Blaine rimase immobile, agghiacciato per un secondo, travolto dallo sbalordimento. Erano la sorpresa e lo stordimento, più che la paura o la collera, che lo tenevano lì inchiodato. Sorpresa perché era proprio Freddy Bates. Freddy non era più il perdigiorno senza uno scopo nella vita, l’incoerente uomo misterioso in una città piena di tanti individui come lui, ma un agente dell’Amo, e a quanto pareva un agente molto in gamba.
E c’era un’altra cosa… Kirby Rand aveva capito, e lo aveva lasciato uscire dall’ufficio, aveva lasciato che scendesse con l’ascensore. Ma non appena lui era uscito nel corridoio, s’era buttato sul telefono per sguinzagliargli Freddy alle costole.
Erano stati furbi, ammise Blaine… molto più furbi di lui. Neppure per un momento aveva sospettato che Rand sentisse che qualcosa non andava, e Freddy, quando lo aveva caricato in macchina, s’era comportato come al solito, da perdigiorno incallito.
Lentamente, la collera lo invase, sostituendo lo sbalordimento. La collera di essere stato giocato, di essere stato messo in trappola da uno come Freddy.
«Adesso usciremo insieme,» disse Freddy, «da quei buoni amici che siamo. Ti riporterò indietro, a fare quattro chiacchiere con Rand. Niente storie, niente risse, da veri gentiluomini. Non vogliamo fare niente che potrebbe mettere in imbarazzo Charline.»
«No,» disse Blaine. «No, naturalmente, non vogliamo fare niente del genere.»
E la sua mente lavorava precipitosamente, cercando un modo di uscirne, una scappatoia, una cosa qualsiasi che lo tirasse fuori da quella situazione. Qualunque cosa dovesse succedere, non voleva tornare indietro insieme a Freddy.
Sentì l’essere rosa agitarsi, come se si accingesse ad uscire dalla sua tana.
«No!» urlò Blaine. «No!»
Ma era troppo tardi. Il Rosa era uscito fuori e aveva riempito il suo cervello: e lui era ancora se stesso, ma contemporaneamente era anche qualcun altro. Era due cose nello stesso tempo, ed era accaduto qualcosa di strano e di incomprensibile.
La stanza diventò immobile come la morte, ad eccezione del gemito dell’orologio appeso alla parete. Ed anche questo era strano, perché fino a quel momento, l’orologio non aveva emesso gemiti: aveva emesso ronzii, non gemiti.
Blaine avanzò rapidamente di un passo, e Freddy non si mosse. Se ne stava ritto davanti a lui, con la mano infilata nella tasca della giacca.
Un altro passo, e Freddy si scosse appena appena. I suoi occhi rimasero fissi e sbarrati, senza battiti di ciglia. Ma il suo volto incominciò ad alterarsi, in una smorfia lenta e torturata, e la mano nella tasca si mosse, lievemente, a fatica, come se il braccio e la mano e l’oggetto che la mano stringeva dentro!a tasca si stessero appena ridestando da un sonno profondo.
Ancora un passo, e Blaine gli fu quasi addosso: il suo pugno si avventò come un pistone. La bocca di Freddy si spalancò, lentamente, come se la giuntura della mandibola fosse arrugginita, e le palpebre si abbassarono, adagio, nella caricatura di un battito di ciglia.
Poi il pugno esplose sulla sua mascella. Blaine colpì nel punto cui aveva mirato, colpì con tutte le sue forze, torcendo il busto per caricare di energia il colpo. E mentre colpiva e il dolore del contatto saettava dalle nocche delle dita e risaliva formicolando fino al polso, comprese che era tutto assurdo. Perché Freddy non si era quasi mosso, non aveva neppure cercato di difendersi.
Freddy stava cadendo, ma non come cade di solito una persona. Cadeva lentamente, come un albero che si rovescia dopo l’ultimo taglio. Con un moto lentissimo, si afflosciò sul pavimento, e mentre cadeva la sua mano uscì finalmente dalla tasca: e stringeva una pistola. La pistola sfuggì alle dita flaccide, e toccò il pavimento prima di lui.
Blaine si curvò a raccoglierla, e se la ritrovò in mano prima che Freddy toccasse il pavimento: rimase lì, con l’arma fra le dita, a guardare Freddy che cadeva… No, non cadeva: era come se si sistemasse lentamente sul pavimento, e si rilassasse sulla superficie, al rallentatore.
L’orologio continuava a gemere sulla parete, e Blaine si girò di scatto a guardarlo, e vide che la lancetta dei secondi stava avanzando piano piano sul quadrante. Strisciava, mentre avrebbe dovuto galoppare, ed emetteva un gemito invece di un ronzio. Anche l’orologio, si disse Blaine, era impazzito.
