Blaine se ne stava seduto sullo sgabello della rosticceria, in attesa che l’uomo mettesse nel sacchetto la mezza dozzina di sandwiches e riempisse la borraccia di caffè. C’erano due soli clienti, nel locale, e nessuno dei due gli badava. Uno stava ingozzandosi di un intruglio viscido che in origine doveva essere stato costituito da uova e patate fritte, ma che adesso sembrava un nuovo tipo di cibo per cani, perché era stato rimescolato troppo energicamente.
Blaine distolse lo sguardo dai due clienti e guardò oltre la massiccia lastra di vetro che delimitava due lati dell’edificio.
La strada, a quell’ora del mattino, era silenziosa: passavano solo poche macchine, e c’era solo un uomo che stava camminando.
Probabilmente era stata una sciocchezza, si disse, mettersi allo scoperto in quel modo, in un tentativo pazzesco e forse anche inutile di calmare Riley, di rassicurarlo sul suo conto. Era del tutto probabile che, qualunque cosa facesse lui e qualunque cosa dicesse Riley, il camionista avrebbe continuato a nutrire sospetti sul suo conto.
Ma, pensò Blaine, quella storia non sarebbe continuata ancora a lungo, perché dovevano essere ormai vicini al fiume, e Pierre doveva trovarsi pochi chilometri più a nord. Ed era molto strano, pensò: Riley non gli aveva mai detto dove era diretto. Forse non era poi tanto strano, però: collimava con tutto il resto… con la paura evidente di quell’uomo, con i suoi sforzi di mantenere il segreto sulla merce che trasportava.
Distolse gli occhi dalla vetrata e guardò l’uomo che metteva i sandwiches nel sacchetto e versava il caffè nella borraccia. Lo pagò con il biglietto da cinque dollari che gli aveva dato Riley, e intascò il resto.
Uscì dal locale e si diresse verso la grossa stazione del consorzio agrario, dove lo stavano aspettando Riley ed il camion. Era troppo presto perché ci fosse ancora qualcuno, alla stazione, e avrebbero fatto colazione in attesa che venissero ad aprire. Poi avrebbero fatto il pieno e sarebbero ripartiti. E quel giorno, pensò Blaine, poteva essere l’ultimo giorno di viaggio a bordo di quel camion.
Appena arrivati al fiume, lui se ne sarebbe andato e si sarebbe diretto a nord, verso Pierre.
Era una mattina fresca, quasi fredda, e l’aria gli bruciava il naso, quando respirava. Sarebbe stata un’altra bellissima giornata, pensò: un altro momento di ottobre, con l’aria dolce come vino e il cielo velato di foschia.
Quando arrivò sulla strada dove sorgeva la stazione di rifornimento del consorzio agrario, non vide più il camion.
Forse, pensò, Riley lo aveva spostato. Ma, nel momento stesso in cui lo pensava, sapeva che non era vero. Sapeva di essere stato piantato in asso.
Con una spesa di pochi dollari, e a costo di dover andare a cercare un altro posto dove fare il pieno, il camionista si era sbarazzato di lui.
Per Blaine non fu un grosso colpo, perché si rendeva conto che s’era aspettato qualcosa del genere, pur senza ammettere di fronte a se stesso che se l’aspettava. In fondo, dal punto di vista di Riley, quella era una soluzione sorprendentemente semplice per i suoi sospetti.
Per convincersi, per assicurarsi di non essersi sbagliato, Blaine fece il giro dell’intero isolato.
Il camion non c’era da nessuna parte. Lui era abbandonato a se stesso.
Fra poco la città avrebbe incominciato ad animarsi, e prima che questo avvenisse, lui doveva essere fuori di vista. Doveva trovare un posto dove tenersi nascosto per tutto il giorno.
Si fermò, per un attimo, cercando di orientarsi.
Era certo che il confine più vicino della città era verso oriente, perché avevano percorso un paio di chilometri attraverso i quartieri sud.
Si avviò, camminando più in fretta che poteva senza rischiare di attirare l’attenzione. Qualche macchina passava per le strade; un uomo uscì di casa per ritirare il giornale del mattino: più avanti incontrò un altro uomo, con il cestino del pranzo in mano. Nessuno badò a lui.
Le case si diradarono, e finalmente raggiunse l’ultima strada della città. Lì finiva la prateria, e il suolo cominciava a scendere, ondulando, in una serie di collinette e di alture boscose, gradualmente sempre più basse: capì che oltre quelle ondulazioni scorreva il Missouri. Laggiù, dove finiva l’ultima collinetta, il fiume poderoso passava gorgogliando, facendosi strada fra le barene di sabbia e le isolette piene di salici.
Attraversò un campo, scavalcò una staccionata, scese in un burroncello ripido: in fondo c’era un piccolo torrente che scorreva mormorando, e poco più avanti un laghetto, sulle cui rive cresceva un gruppo di salici.
Blaine si lasciò cadere al suolo e strisciò a quattro zampe sotto gli alberi. Era un nascondiglio perfetto. Era fuori città, e non c’era niente che potesse attirare la gente, in quel posto: il torrente era troppo piccolo perché qualcuno venisse a pescare, la stagione era ormai troppo avanzata perché qualcuno venisse a farci il bagno. Nessuno lo avrebbe disturbato.
Nessuno avrebbe percepito lo specchio lampeggiante che portava nella mente: nessuno gli avrebbe gridato: «Para!»
E, quando fosse calata la notte, si sarebbe rimesso in cammino.
Mangiò tre sandwiches e bevve un pò di caffè.
Il sole salì all’orizzonte e filtrò fra i rami dei salici, formando un disegno mobile e frangiato di luci e di ombre.
Dalla città giungevano suoni remoti e confusi: il rombare di un camion, il ronzare di un motore, l’abbaiare di alcuni cani, la voce di una madre che chiamava i figli.
Era stato un lungo viaggio da quella notte all’Amo, si disse Blaine, mentre se ne stava seduto all’ombra dei salici e pungolava, con uno stecco, il suolo sabbioso. Un lungo viaggio, da Charline e da Freddy Bates. E fino a quel momento, lui non aveva avuto neppure il tempo di pensarci.
Si era rivolto una domanda, allora, e quella domanda era ancora valida: era stato opportuno fuggire dall’Amo? Nonostante quello che gli aveva detto Godfrey Stone, non sarebbe stato forse meglio restare e affrontare quello che l’Amo poteva avere progettato?
Se ne stava lì seduto e continuava a pensarci, e ritornò alla lucente stanza azzurra in cui tutto era incominciato. E rivide quella stanza, come se fosse stato soltanto ieri… meglio che se fosse stato soltanto ieri. Le stelle aliene splendevano fioche su quella stanza che non aveva un tetto, e il pavimento azzurrovivo era liscio sotto i suoi cingoli, e la stanza era piena di strani oggetti fabbricati che potevano essere mobili od opere d’arte o macchine o qualunque altra cosa.
Tutto ritornò vivo, per lui, come non avrebbe potuto ritornare vivo… Chiaro e nitido, senza spigoli aguzzi e senza annebbiamenti, senza un solo oggetto in più od un solo oggetto in meno.
Il Rosa se ne stava disteso comodamente: si riscosse e gli disse: Dunque, sei ritornato!
E lui era veramente là.
Senza macchine, senza nessun meccanismo di lancio, senza niente altro che la sua mente nuda, Shepherd Blaine era ritornato all’essere rosa.