ma credo che la cosa non significhi niente.»

Wing padre sorrise. «Può darsi che tutte queste precauzioni siano esagerate» disse. «Ma ho le mie buone ragioni per desiderare che il posto dove prendo il metallo rimanga sconosciuto. Una mezza dozzina delle ragioni è qui con me in questa stanza. Inoltre, credo che il lavoro di sorveglianza possa essere anche un divertimento, e vi tiene fuori di casa in un periodo dell’anno in cui vi fa bene stare all’aperto. Se due o tre di voi si dedicheranno in futuro a studi scientifici, potremo forse fare insieme del lavoro che ci porterà a superare tutti questi segreti.»

La ragazza più piccola, che per tutto il discorso del fratello aveva continuato a dare segni crescenti d’irritazione, interruppe il padre quando le parve che avesse finito.

«Papà, credevo di dovere aiutare anch’io a controllare il bosco. L’ho sentito dire da Roger, ieri, e l’hai detto anche tu la prima sera.»

«Davvero? E come hai fatto ad ascoltarci, quella sera? A quanto ricordo, della cosa si è parlato soltanto quando tu eri già a letto. Quello che ho detto resta valido: tu puoi accompagnare Roger ed Edie nei loro giri di ispezione, ma quando sei sola non devi allontanarti dalla casa. E questo vale anche per te, Billie! Potrete girare quanto volete per i boschi, senza bisogno di staccarvi dagli altri, e nei pressi della casa c’è un mucchio di cose che vi può tenere occupati. Da cinque o sei anni mi riprometto di portare quassù un carico di cemento, a condizione che voi ragazzi raduniate le pietre occorrenti per fare una diga. Anche a me piacerebbe avere una piscina dove nuotare. Secondo Don, non c’è bisogno del cemento, ma sarà lui a dovercelo dimostrare. Naturalmente, se riuscirà a dimostrarcelo, il primo a rallegrarsene sarò io stesso.»

Si appoggiò allo schienale e allungò le gambe davanti a sé. Billy si trasferì immediatamente dalle spalle del fratello alle caviglie del padre, e aggiunse la propria voce alla conversazione. Voleva prendere parte a uno dei viaggi d’esplorazione prima che il padre andasse a raccogliere minerali, e continuò a ripeterlo con fervore. Wing padre evitò accuratamente di pronunciarsi finché non venne salvato dal rintocco dell’orologio. A questo punto sollevò bruscamente le gambe, depositando il ragazzino sul pavimento.

«A letto i piccoli!» proclamò con solennità.

«Una storia!» esclamò Margie. «Da quando siamo arrivati, non ci hai letto nessuna storia!»

Il padre aggrottò la fronte. «Quanto occorrerà, perché siano pronti per andare a letto?» domandò, parlando tra sé. Fruscio di piedi di bambini che si affrettavano ad andare a cambiarsi. Wing padre si voltò verso lo scaffale dei libri, posto accanto al focolare, e così facendo incontrò con lo sguardo la faccia sorridente del secondo figlio. «D’accordo, giovanotto, alcuni di noi hanno bisogno di divertimento… ma altri hanno anche bisogno di un po di disciplina. Mi pare che tu ed Edie possiate guadagnare qualche minuto correndo nella vostra stanza a imitare il buon esempio dei vostri fratellini!» Ridendo, i due gli obbedirono.

Senza nessun motivo preciso, la storia proseguì fino a tarda ora. All’inizio era molto interessante, ma poi il ritmo della narrazione cominciò a rallentare, e alla fine Billy e Margie furono portati a letto di peso… anche se l’indomani mattina si rifiutarono di ammetterlo.

A colazione, Roger cercò di farsi dire dal fratellino la conclusione della storia, e rimase sorpreso nel vedere che Billy non voleva ammettere che il fatto di non saperla ripetere dimostrava che s’era addormentato prima che terminasse. Alla fine, il fratello maggiore desistette e andò a sellare i cavalli; non era costituzionalmente adatto a sostenere le proprie tesi in una discussione in cui le uniche parole dell’oppositore erano: «Non dormivo!».

Era giorno d’acquisti, e toccava a Roger scendere a Clark Fork con la madre per fare la spesa per la settimana seguente. Partirono subito dopo colazione, non appena gli animali furono pronti. Edie e i bambini piccoli si allontanarono per svolgere gli incarichi loro assegnati; quando tutti furono usciti, Wing padre è Don indossarono vestiti adatti a un’escursione sui monti e si diressero a est. Roger avrebbe dato qualsiasi cosa per seguirli.