C’era qualcosa che non andava, nel tempo. La lancetta dei secondi che strusciava adagio adagio, e la lenta reazione di Freddy erano le prove.
Il tempo aveva rallentato.
E questo era impossibile.
Il tempo non rallentava. Il tempo era una costante universale. Ma se il tempo, in un modo o nell’altro, aveva davvero rallentato, perché non era accaduto anche a lui?
A meno che…
A meno che, naturalmente, il tempo fosse rimasto così come era, e lui fosse stato accelerato, si fosse mosso così rapidamente che Freddy non aveva avuto il tempo di agire, non aveva avuto la possibilità di difendersi, non era riuscito ad estrarre la pistola dalla tasca.
Blaine protese il pugno davanti a sè e guardò la pistola. Era una cosa massiccia e orribile, di una ottusità mortale.
Freddy non aveva scherzato, l’Amo non stava scherzando. Non si butta sul tappeto una pistola in un gioco di società, tutto leggerezza e cortesia. Non si porta una pistola, a meno che non si sia decisi ad usarla. E Freddy, su questo non c’era il minimo dubbio, era deciso ad usarla.
Blaine si voltò di scatto verso Freddy: era ancora disteso sul pavimento, e sembrava riposasse. Sarebbe passato un certo tempo, prima che rinvenisse.
Blaine si mise in tasca la pistola, si voltò verso la porta, e diede un’occhiata all’orologio. La lancetta dei secondi si era spostata appena appena.
Raggiunse la porta, l’aprì, si voltò a dare un’ultima occhiata alla cucina. Scintillava ancora di cromature e di elettrodomestici, e l’unico elemento di disordine era Freddy, disteso sul pavimento.
Blaine uscì, si avviò sul sentiero di pietre che portava alla lunga scalinata scolpita sulla grande parete rocciosa.
In cima alla scalinata un uomo stava oziando, e cominciò a raddrizzarsi lentamente, mentre Blaine correva verso di lui, lungo il sentiero. La luce che usciva da una delle finestre del piano superiore balenò sul volto dell’uomo che si stava raddrizzando, e Blaine vide un’espressione di sorpresa e di collera scolpita su quel volto.
«Scusami, amico,» disse Blaine.
Fece scattare il braccio, rigidamente, con la palma aperta e piatta, e colpì quel volto.
L’uomo ondeggiò all’indietro, lentamente, passo per passo, quasi con cautela, inclinandosi sempre di più all’indietro, ad ogni passo. Ancora un poco, e sarebbe caduto riverso.
Blaine non si fermò a guardare. Scese le scale, correndo. Dietro le file scure dei veicoli fermi c’era una macchina, con i fari posteriori accesi e il motore che ronzava sommessamente.
La macchina di Harriet, si disse Blaine: ma era puntata nella direzione sbagliata… non con il muso verso l’uscita del canyon, ma nel senso opposto. E questo era un errore, e lui lo sapeva, perché due o tre chilometri più in là la strada finiva.
Arrivò in fondo alla scalinata e passò fra le macchine parcheggiate, giunse sulla strada.
Harriet era seduta in macchina ad aspettarlo, e lui aprì la portiera, salì.
La debolezza lo investì: era una debolezza terribile che gli indolenziva le ossa, come se avesse corso troppo a lungo. Si lasciò cadere sul sedile, guardò le proprie mani abbandonate sulle ginocchia, e vide che tremavano.
Harriet si girò a guardarlo.
«Non ci hai messo molto» disse.
«Ho fatto tutto in fretta,» disse Blaine.
Lei innestò la marcia e la macchina avanzò fluttuando sulla strada, con i getti d’aria che ronzavano: le pareti del canyon raccolsero quel ronzio, palleggiandolo a destra e a sinistra.
«Spero che tu sappia quello che fai,» disse Blaine. «Poco più avanti la strada finisce.»
«Non preoccuparti, Shep. Lo so.»
Lui era troppo stanco per discutere. Era sfinito.
Ed era giusto che lo fosse, si disse, perché si era mosso dieci (o cento?) volte più rapidamente del normale, più di quanto un corpo umano potesse sopportare. Aveva speso le sue energie ad una velocità tremenda: il suo cuore aveva battuto più rapidamente, i suoi polmoni avevano lavorato a un ritmo disperato, e i suoi muscoli s’erano contratti e decontratti con una intensità spaventosa.
