XXIV

Rand era una macchia più scura nell’oscurità, quando si fece avanti e raccolse la torcia elettrica che era caduta sul pavimento. Girò su se stesso per dirigere il raggio di luce sulla macchina delle stelle, e nel flusso di chiarore si vedevano soltanto minuscole particelle di polvere che danzavano, proprio nel cuore della macchina.

«Sì,» disse Rand. «Proprio un’azione magnifica. Non so come hai fatto e non so neppure perché l’hai fatto, ma senza dubbio hai sistemato la faccenda.»

Spense la torcia elettrica e per un attimo rimasero in silenzio, nell’oscurità attenuata soltanto dai raggi di luna che filtravano dalle finestre.

Poi Rand riprese a parlare.

«Immagino che ti renda conto che l’Amo ti deve un ringraziamento, per quello che hai fatto.»

«Piantala,» rispose Blaine. bruscamente. «Sai benissimo che non l’ho fatto per l’Amo.»

«Tuttavia,» disse Kirby Rand. «si dà il caso che, in questo particolare settore, i nostri interessi coincidano. Non potevamo permetterci che questa macchina andasse perduta. Non potevamo tollerare che finisse in mani sbagliate. Tu lo capisci, naturalmente.»

«Naturalmente,» disse Blaine.

Rand sospirò.

«Mi aspettavo che succedesse un guaio, e se c’è qualcosa che l’Amo non vuole sono proprio i guai. In particolare quando si tratta di guai in provincia.»

«Non c’è stato nessun guaio,» disse Blaine, «di cui l’Amo debba preoccuparsi.»

«Sono lieto di saperlo. E tu. Shep? Come te la passi?»

«Non troppo male, Kirby.»

«Mi fa piacere,» disse Kirby Rand. «Mi fa molto piacere. E adesso, credo che faremmo bene ad andarcene.»

Si diresse verso la finestra infranta, facendo strada all’altro, poi si scostò.

«Passa tu per primo,» disse a Blaine. «Io ti seguirò. Vorrei chiederti, in via del tutto amichevole, di non cercare di scappare di nuovo.»

«Non aver paura,» rispose Blaine, in tono asciutto, e scavalcò rapidamente la finestra.

Poteva fuggire, naturalmente, si disse, ma sarebbe stata una sciocchezza enorme perché, senza il minimo dubbio, Rand aveva una pistola, e sapeva usarla in modo efficiente, anche nella luce incerta della luna. E soprattutto, se ci fosse stata una sparatoria, Harriet sarebbe arrivata di corsa, per cercare di aiutarlo: e se anche lei si fosse fatta prendere, non gli sarebbe rimasto neppure un amico. Harriet, si disse, quasi pregando, doveva restarsene nascosta nel boschetto di salici. Avrebbe visto quello che stava succedendo, e ben presto sarebbe riuscita a trovare qualche soluzione.

Harriet, si disse, era la sua unica speranza.

Si lasciò ricadere al suolo, e si fece da parte, aspettando che uscisse anche Rand.

Rand scavalcò la finestra e si girò verso di lui, un pò troppo rapidamente, con un gesto tipico da cacciatore, e poi si rilassò, ridacchiando.

«È stato un bellissimo trucco, Shep,» disse. «Molto efficace. Un giorno o l’altro dovrai spiegarmi esattamente come ci sei riuscito. Rubare una macchina delle stelle non è una cosa facile.»

Blaine ringoiò il proprio sbalordimento, e si augurò che il chiaro di luna non permettesse a Rand di leggere l’espressione che sapeva di avere stampata in faccia.

Rand allungò una mano e lo prese per il gomito, con fare amichevole.

«La macchina è laggiù,» disse. «Proprio sul ciglio della strada.»

