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«Be, pare proprio che siate riuscito a dargli il colpo di grazia» commentò Feth. Aveva l’aria infelice.

«Non capisco» disse Ken. Lo scienziato e il meccanico, in apparenza, erano indaffaratissimi a controllare le variazioni di temperatura dei vivai refrigerati.

«Ho faticato per anni ad alimentare in lui questa teoria degli abitanti delle pianure azzurre. Avevo capito anch’io che era solo una delle tante ipotesi possibili, ma a Drai non erano mai arrivate informazioni che potessero contraddirla. E ho fatto quello che ho potuto per tenere al minimo la produzione di tafacco.»

«Purché non cessasse mai del tutto…» lo interruppe Ken, con una certa durezza.

«Esatto. Voi adesso avete demolito la storia che spaventava Drai e che gli impediva di dedicarsi all’esplorazione del pianeta, e allo stesso tempo gli avete dato la possibilità di procurarsi dagli indigeni, con la forza e con le minacce, quello che gli interessa. Se avevate qualche idea, credo che abbia fatto completamente fiasco.»

«Oh, non direi affatto» disse Ken. «Avete capito anche voi cosa pensava Drai quando è sceso dalla nave.»

«Certo. Rimpiangeva gli anni sprecati, e i soldi spesi inutilmente in questo periodo, suppongo. Ma non gli durerà ancora per molto; ormai è da diversi giorni che Drai sta rimuginando tra sé la cosa. E quando gli sarà passata… Vedrete.»

Ken aveva continuato a riflettere mentre il meccanico si lamentava; ora lo interruppe bruscamente.

«A quel punto sarà ormai troppo tardi, e non potrà più fare niente. Feth, voglio che per qualche tempo facciate come vi dico, stando sulla fiducia. Vi prometto che non perderete la vostra dose. Avrò molto da fare nella camera di decompressione: per almeno un paio d’ore, immagino. Lee è ancora a bordo. Voglio che voi lo troviate e che lo teniate occupato in qualche maniera, almeno finché non avrò finito. Non voglio che veda cosa faccio. Voi lo conoscete da più tempo di me, e saprete trovare qualcosa d’interessante per lui. Non ammazzatemelo, però; più avanti avremo bisogno di lui.»

Feth studiò per vari secondi la faccia dello scienziato, senza capire. Saggiamente, Ken non disse altro, e lo lasciò a combattere da solo contro quella che era una paura perfettamente naturale. Rimase soddisfatto e non molto sorpreso quando infine il meccanico disse: «Benissimo» e scomparve in direzione della cabina di comando.

Ken attese un momento; poi, ragionevolmente sicuro di non essere interrotto, chiuse la porta interna della camera di decompressione, s’infilò una comune tuta spaziale e si dedicò alacremente al lavoro. Gli spiaceva di dovere sacrificare una parte dei suoi campioni vivi, ma si consolò pensando che poteva agevolmente sostituirli in futuro. Comunque, il vivaio da lui usato era quello che conteneva meno piante: il fuoco aveva interrotto i bambini umani prima che riuscissero a fare molti progressi. Si trattava comunque di preveggenza e non di fortuna; aveva deciso Ken quale usare, ancora prima di lasciare il pianeta.

Nella cabina di comando, Feth non incontrò grandi difficoltà a svolgere il compito che gli era assegnato. Tra lui e il pilota non c’era mai stata una grande amicizia, ma Feth non aveva mai nutrito nei riguardi di Lee l’odio che nutriva nei confronti del suo padrone. Lee era individuo con pochi scrupoli, e in passato ne aveva dato spesso la dimostrazione, ma Feth non aveva mai avuto gravi motivi per detestarlo. Di conseguenza non c’era niente di strano nel fatto che il meccanico entrasse in cabina di comando a fare quattro chiacchiere.

Il pilota, com’era sua abitudine fuori dell’orario di lavoro, stava leggendo; alla domanda su dove si trovasse Ken, il meccanico rispose che stava giocando con i suoi vegetali nella camera di decompressione.