Rimase immobile, sbalordito per quello che era accaduto, e si chiese come era potuto accadere. Ma il suo stupore era accademico e formale, perché in realtà sapeva benissimo che cosa era accaduto.
Il Rosa sembrava svanito: lui lo cercò e lo ritrovò, raggomitolato comodamente nella sua tana.
Grazie, gli disse lui.
Però era un pò strano ringraziarlo, perché faceva parte di lui… era dentro al suo cranio, rifugiato nel suo cervello. Eppure non faceva veramente parte di lui: non ancora. Ma non era più un intruso, non era più un fuggiasco.
La macchina risalì sfrecciando il canyon, e l’aria era pura e fredda, come se fosse stata appena lavata in un limpido torrente di montagna, e il profumo dei pini scendeva fra le pareti di roccia, debole e delicato.
Forse, si disse Blaine, la cosa che stava nel suo cervello aveva agito senza pensare veramente di aiutarlo. Poteva essere stato, piuttosto, un riflesso quasi automatico, un’azione dettata dall’istinto di conservazione. Ma, comunque stessero le cose, aveva salvato anche lui, e non soltanto se stessa. Perché loro due erano un solo essere. Non potevano più agire indipendentemente l’uno all’altro dall’essenza della creatura rosa adagiata su quel pianeta lontano, dal suo doppio che era venuto a vivere con lui… perché la cosa che stava nella sua mente era un’ombra del suo vero io, lontano cinquemila anni luce.
«Avuto fastidi?» chiese Harriet, laconica.
«Ho trovato Freddy.»
«Vuoi dire Freddy Bates?»
«Lui è l’unico, vero Freddy.»
«Quella nullità?»
«La tua nullità,» disse Blaine, «aveva in tasca una pistola, e gli occhi iniettati di sangue.»
«Vuoi dire…»
«Harriet,» disse Blaine, «questa faccenda sta diventando pericolosa. Perché non mi fai scendere…»
«Neanche per sogno,» disse Harriet. «Non mi sono mai divertita tanto in vita mia.»
«Non puoi andare da nessuna parte. Fra poco la strada finisce.»
«Shep, magari a guardarmi non ti sembrerà possibile, ma io sono intelligente. E intellettuale. Leggo parecchio, e mi piace soprattutto la storia. La storia delle battaglie, in particolare: specialmente se c’è un bel mucchio di piantine di battaglie da osservare.»
«E allora?»
«E allora ho scoperto una cosa. È sempre una buona idea tenere pronta una linea di ritirata.»
«Ma su questa strada è impossibile.»
«Proprio su questa strada,» disse lei.
Blaine girò la testa e guardò il profilo di Harriet: e non sembrava per niente adatta alla sua parte, non sembrava la giornalista abile e decisa che era in realtà. Non era una redattrice di cronache mondane, né una specialista di storie strappalagrime, né di pettegolezzi dell’alta società: era una tra i migliori giornalisti specializzati nelle faccende dell’Amo e lavorava per uno dei principali quotidiani dell’America settentrionale.
Eppure era chic, pensò, come una indossatrice. Chic senza essere ossuta e vacua come le indossatrici, e con un’aria di tranquilla sicurezza che in qualunque altra donna sarebbe apparsa presunzione.
Blaine era certo che lei sapeva tutto quello che era possibile sapere sul conto dell’Amo. Scriveva da un punto di vista stranamente obiettivo, quasi distaccato, si poteva dire: ma anche nell’atmosfera rarefatta della prosa giornalistica riusciva a inserire un piacevole senso di calore umano.
E, tutto considerato, che cosa ci faceva, lì?
Era un’amica, naturalmente. Blaine la conosceva da anni; più o meno da quando lei era arrivata in città, ed erano andati a cena in quel piccolo locale dove c’era una vecchia fioraia cieca che vendeva rose. Lui le aveva offerto una rosa, lo ricordava ancora, e lei, perché era tanto lontana da casa e si sentiva sola, aveva pianto un pò. Ma, si disse, probabilmente da allora non aveva più pianto.
Era strano, pensò: ma era tutto strano. Anche l’Amo era un incubo dei tempi moderni che il mondo esterno, dopo un secolo, non aveva ancora accettato.
Si chiese come doveva essere stato, un secolo prima, quando gli scienziati si erano finalmente arresi, quando avevano riconosciuto che l’Uomo non era fatto per lo spazio. E tutti quegli anni erano andati perduti, e tutti i sogni erano vani, e l’Uomo si era trovato chiuso nel suo piccolo vicolo cieco planetario. Allora gli dèi erano caduti, e l’Uomo, nel segreto della propria mente, aveva capito che, dopo tutti quegli anni di affanni e di desideri, non aveva ottenuto altro che ordigni.