Il sentiero era buono, e per le prime due ore padre e figlio fecero molta strada. Per la maggior parte del tragitto seguirono il corso dei torrenti, ma un paio di volte il padre si diresse verso spuntoni di roccia nuda che richiesero lunghe scalate.

«Questa» disse il padre, a un certo punto «è la strada più breve per raggiungere il trasmettitore, Don. È molto più vicino alla casa di quanto si pensi. Neppure vostra madre sa che si trova così vicino; eppure, Dio sa che non le nasconderei l’informazione, se venisse una volta con me in una di queste spedizioni. Nei miei viaggi regolari, io seguo un percorso assai tortuoso che ho trovato molti anni fa, quando avevo davvero paura di essere seguito. Si era alla fine della prima guerra mondiale, ben prima che conoscessi vostra madre. A quell’epoca, in questa parte del paese, c’era un mucchio di persone disposte a gettarmi in un burrone senza pensarci due volte, per una piccola percentuale del valore che ho riportato indietro dal mio primo viaggio. Ti assicuro, al mio ritorno da quel primo viaggio, ho riflettuto lungamente su tutta la situazione. E tra poco ne vedrai anche tu il motivo.»

Don attese qualche istante prima di rispondere. Pareva che dedicasse tutta la sua attenzione ad attraversare il pendio coperto di ciottoli su cui passavano in quel momento. Era una zona impossibile ad attraversarsi senza lasciare tracce, e all’inizio non aveva capito bene perché suo padre l’avesse scelta, finché non aveva pensato che probabilmente l’aveva fatto apposta per poter controllare, sulla strada del ritorno, se era stato seguito da qualcuno. Terminato il passaggio pericoloso, quando discesero nuovamente ai piedi del pendio, rispose al padre finalmente:

«Hai detto prima, papà, che noi siamo il motivo che ti ha spinto a tenere nascosta la fonte di questi metalli. Però, mi sembra che anche queste considerazioni sarebbero dovute passare in secondo piano allo scoppio della guerra. Sarebbe stato meglio affidare la vena mineraria al governo perché la utilizzasse per le sue necessità belliche. Con questo, non voglio dire che non sia lieto di frequentare l’università, ma… ecco…» s’interruppe, leggermente a disagio.

«Hai ragione, Don, e anche su questo ho riflettuto a lungo, allo scoppio della guerra, quando tu eri alle medie e Billy muoveva i primi passi. Forse avrei potuto fare come dici tu, a parte il fatto che l’unico risultato della pubblicità, probabilmente, sarebbe stato quello di fare sparire la fonte del metallo. Abbi pazienza… Tra pochi minuti arriveremo sul posto, e potrai vedere personalmente.»

Donald gli rivolse un cenno d’assenso con la testa, e per qualche tempo proseguirono in silenzio. Una volta terminata la zona coperta dalla ghiaia dello smottamento, la strada seguita da Wing padre li aveva condotti in una stretta gola: adesso la risalirono, procedendo rapidamente lungo la riva del ruscello che scorreva sul fondo. Dopo dieci minuti di salita, gli alberi cominciarono a farsi sempre più radi, e presto i due escursionisti si trovarono su quella che praticamente era roccia nuda. La roccia s’innalzava ancora per qualche decina di metri sopra di loro, ma Wing padre non sembrava avere alcun desiderio di salire fino alla cima del monte.

Invece di salire, tornò a scendere, e attraversò rapidamente la roccia nuda come se avesse davanti agli occhi un sentiero chiaramente segnato; in breve, padre e figlio giunsero ai bordi di una depressione che pareva avere fatto da bacino di raccolta per le pietre rotolate dai punti più alti della montagna. Facendosi strada in mezzo a esse, con Donald che lo seguiva a pochi passi di distanza, Wing padre alla fine si fermò e si fece da una parte, per permettere al figlio di vedere cosa si stendeva davanti a loro.

Era una struttura di metallo pressoché priva di rilievi, di forma quasi cubica e con circa un metro di lato. Su una delle facce c’era una piccola apertura, in cui si scorgeva un oggetto sporgente che sembrava un interruttore a levetta. Su varie parti della superficie si scorgevano inoltre delle viti dall’aspetto alquanto comune.

