15

Wing padre non fu soltanto interessato; fu affascinato dal racconto del ragazzo. Aveva buon senso sufficiente per capire che nessuna delle azioni dei suoi familiari poteva essere responsabile del fatto che gli alieni si fossero messi a esplorare di persona la Terra, ma il fatto che si fossero decisi a farlo prometteva di favorire i suoi piani.

Il pasto di quella sera fu costituito soprattutto di conversazioni, poiché venne abbandonato ogni tentativo di tenere ancora segreta la cosa a qualcuno della famiglia. La signora Wing, ovviamente, aveva sempre saputo tutto fin dall’inizio; Roger ed Edie erano stati ragguagliati quella mattina; ma Billy e Margie non avevano né i dati specifici né le conoscenze di base che erano richiesti per comprendere appieno la situazione. Facevano domande che tendevano a far perdere il filo del discorso, ma soltanto Roger pareva infastidito dalla cosa. E poiché neppure lui osava mostrare apertamente il suo disprezzo nei riguardi della loro ignoranza, il tono generale della conversazione rimase sereno e vennero prese alcune importanti decisioni.

«Mi sembra» disse Wing padre «che questi «cosi»… forse potremmo cominciare a pensare a essi come a delle persone, adesso che abbiamo qualche idea del loro aspetto… devono avere messo finalmente al lavoro qualcuno dei loro scienziati. Non riesco però a capire le ragioni del ritardo.»

«Da un’occhiata a una foto della Via Lattea, e capirai» lo interruppe Don.

«Indipendentemente dalle ragioni, il fatto in sé ci può essere utile. Faranno scendere esploratori e apparecchiature, non c’è dubbio; e avranno certo in previsione di perdere una parte delle apparecchiature. Non intendo incoraggiare nei miei figli la disonestà, ma se potessimo avere a disposizione qualcuno di quegli apparati, almeno per il tempo sufficiente a esaminarne l’interno, la cosa mi farebbe piacere.»

«Ne deduco che non hai più timore che si allontanino spaventati» disse la signora Wing, in tono più di affermazione che di domanda.

«No. La questione se vogliano continuare il commercio è ormai fuori delle mie possibilità d’intervento… probabilmente dipenderà dai risultati che i loro scienziati otterranno. Ma non mi preoccupo; è chiaro che hanno un disperato bisogno di tabacco, e ho i miei dubbi che si riesca a coltivarlo su altri pianeti. Potrei parlare con maggiore sicurezza, però, se sapessi cosa se ne fanno. Una volta pensavo che lo usassero per fumarlo, come facciamo noi, ma la conoscenza di quella che per loro è una temperatura normale fa diventare un poco improbabile la cosa.

«Torniamo comunque al punto di partenza. Chiunque parlerà con loro in una delle prossime occasioni farà bene a consigliare di far scendere un altro trasmettitore, in modo che possano posarsi vicino alla casa. Non vedo l’utilità di fare tutte le volte dieci chilometri avanti e indietro soltanto per fare quattro chiacchiere in famiglia. Detto per inciso, Rog, mi chiedo se non avremmo fatto una migliore impressione cercando di imparare le loro parole, invece di insegnargli le nostre.»

«Può darsi. Ma sul momento non mi è venuto in mente.»

«E il commercio, padre?» domandò Don. «Continui come sempre, o cerchi di dare la nostra merce a quegli esploratori?»

Il padre rifletté sulla cosa.

«Credo sia meglio attenerci ai vecchi criteri» disse alla fine. «Non abbiamo nessuna prova che commercianti e scienziati siano collegati tra loro, e sarebbe un errore deludere i nostri clienti abituali. Forse, quando ci recheremo domani all’appuntamento, potresti spingerti fino al trasmettitore per dare il segnale. E porta con te un pacchetto di sigarette. Di solito, naturalmente, occorrono due o tre giorni per avere la risposta, ma se adesso sono con gli scienziati, possono essere molto più vicini del solito. Meglio essere pronti, nel caso che arrivi subito la risposta.»