Attraversarono insieme la distesa di erbacce fruscianti, e adesso tutto era diverso: il panorama non era più tenebroso e pauroso, ma un luogo dipinto magicamente dai raggi della luna. Alla loro destra stava la città, una massa di case oscurate che sembravano più rocce che case, e una linea di alberi nudi che spiccavano, come pennelli messi in fila, contro il cielo, ad oriente. A occidente ed a nord si stendeva la prateria argentata, piatta e uniforme e resa immensa dalla sua stessa uniformità.

E proprio accanto all’autostrada stava il boschetto di salici.

Blaine vi lanciò una rapida occhiata, e c’erano soltanto i salici. La luce della luna non si rifletteva su superfici metalliche. Fece qualche altro passo, poi tornò a guardare e questa volta ebbe la certezza di non essersi ingannato. Non c’erano macchine, nel boschetto di salici. Harriet se ne era andata.

Brava, pensò. Quella ragazza aveva avuto buon senso. Probabilmente s’era affrettata ad andarsene non appena aveva visto arrivare Rand. Molto probabilmente aveva pensato che la cosa migliore era battersela, per potere intervenire in un’altra occasione.

«Immagino,» disse Kirby Rand, «che tu non sappia dove andare.»

«No,» disse Blaine. «Non lo so.»

«Brutta città, questa,» gli disse Rand. «Qui prendono molto sul serio quelle storie dei lupi mannari e della stregoneria. I poliziotti mi hanno fermato due volte. Mi hanno detto che dovevo chiudermi da qualche parte. Mi hanno detto, molto severamente, che era per il mio bene.»

«Sono tutti maledettamente nervosi,» gli disse Blaine. «Lambert Finn è qui.»

«Oh, sì,» disse Rand, in tono di noncuranza. «È un nostro vecchio amico.»

«Non è mio amico. Non l’ho mai conosciuto.»

«Un tipo affascinante,» disse Rand. «Molto affascinante.»

«So pochissimo, di lui,» disse Blaine. «Soltanto quello che ho sentito raccontare.»

Rand emise un grugnito.

«Ti consiglierei,» disse, «di passare la notte alla Stazione di Scambio. Il gestore riuscirà a sistemarti un letto da qualche parte. E non mi sorprenderebbe se tirasse fuori anche una bottiglia. Sento il bisogno d’una buona dose di liquore.»

«Anch’io.» disse Blaine.

Era inutile lottare, ormai, era inutile come sarebbe stato inutile cercare di fuggire. Stavi al loro gioco, e aspettavi l’occasione. Loro cercavano di coglierti alla sprovvista, e tu cercavi di cogliere alla sprovvista loro. E intanto tu sapevi benissimo, e anche loro lo sapevano, che si trattava di un gioco molto corretto ed educato, ma assolutamente mortale.

E poi si chiese perché se la prendeva tanto. Dopo quelle ultime settimane, si disse, l’Amo gli sarebbe sembrato un posto meraviglioso. Anche se l’avessero mandato nella villeggiatura-prigione della Bassa California, sarebbe stato sempre meglio delle prospettive che si trovava di fronte in quella città sulle rive del Missouri.

Raggiunsero la macchina parcheggiata sul ciglio della strada, e Blaine attese che Rand si fosse seduto dietro al volante, poi salì a sua volta.

Rand avviò il motore, ma non accese i fari. Riportò la macchina sull’autostrada e partì.

«La Polizia non può fare altro che obbligarci a metterci al coperto,» disse, «ma mi sembra inutile avere a che fare con quella gente se possiamo evitarlo.»

«Giusto,» disse Blaine.

Rand evitò il centro della città, passò furtivamente per le strade secondarie. Finalmente si infilò in un vicolo, svoltò in un parcheggio e si fermò.

«Eccoci arrivati.» disse. «Andiamo a bere quel liquore di cui abbiamo parlato.»

Bussò alla porta di servizio, che subito si aprì, ed entrarono nel retrobottega della Stazione di Scambio. Blaine vide che quasi tutto lo spazio era utilizzato per immagazzinare la merce, ma c’era un angolo che serviva come soggiorno. C’era un letto, una cucina e una tavola. Vi era anche un grande camino di pietra nel quale ardeva un fuoco di legna, e comode poltrone schierate tutto intorno.

