Feth non fu l’unico che gridò al pilota di fermarsi. Anche Ken gridò alla radio cose che mai avrebbe detto davanti ai suoi allievi; ma naturalmente non c’era nessuno, a bordo della nave, che lo ascoltasse. Wing padre e Don, che avevano capito al volo la causa della sua agitazione, si unirono al coro; la signora Wing, udendo quel chiasso, si affacciò alla finestra in tempo per vedere il cilindro nero e lucido posarsi fra gli alberi, a una cinquantina di metri di distanza dalla casa. Nessuno si stupì dell’accaduto… almeno, nessuno di coloro che stavano all’esterno della nave.
Don e suo padre si lanciarono di corsa verso la stalla, dove venivano conservati gli estintori portatili. La signora Wing uscì sulla veranda e gridò con voce un po allarmata: «Don, dove sono i bambini?»
La risposta giunse da sola prima che il padre o il figlio facesse in tempo a parlare, poiché Margie e Billy uscirono dai boschi, da direzioni opposte della radura, portando ancora con sé dei campioni di piante che, nel trambusto generale, si erano dimenticati di gettare via.
«Papà! Il fuoco!» gridò il bambino, non appena vide il padre.
«Lo so, Billy. Andate tutt’e due da vostra madre, cominciate a pompare, aiutatela a bagnare il terreno attorno alla casa. Non credo che il fuoco scenda verso di noi, a meno che non giri il vento, ma è meglio non correre rischi.»
«Dove sono Roger ed Edith?» domandò la signora Wing, rivolta ai bambini più piccoli.
«Sono andati a prendere sassi per l’uomo di fuoco» rispose Margie. «Non so dove volessero andare a prenderli. Torneranno indietro quando vedranno il fuoco.»
«Lo penso anch’io.» Alla madre, la faccenda piaceva poco, ma prese a rimorchio i figli più piccoli e andò a cercare i tubi per innaffiare. Don e il padre si misero in spalla gli estintori, e risalirono il fianco della montagna in direzione della nube di fumo e fiamme, che si faceva sempre più spessa.
Ken non aveva atteso che gli esseri umani entrassero in azione. Dopo un attimo di pausa, in cui si era accertato che la sua armatura fosse ancora saldamente attaccata alla sonda, afferrò i comandi della sonda e s’innalzò in verticale. Era una manovra rischiosa, ma pensava che la sua navetta, ormai relativamente fredda, potesse aprirsi la strada tra i rami sottili senza dare inizio alla combustione. Riuscì infatti a passare senza danni, come prevedeva, anche se vide innalzarsi al suo passaggio un sottile filo di fumo.
Anche la Karella, notò, aveva fatto come lui; adesso era ferma nell’aria, a una quota di cinquecento metri al di sopra dell’incendio da essa stessa provocato. Non perse tempo in recriminazioni, anche se era probabile che coloro che erano a bordo avessero ripreso l’ascolto.
Il fuoco non si estendeva in tutte le direzioni con la velocità temuta da Ken. Dalla parte della casa pareva non avere fatto progressi, e lungo il fianco della montagna la sua avanzata era molto lenta. Invece, verso l’alto, sotto l’influsso delle proprie correnti e della brezza che già in precedenza si muoveva in quella direzione, balzava rapidamente da un albero all’altro. Ken vide pezzi fiammeggianti di tessuto vegetale salire molto in alto, trasportati dalle colonne ascendenti di aria calda; alcuni si riducevano completamente in cenere prima di cadere a terra, altri finivano per posarsi sugli alberi situati a una quota superiore e davano origine a nuovi centri di combustione.
Una crescita vegetale di colore scuro, che pareva morta, ad alcuni metri di distanza dal fronte avanzante delle fiamme, fumò per qualche istante sotto la feroce radiazione ed esplose all’improvviso con un boato, consumandosi completamente in meno di quindici secondi e precipitando a terra sotto forma di una pioggia di carboni ardenti. Ken, senza preoccuparsi dei gas roventi che potevano sollevarlo e portarlo via, si avvicinò alla zona critica. Uno dei motivi che impedivano al fuoco di scendere rapidamente verso il basso gli divenne subito chiaro; in mezzo agli alberi si potevano scorgere i due indigeni con cui aveva parlato, che spargevano su tutti gli oggetti visibili dei minuscoli getti di un liquido la cui natura era ignota a Ken. Li osservò per qualche tempo, e vide che di tanto in tanto dovevano di nuovo riempire di liquido i loro contenitori, e che lo prelevavano da un grosso rivolo che scorreva dietro la casa: un rivolo della cui esistenza Ken non s’era accorto fino a quel momento. Si chiese da dove nascesse quel liquido e, per scoprirlo, decise di seguire verso l’alto il corso del rivolo.