«Vuoi dire che dovrò stare tutto il giorno accanto al trasmettitore, se necessario?» chiese Donald.

«Be, non c’è bisogno di arrivare a questi estremi» disse il padre. «Resta ad aspettare per qualche tempo nei paraggi, e poi vieni pure a raggiungerci dove siamo. Possiamo tenere d’occhio noi la giusta direzione, nel caso scenda un’altra sonda… in linea d’aria non possono esserci più di due o tre chilometri, e non dovremmo avere difficoltà per vederla.»

«Va bene. Io devo mandare il segnale, e gli altri devono parlare, suggerendo in particolare di far scendere un altro trasmettitore… sempre che ciascuno impari la lingua dell’altro quanto basta per comunicare una simile richiesta.» Don cambiò bruscamente argomento. «Senti, papà, mi è venuta un’idea. Tu dici che non occorre sempre aspettare la stessa quantità di tempo tra il segnale e l’arrivo della sonda?»

«Esatto. Mai meno di due giorni, mai più di tre.»

«Puoi darmi qualche data esatta in cui hai inviato il segnale, e la corrispondente data di arrivo? Più me ne dai, meglio è. Penso di poterle utilizzare.»

Wing padre rifletté per un momento.

«Alcune date, almeno» disse. «Ricordo bene quelle degli ultimi due anni, e probabilmente anche qualcuna degli anni precedenti, se mi sforzo. Che idea avevi?»

«Preferirei non parlarne, finché non sarò più sicuro. Vediamo cosa riesci a ricordare.»

Con l’aiuto della famiglia, che ricordava i giorni delle sue assenze… e a questo proposito fu molto utile il diario di Edie… venne trovata una ventina di date abbastanza precise da soddisfare Don. Il giovane si affrettò a salire nella sua stanza, portando con sé gli appunti.

Da quel momento in poi, la conversazione scivolò impercettibilmente nella fantasticheria, e all’ora di andare a letto circolavano già da tempo molti meravigliosi disegni del probabile pianeta natale di quei visitatori fiammeggianti. Quello della piccola Margie era il più interessante, anche se il meno accurato.


Sallman Ken, invece, non sprecava tempo in fantasticherie. Non aveva ancora studiato un dettagliato piano d’azione, ma certe idee, mentre lavorava, cominciavano ad affacciarglisi alla mente.

Subito dopo essere rientrato nella Karella ed essere uscito dalla massiccia armatura, Ken si era recato a discutere con Feth di argomenti scientifici. All’inizio era presente anche Lee, e li aveva perfino accompagnati nella cabina di Ken quando lo scienziato aveva cominciato a parlare; ma Ken e Feth si erano scambiati un’occhiata significativa, e la conversazione aveva preso una piega alquanto astrusa. Aveva giusto quel po di significato che bastava a dare l’impressione che si discutessero questioni avanzatissime di fisica e di chimica, relative al problema di mantenere in vita, senza danneggiarli, i semi contenuti nei campioni di terreno… ammesso che ce ne fossero.

Per qualche minuto parve che Lee intendesse rimanere a sorbirsi quelle chiacchiere, ma Feth ebbe all’improvviso l’ispirazione di chiedere al pilota la sua opinione su qualche particolare. Dopo un po di quel trattamento, Ordon Lee tornò a veleggiare verso la sua cabina di comando.

«Non è stupido» commentò Feth, guardando la sua figura allontanarsi «ma è tanto insicuro delle sue conoscenze! Allora, cosa volete nascondere a Drai?»

«Mi è venuto in mente» disse Ken «che il nostro datore di lavoro vorrà ascoltare tutto quello che si dirà sul Pianeta Tre, non appena instaureremo una decente comunicazione con gli indigeni. Ho delle vaghe idee sulle sue possibili intenzioni riguardo a quelle creature, e preferirei che Drai non udisse tutte le nostre conversazioni.

«Poiché al momento non abbiamo il modo di evitarlo, vorrei sapere se è possibile collegarmi all’altoparlante della sonda senza che le mie parole giungano qui. La cosa migliore, suppongo, sarebbe quella di poter accendere e spegnere il contatto a volontà, in modo da fargli ascoltare quanto basta perché non abbia sospetti.»

