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Fin dall’inizio, Sallman Ken non era del tutto sicuro che la decisione di accettare la proposta di Rade fosse quella giusta. Lui non solo non era un poliziotto, ma non era neppure sicuro di saperlo fare. Non aveva mai avuto una particolare inclinazione per il rischio. Aveva sempre pensato, naturalmente, di poter sopportare la sua dose di disagi, ma lo spettacolo che gli si mostrava in quel momento dal boccaporto della Karella lo portava a dubitare anche di questo.

Comunque, Rade era stato abbastanza onesto, dovette ammettere. A quanto pareva, il capo della squadra narcotici gli aveva detto tutto quello che sapeva; comunque, quanto bastava perché Ken, sforzando al massimo la sua immaginazione, potesse forse attendersi qualcosa di simile a quello che gli stava davanti agli occhi.

«Non ce n’è mai stata una grande quantità sul mercato» gli aveva spiegato Rade. «Non sappiamo neppure come la chiamano gli spacciatori. Per loro è soltanto una «annusata». Ormai è in circolazione da diversi anni; ce ne siamo occupati molto tempo fa, quando fece la sua comparsa, ma poi non ce ne siamo più interessati perché abbiamo constatato che la gravità della situazione non tendeva ad aumentare.»

«E allora, cos’è saltato fuori, adesso, di tanto pericoloso?» gli aveva domandato Ken.

«Be, è ovvio che ogni droga capace di dare assuefazione costituisce un pericolo» aveva risposto Rade. «Come insegnante di scienze, dovreste saperlo anche voi. Il particolare pericolo di questa sostanza sembra però costituito dal fatto che si tratta di un gas, e che può quindi venire somministrata senza il consenso della vittima. Inoltre sembra così potente che basta una sola dose per dare assuefazione. Immaginate che grave pericolo pubblico potrebbe diventare.» E Ken non aveva avuto difficoltà a immaginarselo.

«Sono d’accordo» aveva risposto. «Anzi, mi stupisco che non ci abbiano già contagiati tutti. Basterebbe immetterla nel sistema di condizionamento d’aria di un edificio… o a bordo di una nave. Un atto del genere potrebbe creare in un colpo solo centinaia di potenziali clienti per le persone che hanno in mano lo spaccio della droga, chiunque esse siano. Perché il suo commercio non si è mai esteso?»

Rade aveva sorriso per la prima volta dall’inizio del colloquio.

«Anche in questo caso» aveva risposto «i motivi sembrano essere due. Ci sono difficoltà di produzione, ammesso che ci sia un briciolo di verità nelle voci, d’altronde molto vaghe, che riusciamo a raccogliere; e la droga non resiste a normale temperatura. Occorre conservarla in un refrigeratore a temperature bassissime; quando viene portata alla temperatura ambiente si decompone in pochi istanti. Credo che il principio attivo sia in realtà uno dei prodotti della decomposizione termica, ma nessuno di noi ha mai avuto a disposizione un campione della droga per accertarsene.»

«Ma la questione» aveva chiesto Ken «in che modo mi riguarda? Se non avete nessun campione, io non posso analizzarla. Anzi, probabilmente non potrei analizzarla neppure se ne avessi uno, perché sono un insegnante, e non un chimico di laboratorio. Cos’altro posso fare?»

«È proprio perché siete un insegnante: una sorta di esperto tuttofare di questioni scientifiche, pur non essendo uno specialista in nessun campo particolare. Per questo pensiamo che ci possiate aiutare. Come vi ho detto prima, pare che i trafficanti di droga abbiano dei problemi di produzione.

«Non c’è dubbio che i produttori vorrebbero aumentare la quantità di droga che hanno a disposizione. E non c’è dubbio che gli piacerebbe avere a portata di mano un buon direttore di produzione. Sapete benissimo anche voi, come lo so io, che non riuscirebbero mai ad averlo; nessuna persona a quel livello potrebbe prendere segretamente parte ad attività illegali del genere. Ogni buon direttore di produzione è occupatissimo col suo lavoro, dalla scoperta di Velio in poi, e per noi, in qualsiasi caso, sarebbe facile risalire a chiunque accettasse un’occupazione illegale del genere.