Quando si sollevò, rimase nuovamente impressionato dall’estensione della foresta e cominciò a chiedersi la vastità della catastrofe causata dalla Karella. Se la reazione di combustione si fosse estesa sull’intera regione, si disse, l’effetto sugli indigeni sarebbe stato senza dubbio negativo. Notò che il fuoco si era esteso alla sponda opposta del ruscello, poco più in alto; a quanto pareva, il liquido doveva essere direttamente a contatto con i vegetali per fermare la combustione.
Le fiamme e il fumo gli impedivano di seguire il letto del ruscello; Ken si abbassò, dicendosi a ragione che la temperatura della sua tuta non poteva recare danni alla vegetazione che era già in fiamme, e avanzò mantenendosi sospeso pochi metri al di sopra del fiume, ma anche a così bassa quota il fumo gli impediva di vedere bene. Per la prima volta scorse altre forme di vita, diverse da quella degli indigeni intelligenti: piccole creature, di solito a quattro gambe… almeno quelle che si muovevano abbastanza lentamente da permettergli di contarle… che correvano follemente verso l’alto.
Ken si chiese come facessero a respirare: a giudicare dal fumo, l’aria doveva essere piena di prodotti della combustione, e probabilmente era troppo calda per quegli animali; non conosceva il fenomeno, assai semplice, della presenza di aria relativamente pura nella zona che sta davanti a un incendio. Anche su Sarr si verificavano combustioni su vasta scala, ma lui non era un pompiere.
Era già uscito dalle fiamme, ma si trovava ancora nella zona invasa dal fumo, quando trovò la sorgente del ruscello. Ebbe qualche difficoltà a capire che era veramente la sorgente: non era un geologo, ma anche un geologo della sua razza avrebbe incontrato qualche difficoltà a capire il meccanismo di una sorgente. Ken sospettò che il fenomeno venisse alimentato artificialmente, ma non osò toccare il liquido per esaminarlo meglio. Avrebbe avuto seri motivi per preoccuparsi se avesse saputo che a volte un incendio di boschi può dare luogo a una pioggia locale; ma anche questo andava troppo al di là della sua esperienza. Su Sarr, l’evento che si avvicinava maggiormente al fenomeno della pioggia si verificava ai poli, dove in rare occasioni le forze meteorologiche si combinavano in modo da aumentare la pressione e abbassare la temperatura al punto che si aveva una piccola precipitazione di solfo liquido.
Comprendendo che laggiù, per il momento, non c’era altro da imparare, Ken sollevò nuovamente la tuta, in modo da trovarsi nell’aria più limpida. In basso, sotto di lui, gli indigeni parevano vicini alla vittoria; sul bordo della regione in fiamme c’era una stretta zona di vegetazione annerita che indicava come laggiù il fuoco non avesse più niente da bruciare. Ai lati, la direzione del fuoco era meno definita, ma in generale l’incendio aveva preso l’aspetto di un grosso ventaglio, con l’impugnatura in direzione della casa e ali larghe trecento o quattrocento metri, dirette verso la zona alta della montagna. Attraverso le nubi di fumo, Ken vide che in quella zona i grandi alberi erano alquanto radi, e lasciavano il posto a piante più piccole, che a loro volta seguivano il solito schema di fermarsi poco al di sotto della cima della montagna, dove restava solo la roccia nuda. Ken, osservando la zona dalla sua posizione elevata, si disse che molto probabilmente il fuoco si sarebbe fermato da solo entro poche ore; gli indigeni non avevano bisogno di aiuto per occuparsi dei pochi focolai rimasti.