«Perché usa sempre come laboratorio la camera pressurizzata?» si lamentò il pilota. «Gli ho già detto che non deve farlo. Ha il suo laboratorio nella base… perché non si porta laggiù i suoi vegetali?»

«Credo che sia per questo: pensa che se si ferma il refrigeratore, può svuotare la camera dell’aria che contiene, e riparare il guasto prima che i suoi campioni subiscano dei danni» rispose Feth. «Ma per averne la certezza, dovresti chiederlo a lui. Comunque, non preoccuparti; a bordo ci siamo solo noi tre, e se tu dovessi partire all’improvviso, le casse non sono molto grandi, e facciamo in fretta a portarle via.»

Con un brontolio, il pilota tornò a dedicarsi alla lettura; ma di tanto in tanto faceva correre l’occhio alla sua batteria di luci-spia. Notò che Ken svuotava la camera stagna e apriva il portello esterno, ma il fatto, evidentemente, non gli parve meritevole di attenzione. In realtà, neppure Feth sarebbe stato in grado di spiegargli perché Ken l’avesse fatto: a tale proposito, anzi, il meccanico aveva le sue perplessità.

Fortunatamente, il pilota era abituato alla sua laconicità e alla sua malinconia, perché, se così non fosse stato, sarebbe potuto sorgere in lui qualche sospetto. Anzi, era proprio per questo che Ken non aveva rivelato al meccanico l’intero suo piano: temeva che Feth sembrasse troppo allegro per essere naturale.

La successiva interruzione indusse il pilota a posare il libro e ad alzarsi in piedi. «Cosa combina, adesso, quel pazzo?» domandò a voce alta. «Mi ha fatto dei buchi nello scafo?»

Feth poteva capire benissimo l’origine della sua preoccupazione; il portello esterno della camera stagna era stato chiuso, e, poco prima, la pressione era ritornata al livello normale… ma ora la pressione stava rapidamente scendendo, come per una grave falla, e veniva pompata aria nella camera stagna. Il portello esterno rimaneva chiuso.

«Può darsi che voglia riempire i serbatoi delle tute» azzardò il meccanico.

«E che pompa usa? A bordo non ce n’è nessuna con portata superiore a quella delle bocchette della camera stagna; solo quella del condizionamento centrale. E dalla camera stagna non può collegarsi a essa.»

«Mettiti in contatto radio con lui, e chiediglielo. Vedo che anche il portello interno è chiuso; gli verrebbe un colpo, se tu lo aprissi nel bel mezzo del suo lavoro.»

«Il colpo» brontolò Lee «verrà a me, se non la smette subito.» Osservò per qualche tempo i quadranti, ma notò che adesso la pressione rimaneva pressoché costante, a circa metà del normale. «Be, se c’è stata una perdita, almeno ha avuto il buon senso di tappare la falla.»

Prese il microfono, lo sintonizzò sulla lunghezza d’onda usata per i ricevitori delle tute, e chiamò Ken. Lo scienziato rispose subito, negò di avere fatto dei buchi nello scafo e disse che aveva quasi finito il suo lavoro. Da lui, Lee non riuscì a sapere altro.

«Si direbbe quasi che non ti fidi di lui…» scherzò Feth, mentre il pilota posava il microfono. «Visto che non gli credi, potresti anche non credere a me… ma vedo che di me non ti preoccupi molto.»

«Forse, quando avrà annusato qualche altra dose, non mi preoccuperò più neanche di lui» rispose Lee. «Ma, ora come ora, a sentire come parla, mi dà l’impressione che non abbia capito bene la sua situazione. Non ho mai sentito nessuno rivolgersi a Drai con tanta sicurezza.»

«Io gli ho parlato così… una volta.»

«Sì, ma lui l’ha già fatto più di una volta. E Drai la pensa come me. Mi ha detto di non allontanarmi da questa cabina di comando finché siete a bordo voi due. A me, la cosa non sembra molto importante: la chiave l’ho io, e se c’è qualcuno che è capace di dare energia ai motori quando l’alimentazione è chiusa da una serratura di Bern, mi tolgo tanto di cappello davanti a lui. Comunque, un ordine è un ordine.» Prese ancora una volta a leggere il suo libro. Feth tornò alle sue nere riflessioni.