Dopo avere permesso a Donald di osservare attentamente l’oggetto per alcuni istanti, Wing padre prese di tasca un piccolo cacciavite e cominciò a svitare le viti, che si lasciarono togliere senza difficoltà. Donald non aveva un cacciavite, ma poté toglierne alcune con le dita: in due o tre minuti il padre riuscì a staccare alcune piastre di copertura e a mostrare l’interno del blocco di metallo. Don si chinò a osservare, e fece un fischio.

«Che cos’è, papà? Certamente non si tratta di una radio normale!»

«No» rispose il padre «ma sembra effettivamente una radio di genere sconosciuto. Non so che tipo di onde usi, e neppure la sua portata, o la sua fonte di alimentazione… anche se ho qualche mia idea sulla portata e l’alimentazione. È facilissimo usarla, comunque. Penso che chi l’ha fabbricata l’abbia fatto apposta, perché c’è soltanto l’interruttore che vedi. Non so però se intendeva che l’interno fosse così facilmente accessibile.»

«Ma da dove arriva?» domandò il figlio. «Chi l’ha fabbricata? Come hai fatto a trovarla?»

«È una storia un po lunga, ed è successa, come ti ho già detto, prima che tu nascessi… Avevo appena finito l’università, dove mi ero interessato a lungo di questa parte del paese; decisi dunque di venire a vederla di persona, e finii per trovarmi qui sulle montagne. Partii da Helena, e mi recai a piedi fino a Flathead, lungo il Parco del Ghiacciaio, poi a ovest lungo il confine per raggiungere Kootenai, e alla fine tornai indietro seguendo il fiume, oltre il traghetto di Bonner, fino ai Cabinets. Non è una delle più belle escursioni che si possano fare, ma vidi un mucchio di bei posti e mi divertii a camminare.

«Attraversavo il ruscello che abbiamo seguito pochi minuti fa, una mattina, poco dopo essere partito, quando sentii giungere dalla montagna un indescrivibile fracasso. Non conoscevo bene la zona, e confesso di essermi un po allarmato; ma avevo il fucile e mi dissi che in fin dei conti ero andato laggiù per soddisfare la mia curiosità. Mi diressi verso l’origine del rumore.

«Quando uscii dagli alberi, mi accorsi che quel rumore assomigliava a una sorta di linguaggio; perciò gridai alcune parole a mia volta, anche se non avevo la minima idea di cosa mi stessero dicendo. A tutta prima non ci fu risposta; solo quella voce fortissima che gridava le sue parole incomprensibili e stranamente regolari. Alla fine, poco al di sopra della posizione in cui ci troviamo adesso, in una zona aperta, scorsi finalmente l’origine dei rumori; e quasi allo stesso tempo il rumore cessò.

«E laggiù, in un punto aperto, dove risultava visibile da tutte le direzioni, c’era un oggetto che assomigliava a un siluro per sommergibili: a quell’epoca tutti li conoscevano, perché nella prima guerra mondiale avevano avuto un ruolo dominante. In quegli anni, la fantascienza non era ancora di moda, e Dio sa che le mie conoscenze di fisica erano quasi nulle, ma fin dall’inizio trovai difficile credere che qualcuno avesse portato laggiù quell’oggetto. Poi, quando lo esaminai con attenzione, capii che la mia teoria del siluro non era molto plausibile.

«Per prima cosa, non aveva le eliche, e neppure gli alettoni direzionali. Quell’oggetto era largo un metro e lungo sei, che è una misura che, a quanto ne so io, può andare bene per un siluro, ma l’unica interruzione sulla superficie era un’apertura che si vedeva sul lato, proprio sotto quella che doveva essere la punta, e che era spalancata come se si fosse trattato di un portello per sganciare le bombe. Io provai a dare un’occhiata dentro, anche se non mi fidai di infilarci il braccio o la testa, e vidi che l’interno della parte anteriore era costituito da un unico vano, che era completamente vuoto e dal quale giungeva un forte odore di solfo.

«Per poco non mi venne un colpo apoplettico quando l’oggetto si mise a parlarmi, questa volta con un volume di voce molto più basso: comunque, feci un bel salto, e poi mi misi a insultarlo in tutte le lingue che conoscevo, per lo spavento che mi aveva fatto prendere. Mi occorsero un minuto o due per riprendere il controllo di me stesso, e alla fine capii che i suoni emessi dall’oggetto erano un goffo tentativo di imitare le mie parole di prima. Per accertarmene, provai a pronunciare altre parole, una alla volta; quasi tutte vennero ripetute con buona approssimazione. La creatura che mi rispondeva non era capace di pronunciare la P e la B, ma per il resto se la cavava abbastanza bene.

