XIX

Non credi che dovremmo andare avanti ancora un pò?» chiese Harriet. «Se quel dottore si insospettisce…»

Stone fece sterzare la macchina nel viale.

«E perché dovrebbe insospettirsi?»

«Comincerà a riflettere. Penserà a quello che è successo a Shep e continuerà a chiedersi se è proprio tutto vero. In fin dei conti, la nostra storiella faceva acqua da tutte le parti.»

«Per essere una storiella inventata sul momento, mi è sembrato che abbia funzionato a dovere.»

«Ma siamo soltanto a quindici chilometri dalla città.»

«Voglio tornare indietro, questa notte. Devo cercare di scoprire che fine ha fatto il camion di Riley.»

Fermò la macchina davanti alla palazzina che portava la scritta "Amministrazione".

«Vuoi dire che hai intenzione di infilare la testa in un cappio,» disse Harriet.

L’uomo che fino a un attimo prima stava spazzando i gradini si avvicinò.

«Benvenuti,» disse cordialmente. «Possiamo fare qualcosa per voi?»

«Ha due châlets comunicanti?»

«Sì, li abbiamo,» disse l’uomo. «Ha visto che bella stagione?»

«Sì, un tempo veramente splendido.»

«Magari presto si metterà al freddo. Da un giorno all’altro. È autunno avanzato. Mi ricordo che una volta nevicava spesso, in questo periodo e…»

«Ma quest’anno no,» disse Stone.

«No, quest’anno no. Mi stava dicendo che voleva due châlets comunicanti.»

«Se non le dispiace.»

«Vada avanti, sempre diritto. Numeri 10 e 11. Io vado a prendere le chiavi e vi raggiungo.»

Stone fece sollevare dolcemente la macchina sui getti d’aria e la guidò lungo il viale. Altre macchine stavano parcheggiate accanto alle villette. C’era della gente occupata a scaricare dei bauli. Altri stavano seduti sulle sdraio, nei piccoli patii. In fondo al viale, quattro uomini piuttosto anziani stavano giocando a lanciare i ferri di cavallo.

La macchina si fermò davanti al numero 10 e si abbassò gentilmente fino a terra.

Blaine scese e aprì la portiera ad Harriet.

Ed era molto piacevole, pensò, era quasi come essere a casa, stare insieme a quei due… quei due che aveva perduto e che adesso erano di nuovo con lui. Qualunque cosa potesse accadere, era di nuovo insieme ai suoi amici.

Il motel sorgeva sull’altura affacciata sopra al fiume, e dal punto in cui s’erano fermati, poteva vedere l’ampio paesaggio verso nord e verso est… le colline brune e calve, e l’erosione delle gole e dei burroni boscosi che scendevano verso la valle del fiume, dove una linea irregolare di boschi orlava la corrente color cioccolata che procedeva tortuosamente, come se non avesse una meta precisa, come se non riuscisse a decidere dove voleva andare; e lasciava dietro di sè tracce ben visibili della sua indecisione, pozze isolate e stagni e bracci zigzaganti e folli, eccentrici nel loro corso ancora più del grande fiume.

C’era una sensazione di pulito, di familiare, in quello spettacolo, che colpiva l’immaginazione. C’era un alito di freschezza, e il senso dello spazio.

Il gestore arrivò trotterellando lungo il viale, facendo tintinnare un paio di chiavi. Aprì le porte e le spalancò.

«Troverete tutto in perfetto ordine,» disse. «Ci teniamo moltissimo. Tutte le finestre hanno le imposte, e le serrature sono della marca migliore. Negli armadietti troverete un assortimento completo di segni cabalistici e di talismani portafortuna. Una volta li installavamo noi, ma poi ci siamo accorti che i clienti preferiscono scegliere da soli quelli che considerano più efficaci.»

«È un pensiero veramente molto gentile,» disse Stone.

«Fa piacere,» disse il gestore, «starsene tranquilli, al riparo dai pericoli.»