«Allora» pensò «si basano soltanto su quello, per tenerci a bada. Come se non lo sapessi. Se almeno Ken trovasse la maniera di arrivare alla cassaforte refrigerata di Drai… io non sono mai riuscito a farlo… però, anche in questo caso, non saremmo in grado di ritornare su Sarr… se solo cercassimo un sole come Rigel e Deneb, che si può riconoscere a migliaia di parsec di distanza, invece di doverci avvicinare fino a individuare i pianeti…» Pensava a ruota libera, e i suoi pensieri cominciavano sempre con dei «se solo…», come ormai gli succedeva da anni. La droga non aveva danneggiato il cervello di Feth, ma il fatto stesso di essere tossicodipendente gli aveva dato da tempo quel suo atteggiamento apatico nei riguardi di ogni tentativo di fuga. Si domandò perché avesse accettato di fare quello che Ken gli aveva chiesto… lo scienziato non poteva certamente mantenere gli impegni che si era assunto.

Queste riflessioni vennero interrotte dalla voce di Ken. «Feth, per favore, volete venire ad aiutarmi per un momento? Ho quasi finito; devo solo portare via dalla camera stagna un po di materiale.»

Entrambi i sarriani che stavano nella cabina di comando diedero un’occhiata agli indicatori. La pressione, all’interno della camera stagna, stava di nuovo salendo.

«Bene, arrivo» disse Feth. «Aprite il portello interno non appena la pressione si è pareggiata.» Si avviò lungo il corridoio, lasciando solo il pilota. Ken aveva trovato le parole giuste per evitare che Lee andasse a curiosare.

Non rimase assente per un periodo sufficiente a destare i sospetti del pilota; nel giro di due o tre minuti, Lee sentì che tutt’e due, meccanico e scienziato, ritornavano. Non parlavano, e, al loro avvicinarsi, il pilota s’incuriosì. Fece per alzarsi con l’intenzione di andare a raggiungerli, ma ebbe soltanto il tempo di mettere i piedi a terra prima che i due entrassero nella cabina. Dalla faccia di Feth era sparita l’aria preoccupata, e al suo posto c’era un’espressione alquanto più difficile da decifrare. Lee, comunque, non perse tempo cercando di capirla, perché i suoi occhi corsero immediatamente all’oggetto che i due nuovi venuti trasportavano, e che era contenuto in una sorta di sacca di stoffa.

Era un blocco approssimativamente cubico, con un lato di trenta centimetri. Era di colore giallo. Si lasciava dietro una scia nebbiosa, e sulla sua superficie si formavano gocce gialle: gocce di un colore giallo più profondo, gocce color miele, che si raccoglievano tra loro, scivolavano lungo i fianchi del blocco, entravano nella stoffa e poi svanivano nell’aria. Per un istante, Lee, rendendosi conto della natura dell’oggetto, fece la faccia sorpresa; poi spaventata; infine riprese il controllo di sé.

«Ecco dove finiva l’aria» commentò. «Quali sarebbero le vostre intenzioni?»

Ken, che indossava la tuta spaziale e s’era tolto soltanto l’elmetto, non rispose direttamente alla domanda. Invece, ne rivolse una al pilota.

«Voi conoscete le coordinate di Sarr, e potete portarci laggiù, vero?»

«Certamente. Ho già fatto il viaggio un sufficiente numero di volte. E allora? Spero che non penserete che ve le dica per evitare un congelamento.»

«Che me le diciate o no, non m’interessa. Io voglio che voi pilotiate questa nave. Non intendo affatto farvi toccare questo blocco. Anzi, adesso lo poseremo qui. Potrete prendere la vostra decisione con calma, mentre evapora. Una volta evaporato, saremo noi a prendere la decisione per voi.»

Il pilota rise. «Me lo aspettavo» disse. «Dovrei credere che in mezzo a quel blocco c’è del tafacco? L’avete fabbricato pochi minuti fa.»