«Voi, invece, siete una persona relativamente poco appariscente; siete in vacanza, e lo sarete ancora per un anno; nessuno si accorgerà della vostra assenza… almeno, così la penseranno i misteriosi trafficanti, secondo noi. È per questo che abbiamo adottato tante precauzioni nel preparare questo incontro.»

«Ma voi dovete farmi conoscere in qualche modo» gli aveva fatto notare Ken «altrimenti i trafficanti non verranno mai a sapere della mia esistenza.»

«La cosa è fattibile… anzi, abbiamo già cominciato a farla. Spero che ci perdonerete questa nostra iniziativa; ma l’impegno è molto importante. Negli ambienti di coloro che hanno dei conti in sospeso con la giustizia si è già diffusa la voce che siete stato voi a fabbricare la bomba che ha distrutto l’impianto di Storni. Possiamo darvi un’invidiabile reputazione in questo senso…»

«Reputazione che in futuro mi impedirà di procurarmi un lavoro onesto, per tutto il resto della mia vita.»

«Reputazione che non giungerà mai a conoscenza dei vostri attuali datori di lavoro, né di altre persone rispettabili, a eccezione delle forze di polizia.»


Ken non aveva ancora capito bene il motivo che lo aveva spinto ad accettare. Forse perché il mestiere di poliziotto conservava ancora un po di fascino, almeno per il suo subcosciente, anche se al giorno d’oggi consisteva soprattutto in un lavoro di laboratorio. La missione che gli aveva proposto Rade sembrava un’eccezione… ma lo era veramente? Come Rade si aspettava, lui era stato contattato da qualcuno: un individuo di pochissime parole, che gli aveva detto di agire per conto di una società commerciale. L’intesa pareva molto semplice: lui doveva mettere a disposizione dei suoi misteriosi datori di lavoro le proprie conoscenze scientifiche. Forse si sarebbero limitati a piazzarlo in un laboratorio, a dargli tutti i dati di un problema di produzione, e a chiedergli di risolverlo. In questo caso si sarebbe trovato presto disoccupato, e sarebbe stato fortunato se fosse potuto ritornare da Rade per comunicargli il suo insuccesso.

Infatti, fino a quel momento non aveva ancora saputo niente. Lo stesso capo della squadra narcotici aveva ammesso che i suoi uomini non conoscevano nessuno che fosse sicuramente collegato con l’organizzazione dei trafficanti, ed era possibile che lui fosse stato assunto da gente relativamente pulita… rispetto ai veri spacciatori, naturalmente. A quanto ne poteva sapere Ken in quel momento, l’ipotesi non era affatto da escludere. Lo avevano imbarcato a bordo della Karella, nello spazioporto dell’Isola del Nord, e per i successivi ventidue giorni non aveva più visto niente.

Sapeva, naturalmente, che la droga veniva da un altro pianeta. Rade era sceso nei particolari fino a dirgli che la diffusione della droga, agli inizi del fenomeno, era stata arrestata grazie al controllo di tutti gli impianti di refrigerazione che giungevano sul pianeta. Ma non aveva immaginato che potesse giungere addirittura dall’esterno del sistema planetario sarriano, finché non aveva pensato che ventidue giorni erano un viaggio molto lungo… ammesso e non concesso che l’astronave avesse sempre viaggiato in linea retta.

Ma di sicuro il mondo che in quel momento si poteva scorgere dal boccaporto non sembrava in grado di produrre alcunché. Soltanto una sottile striscia, a forma di falce, della sua superficie era visibile, giacché si trovava quasi esattamente tra la nave e un sole straordinariamente pallido. La parte rimanente, in ombra, della sfera cancellava dal cielo la Via Lattea, e dalle caratteristiche dei bordi si capiva che il pianeta era completamente privo di atmosfera. Era montagnoso, inospitale, freddissimo. Ken lo intuiva dall’aspetto del sole: quell’astro era talmente debole che lo si poteva fissare direttamente, senza bisogno di proteggersi gli occhi: appariva rossiccio e come raggrinzito. Qualsiasi mondo che si trovasse appena un po lontano da quel sole non poteva che essere freddo.