«Dice bene, amico,» fece Stone.

«E là di fronte abbiamo anche un ristorante…»

«Ci andremo subito,» disse Harriet. «Io sto per morire di fame.»

«Potete fermarvi lungo la strada,» disse il gestore, «per firmare il registro.»

«Certamente,» disse Harriet.

L’uomo le porse le chiavi e si avviò lungo il viale, salutando con inchini e cenni del capo, in atteggiamento di gaia ospitalità, gli occupanti degli altri châlets.

«Entriamo,» disse Stone.

Tenne la porta aperta per fare passare Harriet e Blaine, poi entrò a sua volta e chiuse l’uscio dietro di sè.

Harriet gettò le chiavi su di un cassettone e si voltò ad osservare la stanza.

«E tu?» chiese a Blaine. «Che cosa ti è successo? Sono ritornata in quel paese di confine, ed era in ebollizione. Era successo qualcosa di spaventoso, ma non sono riuscita a scoprire che cosa. Non ne ho mai avuta la possibilità. Ho dovuto scappare via in fretta e furia.»

«Me ne sono andato,» le disse Blaine.

Stone tese la mano.

«Hai fatto meglio di me. Sei riuscito a squagliartela.»

La destra di Blaine fu stretta nella grande mano di Stone, che la tenne saldamente.

«Sono contento che tu sia qui,» disse Stone.

«Tu mi hai telefonato, quella notte,» disse Blaine. «Se non lo avessi fatto, mi sarei fatto prendere come uno stupido. Mi sono ricordato di quello che tu mi avevi detto. Non sono stato lì ad aspettare che mi mettessero le grinfie addosso.»

Stone ritirò la mano, e rimasero uno di fronte all’altro a guardarsi, ed era uno Stone diverso da quello che Blaine ricordava. Stone era sempre stato un pezzo d’uomo, e ancora lo era: ma adesso c’era qualcosa di diverso, in lui… una grandezza dello spirito e dello scopo, che si avvertiva immediatamente non appena lo si vedeva. E c’era in lui una durezza che un tempo non c’era.

«Non sono sicuro di averti fatto un favore,» gli disse Blaine, «a capitarti fra i piedi. Ho viaggiato lentamente, e ho lasciato una quantità di tracce in giro. Ormai è più che probabile che l’Amo mi abbia appiccicato dietro un segugio.»

Stone fece un breve gesto, come scacciare quel pensiero, quasi un gesto di impazienza, come se l’Amo non potesse avere importanza, lì, come se non potesse averne in nessun posto.

Poi attraversò la stanza e andò a sedersi.

«Che cosa ti è successo, Shep?»

«Sono stato contaminato.»

«Anch’io,» disse Stone.

Tacque per un attimo, come se pensasse a quella volta, quando era fuggito dall’Amo.

«Appena ho voltato le spalle al telefono,» disse, «loro erano lì ad aspettarmi. Sono andato con loro. Non c’era altro da fare. Mi hanno portato in un posto…» (Un grande palazzo bianco sulla riva del mare, una casa immensa, bianca, così bianca che scintillava, e sopra il cielo era azzurrissimo, di un azzurro che quasi feriva gli occhi, un azzurro che raccoglieva e rifletteva la luminosità del sole; eppure era un azzurro che aveva una profondità in cui si poteva affondare lo sguardo, fin quasi a perdersi dentro. E attorno al grande palazzo bianco c’erano altre costruzioni, altrettanto scintillanti, ma di dimensioni inferiori. Un grande prato, e si capiva immediatamente che poteva essere così verde e lussureggiante solo perché veniva innaffiato continuamente. Al di là del verde del prato c’era una spiaggia di sabbia bianca come la neve, e l’azzurroverde dell’oceano, e il pulviscolo di spuma scagliato alto nell’aria, là dove la risacca batteva martellando sulle rocce, oltre la spiaggia. E sulla spiaggia spiccavano i colorì vivacissimi degli ombrelloni…)