La speranza era crollata, e i sogni s’erano dissolti, e la trappola s’era chiusa… ma il desiderio dello spazio aveva rifiutato di morire. Perché c’era un gruppo di uomini molto ostinati che aveva preso un’altra strada… una strada che l’Uomo aveva ignorato o abbandonato, molti anni prima, e che da quei tempi era stata derisa e condannata con il nome di magia.
Perché la magia era una cosa puerile: era una favola da vecchie comari; era qualcosa che usciva dai libri per bambini… E nel mondo duro e fragile della strada presa dall’Uomo, era intollerabile. Per credere alla magia bisognava essere matti.
Ma quegli uomini ostinati vi avevano creduto: o almeno avevano creduto nei principi di ciò che il mondo chiamava magia, perché in realtà non era magia, se si usavano le connotazioni che, attraverso gli anni, quella parola aveva finito per assumere. Era piuttosto un principio vero, come i principi che stavano alla base delle scienze fisiche. Ma non era una scienza fisica, era una scienza mentale: riguardava l’uso della mente e l’estensione della mente, anziché l’uso delle mani e le estensioni delle mani.
Da questa ostinazione e da questa fede era nato l’Amo: Amo perché si protendeva a pescare nello spazio. La mente arrivava dove non poteva andare il corpo.
Davanti alla macchina, la strada deviava verso destra, e poi girava verso sinistra, in una curva stretta. Quello era il capolinea: la strada ritornava indietro.
«Tienti forte,» disse Harriet.
Lanciò la macchina fuori strada, la fece risalire lungo il letto sassoso di un torrente che si stendeva ai piedi d’una delle pareti del canyon. I getti d’aria ruggivano, i motori pulsavano e ululavano. I rami degli alberi sfioravano il tetto rotondo, e la macchina si inclinò nettamente, poi si raddrizzò.
«Niente male,» disse Harriet. «Ma ci sono due o tre punti, un pò più avanti, veramente brutti.»
«È questa la linea di ritirata di cui parlavi?»
«Esatto.»
E perché mai, si chiese Blaine, Harriet Quimby aveva bisogno di una linea di ritirata? Stava per domandarglielo, ma poi preferì non farne nulla.
Lei guidava cautamente, avanzando sul letto del torrente asciutto, tenendosi vicina alla parete rocciosa che scendeva a piombo dalle tenebre. Gli uccelli fuggivano svolazzando e strillando dai cespugli, e i rami strusciavano contro la macchina, urlando dalla sofferenza del legno torturato.
La luce dei fari mostrò una curva brusca, con un macigno grande come un pagliaio accostato alla parete di roccia. La macchina rallentò a passo d’uomo, inserì il cofano fra il macigno e la parete, girò, e proseguì verso uno spazio libero.
Harriet spense i getti, e la macchina si calò sul terreno, scricchiolando sulla ghiaia del letto del torrente. Il motore si spense, e il silenzio si chiuse su di loro.
«E adesso proseguiamo a piedi?» chiese Blaine.
«No. Aspettiamo un pò. Verranno a cercarci. Se sentissero il motore, capirebbero da che parte siamo andati.»
«Hai intenzione di arrivare fino in cima?»
«Fino in cima,» rispose Harriet.
«Ci sei già stata?» chiese Blaine.
«Parecchie volte,» rispose lei. «Perché sapevo che, se fosse venuto il momento di servirmi di questa linea di ritirata, avrei dovuto servirmene in fretta: non avrei avuto il tempo di decidere, o di tornare indietro. Dovevo conoscere bene la strada.»
«Ma perché, in nome di Dio…»
«Stammi a sentire, Shep. Tu sei nei pasticci. Io ti sto tirando fuori. Non ti basta?»
«Se è così che vuoi, sicuro. Ma stai rischiando parecchio. E non hai nessun bisogno di farlo.»
«Ho già rischiato parecchie altre volte. Un buon giornalista rischia, quando è necessario.»
Poteva essere verissimo, pensò Blaine: ma non fino a quel punto. C’era una quantità di giornalisti, che gironzolavano attorno all’Amo, e lui era stato in buoni rapporti con gran parte di loro. Ve n’erano addirittura alcuni che considerava suoi amici. Eppure nessuno di loro, nessuno, tranne Harriet, sarebbe stato disposto a fare quello che stava facendo lei.
Perciò il fatto di essere una giornalista non costituiva una spiegazione. E neppure l’amicizia. Era qualcosa di più, forse qualcosa di molto, molto più importante.