Naturalmente la droga di Rade richiedeva un ambiente a temperatura molto bassa; benissimo, se era lì che veniva prodotta, Ken intendeva rassegnare le dimissioni, senza pensarci sopra un solo istante di più. Gli bastava guardare il pianeta per sentirsi i brividi. Si augurò che qualcuno si decidesse, finalmente, a spiegargli cosa stesse succedendo. Sulla porta della sua cabina c’era un altoparlante, ma finora lo avevano usato solo per comunicargli che gli avevano portato i pasti e che per il momento la porta non era chiusa a chiave.

Per tutta la durata del viaggio non gli era stato permesso di lasciare la sua stanza, e questo faceva pensare a qualcosa di illegale; purtroppo le forme di illegalità possibili erano numerose, e non si limitavano a quella che lui doveva investigare. Con la corrente legislazione sul commercio, quando una nave esploratrice mercantile scopriva un sistema abitato, molto spesso l’equipaggio teneva segreta la notizia per riservarsi le possibilità di sfruttamento commerciale. In quest’ottica, la precauzione di nascondere all’ultimo arrivato la posizione reale del pianeta costituiva un’ovvia misura di sicurezza.

Non foss’altro che per verificare la reazione dei suoi ignoti carcerieri, disse a voce alta le sue impressioni, pensando che, in fin dei conti, il fatto che si fossero fermati così a lungo davanti a quel pianeta dovesse pur significare qualcosa.

«È qui che volete farmi lavorare? Scusatemi se vi dico che mi sembra un posto estremamente sgradevole.»

Con una certa sorpresa, si sentì rispondere da qualcuno: una persona diversa da quella che gli aveva annunciato i pasti.

«Sono d’accordo con voi» disse la voce. «Non sono mai sceso personalmente su quel pianeta, ma davvero ha un aspetto poco allettante. Comunque, a quanto vi posso dire al momento, il vostro lavoro non prevede che vi interessiate di quel mondo.»

«E di che lavora si tratta?» domandò Ken. E aggiunse: «O non volete ancora dirmelo?»

«Ormai possiamo dirvelo senza pericolo, visto che siamo arrivati al sistema planetario di destinazione.» Nell’udire queste parole, Ken diede uno sguardo allarmato al pallido sole, ma continuò ad ascoltare senza dire niente.

«La porta della vostra cabina è aperta adesso» proseguì la voce all’altoparlante. «Uscite nel corridoio e voltate a destra, e proseguite fino alla fine… circa trenta metri. Arriverete alla cabina di comando, dove ci sono io. Sarà meglio per tutti e due, se ci parleremo di persona.» L’altoparlante tacque, e Ken fece come gli era stato detto. La Karella pareva un tipo normalissimo di nave interstellare, lunga probabilmente una cinquantina di metri, massimo settanta, e con diametro da quindici a venticinque. La forma consueta di quelle navi era cilindrica, con le estremità arrotondate. Un mucchio di posto, all’interno, da impiegare per il trasporto di passeggeri, di merce, o di quel che più pareva al proprietario e armatore…

Nella cabina di comando non c’era niente che meritasse particolare attenzione, a parte gli individui che si trovavano al suo interno. Uno di essi era certamente il pilota: era aggrappato alla sua spalliera, davanti al quadro principale dei comandi. L’altro galleggiava in caduta libera in mezzo alla stanza, e ovviamente aspettava l’arrivo di qualcuno, visto che teneva gli occhi puntati sulla porta. All’arrivo di Ken, si rivolse subito a lui: Ken riconobbe immediatamente la voce che lo aveva invitato a raggiungere la cabina di pilotaggio.

«Ero un po esitante a incontrarci di persona prima che accettaste definitivamente la mia offerta; ma in fin dei conti non vedo che rischi ci possano essere. Oggi come oggi, è molto difficile che io mi rechi ancora una volta su Sarr, e dunque la probabilità che possiate di nuovo incontrarmi è molto remota, nel caso che tra noi non si riesca a raggiungere un accordo.»

«Allora» domandò Ken «devo pensare che siete implicato in qualcosa di poco legale?» Ken pensava di poter dire senza rischi una cosa che, stando alle parole dell’altro, sembrava alquanto ovvia. Dopotutto, il suo misterioso datore di lavoro non poteva pensare che lui fosse stupido.