«Più tardi sono venuto a sapere che era nella Bassa California. Un luogo assolutamente deserto, con questo favoloso centro di villeggiatura proprio in mezzo al deserto…» (Le bandierine che segnavano le buche del golf sbattevano nella brezza dell’oceano, e c’erano i bianchi rettangoli piatti dei campi da tennis, il patio con gli ospiti che se ne stavano seduti ad oziare e a chiacchierare, aspettando i carrelli dei liquori e i vassoi dei sandwiches, vestiti in impeccabili abiti da vacanza.) «Si andava a pesca, e si prendevano pesci che tu non hai mai neanche immaginato, e si poteva andare a caccia sulle colline, e si faceva il bagno tutto l’anno…»

«Difficile da sopportare,» disse Harriet, pigramente.

«No,» disse Stone. «Tutt’altro che difficile da sopportare. Non per sei settimane. E neppure per sei mesi. C’era tutto ciò che un uomo può desiderare. Vitto eccellente, liquori ottimi, e donne. Ogni tuo desiderio veniva soddisfatto. Il denaro era inutile. Era tutto gratuito.»

«Ma mi rendo conto,» disse Blaine, «che un uomo possa…»

«Naturalmente,» disse Stone. «È quel senso di inutilità assoluta. Come se qualcuno avesse preso te, uomo, e ti avesse fatto ritornare un bambino, al quale non restasse altro da fare che giocare. Eppure era un atto di bontà, da parte dell’Amo. Anche se l’odiavi e lo detestavi e ti ribellavi, potevi capire che aveva ragione. Loro, in effetti, non avevano niente contro di noi. Non avevamo commesso un delitto, né una negligenza in servizio… cioè, per molti di noi era così. Ma non potevano correre il rischio di continuare a servirsi di noi, e non potevano lasciarci liberi, perché, tu lo puoi capire, non bisognava macchiare il nome dell’Amo. Non si doveva dire che l’Amo aveva lasciato andare in giro libero per il mondo un uomo con una vena di alienità, con una mente o un sentimento che deviava, sia pure di pochissimo, dal punto di vista umano. Perciò ci offrivano una lunga vacanza… una vacanza interminabile, in un posto identico a quello dove stanno i miliardari.

«E questo era molto insidioso. L’odiavi, eppure non potevi andartene, perché il buon senso ti diceva che saresti stato uno stupido, ad andartene. Vivevi al sicuro, e da gran signore. Non c’erano problemi di sicurezza: era fatta, ormai. Pensavi a scappare… anche se in realtà non ti sembrava una vera fuga, perché non c’era niente che ti tratteneva prigioniero. Cioè, fino al momento in cui tentavi di andartene. Allora scoprivi che c’erano le sentinelle e gli avamposti. Soltanto allora ti accorgevi che tutte le strade e tutti i sentieri erano sorvegliati. E questo, nonostante il fatto che un uomo a piedi avrebbe commesso un suicidio, se si fosse allontanato attraverso quel territorio desertico. Scoprivi, poco per volta, che c’erano uomini che ti sorvegliavano sempre… uomini che fingevano di essere ospiti, ma in realtà erano agenti dell’Amo, che tenevano d’occhio tutti quanti, e aspettavano che tu ti preparassi ad andartene, o anche soltanto che tu pensassi di andartene.

«Ma le sbarre che ti bloccavano, le sbarre che ti tenevano veramente prigioniero erano il lusso e la bella vita. È molto difficile lasciare qualcosa del genere. E l’Amo lo sa. Ti assicuro, Shep, che quella è la prigione più sicura che l’uomo abbia mai inventata.