«Penso che si possa fare. D’accordo» disse lentamente il meccanico. «Temo che occorra più lavoro del previsto, però. Non sarebbe più semplice portare con voi, nella sonda, un altro trasmettitore? Dalla tuta potete collegarvi con il trasmettitore e il ricevitore, e potete passare a volontà da uno all’altro degli altoparlanti.»

«E non si accorgeranno della mancanza dell’apparecchio?»

«No, a meno che Drai non cominci a prestare molta più attenzione che in passato alle scorte di materiale elettronico.»

«D’accordo, facciamo come dite. Passiamo a un altro argomento. Ho già parlato, mi pare, di sospendere l’armatura verticalmente, invece che orizzontalmente, in modo da farmi trasportare invece di dover trascinare tutto quel peso sotto una forte gravità. Vero?»

«Sì. Non ci sono problemi.»

«La nuova sistemazione avrà un ulteriore effetto positivo. L’unico disagio da me provato sul pianeta è stato il freddo ai piedi, diversamente da quanto temevamo. Se sarò sospeso alla sonda, non dovrò toccare il terreno, e non ci saranno perdite di calore per conduzione.

«Un’ultima cosa che mi è venuta in mente riguarda la guida della sonda. Non si potrebbe costruire un quadro di comando così piccolo che io possa utilizzarlo per muovermi da solo sulla superficie del pianeta, invece di dirvi ogni volta dove voglio essere spostato?»

Feth aggrottò la fronte. «Ho pensato anche a questo, mentre cercavo di tenere la sonda accanto a voi» disse. «A dire il vero, dubito di poterlo costruire… non voglio dire che non si possa fare un quadro di comando così piccolo: dico solo che non posso farlo con i materiali che ho a disposizione. Comunque, vedrò cosa si potrà combinare quando ritorneremo su Uno. Suppongo che non abbiate niente in contrario a comunicare a Drai questi due ultimi suggerimenti.»

«Niente in contrario» disse Ken. «Queste notizie dovrebbero farlo felice. Pensate che sia troppo sperare che sia disposto a scendere laggiù di persona, una volta accertato che il viaggio non comporta rischi?»

Nell’udire il suggerimento dello scienziato, Feth gli rivolse un aperto sorriso. «Temo che per instillargli tanta fiducia nei suoi simili» disse «ci voglia uno psicologo assai migliore di noi. E poi, a cosa potrebbe servire? Non ci sarebbe niente da guadagnare a lasciarlo laggiù, anche se la cosa suona molto piacevole, ed è inutile minacciarlo, perché non si sognerebbe mai di mantenere una promessa sgradevole che gli è stata estorta con un ricatto.»

«Non mi aspettavo molto dall’idea» ammise Ken. «Benissimo, visto che siamo d’accordo sul resto, è meglio portare quei campioni su Uno, prima che congelino, e allestire un vivaio. Se riusciremo a coltivare qualcosa, Drai per qualche tempo starà tranquillo.»

La sonda che aveva riportato Ken e i suoi campioni galleggiava ai limiti del campo di repulsione fin dal momento in cui Ken si era staccato da essa. Feth ritornò in cabina di comando e cominciò a pilotare la piccola nave in modo da farla accostare allo scafo della nave più grande, perché venisse trascinata anch’essa dal campo propulsivo della Karella; e Lee, dietro richiesta di Ken, si diresse di nuovo verso il Sole.

A un migliaio di chilometri al di sopra della superficie di Mercurio, la sonda venne di nuovo lasciata libera, e Feth la fece scendere lentamente fino a un punto d’atterraggio posto nei pressi delle caverne: in quella zona era stata montata in passato una telecamera, e Feth se ne servì per orientarsi durante la discesa. Feth preparò le cose in modo che circa un metro della parte anteriore della sonda rimanesse al sole, mentre il resto era all’ombra di una grande massa di roccia. Questa disposizione, secondo lui, doveva mantenere all’incirca la temperatura desiderata, almeno per qualche ora.