Il pensiero di possibili aiuti gliene fece venire in mente un altro; il fumo si alzava sotto forma di una colonna che doveva essere visibile a molti chilometri di distanza. Rischiava di fare accorrere altri indigeni desiderosi di prestare aiuto, oppure sarebbe stata presa per una normale nuvola? Gli occhi di Ken vedevano i colori in modo diverso da come li vedevano gli umani; non poteva essere certo che la tinta della colonna di fumo fosse diversa, ma la forma della colonna era abbastanza caratteristica da richiamare l’attenzione. Con questo pensiero in mente, decise di chiamare la nave; ma quando guardò in alto non riuscì a scorgere la Karella.
Mosse avanti e indietro la sonda, in modo da far altalenare la tuta e di scorgere la parte di cielo che stava direttamente sopra di lui, ma non vide traccia del cilindro scuro. A quanto pareva, un breve assaggio del Pianeta Tre era stato più che sufficiente a Laj Drai. Per completare la dose, Ken trasmise le sue considerazioni sul possibile arrivo di nuovi indigeni, e poi tornò a studiare l’incendio. Entro pochi secondi si dimenticò totalmente dell’esistenza della nave.
Come aveva già avuto occasione di osservare, dentro l’area circoscritta dalle fiamme non si poteva vedere molto. Questa volta perciò scese davanti al fuoco, e in mezzo alle nubi di fumo osservò come le foglie dei cespugli e degli arboscelli sfrigolassero, fumassero e si incendiassero anche ad alcuni metri di distanza dalle lingue di fiamma.
Di solito, osservò, i rami più spessi non si accendevano finché non entravano in contatto con fiamme già esistenti, ma anche questa legge aveva le sue eccezioni. Ricordò di avere visto esplodere un albero. Rimpianse di non avere un termometro, che avrebbe potuto dargli un’idea della temperatura d’accensione e di combustione di quei vegetali.
Si chiese se una reazione così attiva fosse da imputare unicamente all’ossigeno, o se vi prendesse parte anche l’azoto, che costituiva una così elevata percentuale dell’atmosfera. In fin dei conti, l’azoto si era combinato con il suo campione di titanio. Non pareva esserci modo di raccogliere campioni dei gas combusti, ma forse qualcuno dei residui solidi della combustione avrebbe potuto dirglielo.
Ken scese in mezzo al fuoco, fece posare a terra la sonda, aprì il portello di carico e gettò al suo interno vari campioni di legno carbonizzato. Poi scese un poco più a valle, trovò un mucchio di ceneri grigiastre e aggiunse anche quelle alla collezione. Momentaneamente soddisfatto, si staccò di nuovo dal terreno, chiedendosi vagamente se il soggiorno fra le fiamme gli avrebbe permesso di allungare il suo periodo di permanenza sul pianeta. Si era accorto che i termostati dell’armatura erano scattati, e che di conseguenza alcuni dei riscaldatori si erano spenti: nel corso degli ultimi minuti, gli strati esterni della corazza dovevano essersi notevolmente riscaldati.
Per vedere quanto tempo avrebbe impiegato l’incendio per spegnersi, Ken avanzò di una cinquantina di metri rispetto al fronte delle fiamme, e cominciò a misurare la velocità a cui procedeva il fuoco in vari punti. Il sistema però non gli disse molto, poiché la velocità delle fiamme era assai variabile… come avrebbe potuto insegnargli qualsiasi guardia forestale. Dipendeva soprattutto dal tipo di combustibile di una data zona, e dalla configurazione del terreno, che faceva variare le correnti d’aria che alimentavano il fuoco; si trattava di dati difficili da raccogliere, e Ken non poté apprendere molto. Rinunciò dunque al suo tentativo, si spostò un poco in avanti, e cercò di studiare gli animali che cercavano di allontanarsi dal più grave pericolo che avesse mai minacciato le loro piccole vite.
In quel momento, il microfono della sonda raccolse un crepitio assai diverso da quello del fuoco, una specie di soffio pesante che ricordò a Ken i suoni da lui uditi quando aveva visto per la prima volta Roger. Ricordando che non aveva più visto due degli indigeni da quando era scoppiato l’incendio, lo scienziato cominciò a preoccuparsi; e dopo una breve ricerca vide che le sue preoccupazioni erano giuste. Roger ed Edith Wing ansimavano e tossivano per il fumo e la stanchezza, e si muovevano alla cieca in mezzo ai cespugli.