«Ma, come tutte le altre prigioni, ti rendeva duro. Ti costringeva a lottare per diventare un duro, a diventare abbastanza duro per deciderti e per portare a termine il tuo piano, una volta che ti eri deciso. Quando scoprivi che c’erano le spie e le sentinelle, diventavi astuto e ipocrita, ed erano proprio quelle sentinelle e quelle spie che te ne davano motivo. L’Amo ha esagerato istituendo tutte quelle misure di sicurezza, perché in realtà non erano necessarie. Lasciato a te stesso, saresti scappato magari una settimana sì e una no, ma saresti ritornato indietro, non appena ti fossi accorto come era brutta la vita, fuori di lì. Ma quando scoprivi che c’erano barriere fisiche, quando scoprivi che c’erano guardie e armi e cani… allora diventava una sfida, e diventava un punto d’onore, e buttavi come posta la tua vita…»

«Ma,» disse Blaine, «non potevano esserci troppe fughe, e neppure troppi tentativi di fuga. Altrimenti l’Amo avrebbe escogitato qualcosa di nuovo. Non avrebbe mai lasciato che le cose continuassero in quel modo.»

Stone sogghignò come un lupo.

«Hai ragione. Non sono stati molti a farcela. E sono stati pochissimi anche coloro che hanno tentato.»

«Tu e Lambert Finn.»

«Lambert,» disse Stone, «per me era un esempio, un’ispirazione. Era fuggito diversi anni prima che io venissi portato lì. E poi ce n’era stato un altro, diversi anni prima di Lambert. Ancora oggi, nessuno sa che cosa ne sia stato di lui.»

«Benissimo,» chiese Blaine, «che cosa succede, allora, ad un uomo che fugge dall’Amo? Dove va a finire? Io sono qui, con un paio di dollari in tasca, e per la verità non sono neppure miei: appartengono a Riley. Non ho un’identità, non ho una professione o un mestiere. Come posso…»

«Parli come se ti dispiacesse di essere scappato.»

«Qualche volta mi dispiace. Momentaneamente, voglio dire. Se dovessi ricominciare da capo, mi comporterei in un modo diverso. Pianificherei tutto prima. Trasferirei un certo capitale in qualche altro Paese. Mi predisporrei una nuova identità. Organizzerei qualcosa che mi assicurasse un introito…»

«Ma tu non hai mai creduto veramente che ti toccasse scappare. Sapevi che era successo a me, ma dicevi a te stesso che a te non poteva succedere.»

«Credo proprio di sì.»

«E adesso,» continuò Stone. «hai la sensazione d’essere diventato uno spostato.»

Blaine annuì.

«Benvenuto al club degli spostati.» disse Stone.

«Vuoi dire…»

«No. Io no. Io ho un lavoro da fare. Un lavoro molto, molto importante.»

«Ma…»

«Stavo alludendo.» gli disse Stone, «ad una porzione molto ampia dell’umanità. Non so neppure quanti milioni di persone.»

«Beh, naturalmente, ci sono sempre stati…»

«Ti sbagli di nuovo,» disse Stone. «Parlo dei para, amico mio. dei para. I para che non sono nell’Amo. Non puoi avere viaggiato per quasi milleseicento chilometri senza…»

«Ho visto,» disse Blaine, con un brivido freddo che cresceva dentro di lui, qualcosa di gelido come il ghiaccio, che non era né odio né paura, ma forse era l’uno e l’altro insieme. «Ho visto che cosa succede.»

«È uno spreco.» disse Stone. «Uno spreco tremendo, tanto per i para quanto per la razza umana. C’è gente braccata, gente costretta a vivere nei ghetti, gente umiliata ed odiata… e sempre, è in quella gente che vive la speranza dell’umanità.

«E voglio dirti anche un’altra cosa. Non si tratta soltanto di quei selvaggi intolleranti, ignoranti e bigotti, che si considerano esseri umani normali: non sono i soli colpevoli della situazione. C’è anche l’Amo: anche l’Amo ha la sua parte di colpa. Perché l’Amo ha istituzionalizzato la cinetica paranormale per i propri scopi particolari ed egoistici. Si prende molta cura dei para come te e me: li presceglie perché realizzino i suoi intenti. Ma a tutti gli altri ha voltato le spalle. L’Amo ha dimostrato che non gliene importa assolutamente nulla di quanto può accadere a loro. Non avrebbe altro da fare che tendere la mano per aiutarli, eppure non lo fa, e così gli altri para si trovano nelle condizioni di animali selvatici, in fuga nelle foreste.»