Non appena la Karella fu scesa a terra, Feth e Ken si affrettarono a recarsi nel laboratorio. Laggiù venne rapidamente preparata una cassa metallica che misurava alla base un metro quadro e che era alta una sessantina di centimetri. Feth saldò attentamente tutti gli spigoli e controllò la loro tenuta sotto la piena pressione atmosferica. Prepararono anche un coperchio di vetro, che venne reso ermetico mediante la plastica al silicone per uso nel vuoto che veniva di solito impiegata nelle astronavi; anche il coperchio venne controllato a una pressione atmosferica corrispondente a milleduecentocinquanta millimetri di mercurio. Erano intenti a costruire una seconda cassa, simile alla prima ma grande a sufficienza per contenerla, quando fece la sua comparsa Drai. A quanto pareva, aveva finalmente notato che la nave aveva fatto ritorno.

«Bene, ho saputo da Lee che avete effettivamente parlato con un indigeno. Ottimo lavoro, ottimo. Avete scoperto qualcosa su come fabbricano quel loro tafacco?»

«Non abbiamo ancora imparato a sufficienza la loro lingua» rispose Ken, cercando di non sembrare sarcastico. «E seguivamo una linea d’indagine leggermente diversa.»

Indicò il vivaio che stavano costruendo. Drai lo guardò e aggrottò la fronte, come se cercasse di indovinarne lo scopo.

«È un piccolo ambiente in cui vogliamo riprodurre le condizioni del Pianeta Tre; una sorta di esperimento» spiegò. «La cassa più grande sta all’esterno, e tra l’una e l’altra facciamo il vuoto. Feth dice che con uno dei refrigeratori a fluoruro di solfo da lui costruiti qualche anno fa riuscirà a mantenerlo alla temperatura del pianeta. Inoltre abbiamo prelevato un campione di aria del Pianeta Tre sufficiente a riempire il doppio di quel volume, a temperatura e pressione locali.»

Drai continuava a mostrarsi perplesso. «Ma non è un po piccolo per uno degli indigeni?» chiese. «Lee dice che dalla vostra descrizione sono alti un metro e mezzo. E non mi ha accennato a piani di questo tipo.»

«Indigeni?» fece Ken. «Credevo che voleste coltivare la vegetazione del Pianeta Tre. Cosa ce ne facciamo, qui, di un indigeno?»

La faccia di Drai si rischiarò. «Oh, capisco» disse. «Non sapevo che aveste già raccolto campioni di vegetazione. Comunque, ora che penso alla cosa, avere con noi un indigeno o due potrebbe anche essere utile. Se è una razza civile, potremmo servircene per farci dare uno stupendo riscatto in tafacco… e potremmo impiegarli nelle caverne, dopo averle messe nelle giuste condizioni ambientali, per prendersi cura del tafacco e per raccoglierlo. Grazie per avermi suggerito l’idea.»

«Finora» obiettò Ken «non so fin dove esattamente giunga l’intelligenza degli indigeni, ma non credo che siano talmente stupidi da entrare in qualche trappola da noi allestita. Se la cosa non vi disturba, preferirei lasciare questo espediente come ultima risorsa… sarà già abbastanza complicato prendere dai loro attuali contenitori il terriccio e i semi da me raccolti e trasferirli in questo vivaio senza esporli alla nostra atmosfera o al vuoto dello spazio. Far entrare un indigeno in una di quelle caverne sarebbe cento volte più difficile.»

«Sì, forse avete ragione. Ma continuo a pensare che ci procurerebbe una maggiore quantità di tafacco.»

«Lo penso anch’io, se sono abbastanza civili. Ma non vedo perché dobbiate lamentarvi della cosa… Dio sa che il tafacco vi costa abbastanza poco, ora come ora.»

«No, non mi dà fastidio il prezzo» disse Drai «ma la quantità. Riusciamo ad avere soltanto un paio di centinaia di cilindri l’anno… mi riferisco a un anno del Pianeta Tre. Questo non ci permette di operare su una scala abbastanza grande. Comunque, fate la cosa che vi sembra migliore… ammesso che riusciate a convincere anche me che è la migliore.»