La prima idea di Roger era stata quella di attraversare il cammino delle fiamme, per allontanarsi dalla zona incendiata: data la situazione, era la cosa più sensata da fare. Molte cose, però, non gli avevano permesso di farlo. Per prima cosa, il fumo aveva ridotto a pochi metri la visibilità, e fratello e sorella erano finiti in una depressione del terreno. Servendosi come guida dell’inclinazione della montagna, avevano fatto parecchie volte il giro della depressione prima di accorgersi di cosa stesse succedendo. Ormai le fiamme erano giunte fin quasi a loro, e l’unica possibilità che rimanesse ai due ragazzi era quella di attraversare il cerchio di fuoco per arrivare nella zona dove le fiamme si erano già spente. Ma non sapevano quanto fosse esteso il fronte delle fiamme, e muoversi parallelamente a esso era follia. Avevano cercato di aggirare il fuoco e di tenersi a una certa distanza da esso, ma cominciavano a essere stanchi: soltanto per tenersi lontano dalle fiamme, dovevano fare appello a tutte le loro energie. Il fumo li accecava, avevano gli occhi pieni di lacrime e la faccia sporca di fuliggine. Nel caso di Edith, poi, le lacrime non erano dovute unicamente al fumo; piangeva per la stanchezza e per la paura, e anche il ragazzo faticava a conservare la padronanza di sé.
Nessuno di questi fatti era precisamente chiaro agli occhi dello scienziato poiché la faccia umana, con o senza emozioni, era uno spettacolo relativamente nuovo per lui; ma la scena destò tutta la sua commozione. Forse, se la stessa situazione si fosse presentata quando aveva visto per la prima volta gli indigeni, Ken sarebbe rimasto a osservare spassionatamente la scena, per vedere cosa facevano quelle creature in un momento di pericolo. Ora, però, dopo i suoi colloqui con Wing padre e dopo avere avuto la prova della loro cultura e delle loro conoscenze scientifiche, il sarriano sentiva una sorta di fratellanza intellettuale nei riguardi delle creature che stavano davanti a lui; erano persone, e non animali. Inoltre, erano finiti nel pericolo mentre lavoravano per lui; ricordava che quei due si erano allontanati per cercargli dei campioni. Dopo averli visti, non ebbe un solo istante di esitazione.
Scese verso i bambini e ripeté con l’altoparlante della sonda una delle poche parole della loro lingua che conosceva: «Portare!». Si fermò davanti a loro, che lo fissarono con stupore, e cercò di non entrare in contatto con la vegetazione. Edith fece per recarsi da lui, ma, per sua fortuna, Roger era ancora in grado di ragionare.
«No, Edie!» disse. «Ti bruci. Dobbiamo salire sulla macchina che lo porta.»
Anche Ken l’aveva già capito, e manovrava i comandi in modo da portare accanto ai ragazzi la coda della sonda, senza però toccare i cespugli con la corazza. Avrebbe potuto dare fuoco senza preoccupazione a quei cespugli, perché in ogni caso erano destinati a incendiarsi poco più tardi, ma gli pareva che i giovani indigeni avessero già le loro preoccupazioni, anche senza dover badare a un altro fuoco.
Il problema del trasporto dei ragazzi era un po complicato, poiché tra i piedi di Ken e lo scafo della sonda a cui era appeso c’era una distanza di due metri, e la sonda aveva dei circuiti automatici che la tenevano orizzontale quando si trovava in un campo di gravità. Però, poteva ruotare su qualsiasi asse, a parte il fatto che Ken non aveva mai fatto quella manovra e che quindi aveva bisogno di un po di tempo per trovare la giusta combinazione di comandi. Parve anche a lui che passasse un’eternità, prima che riuscisse a mettere la sonda nella posizione voluta; si era gettato di tutto cuore nel salvataggio e la sua ansia era pari a quella dei ragazzi; ma alla fine l’estremità posteriore del cilindro, larga un metro, distava da terra poche decine di centimetri.