«L’Amo ha paura…»

«Non gliene importa un accidente, ecco la verità,» disse Stone. «La situazione, così com’è, gli va perfettamente a genio. L’Amo è incominciato come una crociata dell’umanità. E poi si è trasformato in uno dei più grossi monopoli che il mondo abbia mai visto… un monopolio che non è intralciato da regolamenti o da restrizioni, eccettuati quelli che è lui stesso a stabilire.»

«Ho fame,» annunciò Harriet.

Stone non le diede retta. Si tese in avanti sulla sedia, verso Blaine.

«Questi disgraziati sono milioni e milioni,» dichiarò. «Privi di addestramento; perseguitati, mentre dovrebbero ricevere ogni incoraggiamento. Possiedono facoltà che in questo momento, sì, proprio in questo momento, potrebbero essere disperatamente necessarie all’umanità. Possiedono facoltà latenti e non raffinate che, utilizzate propriamente, potrebbero dimostrarsi molto più grandi di tutto ciò che l’Amo è riuscito ad ottenere fino ad ora.

«C’è stato un tempo in cui l’Amo era necessario. Qualunque cosa accada, il mondo ha, nei confronti dell’Amo, un debito enorme, che non potrà mai pagare. Ma è venuto il momento in cui non abbiamo più bisogno dell’Amo. L’Amo, oggi, in quanto ignora i para che non fanno parte della sua organizzazione, è diventato una palla al piede per il progresso della razza umana. L’utilizzazione della cinetica paranormale non deve più rimanere un monopolio dell’Amo.»

«Ma c’è questo terribile pregiudizio,» osservò Blaine. «Questa intolleranza cieca…»

«Lo ammetto,» disse Stone. «E in parte è meritata. Le facoltà cinetiche paranormali sono state adoperate anche nel modo più vergognoso, per motivi egoistici o ignobili. Sono state imposte a forza nella struttura del vecchio mondo, che adesso è morto. E per questa ragione, i para hanno un complesso di colpa. E a causa delle attuali persecuzioni e del loro stesso senso di colpa, profondamente radicato, non possono agire in modo efficace, né per il loro bene né per il bene dell’umanità. Ma non vi è il minimo dubbio; se potessero agire apertamente ed effettivamente, senza la pressione della censura pubblica, potrebbero fare molto più di quanto possa fare l’Amo, così come è organizzato oggi. E se fosse consentito loro di farlo, se fosse permesso loro di dimostrare che la PK che non fa parte dell’Amo può operare per il miglioramento dell’umanità, allora verrebbero accettati da tutti, e invece delle persecuzioni riceverebbero sostegno e incoraggiamento: e quel giorno, Shep, credimi, l’Uomo avrebbe compiuto un enorme passo avanti.

«Ma noi dobbiamo dimostrare al mondo che la cinetica paranormale è una facoltà umana, e non una facoltà riservata esclusivamente all’Amo. E poi… se questo fosse possibile, tutta la razza umana recupererebbe la ragione, e ritroverebbe l’antico rispetto di sè.

«Tu,» gli disse Blaine, «stai parlando in termini di evoluzione culturale. È un processo che richiederà un certo tempo. Alla fine, naturalmente, si affermerà… fra un centinaio d’anni.»

«Non possiano aspettare!» gridò Stone.