Accanto alla porta che dava nel negozio vero e proprio c’era una struttura massiccia che sembrava una grande cassa; e Blaine, sebbene non ne avesse mai vista una, la riconobbe immediatamente. Era un transo: il trasferitore di materia che aveva contribuito a rendere possibile il consolidamento della rete commerciale delle Stazioni di Scambio in tutto il globo. Attraverso quella cassa metallica poteva arrivare, da un momento all’altro, qualunque merce che fosse necessaria alle migliaia di rivendite al minuto.

Quella era la macchina di cui aveva parlato Dalton quella sera, alla festa in casa di Charline… la macchina che, a quanto aveva affermato, avrebbe potuto distruggere le aziende di trasporto di tutto il mondo, se l’Amo avesse deciso di destinarla all’uso pubblico.

Rand agitò una mano, indicando una delle poltrone.

«Accomodati,» disse a Blaine. «Grant ci procurerà una bottiglia. Ce l’ha, vero Grant?»

Il gestore sogghignò.

«Lo sa benissimo che ce l’ho. Come farei a resistere, altrimenti, in un posto simile?»

Blaine sedette in una delle poltrone davanti al camino, e Rand sedette di fronte a lui, fregandosi le mani.

«Ci siamo separati davanti a una bottiglia,» ricordò a Blaine. «Direi che è molto giusto ritrovarci davanti a un’altra bottiglia.»

Blaine avvertì dentro di sè una tensione crescente, la sensazione di essere chiuso in trappola, ma sorrise a Rand.

«Sai che margine di vantaggio avevo, quella sera?» chiese. «Otto piccoli, luridi minuti. Nient’altro.»

«Hai sbagliato i calcoli, Shep. Ne avevi esattamente dodici. I ragazzi avevano perso un pò di tempo ad analizzare il nastro.»

«E Freddy,» continuò Blaine. «Chi avrebbe mai immaginato che Freddy lavorava per voi?»

«Saresti veramente sorpreso,» gli disse gentilmente Rand, «se ti dicessi chi c’è, fra quelli che lavorano per me.»

Rimasero seduti comodamente davanti al fuoco lingueggiante, misurandosi a vicenda.

Finalmente Rand riprese a parlare.

«Perché non mi racconti tutto, Shep? Io non conosco tutte le spiegazioni. Non sono riuscito a capire. Sei incappato in una strana situazione, al largo delle Pleiadi, e continui a startene così abbottonato…»

«Abbottonato?»

«Sicuro. Abbottonato. Vuoi tenerti il segreto in esclusiva. Sapevamo che avevi trovato qualcosa, e abbiamo mandato altri, lassù, e il tuo amico se ne sta là e li guarda fisso, e non fa nient’altro. Cercano di parlargli, e quello è assolutamente sordo. Fa finta di non sentirli neppure. Fa finta di non capire…»

«È per via della fratellanza,» disse Blaine. «Abbiamo compiuto i riti. Tu non lo capiresti.»

«Credo di capire,» disse Rand. «In che misura sei diventato alieno, Shep?»

«Mettimi alla prova e vedrai.»

Rand rabbrividì.

«No, grazie. Vedi, ho seguito le tue tracce. Cominciavano con Freddy, e diventavano sempre più strane.»

«E che cosa hai intenzione di fare?»

«Mi venga un accidente se lo so,» disse Rand.

Il gestore portò una bottiglia e due bicchieri.

«E per lei?» chiese Rand.

Grant scosse il capo.

«Ho una quantità di merce da mettere ancora in ordine. Se non le spiace…»

«No, naturalmente,» rispose Rand. «Continui pure il suo lavoro. Una cosa…»

«Che cosa, signore?»

«Vorrei sapere se il signor Blaine può passare la notte qui.»

«Certamente. Ma non è un gran bel posto.»