I bambini cercarono immediatamente di salire a bordo, ma non ebbero fortuna: il metallo era troppo liscio, non c’erano appigli a cui si potessero tenere, ed essi stessi erano troppo esausti. Roger fece con le mani una scaletta per la sorella e riuscì a farla salire sulla sonda, ma dopo un istante la ragazzina scivolò a terra e riprese a piangere per la disperazione. Roger si fermò, senza sapere che decisione prendere. Un soffio di aria rovente e satura di fumo lo fece boccheggiare privo di fiato, e pensò che rimanevano loro pochi secondi prima di essere avvolti dalle fiamme. Per un istante fissò con invidia la forma del sarriano appesa all’altra estremità del lungo siluro: per lui probabilmente il soffio delle fiamme era soltanto una brezzolina rinfrescante; poi vide i morsetti a cui venivano appese le scatole contenenti i campioni.
Per un attimo, anche quelli gli parvero inutili. Non pensava di poter resistere a lungo, appeso a quelle piccole sporgenze di metallo, e la sorella non era in grado di resistere neppure per pochi istanti, perché era troppo esausta. Poi gli venne un’idea. I morsetti erano simili a ganci, e si potevano chiudere e aprire come i fermagli delle spille; quando erano chiusi formavano un anello. Roger chiuse quello più vicino, si tolse la cintura e la infilò dentro, poi affibbiò di nuovo la cintura. Corse da Edie, la aiutò ad alzarsi… e la ragazzina si rianimò un poco, vedendo cosa faceva il fratello… si fece dare la sua cintura e la infilò in un altro morsetto, senza soffermarsi a ringraziare la loro buona fortuna per il fatto che la sorella aveva i jeans. I ragazzi li portavano sempre, nei boschi. Poi l’aiutò a salire, mostrandole come dovesse tenersi con le braccia a una delle cinture infilando nell’altra le gambe. Edie doveva fare un certo sforzo per tenersi, ma la maggior parte del suo peso gravava sulla cinghia che le sosteneva le gambe. Quando gli parve che la sorella fosse al sicuro, Roger indicò al sarriano di portarla via.
Ken capì tutto e la sua ammirazione per la razza umana salì ancora di un grado o due. Non ebbe esitazioni e non fece discussioni: sapeva benissimo che il ragazzo aveva trovato il solo metodo possibile per trasportare uno di loro, e anche se Ken fosse stato in grado di parlare bene la loro lingua, una discussione sarebbe stata solo una perdita di tempo. Si affrettò a sollevarsi in volo: la ragazzina, stupefatta, era sospesa dietro di lui.
Prima si sollevò al di sopra del fumo, per dare alla sua passeggera la possibilità di respirare; poi si guardò attorno con attenzione, per essere certo di ritrovare il punto da cui si era allontanato. Una momentanea interruzione della coltre di fumo gli mostrò la figura di Roger che cercava di risalire sul fianco del monte; e senza aspettare altro, Ken diresse la sonda verso la casa. La signora Wing li vide arrivare, e, meno di quarantacinque secondi più tardi, Ken ripartiva per andare a prendere il suo secondo passeggero.
Anche se il tempo passato era poco e se prima di partire aveva osservato attentamente il punto dove aveva lasciato il ragazzo, Ken, quando si alzò in volo, capì che non sarebbe stato facile trovarlo. Non incontrò difficoltà a raggiungere il suo precedente punto di osservazione; ma, una volta arrivato laggiù, si accorse che non avendo a disposizione strumenti e a causa della presenza di correnti d’aria forti e imprevedibili, non poteva determinare se si era innalzato in verticale quando si era staccato da terra, e non era neppure sicuro di riuscire a scendere perfettamente in verticale. Naturalmente, aveva visto Roger quando era già in aria, ma il ragazzo non era rimasto fermo. Ken poteva togliere potenza alla sonda e cadere verticalmente, ma era una manovra poco raccomandabile. La sonda era pesante, e lui non voleva che gli urtasse contro l’armatura, soprattutto alla gravità di quel pianeta. Fece come meglio poté, scendendo a livello del terreno con la massima velocità possibile e cominciando a descrivere dei cerchi intorno al punto di discesa.
Nel punto dov’era atterrato, il fuoco non era ancora giunto, solo i cespugli cominciavano a fumare. Il ragazzo non aveva lasciato tracce, e se anche ne avesse lasciate, Ken non era in grado di riconoscerle. Per scrupolo, l’alieno scese lungo il fianco del monte, fino a raggiungere i margini delle fiamme, ed esaminò la zona circostante, per una cinquantina di metri in entrambe le direzioni: distanza considerevole, dato che la visibilità era cinque metri o poco più. Poi cominciò a risalire.