«Poco legale, certo, se vogliamo interpretare la legge nel modo più… ristretto» disse l’altro. «Tuttavia io ritengo… e sono moltissimi a pensarla come me… che se qualcuno scopre un pianeta abitato, lo esplora a proprie spese, instaura rapporti amichevoli con gli abitanti, ritengo che abbia il diritto morale di ricavare un qualche utile dalla sua scoperta. Questa, detta in poche parole, è la nostra situazione.»

Ken sentì un tuffo al cuore. Cominciava a temere di essere incappato proprio nel tipo di piccola illegalità da lui temuto, quello che non rivestiva alcun interesse agli occhi di Rade.

«In questo modo di vedere la cosa c’è del giusto…» cominciò Ken, senza compromettersi troppo. E aggiunse: «Ma, se la situazione è quella che dite, cosa posso fare per voi? Io non sono certamente un esperto di linguistica, e non so niente di economia, se le vostre difficoltà sono di tipo commerciale.»

«Ci sono delle difficoltà» rispose l’altro «ma non del tipo che dite voi. Nascono dal fatto che il pianeta in questione è talmente diverso da Sarr da rendere impossibile la nostra presenza su di esso, di persona. Abbiamo incontrato delle enormi difficoltà, anche solo per entrare in contatto con gli indigeni, e siamo in contatto soltanto con un gruppo di loro… anzi, può darsi che addirittura si tratti di un singolo individuo; non lo sappiamo.»

«Come sarebbe a dire che non lo sapete? Non potete mandare una sonda con una telecamera e una trasmittente? Mi sembra la prima cosa da fare, in casi come questo.»

«Ve ne accorgerete da voi.» L’individuo, che non aveva ancora dato il suo nome, gli rivolse un sorriso alquanto sgradevole. «Comunque, in un modo o nell’altro, un po di commercio con l’indigeno, o gruppo di indigeni che sia, siamo riusciti a organizzarlo, e abbiamo scoperto che ha un prodotto che ci interessa. Lo riceviamo, come avrete già immaginato, in partite piccolissime, a pezzi e bocconi. Fondamentalmente, il problema che dovrete risolvere è questo: come procurarcene in maggiore quantità? Potete cercare il modo di scendere di persona sul pianeta, se ne avete voglia, ma so che non siete un ingegnere. Piuttosto, pensavo che potreste fare una cosa come questa: analizzare attentamente le condizioni fisiche del pianeta… atmosfera, temperatura, luce e così via… in modo che possiamo poi riprodurle in una località più comoda per noi, per coltivarci da soli il prodotto che ci interessa. In questo modo, detto per inciso, eviteremmo anche di dover pagare agli indigeni il prezzo che ci chiedono.»

«Non mi pare una cosa molto difficile» commentò Ken. «Per inciso, noto che non intendete farmi sapere di che natura è il prodotto a cui vi riferite… a parte che dovrebbe essere di origine vegetale… ma la cosa non mi stupisce. Una volta avevo un amico che lavorava nel campo dei profumi, e il modo in cui cercava di nascondere certi fondamentali rudimenti di chimica che, secondo lui, costituivano dei grandi segreti, risultava leggermente patetico. Sono disposto a provare a fare ciò che mi dite… ma vi avverto, sono ben lungi dall’essere il miglior chimico della Galassia, e non mi sono portato alcuna attrezzatura di laboratorio, poiché non sapevo che cosa si desiderava da me. Avete questa attrezzatura, qui sulla nave?»

«L’abbiamo, ma non sulla nave» rispose l’uomo che non si era presentato. «Abbiamo scoperto il pianeta circa vent’anni fa, e in questo periodo abbiamo costruito una base abbastanza comoda, sul pianeta più interno del sistema. Quel pianeta tiene sempre lo stesso emisfero rivolto verso il suo sole, e siamo riusciti a concentrare su una piccola valle una grossa quantità di luce solare. Laggiù la temperatura risulta adesso abbastanza sopportabile. La base dispone di un buon laboratorio e di un’officina attrezzata, di cui si occupa un bravo meccanico chiamato Feth Allmer; e se poi vi dovesse servire qualcosa che non c’è in officina, possiamo sempre andare noi a prenderla. Cosa ne dite?»