«Non ha importanza,» disse Blaine.

«Le cederei volentieri il mio letto, ma francamente non le conviene. Quando ci si è abituati, ci si riesce a dormire, ma le prime volte…»

«Non avevo intenzione di portarglielo via.»

«Potrei prendere un pò di coperte, e arrangiare una specie di giaciglio sul pavimento. Mi creda, sarebbe sempre meglio che quel letto.»

«Andrà benissimo,» disse Blaine. «La ringrazio.»

Rand prese la bottiglia e la stappò.

«Fra un pò verrò a portare le coperte,» disse il gestore.

«Grazie, Grant,» disse Rand.

Il gestore se ne andò. La porta che dava nella parte anteriore dell’edificio si chiuse dietro di lui con un rumore lieve come un sospiro.

Rand versò il liquore.

«Per essere sincero,» disse, «se non vuoi, non sei obbligato a restare.»

«No?»

«Io me ne ritorno all’Amo. Attraverso il transo. Tu potresti venire con me.»

Blaine tacque. Rand gli porse il bicchiere.

«Beh, cosa decidi?» chiese.

Blaine rise.

«La stai facendo troppo facile.»

«Può darsi,» disse Rand.

Bevve un sorso e si sistemò più comodamente sulla poltrona.

«Posso capire la faccenda dell’alieno,» disse. «Si tratta di un rischio professionale che può capitare a qualsiasi viaggiatore. Ma che c’entra la macchina delle stelle? Tu sei in combutta con Stone, naturalmente.»

«Tu sai che Stone è morto.»

«No, questo non lo sapevo.» Ma il suo tono era tutt’altro che convincente.

E improvvisamente, dal tono della voce di Rand, per una intuizione inspiegabile, Blaine seppe che a Rand non importava che Stone fosse morto e che Finn fosse in città. Per lui non contava affatto. O forse si trattava di qualcosa di diverso. Poteva darsi che Rand fosse contento di sapere che Stone era morto, e che approvasse in buona parte ciò che stava facendo Finn. Perché il monopolio dell’Amo era fondato su di un mondo di non-para, su tutti i milioni di persone che erano costrette a rivolgersi all’Amo per il commercio con le stelle. Perciò l’Amo e Rand, comprese Blaine con un trasalimento improvviso, potevano essere addirittura favorevoli allo sviluppo della crociata di Finn, fino alla sua inevitabile conclusione.

E se questo era vero, poteva darsi che fosse stato l’Amo, e non Finn, a sferrare il colpo mortale contro Stone?

Arretrò davanti a quel pensiero, ma ormai gli si era conficcato nel cervello… perché la situazione si andava rivelando diversa da quella che aveva immaginato: non si trattava più semplicemente di una lotta fra Stone e Finn.

Sarebbe stato meglio, si disse, dichiarare immediatamente di non avere il minimo legame con la macchina delle stelle. Forse avrebbe dovuto dirlo subito, nel deposito, quando Rand vi aveva accennato per la prima volta. Ma se avesse detto la verità, se ora avesse detto a Rand che fino a poche ore prima lui non sapeva nulla della macchina delle stelle, probabilmente avrebbe perduto un elemento piuttosto importante per un negoziato. E, anche se glielo avesse detto, probabilmente Rand si sarebbe rifiutato di credergli: perché lui, in fin dei conti, aveva aiutato Riley a riparare il camion per quasi tutto il percorso, dal Messico alle rive del Missouri.

«Ci avete messo parecchio tempo a raggiungermi,» disse Blaine. «State perdendo la vostra efficienza? Oppure vi stavate divertendo alle mie spalle?»

Rand aggrottò la fronte.

«Ti avevamo quasi perduto, Shep. Ti avevamo identificato in quel paese dove stavano per impiccarti.»

«E tu eri là, quella notte?»

«Non personalmente.» disse Rand. «Ma c’erano alcuni dei miei uomini.»

«E mi avreste lasciato impiccare?»