Roger aveva fatto più strada di quanto si potesse supporre, viste le condizioni in cui Ken lo aveva lasciato; passarono almeno dieci minuti prima che lo scienziato riuscisse a trovarlo, e, quando lo trovò, vide che cercava ancora di andare avanti, ma senza grandi successi. Comunque, era riuscito ad allontanarsi un po dal fuoco.
Lo chiamò di nuovo con l’altoparlante, e abbassò nuovamente la parte posteriore della sonda. Roger, con un ultimo sforzo, infilò le gambe nell’anello di una delle cinghie e strinse fra le braccia l’altra. Aveva il viso a pochi centimetri dallo scafo della nave, che si era un po riscaldato durante il passaggio attraverso le fiamme; ma non poteva certo rimanere dove si trovava in quel momento, e quasi non si accorse delle leggere scottature sulle mani e sulla faccia.
Ken, una volta certo che il ragazzo si teneva ben saldo, s’innalzò al di sopra del fumo e portò fino alla casa il suo secondo passeggero. Quando la sonda si fermò, Roger continuò a tenersi stretto ai suoi appigli, ma non si trattava di un’azione consapevole: la madre dovette aprirgli con la forza le mani.
Ken vide che non aveva più niente da fare in quella zona vicino alla casa, e risalì al di sopra delle cime degli alberi per vedere come gli indigeni lottavano contro il fuoco: ormai, dei bambini da lui salvati, potevano prendersi cura gli adulti, che certo erano più competenti di lui. A quel punto, pareva che il momento di massimo pericolo fosse superato; la zona in cui si era sviluppato l’incendio era bruciata completamente, e il fuoco continuava ad ardere soltanto nella parte alta della montagna.
I terrestri continuavano a innaffiare la parte di bosco accanto a quella incendiata, e progressivamente salivano sempre più in alto, ma il fronte delle fiamme era ormai lontano da loro. Come previsto da Ken, si dirigeva verso le rocce, dove era destinato a esaurirsi per mancanza di combustibile; ma in ogni caso dovevano ancora trascorrere molte ore perché si spegnesse del tutto. I Wing sapevano perfettamente che un simile incendio sarebbe stato pericoloso ancora per giorni, se fosse cambiato il vento, e stremati proseguirono nei loro tentativi di arginarlo finché non furono costretti a fermarsi.
Per un paio di volte, durante quel periodo, Ken scese a terra in qualche zona brulla nei pressi della casa dei Wing e disegnò sul terreno una piantina della situazione. Una volta dovette nascondersi sotto gli alberi per alcuni minuti mentre ronzava sopra di lui una macchina volante dalle ali rigide e provvista di tre motori; poi tornò a nascondersi quando giunse dalla strada di Clark Fork un gruppo di uomini che si diresse, con pompe e altri arnesi, verso la parte alta del monte. Dopo questi due episodi, Ken non si allontanò più dalle vicinanze della casa; non aveva alcun desiderio di farsi vedere da quei nuovi indigeni, perché temeva che il suo avvistamento potesse intralciare le sue lezioni di inglese. E forse non aveva tutti i torti.
Soltanto dopo l’arrivo di questo nuovo gruppo di uomini fecero finalmente ritorno Don e Wing padre, che erano prossimi a crollare per la stanchezza. Erano pieni di graffi, sporchi di cenere, bruciacchiati; perfino Ken riuscì a notare la diversità tra il loro aspetto precedente e quello attuale, perché parevano ancor più in cattivo stato di Roger ed Edith. Soltanto allora, Wing padre venne a sapere del rischio corso dai figli e del loro salvataggio, perché Ken non aveva neppure cercato di accennare all’argomento. Con la sua limitata conoscenza della lingua, era troppo difficile costruire le frasi opportune.
Anche Wing padre incontrò le stesse difficoltà, dopo avere udito la storia. Ken aveva già avuto l’impressione che in quella razza i legami affettivi fossero molto sviluppati, e adesso ne ebbe la conferma. Wing padre ebbe forse difficoltà a trovare le parole adatte a esprimere i suoi sentimenti, ma coi fatti dimostrò chiaramente la sua gratitudine.