«Vero» disse Ken. «Visto che siete stato voi a parlare della cosa, c’è davvero un cilindro di tafacco all’interno del blocco: ce l’ho messo io stesso… pochi minuti fa, come avete detto voi.»

«Suppongo che abbiate scassinato la cassaforte di Laj Drai e l’abbiate preso.» Il pilota era chiaramente incredulo.

«No» spiegò Ken. «Tuttavia, il suggerimento che mi ha dato Drai, di fare appello alla riconoscenza degli indigeni del Pianeta Tre è stato davvero ottimo.»

«Suppongo che vi abbiano dato cento dosi per ringraziarvi di avere salvato i loro piccoli.»

«Tanto per la cronaca, la quantità si aggira sulle duemila. Non sono stato a fare il conto, ma i cilindri sono ben impacchettati; e se la dose di cui parlate è la decima parte di uno dei cilindri preparati dagli indigeni, la cifra è esatta.»

Il pilota cominciò a preoccuparsi.

«Ma… da quando Drai ha avuto l’idea, non è più sceso nessuno. Non potete averle avute.»

«Non offendetemi insinuando che ho dovuto aspettare l’imbeccata di Drai. Ci sono arrivato da solo fin dal primo momento, ma dato che ho una coscienza morale, ho lasciato perdere. E poi, come ho già avuto occasione di far notare, non conosco ancora a sufficienza la loro lingua. La cosa è andata così: l’indigeno che mi insegna la lingua mi ha dato una scatola piena della vostra merce, senza bisogno che gliela chiedessi io. È una brava persona, e a quanto pare conosce il valore che noi diamo al tafacco. Temo però di essermi dimenticato di riferire a Drai questo particolare.»

Lee, che cominciava a rendersi conto che la storia poteva essere vera, cominciò ad allarmarsi sul serio. Feth, invece, pareva molto più allegro del solito. Aveva un unico dubbio: che lo scienziato bluffasse? Ma la cosa sembrava impossibile; fare ritorno a Sarr non serviva a niente, se Ken non aveva con sé una scorta della droga, e finora non aveva parlato di indurre Lee ad andarla a prendere dalla cassaforte di Drai.

A quanto pareva, queste idee passarono anche nella mente di Lee: guardava con aria atterrita il blocco di solfo, sempre più piccolo. Fece un’ultima obiezione, ma già prima di parlare sapeva che era un’obiezione molto debole.

«Non oserete lasciare che il tafacco bruci… Feth è senza tuta, e voi non avete l’elmetto.»

«Che importanza può avere per noi?»

Mentre Ken così diceva, Lee si gettò all’improvviso, freneticamente, verso il portello. Finì a testa bassa contro Feth, e per alcuni secondi ci fu una confusione di gambe e tentacoli che si agitavano pazzamente. Ken si limitò ad assistere, perché non gli pareva che il suo intervento fosse necessario. A un certo punto, il pilota giunse quasi a sfiorare il quadro di comando, e allungò i tentacoli per azionare il segnale d’allarme; ma qualche istante più tardi, quando si rimise in piedi, non pareva molto desideroso di riprendere la lotta.

«Se solo…» mormorò.

«Già» disse Feth «sarebbe stato bello se Drai avesse permesso anche ad altri di portare una pistola. Però non l’ha fatto, e tu non hai molto tempo. Cosa decidi?» Per dare maggiore validità alle sue parole, alzò la temperatura della stanza girando il termostato che si trovava a poca distanza da lui.

Il pilota si arrese. Se aveva ancora qualche dubbio sulle parole di Ken, non osò rischiare: aveva visto molti drogati, oltre a Feth, e conosceva gli antipatici dettagli.

«Va bene!» disse. «Farò quello che volete!»

Senza fare commenti, Ken sollevò i lembi del pezzo di stoffa e riportò all’interno della camera stagna il suo fagotto. Ritornò dopo alcuni minuti.

«Ce l’ho fatta!» disse. «Temevo che bruciasse prima che arrivassi laggiù… la vostra resistenza, Lee, è stata più lunga del previsto. Comunque, la camera stagna è perfettamente agibile. Aggiungerò solo che quel particolare blocco è il primodall’alto, nel mio piccolo refrigeratore, e che per metterlo in azione basterà poco. Benissimo, ora possiamo fare qualche progetto per l’avvenire. Vorrei arrestare il nostro amico Drai, ma non vedo come si possa fare. Avete qualche idea?»