«Ecco, per essere sincero, non eravamo tutti dello stesso parere. Ma tu ci hai tolto il disturbo di decidere.»

«Ma altrimenti…»

«Credo che, molto probabilmente, ti avremmo lasciato impiccare. C’era la possibilità, è naturale, che se ti avessimo tirato fuori da quel pasticcio, tu ci portassi alla macchina delle stelle. Ma a quel punto eravamo sicuri che saremmo riusciti a rintracciarla da soli.»

Sbatté il bicchiere sulla tavola.

«Che razza di pazzia!» gridò. «Trasportare una macchina di quel genere a bordo di quel catorcio. Cosa…»

«Semplicissimo,» disse Blaine, rispondendo a nome di Stone. «E tu conosci la spiegazione come la conosco io. Nessuno sarebbe stato tanto pazzo da fare una cosa simile. Se tu avessi rubato qualcosa di molto prezioso, lo porteresti il più lontano possibile e il più rapidamente possibile…»

«Lo farebbe chiunque,» disse Rand.

Vide Blaine che sogghignava e sogghignò a sua volta.

«Shep,» disse, «sii sincero con me. Eravamo buoni amici, una volta. E forse, a quanto ne so io, ancora adesso noi due siamo ottimi amici.»

«Che cosa vuoi sapere?»

«Tu hai portato quella macchina da qualche parte, poco fa.»

Blaine annuì.

«E puoi riportarla indietro?»

«No,» rispose Blaine. «Sono assolutamente sicuro che è impossibile. È stato… beh, è stato un pò come giocare uno scherzo a qualcuno.»

«A me, per caso?»

«Non a te. A Lambert Finn.»

«Finn non ti piace, non è vero?»

«Non lo conosco neppure.»

Rand riprese la bottiglia e tornò a riempire i bicchieri. Bevve metà del suo liquore, poi si alzò.

«Adesso devo andare,» disse, dando un’occhiata all’orologio. «Una delle feste di Charline. Non vorrei perderla per niente al mondo. Sei sicuro di non voler venire? Charline sarebbe felicissima di rivederti.»

«No, ti ringrazio. Preferisco restare qui. Porta i miei saluti a Freddy.»

«Freddy,» disse Rand, «non è più con noi.»

Blaine si alzò e accompagnò Rand fino al transo. Rand aprì lo sportello. L’interno della macchina sembrava quello di un comune montacarichi.

«Peccato,» disse Rand, «che non possiamo adoperarlo nello spazio. Si libererebbe una quantità di personale.»

«Immagino,» disse Blaine, «che ci stiate lavorando sopra.»

«Oh, certamente,» rispose Rand. «Si tratta soltanto di rifinire meglio i comandi.»

Tese la mano.

«Ti saluto, Shep. Ci vediamo.»

«Addio, Kirby,» disse Blaine. «Spero che non ci rivedremo mai più.»

Rand sogghignò, entrò nella macchina e richiuse lo sportello. Non vi furono lampi di luce… nulla che indicasse che la macchina fosse entrata in funzione.

Eppure ormai, Blaine lo sapeva, Kirby Rand era ritornato all’Amo.

Voltò le spalle al transo, e si avviò di nuovo verso la poltrona accanto al fuoco.

La porta che dava sul negozio si spalancò, ed entrò Grant. Teneva una vestaglia a strisce ripiegata sul braccio.

«L’ho trovata,» annunciò. «Avevo addirittura dimenticato di averla.»

Si tolse la vestaglia dal braccio e la spiegò.

«Non è una meraviglia?» chiese.

Era una meraviglia. Era una specie di pelliccia, e c’era qualcosa che faceva scintillare il pelo nella luce delle fiamme, come se qualcuno l’avesse cosparsa d’una miriade di minuscoli frammenti di diamante. Era di un colore giallo dorato, a strisce nere disposte diagonalmente, e sembrava più simile alla seta che ad una pelliccia.