«Davvero ottimo. Accetto il lavoro, e vedrò di fare il possibile.» Ormai, Ken si sentiva un po più rassicurato, in parte perché il lavoro in sé si presentava abbastanza interessante, e in parte grazie ad alcune affermazioni che l’altro si era lasciato scappare inavvertitamente. Se il prodotto che quella gente si procurava sul pianeta sconosciuto era di origine vegetale, come pareva stando a quello che aveva sentito, c’era una sia pur minima possibilità che lui si fosse imbattuto nella pista giusta. Alla necessità di refrigerare il materiale, naturalmente, non si era fatto cenno… E, in base a quanto si era detto, il pianeta poteva essere o troppo freddo o troppo caldo per scendervi di persona; ma lo spettacolo che lui aveva visto dal portello della sua cabina, quando gli era apparso il sole di quel sistema, lo faceva propendere per la prima ipotesi. Inoltre, il suo datore di lavoro aveva parlato di riscaldare il pianeta più interno… e dunque non poteva esserci nessun equivoco, il pianeta era freddo. Indubbiamente. La possibilità di essere sulla pista giusta diventava sempre più alta. Ma all’improvviso dovette distogliere la sua attenzione da questo filo di pensieri perché si accorse che il suo datore di lavoro… ammesso che si trattasse veramente del capo dell’impresa… aveva ripreso a parlare.

«Ero certo che avreste accettato il lavoro. Potete ordinare tutto quello che vi occorre, a partire da questo istante. Potete usare questa nave come desiderate, a meno che non ci siano obiezioni da parte di Ordon Lee, se riterrà che la nave possa correre dei rischi.» Nel pronunciare questo nome, indicò con l’estremità di un tentacolo la figura del pilota. «Tra l’altro, io sono Laj Drai. Voi lavorate per me, e sono certo che staremo più tranquilli tutti e due tenendo bene in mente questo particolare. Che cosa ritenete che si debba fare, tanto per cominciare?»

Ken decise di non dare peso alle pretese di superiorità di Drai, e rispose alla domanda con un’altra domanda. «Avete qualche campione dell’atmosfera e del terreno del pianeta?»

«Dell’atmosfera, no. Non siamo mai riusciti a conservarne dei campioni; probabilmente non li abbiamo raccolti nel modo giusto. Uno dei cilindri che abbiamo usato per prelevare i campioni perdeva, e nella nostra atmosfera il contenuto è bruciato, se la cosa può avere qualche interesse per voi. Abbiamo vari campioni del terreno, ma prima o poi sono stati tutti esposti alla nostra atmosfera, e forse la loro composizione chimica è cambiata. Dovrete controllarlo voi. L’unica cosa che so con certezza è che l’atmosfera di questo pianeta ha una pressione che è circa due terzi di quella sulla superficie di Sarr, e che al livello del suolo la temperatura è tanto bassa da congelare gran parte dei gas presenti nella nostra atmosfera normale… credo che giunga addirittura a congelare il potassio. Il nostro meccanico diceva che è successo appunto questo a una delle nostre apparecchiature che ha smesso improvvisamente di funzionare quando l’abbiamo fatta scendere sul pianeta.»

«E la dimensione del pianeta?» domandò Ken.

«Più grande di Sarr: i dati li troverete tutti alla nostra base sul Pianeta Uno; laggiù sarà più facile consultarli. Non pretendo di ricordarmeli tutti con precisione… anzi, a dire il vero, non ne conosciamo nessuno con precisione. Lo scienziato siete voi, almeno per quello che ci riguarda; i miei uomini sono soltanto i vostri occhi e i vostri tentacoli.

«Abbiamo delle sonde telecomandate, come dicevate voi prima. Ma forse sarebbe meglio avvertirmi, prima di usarle; delle prime venti che abbiamo fatto scendere sulla superficie del pianeta, ne abbiamo perse diciannove. Nel punto dove la ventesima ha toccato terra abbiamo collocato un radiofaro, e adesso ci orientiamo sempre sul suo segnale quando inviamo una sonda sul pianeta. Non sappiamo con esattezza che cosa sia successo alle altre sonde, anche se possiamo formulare delle ipotesi abbastanza convincenti. Vi riferirò tutti i particolari quando esaminerete anche il resto del materiale. C’è qualcosa che vorreste fare, prima che ci allontaniamo dalle vicinanze del pianeta e ci dirigiamo verso Uno?»