«Ovviamente, o c’era qualcuno chiuso in fondo al siluro, o il siluro conteneva una radio, e qualcuno se ne serviva per parlare a distanza. La prima ipotesi mi pareva poco probabile, dato lo spaventoso volume sonoro emesso da quell’oggetto; e non dovetti aspettare molto perché me ne giungesse un’ulteriore conferma.

«Avevo già preso la decisione di accamparmi laggiù, anche se era ancora presto. Ed ero occupato a montare la tenda, pronunciando di tanto in tanto una parola all’indirizzo del siluro, che mi rispondeva con la sua voce rimbombante, allorché vidi comparire un altro di quegli oggetti, proprio sopra di me. Cominciò a parlare, più piano dell’altro, quando era ancora a una certa distanza sopra la mia testa. Evidentemente, le ignote creature che lo comandavano a distanza non volevano che mi spaventassi e che scappassi via. Il secondo siluro si posò accanto al primo, lasciando dietro di sé una sottile nuvola di fumo azzurro che a tutta prima mi parve lo scarico dei suoi razzi di propulsione.

«Vidi poi che si trattava solo di una perdita di gas, che usciva dalle fessure di un portello simile a quello del primo siluro: quando il portello si aprì, ne uscì una nube molto più spessa. Il particolare mi rese molto cauto, e fu una fortuna che mi fossi tenuto lontano, perché il metallo era talmente caldo che si sentiva sulla pelle la sua radiazione a un metro di distanza. All’origine doveva essere ancora più caldo, ma non saprei quanto. La puzza di solfo rimase fortissima ancora per qualche tempo dopo l’atterraggio del secondo siluro, ma alla fine scomparve.

«Dovetti aspettare qualche tempo perché l’oggetto si raffreddasse al punto di potermi avvicinare senza pericolo. E quando mi avvicinai, scoprii che questa volta il vano anteriore non era vuoto. C’era un contenitore che assomigliava a un cestino per pescatori, suddiviso in tanti compartimenti. Quelli posti da una parte erano tutti pieni di cianfrusaglie, e quelli dalla parte opposta erano vuoti. Dopo qualche tempo mi azzardai a toccare lo strano contenitore, non appena giudicai che si fosse raffreddato a sufficienza.

«Lo afferrai e lo portai fuori alla luce del sole, e a quel punto vidi un particolare che fino a quel momento non avevo notato: i compartimenti pieni erano chiusi da dei coperchietti trasparenti, di una sostanza simile a cristallo, e non si potevano aprire; tra le due parti del contenitore c’era un collegamento molto complesso, che funzionava in questo modo: occorreva mettere qualcosa in un compartimento vuoto e chiudere il suo coperchio per poter aprire il vano corrispondente posto sull’altro lato. I posti disponibili non erano molti, sei o sette, e v’infilai quello che avevo in tasca… un foglio di carta del mio quaderno d’appunti, un pezzo di granito, una sigaretta, campioni di licheni presi dalle rocce lì attorno… e prelevai l’intero contenuto dei compartimenti chiusi. Una delle cose che vi trovai era un blocco di platino e metalli analoghi, che pesava quasi un chilo.

«Giunto a quel punto, mi fermai per un attimo, perché volevo riflettere bene sull’accaduto. Per prima cosa, era chiaro che il siluro proveniva da un altro pianeta. L’unica nave spaziale di cui avevo mai sentito parlare era il proiettile descritto nel romanzo di Giulio Verne, certo, ma sul nostro pianeta non c’è nessuno che manda a spasso siluri volanti, privi di visibili mezzi di propulsione e carichi di quelle che, come capivo benissimo senza bisogno di chiederlo in giro, erano pepite di metallo prezioso; ammesso poi che qualcuno lo faccia, non credo che annunci la cosa strombazzandola con l’altoparlante, in una lingua assolutamente sconosciuta, a un volume tale da sentirla a due chilometri di distanza.