«Era qui da diversi anni,» disse Grant. «C’era un tale che faceva il campeggio sul fiume… Venne qui e me la ordinò. L’Amo ebbe qualche difficoltà a trovarne una così su due piedi, ma alla fine la trovò e me la consegnò. Come lei sa, signore, ci riesce sempre.»

«Sì, lo so,» disse Blaine.

«E poi quell’uomo non si fece più vedere. Ma la pelliccia era così bella che non sono mai riuscito a decidermi a rimandarla indietro. L’ho tenuta nell’inventario, facendo finta che un giorno o l’altro avrei avuto la possibilità di venderla. Naturalmente, non ci riuscirò. Costa troppo, per una città miserabile come questa.»

«Che cos’è?»

«La pelliccia più calda, più leggera, più morbida dell’universo. L’adoperano soprattutto i campeggiatori. È infinitamente meglio di un sacco a pelo.»

«Ma non posso adoperarla,» protestò Blaine. «Mi basta una coperta normale…»

«Deve prenderla,» gli disse Grant. «Come un favore personale, signore. Non posso offrirle una sistemazione decente, e me ne vergogno moltissimo. Ma se sapessi che, almeno, lei dorme in un articolo di lusso…»

Blaine rise e tese la mano.

«Sta bene,» disse. «E grazie.»

Grant gli consegnò la vestaglia, e Blaine la soppesò nella mano, e quasi non riusciva a credere che potesse essere tanto leggera.

«Ho ancora un pò di lavoro da fare,» gli disse il gestore. «Se non le dispiace, andrei a finirlo. Lei può sistemarsi qui, dove preferisce.»

«Vada pure,» disse Blaine. «Io finirò di bere e poi mi metterò a dormire. Vuol bere un bicchierino con me?»

«Più tardi,» disse il gestore. «Bevo sempre un goccio, prima di andare a letto.»

«Le lascerò la bottiglia.»

«Buonanotte, signore,» disse il gestore. «Arrivederci a domani mattina.»

Blaine tornò alla poltrona e vi sedette, con la vestaglia ripiegata sulle ginocchia. L’accarezzò con la mano, ed era così soffice e calda che dava l’impressione di essere ancora viva.

Riprese il bicchiere, sorseggiò lentamente il liquore, e continuò a pensare a Rand.

Era probabilmente l’uomo più pericoloso della Terra, nonostante ciò che Stone aveva detto di Finn… Era l’uomo più pericoloso, personalmente: mellifluo e irriducibile, un uomo che svolgeva la politica dell’Amo come se si fosse trattato di ordini divini. Nessun nemico dell’Amo poteva salvarsi da Rand.

Eppure non aveva insistito perché Blaine tornasse indietro con lui. Aveva pronunciato il suo invito senza dargli troppa importanza, come se fosse stata una faccenda di poco conto, e non aveva dimostrato il minimo risentimento, e neppure la minima delusione quando Blaine aveva rifiutato. E non aveva neppure accennato ad usare la forza, sebbene, si disse Blaine, probabilmente questo era dovuto al fatto che non sapeva bene con cosa aveva a che fare. Mentre era sulla sua pista, a quanto pareva, aveva scoperto quanto bastava per mettersi in guardia, per comprendere che l’uomo da lui seguito possedeva facoltà segrete, completamente nuove per l’Amo. Per questa ragione si era mosso lentamente, cautamente, e si era comportato con una disinvoltura che tuttavia non poteva ingannare nessuno. Perché Rand, e Blaine lo sapeva benissimo, era un uomo che non si arrendeva mai.

Doveva avere un asso nella manica, sicuramente, pensò Blaine… un asso così ben nascosto che non ne spuntava neppure un angoletto.

Quindi c’era una trappola pronta, con l’esca innestata. Di questo non c’era dubbio.

Blaine rimase seduto quietamente sulla poltrona, a finire il liquore.