E con queste parole se ne andò, sorridendo; ma sia Feth che Ken ebbero l’impressione che quel sorriso contenesse dei sottintesi molto spiacevoli. Feth guardò con inquietudine la forma di Drai che si allontanava, fece per riprendere il lavoro, s’interruppe di nuovo, diede un’occhiata a Ken, come per scusarsi, e infine si mise a seguire Drai. Lo scienziato si ricordò che Feth aveva preso la sua ultima dose della droga qualche tempo prima di lui.

Questo lo portò a domandarsi quanto tempo mancava ancora, prima che sentisse anche lui la mancanza del narcotico. Feth aveva parlato di cinque o sei giorni sarriani, ciascuno dei quali era lungo circa tredici ore terrestri. Da quando Ken aveva ripreso i sensi, circa mezza giornata era trascorsa in discussioni, preparazione delle tute corazzate e viaggio fino a Tre; poi, più di un giorno era stato occupato dai test delle tute e dall’incontro con l’indigeno; infine, dal rientro su Uno fino a quel momento era passata un’ulteriore mezza giornata.

Guardando invece al futuro, doveva trascorrere ancora una mezza giornata prima del nuovo incontro con gli indigeni di Tre. Nessuno poteva dire quanto era destinato a durare l’incontro, ma, a quanto pareva, aveva ancora a disposizione almeno un paio di giorni, prima della crisi di astinenza. Cessò di preoccuparsi e rivolse nuovamente l’attenzione al vivaio quasi completo.

Non era un saldatore esperto, ma i campioni che attendevano pazientemente a una distanza di tremila chilometri dalla base non sarebbero sopravvissuti per molto, e lui non sapeva per quanto tempo Feth non era disponibile. Prese il saldatore e tornò al lavoro sulla cassa esterna. Osservando Feth, aveva imparato a controllare le saldature, e rimase piacevolmente sopreso quando risultò che le sue erano a tenuta d’aria.

Comunque, non osò spingersi oltre; il meccanico non aveva lasciato progetti scritti, e Ken non aveva idea di come intendesse collegare la pompa e il refrigeratore. Interruppe perciò il lavoro e si dedicò al problema di cui aveva parlato con Drai: trasferire i campioni nel nuovo bellissimo vivaio, una volta che questo fosse completato.

Perse del tempo cercando di inventare il sistema di aprire le scatole a distanza, prima che gli venisse in mente la soluzione. Poi si diede un calcio per non averci pensato prima… le gambe a doppia articolazione dei sarriani rendevano particolarmente agevole questa operazione. Infine si rilassò fino al ritorno di Feth, avvicinandosi al sonno quanto era possibile alla sua razza.

Il meccanico ritornò dopo circa quattro ore. Pareva in ottima forma; il tafacco evidentemente non lasciava postumi visibili, neppure dopo anni di uso, e la constatazione servì a rassicurarlo leggermente.

Ken gli fece vedere il lavoro da lui fatto in sua assenza, e Feth si complimentò con lui. Parve un poco deluso, comunque, quando udì i progetti dello scienziato per riempirlo; come gli confessò in seguito, lui non ci aveva pensato.

«Siamo stati sciocchi a prendere dei campioni prima di avere il posto dove metterli» disse Ken. «Nei contenitori corriamo il rischio di rovinarli, e inoltre c’è il problema di trasferirli. Sarebbe stato più saggio costruire per prima cosa questo vivaio, e in un secondo tempo portarlo sulla superficie di Tre per riempirlo sul posto. Perché non l’abbiamo fatto?»

«Se volete che risponda a questa domanda» disse Feth «è perché eravamo troppo ansiosi di fare il viaggio. Non intendete usare i campioni che già possediamo, allora?»

«Potremmo controllare la loro temperatura» disse Ken. «Se è ancora ragionevole, possiamo riportarli su Tre e fare il trasferimento laggiù. Sarà interessante vedere se i semi sono sopravvissuti al viaggio, sempre che ci siano dei semi nei campioni… con questo però non voglio dire che un’eventuale mancanza di crescite significhi qualcosa.»