«Dato quindi che il siluro veniva dallo spazio interplanetario, il suo comportamento pareva indicare una cosa sola: che le creature che l’avevano inviato sulla Terra avevano intenzione di commerciare con noi. Comunque, decisi che l’unica ipotesi plausibile era questa, e di comportarmi di conseguenza. Presi tutte le cianfrusaglie che avevo prelevato dal contenitore e le rimisi al loro posto, eccetto naturalmente il blocco di platino, e tornai a infilare il tutto nel vano anteriore del siluro.

«Ancora oggi non ho capito se sono in grado di vedermi, anche se dubito che possano farlo, e questo per vari motivi… comunque, il portello si è chiuso quasi immediatamente e il siluro è decollato. In verticale, fino a scomparire nel cielo. Mi spiaceva di non avere niente di interessante da mettere nella mia parte del contenitore. Per un attimo avevo pensato di mettere una cartuccia del mio fucile per mostrare che avevamo un’industria meccanica, ma poi ci ho ripensato, ricordando l’alta temperatura del siluro al momento dell’arrivo.

«Il siluro impiegò due o tre ore a compiere il tragitto di andata e ritorno. Quando ritornò avevo già finito da tempo di montare la tenda ed ero andato a raccogliere acqua e legna da ardere. La mia supposizione era giusta, perché vidi che nel contenitore c’era un unico oggetto, un altro blocco di platino, e gli altri compartimenti erano vuoti. Riuscii però a ricordare cosa avevo messo, la volta prima, nello spazio corrispondente.»

Wing padre sorrise al figlio. «E questo è tutto» concluse. «Da una trentina d’anni, ormai, continuo a barattare sigarette in cambio di pepite di platino e iridio. E adesso puoi anche capire perché desideravo che tu studiassi astronomia!»

Don zufolò. «Penso di averlo capito.» Indicò il cubo di metallo, su cui il padre si era seduto per raccontare la sua storia, e disse: «Però, non mi hai ancora spiegato questo.»

«Il cubo» spiegò il padre «è sceso qualche tempo più tardi, legato a un altro di quei siluri: quando è giunto il cubo, il primo siluro è subito ripartito. Sono convinto che lo utilizzano per trovare esattamente il punto in cui siamo adesso. Nel corso degli anni abbiamo instaurato una sorta di routine. Non vengo più durante l’inverno, e credo che lo abbiano capito, ma circa due o tre giorni dopo che sposto in su e in giù questa specie d’interruttore… così» fece vedere al figlio come si faceva «la nostra situazione finanziaria riceve una boccata d’ossigeno.»

Don aggrottò la fronte, pensoso, e rimase per qualche minuto a riflettere su quanto gli aveva detto il padre. «Non capisco» disse alla fine «perché continui a tenere segreta la cosa. Se si tratta effettivamente di scambi con creature di un altro pianeta, è un avvenimento di grandissima importanza.»

«Certo, è vero. Però, se queste creature avessero voluto entrare in contatto con l’umanità in generale, non avrebbero avuto difficoltà a farlo. Ho sempre pensato che se continuavano a mantenere i contatti in questo modo, era perché non volevano fare conoscere pubblicamente la loro esistenza; e che se, tanto per fare un esempio, gli esperti si fossero messi a smontare il loro trasmettitore per vedere come funzionava, o a mandare loro libri e macchine per far vedere il livello a cui è giunta la nostra civiltà, si sarebbero affrettati ad andarsene.»

«Un simile timore mi sembra un po esagerato…»

«Forse hai ragione; ma sai dirmi tu qualche altro motivo che impedisce loro di far atterrare uno di questi oggetti in una città? Pagano cifre altissime per avere in cambio piccole quantità di tabacco… qualsiasi tabaccheria potrebbe rifornirli per anni, vista l’esiguità dei loro consumi.

«Non fraintendermi, Don; anch’io comprendo bene l’importanza di quanto succede qui, e desidero sapere tutto il possibile su queste creature e le loro macchine; ma voglio che siano studiate da persone di cui mi posso fidare: persone attente a non rovinare la situazione presente. Peccato che voi ragazzi non abbiate sette o otto anni di più, altrimenti potremmo già avere in famiglia un buon gruppo di studio. Per il momento, comunque, tu e io… soprattutto tu… dovremo occuparci delle ricerche da soli, mentre Rog ed Edie sorveglieranno la zona.