Forse era una grossa sciocchezza restare lì, alla Stazione di Scambio. Forse sarebbe stato molto meglio alzarsi e andarsene. E forse era proprio questo che Rand aspettava da lui. Forse la trappola era piazzata fuori dalla porta, non all’interno della Stazione di Scambio. Era molto probabile, anzi, che quella stanza fosse l’unico posto sicuro dove passare la notte.

Aveva bisogno di stare al coperto: ma non doveva dormire. Forse la cosa migliore da fare era rimanere lì, ma non certo addormentarsi. Poteva sdraiarsi sul pavimento, avvolto strettamente nella vestaglia, e fingere di dormire: ma intanto doveva tener d’occhio Grant. Perché, se in quella stanza c’era veramente una trappola, toccava a Grant farla scattare.

Tornò a deporre il bicchiere sulla tavola, accanto a quello in cui aveva bevuto Rand, e che era ancora semipieno. Spostò la bottiglia in modo da allinearla per bene con i bicchieri. Si cacciò la vestaglia sotto il braccio e si avvicinò al camino. Prese l’attizzatoio e spinse i ceppi ardenti l’uno vicino all’altro, per ravvivare la fiamma che stava per spegnersi.

Si sarebbe sdraiato lì, decise, proprio davanti al fuoco: in questo modo avrebbe avuto la luce delle fiamme alle spalle.

Spiegò con cura la vestaglia. Era soffice e cedevole, quasi come un materasso, nonostante l’assenza di spessore. Se la tirò addosso, e la vestaglia lo coprì tutto, dolcemente, come un sacco a pelo. Non aveva mai provato un simile senso di comodità, dai tempi in cui era un bambino, e se ne stava al calduccio sotto le coperte, nel suo letto, nelle notti più fredde dell’inverno.

Se ne rimase lì disteso, a guardare nell’oscurità del magazzino, al di là della parte che era stata adibita ad alloggio. Riusciva a distinguere le sagome vaghe dei barili, delle casse, delle balle, degli scatoloni. E mentre se ne stava lì, immerso nel silenzio rotto soltanto, talvolta, dal crepitare e dallo scoppiettare del fuoco che ardeva nel camino alle sue spalle, poco a poco percepì il debole odore che aleggiava in quella stanza… l’odore indescrivibile di cose estranee alla Terra. Non era un odore spiacevole, e neppure esotico, e tanto meno sensazionale, ma un odore quale non esisteva, sulla Terra, l’odore composito di spezie e di tessuti, di legno e di viveri, e di tutte le moltissime altre cose che erano state raccolte fra le stelle. Eppure in quel magazzino c’era soltanto un campionario molto ridotto, lo sapeva: soltanto quello che poteva essere considerato necessario per una delle Stazioni di Scambio meno importanti. Ma una Stazione di Scambio che aveva a disposizione tutte le risorse dei giganteschi magazzini dell’Amo, grazie al transo che stava in quell’angolo, e che poteva fornire qualsiasi cosa venisse richiesta.

E questa era soltanto una parte piccolissima dell’immenso traffico con le stelle… era soltanto la parte su cui si potevano mettere le mani, quella minima parte che uno poteva acquistare e possedere.

Perché c’era anche quella parte assai più grande, invisibile, quasi totalmente ignorata dall’attività dell’Amo: procurare e raccogliere e accumulare idee e cognizioni carpite nelle profondità degli spazi.

Nelle università dell’Amo, studiosi provenienti da tutte le parti del mondo frugavano in quelle idee, in quelle conoscenze, e cercavano di stabilire correlazioni e di studiarle, e in qualche caso cercavano di applicarle praticamente, e negli anni futuri sarebbero state proprio quelle conoscenze e quelle idee che avrebbero foggiato il corso e il destino dell’umanità intera.

Ma non si trattava soltanto di questo. C’era, innanzi tutto, la conoscenza e le idee rivelate e poi, in secondo luogo, gli schedari di nozioni e di fatti che venivano tenuti sottochiave o, nella migliore delle ipotesi, riveduti e corretti e censurati da commissioni segrete.