«Arrestare Drai?» Tutt’a un tratto, sulla faccia di Feth comparve un pallido sorriso.

«Già» disse Ken. «Temo proprio di essere una sorta di vice investigatore della narcotici, anche se non sono stato io a cercarmi questo incarico. Anzi, potrei arruolare anche voi, Feth… credo di poterlo fare legalmente.»

«Non preoccupatevi» disse Feth. «La cosa è già stata fatta diciotto anni fa. A quanto pare, non vi hanno detto che la trovata di prendere un praticone di scienza privo di ogni malizia e di cercare di trasformarlo in poliziotto era già stata sperimentata e senza risultati apprezzabili.»

«No, non me l’hanno detto. E dovrò fare un lungo discorso a Rade, quando ritorneremo su Sarr. Se sapeva che…»

«Non prendetevela con lui» disse Feth. «Visto come sono andate le cose, sono lieto che abbia riprovato. Non avete fatto un cattivo lavoro, lasciatevelo dire.»

«Può darsi, ma il lavoro non è ancora finito. Adesso capisco finalmente alcune cose che mi lasciavano perplesso sul vostro conto. Per quanto mi riguarda, il merito sarà di tutti e due, d’ora in poi. Come possiamo catturare Drai? Suppongo che gli altri della banda abbiano poca importanza.»

«Perché non lasciarlo dov’è? Non ci sono altre navi; finché questa sarà in mano nostra, non potrà muoversi, a meno che non voglia viaggiare con una sonda. E dato che in questo sistema non ci sono altri posti dove può vivere, non credo che abbia voglia di farlo. Il mio suggerimento è di partire immediatamente, e di lasciare che sia lui a preoccuparsi di capire cosa è successo finché non ritorneremo con gli agenti.»

«Suggerimento accettato… salvo che per un particolare. Prima di partire devo fare una piccola commissione. Feth, tenete d’occhio il nostro amico e pilota, mentre io esco.»

E prima che gli altri potessero fargli qualche domanda, sparì in direzione del portello stagno.

In effetti la sua assenza si prolungò più del previsto, e furono quelli della nave ad andare a cercarlo. Era in una valle nei pressi della stazione spaziale, alle prese con un problema che non poteva affrontare da solo. Sallman Ken amava pagare i suoi debiti.


Nessuno dei Wing, naturalmente, riteneva che lo strano «uomo di fuoco» dovesse loro qualcosa. Anzi, pensavano di essere in debito nei suoi riguardi. Non lo ritenevano colpevole dell’incendio: lui era a terra, ed era occupato a parlare con loro, quando era scoppiato il fuoco a causa della presenza della nave. Prima di sera, comunque, l’incendio era stato spento, grazie anche alla squadra venuta da Clark Fork. L’unica vera preoccupazione della famiglia era se l’extraterrestre intendesse o meno tornare.

Era già sera quando si ricordarono che quel giorno doveva arrivare una sonda con un carico di metallo. L’indomani mattina, Don e Roger si recarono al trasmettitore, e trovarono una sonda, ma il vano di carico era chiuso e nessuno rispose ai loro segnali. Si trattava naturalmente della sonda inviata da Drai: con tutto quello che era successo in seguito, il trafficante se n’era dimenticato. Era pilotata a distanza mediante la radio, e non con il trasmettitore acronico, poiché era partita direttamente dalla Karella, e non sarebbe stato possibile cambiare a distanza il tipo di onda da cui era comandata, neanche se il trafficante se ne fosse ricordato.

Quanto a Ken, una volta che ebbe portato a bordo della Karella il suo «pagamento», non pensò più alla sonda ferma sul pianeta; l’unica cosa a cui pensò fu che occorreva perfezionare la sua conoscenza del sistema solare prima di allontanarsi da esso. Passò un intero giorno terrestre a esaminare la famiglia di pianeti gelidi orbitanti attorno a Sol, prima che si lasciasse convincere a partire per Sarr… e in realtà Feth non mise molto impegno nel tentativo di convincerlo, perché anche lui era curioso di esaminarli.