«Penso che cercheranno di spiare anche noi, naturalmente; la curiosità di Roger è arrivata al punto di tenerlo sveglio la notte, e già riconosco in lui le tendenze del futuro uomo d’azione. Mi chiedo se al nostro ritorno troveremo le tracce sue o quelle di Edie… quel ragazzo è capace di averla convinta a recarsi in città al posto suo. Qui, comunque, non abbiamo più niente da fare, a meno che tu non voglia esaminare un po meglio il comunicatore; potremmo ritornare a casa, e scoprire fino a dove giunga l’intraprendenza della generazione più giovane.»0

«Non c’è fretta» disse Don. «Preferirei dare un’altra occhiata a questa apparecchiatura. Ha il generico aspetto di un trasmettitore a onde corte, ma ci sono diversi particolari che non mi quadrano.»

«Non quadrano neppure a me» rispose il padre. «Ho imparato molte cose sulle radio, negli scorsi vent’anni, ma questa apparecchiatura è troppo avanzata, rispetto alle mie conoscenze. Ovviamente, non ho mai osato togliere altri pezzi più complicati, e mi sono limitato al solo involucro esterno; all’interno ci sono delle parti profondamente incassate, che non sono visibili dal punto dove ci troviamo. Se potessimo vederle, sarebbero estremamente interessanti da studiare.»

«Ne sono convinto anch’io» disse Don. «Ma ci dovrebbe essere il modo di vederle. Potremmo procurarci qualcosa che assomigli allo specchietto del dentista…»

«Non mi attira l’idea d’infilare un oggetto metallico in un’apparecchiatura dove ci possono essere chissà quali voltaggi astronomici.»

«Già… vero. Per prima cosa potremmo spegnerla, una volta capito qual è la posizione della leva corrispondente alla posizione di «spento». Non sappiamo se quando muovi la leva li chiami con una trasmissione a onde corte, oppure se quest’azione interrompe una trasmissione continua. Se usano il loro dispositivo come radiofaro, la seconda ipotesi è quella giusta; ma non possiamo esserne sicuri.»

«Anche se così fosse» gli fece notare il padre «spegnere l’alimentazione non sarebbe sufficiente. I condensatori possono contenere una grossa carica per molto tempo.»

Don ammise che l’osservazione era giusta, e dedicò soltanto alcuni minuti a osservare l’interno dalle aperture che si erano prodotte con la rimozione delle piastre di copertura.

«L’interno» disse alla fine «sembra composto prevalentemente di blocchi di materia plastica: bachelite o simili. Suppongo che la tiranteria sia stata annegata nella plastica per conservarla meglio. Mi chiedo come facciano, però, quando vogliono ripararla… Penso che tu abbia ragione: meglio ritornare a casa… in attesa dell’arrivo del siluro.» Si rimise in spalla lo zaino che aveva contenuto la loro colazione, o, meglio, i panini che avevano mangiato durante il tragitto, e si levò in piedi. Il padre annuì, ed entrambi si avviarono giù per la montagna, rifacendo il tragitto dell’andata.

Don era intento a riflettere su tutte quelle rivelazioni, e il padre evitò d’interromperlo. Ricordava l’effetto prodotto su di lui dai fatti che aveva testé raccontato al figlio: lui stesso, a quell’epoca, non aveva molti anni più di Don. Inoltre aveva molta stima per l’intelligenza dei propri figli, ed era fermamente convinto che fosse meglio lasciare che risolvessero da soli i loro problemi, quando non c’erano pericoli immediati. E pensò anche, con un po di tristezza, che tanto, in qualsiasi caso, quel che lui poteva dire non aveva molta importanza, dato il complesso della situazione.

Durante il viaggio di ritorno controllarono con attenzione il sentiero, ma non scorsero tracce che rivelassero che erano stati seguiti: quando giunsero nel punto dove c’era la frana di pietrisco che avevano deliberatamente attraversato durante il viaggio di andata, si separarono per controllare sia la parte più bassa, sia quella più alta, ma anche lì non videro nulla di allarmante. Niente di strano in questo, perché, come vennero a sapere quando giunsero a casa, Edith aveva fatto i suoi giri d’ispezione, come da accordi, e poi aveva passato il resto della giornata con i bambini più piccoli, mentre Roger si era recato in città come previsto. Se anche aveva pensato di farsi sostituire dalla sorella per darsi all’inseguimento del padre e del fratello, non ne aveva poi fatto niente. Wing padre non sapeva se ritenersi soddisfatto, oppure deluso.

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