Perché l’Amo, naturalmente, non poteva, per il bene dell’umanità ed anche per il proprio interesse, rivelare al mondo tutto quello che trovava.

C’erano certi punti di vista, filosofie, idee, comunque si potesse chiamarli, assolutamente nuovi che, sebbene fossero validissimi nel contesto delle loro particolari strutture sociali, non erano umani da nessun punto di vista, e non potevano venire adattati neppure con il massimo sforzo d’immaginazione, alla razza umana ed ai valori umani. E ve n’erano altri che, sebbene fossero in pratica applicabili, dovevano venire studiati con la più grande attenzione, per cercare di scoprire i possibili effetti secondari sul pensiero umano e sulla mentalità umana, prima che fosse possibile introdurli, magari obliquamente e per vie traverse, nella struttura culturale dell’umanità. E ve ne erano altri, infine, perfettamente applicabili, che non potevano venire divulgati se non, forse, dopo un centinaio di anni… idee così avanzate, così totalmente rivoluzionarie, che bisognava aspettare che l’umanità maturasse per essere in grado di riceverle…

E proprio in questo doveva esserci qualcosa di ciò che Stone aveva pensato, quando aveva incominciato ad intraprendere la sua crociata per infrangere il monopolio dell’Amo, per condurre gli individui paranormali di tutto il mondo, esclusi dall’Amo, a scoprire almeno in una certa misura l’eredità che era loro di diritto, in virtù delle loro stesse facoltà.

Su questo punto, Blaine poteva dichiararsi d’accordo con Stone, perché non era assolutamente giusto, si disse, che tutti i risultati ottenuti dalla cinetica paranormale venissero incanalati per sempre attraverso il rigido sistema di controlli di un monopolio che, in un secolo di esistenza, aveva perso gran parte della sua fede sincera e della forza delle sue finalità umane per diventare una gigantesca centrale commerciale, quale nessuno, in nessuna epoca, aveva mai avuto occasione di vedere.

Secondo tutte le leggi dell’onestà, la cinetica paranormale apparteneva all’Uomo, e non ad un gruppo esclusivo di uomini, non ad una corporazione, e neppure ai suoi scopritori o agli eredi dei suoi scopritori… perché la sua scoperta, o la sua realizzazione, in qualunque modo si preferisse chiamarla, non poteva essere in nessun caso l’opera di un solo uomo o di un solo gruppo di uomini. Era qualcosa che doveva diventare di dominio pubblico. Era un fenomeno naturale… una risorsa naturale come lo erano il vento e i boschi e l’acqua.

Alle spalle di Blaine i ceppi, ormai completamente arsi, crollarono in un tonfo fiammeggiante. Lui si voltò per guardarlo…

O cercò di voltarsi.

Ma non riuscì.

C’era qualcosa che non andava.

In un modo o nell’altro, la vestaglia lo aveva avviluppato troppo strettamente.

Fece per scostare le mani dai fianchi, per allentarla, ma non riuscì a scostare le mani, e la vestaglia non si allentò.

Anzi, si strinse. Poté sentire che gli si stava stringendo addosso.

Terrorizzato, cercò di sollevarsi, spingendo verso l’alto il proprio corpo, tentando di mettersi a sedere.

E non ci riuscì.

La vestaglia lo teneva avvinto in una stretta delicata ma infrangibile.

Era immobilizzato efficacemente, come se fosse stato legato con una corda. La vestaglia, senza che lui se ne fosse reso conto, era diventata una camicia di forza che lo teneva bloccato: senza fargli male, ma lo teneva bloccato.

Rimase immobile, disteso sul dorso, e un brivido gelido gli corse lungo la spina dorsale, il sudore gli corse dalla fronte e gli ricadde negli occhi.

C’era stata una trappola.

Lui aveva temuto una trappola.

Era stato in guardia.

Eppure, senza sospettare di niente, di sua spontanea volontà, la trappola se l’era sistemata addosso.

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