Alla fine, comunque, tornarono indietro per fare la loro ultima visita al Pianeta Tre. Sul trasmettitore spuntava giusto in quel momento la luce del sole, e questa volta perfino Lee pareva disposto a scendere senza fare storie. A un paio di chilometri al di sopra delle montagne, Ken gli fece cambiare leggermente rotta perché portasse la nave sopra la casa dei Wing.

Gli indigeni li avevano visti arrivare; tutt’e sette uscirono di casa e osservarono la nave con emozioni che Ken poteva facilmente indovinare. Indicò a Lee di fermarsi in modo che il portello a tenuta stagna si trovasse sulla zona priva di alberi davanti alla casa, e che il fondo della nave fosse ad almeno una decina di metri dalle cime degli alberi. Poi s’infilò l’armatura, entrò nella camera stagna con il suo «pagamento», e aprì il portello esterno senza preoccuparsi di pompare l’aria.

Per un momento, la sua figura fu avvolta dalla nube di fuoco azzurro che scaturì dal portello e che fece emettere agli indigeni un grido di spavento. Fortunatamente, la fiamma di solfo ardente guizzò verso l’alto, e scomparve in un attimo. Poi Ken, indicando agli indigeni di togliersi dalla zona sotto di lui, fece rotolare al di là del bordo del portello il suo «pagamento», che, quando toccò terra, fece un bel buco nel terreno. Infine dalla camera di decompressione uscì un disegno assai accurato, tracciato sul materiale di fluorosilicone che i sarriani usavano come carta; e quando i Wing tornarono a guardare in alto dopo essersi affollati intorno al foglio, la Karella era ormai soltanto un puntino nel cielo, e Ken stava già preparando il suo rapporto per gli ecologi planetari e i ricercatori medici che sarebbero ritornati con lui sul Pianeta dei Ghiacci. Forse si poteva trovare una cura per la droga, ma anche se non era possibile trovarla, lui era in rapporti abbastanza buoni con gli indigeni, e non doveva preoccuparsi. Con questo non voleva dire che il suo interesse per quelle strane creature si limitasse alla droga…

Si ricordò perfino di scrivere un breve rapporto per Rade.


A terra, per qualche tempo non parlò nessuno.

«Papà, non riesco neppure a muoverlo» furono le prime parole che si udirono. Venivano da Roger, che aveva cercato di muovere la massa grigia che aveva toccato terra davanti a loro.

«Peserà almeno cento chili» disse Don. «Se è tutto platino…»

«Avremo il nostro lavoro per tagliarlo in pezzi abbastanza piccoli da non destare troppa attenzione» terminò il padre. «Ma adesso lasciatemi guardare il disegno.» Era un piccolo schema del sistema solare. Accanto a esso c’era la figura inconfondibile di una nave spaziale come la Karella… che si allontanava. Accanto, c’era un secondo disegno, che rappresentava in scala più grande le orbite dei pianeti interni: su di esso erano indicati gli archi descritti da ciascuno dei pianeti in un periodo di un mese circa; infine c’era un terzo disegno uguale al primo, ma in esso la nave spaziale si dirigeva verso il sistema. Il significato era abbastanza chiaro, e sulla faccia di Wing padre comparve un sorriso.

«Penso che continueremo a procurarci il companatico come in passato» disse «e penso che il nostro amico voglia imparare ancora un po di inglese. Ritornerà, niente paura. Per qualche tempo ho temuto che la stecca di sigarette che gli ho regalato avesse fatto un cattivo effetto su di lui. Allora…» si voltò verso i figli e riprese, dopo un attimo: «Don… Roger… andiamo. Se sarà assente per un mese, e se quella navicella è ancora dove l’abbiamo vista, ci sono delle macchine da smontare. Roger, può darsi che quando avrai l’età di tuo fratello maggiore potrai essere tu ai comandi, quando restituiremo la visita al tuo amico dal sangue bollente…»


FINE

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