«Allontaniamo dalle vicinanze? Mi pareva di avere capito che non è quello, il pianeta che ci interessa.» Ken sollevò un tentacolo in direzione della falce piena di crateri.

«No, non è quello… quello è un satellite di Tre, il pianeta che interessa a noi.»

Ken si sentì accapponare la pelle. Il satellite era spaventoso; il pianeta non poteva essere molto più caldo, dato che si trovava alla stessa distanza dal sole. La presenza di un’atmosfera poteva leggermente migliorare la situazione; ma… una temperatura talmente bassa da solidificare il potassio, e il piombo, e lo stagno! Quando Drai glielo aveva detto, Ken non aveva dato peso alle sue parole. Lui aveva sempre goduto di una buona immaginazione: fin troppo buona, forse, visto che adesso, da quei pochi elementi che gli aveva comunicato Drai, riusciva a costruirsi l’immagine di un mondo raggelato fino all’osso. Un mondo coperto di rocce taglienti, su cui batteva un gelido vento di tormenta, mentre sulla sua superficie, sotto una luce rossastra, niente si muoveva. Un pianeta della morte.

Ma quell’immagine non poteva corrispondere alla realtà: c’erano degli indigeni. Ken cercò di immaginare che tipo di forma vivente potesse sopravvivere in quelle condizioni estreme, ma non riuscì a raffigurarselo. Forse Laj Drai si era sbagliato sulla temperatura; in fin dei conti, aveva detto che quei dati non erano sicuri. Erano solo le congetture di qualche meccanico.

«Vediamo il posto, allora, visto che siamo così vicini. Tanto vale prepararsi al peggio» disse, giunto a questo punto delle sue fantasticherie. Laj Drai fece un cenno al pilota, e lo scafo della Karella cominciò lentamente a ruotare. Il satellite privo di atmosfera scivolò fuori dallo schermo visivo, e al suo posto comparve la luce delle stelle. La nave ruotò di almeno centottanta gradi, finché il Pianeta Tre non si fermò in mezzo allo schermo. La nave doveva trovarsi esattamente tra il pianeta e il satellite, pensò Ken. Cosa non molto saggia, se gli indigeni possedevano cannocchiali.

Poiché adesso il sole era alle loro spalle, il disco del grande pianeta era totalmente illuminato. Diversamente dal satellite spoglio, ai bordi del pianeta era visibile un alone che rivelava la presenza di un’atmosfera, anche se Ken non riusciva a immaginare di che gas potesse essere composta. Nonostante la luce solare decisamente rossastra, la maggior parte della superficie aveva una tinta azzurrina. Era impossibile distinguere i particolari; l’atmosfera era estremamente nebbiosa. C’erano delle visibili chiazze bianche, e altre verdi, o marrone, ma non c’era modo di capire che cosa rappresentasse ciascuna di esse.

Eppure, nebbioso com’era, c’era qualcosa nell’aspetto del pianeta che fece di nuovo rabbrividire lo scienziato. Forse dipendeva da quello che gli aveva detto Drai, e da quello che aveva dedotto dall’aspetto del sole; forse non era niente di reale. Ma, qualunque fosse il motivo, la sola vista di quel mondo lo faceva rabbrividire, e Ken si affrettò a distogliere lo sguardo.

«Andiamo su Uno, e diamo un’occhiata a quei dati» disse, cercando di controllare il suo diaframma vocale. Il pilota obbedì senza fare commenti.

Ma la Terra, in realtà, non era così brutta come se la dipingeva lui. Anzi, c’erano delle persone a cui piaceva molto. Ken, naturalmente, aveva dei pregiudizi, come capiterebbe a chiunque, quando si tratta di un mondo dove l’acqua è allo stato liquido… chiunque, beninteso, sia sempre vissuto respirando vapori di solfo, e bevendo, ma solo di tanto in tanto, cloruro di rame fuso.

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