«Un tempo c’erano le controversie religiose,» gli fece osservare Blaine. «Le guerre fra i cattolici ed i protestanti, fra l’Isiam e la Cristianità. E adesso, quasi nessuno le ricorda più. Ci sono state le battaglie fra le dittature comuniste e le democrazie parlamentari …»

«L’Amo ha contribuito a farle cessare. L’Amo diventò una potentissima terza forza…»

«C’è sempre qualcosa che interviene,» disse Blaine, «La speranza non può morire. Le condizioni e gli eventi finiscono per ordinarsi in modo tale che il dissidio feroce di ieri diventa un problema accademico per gli storici.»

«Cento anni,» disse Stone. «Tu saresti disposto ad aspettare cento anni?»

«Non sarà necessario,» gli disse Harriet. «Ormai tu hai dato l’avvio. E Shep ci sarà di aiuto.»

«Io?»

«Sì, tu.»

«Shep,» disse Stone, «ascoltami, ti prego.»

«Ti sto ascoltando,» disse Blaine, e ancora una volta il brivido cresceva dentro di lui, e il senso di alienità, perché era alla presenza di un pericolo.

«Io ho dato l’avvio a qualcosa,» disse Stone. «Ho un gruppo di para… chiamala un’organizzazione clandestina, chiamali quadri, chiamalo comitato o come vuoi… che stanno lavorando su piani e su tattiche preliminari, per certi esperimenti e per certe indagini che dimostreranno il contributo effettivo che i para liberi, non legati all’Amo, possono dare al resto dell’umanità…»

«Pierre!» esclamò Blaine, guardando Harriet.

Lei annuì.

«È questo che avevi in mente, fin dal primo istante. Alla festa di Charline dicevi di essermi amica…»

«È proprio così orribile?» chiese lei.

«No, credo di no.»

«Ci saresti stato,» chiese Harriet, «se avessi saputo di che cosa si trattava?»

«Non lo so, Harriet, sinceramente non lo so.»

Stone si alzò dalla sedia e percorse quel paio di passi che lo separavano da Blaine. Tese entrambe le mani, le posò sulle spalle dell’altro, e serrò le dita.

«Shep,» disse in tono solenne. «Shep, è molto importante. È un lavoro necessario. L’Amo non può essere l’unico contatto che l’Uomo ha con le stelle. Non è possibile che una parte della razza umana sia libera dalla Terra, mentre il resto vi rimanga incatenato.»

Nella luce fioca della stanza, i suoi occhi avevano perduto ogni durezza. Erano diventati mistici, e luccicavano di lagrime non sgorgate.

Quando riprese a parlare, la sua voce si era addolcita.

«Ci sono certe stelle,» disse, quasi sussurrando, come se parlasse a se stesso, «che gli uomini debbono visitare: per sapere a quali altezze può giungere la razza umana; per salvare le loro anime.»

Harriet, in quel momento, stava raccogliendo i guanti e la borsetta.

«Non me ne importa niente,» annunciò. «Io vado a mangiare. Sto morendo di fame. Voi due venite con me o no?»

«Sì,» disse Blaine. «Io vengo.»

Poi, all’improvviso, ricordò.

Harriet captò quel suo pensiero e sorrise, sommessamente.

«Offriremo noi,» disse. «Diciamo che ripaghiamo, in parte, per tutte le volte che tu ci hai invitati.»

«Non è necessario,» disse Stone. «Shep è già sul libro-paga. Ha un lavoro. Cosa ne dici, Shep?»

Blaine non rispose.

«Shep, sei dalla mia parte? Ho bisogno di te. Non posso farcela, senza di te. Tu sei necessario.»

«Sono con te,» disse semplicemente Blaine.

«Benissimo, allora,» disse Harriet. «Visto che questa faccenda è sistemata, andiamo a mangiare.»

«Voi andate pure,» disse Stone. «Io resterò qui a presidiare la fortezza.»

«Ma, Godfrey…»

«Ho alcune cose su cui vorrei riflettere. Ci sono un paio di problemi…»

«Vieni con me,» disse Harriet a Blaine. «Vuol restare qui solo, a pensare.»

Perplesso, Blaine la seguì.

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