La spiegazione poteva essere questa: Harriet non era soltanto una giornalista: doveva essere anche qualcosa d’altro. Doveva esserci un altro motivo d’interesse, e un motivo molto grosso.
«Una delle volte in cui hai rischiato, per caso hai rischiato per Stone?»
«No1,» disse lei. «Conosco Stone soltanto di nome.»
Rimasero seduti in macchina, ad ascoltare, e in distanza, nel canyon, si udiva il lieve mormorio dei getti. Il mormorio avvicinò rapidamente, lungo la strada, e Blaine cercò di contare: sembrava che le macchine fossero tre, ma non poteva esserne certo.
Le macchine arrivarono all’anello e si fermarono. Gli uomini scesero, cominciarono ad aggirarsi fra i cespugli, chiamandosi l’un l’altro.
Harriet allungò una mano, e serrò strettamente le dita attorno al braccio di Blaine.
Shep, che cosa hai fatto a Freddy? (Immagine di un teschio sogghignante.)
L’ho messo fuori combattimento, nient’altro.
E aveva una pistola?
Gliel’ho presa (Freddy dentro a una bara, con un sorriso fisso sul volto imbellettato, e un giglio mostruoso infilato tra le mani incrociate).
No. Non così. (Freddy con un occhio gonfio, con il naso che sanguinava, e una quantità di cerotti sulla faccia piena di lividi.)
Rimasero seduti in silenzio, ad ascoltare.
Le grida degli uomini si persero, in lontananza, poi le macchine tornarono ad avviarsi e si mossero lungo la strada.
Andiamo!
Aspettiamo, disse Harriet. Sono arrivate tre macchine, e solo due sono ripartite. C’è n’è ancora una che aspetta (una fila di orecchie in ascolto, protese e deformate nello sforzo di origliare). Sono sicuri che abbiamo preso questa strada. Non sanno dove siamo. Questa è (una trappola aperta, con tante file di denti accuminati). Penseranno che noi crediamo che se ne siano andati e che finiremo per tradirci.
Attesero. Lontano, nel bosco, un procione emise un verso lamentoso e un uccello, disturbato da qualche animale vagabondo, fece udire una protesta assonnata.
C’è un posto, disse Harriet. Un posto dove tu sarai al sicuro. Se vuoi andarci.
Qualunque posto va bene. Non ho scelta.
Sai com’è il mondo esterno?
Ne ho sentito parlare.
In certe città ci sono dei cartelli (un cartello con le parole: PARA, NON RESTARE QUI DOPO IL TRAMONTO). Sono pieni di pregiudizi e di intolleranza e ci sono (predicatori barbuti, all’antica, che pestavano i pugni sul pulpito: uomini in vestaglia, con maschere sul volto, che impugnavano fruste e corde; persone stravolte, terrorizzate che si nascondevano sotto cespugli simbolici).
Harriet disse, con un filo di voce: «È una vergogna schifosa.»
Sulla strada, la macchina s’era rimessa in moto. L’ascoltarono allontanarsi.
«Hanno desistito, finalmente», disse Harriet. «Può darsi che abbiano lasciato un uomo di guardia, ma dobbiamo correre il rischio».
Riaccese il motore, attivò i getti. Con i fari accesi, la macchina risalì il letto del torrente. Il pendio era sempre più ripido, il torrente sempre più stretto. La macchina superò un dosso, schivando gli arbusti. Incontrarono ancora una parete di roccia, ma questa era sulla loro sinistra. La macchina si insinuò in un crepaccio, sfiorando le rocce che la chiudevano da entrambi i lati e avanzò, lentamente. Poi il crepaccio si aprì, di colpo, e si trovarono su di uno stretto cornicione: sopra di loro c’era la roccia nera, sotto di loro un vuoto ancora più nero. Salirono per tempo interminabile, e il vento divenne gelido e pungente, e finalmente, davanti a loro, si allargò una distesa piatta, inondata dalla luna che scendeva verso occidente.
Harriet fermò la macchina e si accasciò sul sedile.
Blaine accese e si frugò in tasca, cercando un pacchetto di sigarette. Finalmente riuscì a trovarlo: c’era rimasta soltanto una sigaretta, tutta storta e malconcia. La raddrizzò con cura e l’accese. Poi girò attorno alla macchina, e la mise tra le labbra di Harriet.
Lei aspirò il fumo.
«Il confine è dritto davanti a noi,» gli disse. «Prendi tu il volante. Ci sono ancora ottanta chilometri, in aperta campagna. Nessuna difficoltà. V’è un paesino, potremo fermarci per fare colazione».