«Si potrebbero esaminare i campioni al microscopio per cercare i semi in essi contenuti» disse Feth, dimenticandosi per un attimo di quella che era la realtà della situazione.

«E come faccio?» domandò Ken in tono interessato. «Cuocio il campione o congelo l’osservatore?» Feth lasciò perdere i suggerimenti e ritornò al suo lavoro: in breve tempo, il vivaio prese forma sotto i suoi abili tentacoli. Ken vide che il refrigeratore e la pompa erano due apparecchiature straordinariamente piccole, robustamente fissate al fianco della cassa. I comandi erano semplici: una leva acceso-spento per la pompa, un cursore graduato per il refrigeratore.

«Non l’ho ancora calibrato» disse Feth, indicando il cursore. «Metterò un termometro all’interno, dove sarà possibile vederlo attraverso il coperchio, e voi dovrete regolare la leva finché non si troverà alla giusta temperatura.»

«Perfetto» commentò Ken. E aggiunse: «Per delle attrezzature fabbricate con quel poco che avete a disposizione, mi sembra che costruiate meccanismi altamente professionali. Anche volendo, non riuscirei a trovare nessun difetto.»

Mancavano alcune ore all’appuntamento sul Pianeta Tre. Oziarono e chiacchierarono per qualche tempo, e Ken perfezionò progressivamente i suoi piani. Parlarono delle singolarità del Pianeta dei Ghiacci. Feth cercò fra i suoi equipaggiamenti e riferì di non avere trovato niente con cui si potesse costruire il quadro di comando portatile che avrebbe permesso a Ken di manovrare direttamente la sua sonda.

Fu poi il turno del meccanico di prendersi a calci quando lo scienziato gli suggerì di collegarlo via cavo ai comandi: lui, Ken, non aveva bisogno di mandare gli impulsi via radio. Trenta minuti più tardi, nel laboratorio c’era una sonda da cui, in corrispondenza di un minuscolo foro sullo scafo, usciva un lungo cavo elettrico che terminava con una piccola scatola provvista di sei o sette levette. Manipolando le levette, Ken non ebbe difficoltà a far fare alla navicella i movimenti voluti.

«Mi pare che siamo della stessa forza, nel non accorgerci delle cose più ovvie» disse Ken, alla fine. «Non sarebbe meglio prepararci alla partenza?»

«Lo penso anch’io. Tra l’altro, visto che non potete leggere gli strumenti della sonda, è meglio che vi piloti io finché non sarete sulla superficie del pianeta. Poi potrete andare dove vorrete.»

«Giusto» rispose Ken. «A una distanza di cinquemila chilometri dalla superficie, non credo di poter giudicare bene la quota e la velocità…»

S’infilarono la tuta spaziale, e cominciarono a trasportare sulla Karella le loro apparecchiature. Lasciarono il vivaio nella camera di decompressione, perché dovevano in seguito legarlo alla sonda; ma Lee si imbatté in esso, qualche minuto più tardi, e cominciò a fare dei commenti corrosivi sulle persone che ostruiscono l’uscita delle navi spaziali. Umilmente, Ken portò la scatola all’interno, senza chiedere aiuto a nessuno, perché Feth era in cabina di comando, intento a far entrare nel suo alloggiamento sullo scafo la sonda a cui aveva applicato i dispositivi manuali.

Erano pronti a partire, se non fosse stato per la mancanza di un’ultima cosa, e nessuno dei due ne aveva notato l’assenza. Se ne accorsero all’ultimo minuto prima dell’ora fissata per il decollo, allorché un’altra figura che indossava la tuta veleggiò dalla camera di decompressione della base a quella della nave. Lee rimase in attesa che salisse, senza mostrare alcuna sorpresa; e un momento più tardi Laj Drai entrò nella cabina di comando.

«Possiamo partire, se tutte le vostre apparecchiature sono a bordo» disse.

Senza fare commenti, Ken rivolse un cenno affermativo al pilota.

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