XXXII

Il sole aveva superato il punto più alto della sua parabola e stava calando obliquamente verso occidente, quando Blaine scese a grandi passi dalla collina che sovrastava il villaggio di Hamilton, in mezzo alla fanghiglia della prima tempesta di neve della stagione.

Era lì, pensò, quasi troppo tardi… o non abbastanza presto. Perché, quando il sole fosse sceso sotto l’orizzonte, sarebbe incominciata la notte di Halloween.

Si chiese con quanti centri dei para gli abitanti di Hamilton erano riusciti a mettersi in contatto. Era possibile, si disse, che ci fossero riusciti meglio di quanto lui osasse sperare. Forse avevano avuto fortuna. Forse ce l’avevano fatta.

E pensò ad un’altra cosa, al vecchio prete che gli diceva: La mano di Dio che si è posata sul suo cuore.

In futuro, pensò, il mondo avrebbe meditato sulla follia di quel giorno, sulla cecità e sull’intolleranza e sull’odio di quel giorno. In futuro, ci sarebbe stata la rivendicazione e la lucidità. In futuro, la Chiesa di Roma avrebbe riconosciuto i paranormali non più come praticanti di stregoneria, ma come una naturale evoluzione della razza umana, in piena grazia di Dio. In futuro non vi sarebbero più state barriere economiche e sociali fra i para ed i normali… se a quel tempo ci fossero stati ancora umani normali. In futuro non vi sarebbe più stato bisogno dell’Amo. E forse, in futuro non vi sarebbe più stato bisogno neppure della Terra.

Perché lui aveva trovato la soluzione. Non era riuscito a raggiungere Pierre, ma aveva trovato la soluzione. Era stato costretto (dalla mano di Dio, forse?) a trovare la soluzione.

Ed era una soluzione migliore di quella che Stone aveva cercato. Era una tecnica migliore di quella posseduta dall’Amo. Perché liquidava completamente il concetto delle macchine. Faceva di un essere umano il padrone di se stesso e dell’universo.

Scese a passi rapidi giù per la collina e trovò il sentiero che portava al centro di Hamilton. Nel cielo poche nuvole sparse e sbrindellate sorvolavano ancora la valle: la retroguardia della tempesta. Pozzanghere di neve disciolta costeggiavano la strada, e nonostante il sole fulgido, il vento che soffiava da occidente non aveva ancora perduto le zanne.

Si incamminò per la strada che conduceva al centro del villaggio, e ad un isolato di distanza li vide: lo stavano aspettando nella piazza, davanti ai negozi. E non erano pochi come la volta precedente: erano una folla. Molto probabilmente, calcolò, c’erano tutti gli abitanti di Hamilton.

Attraversò la piazza, e la folla rimase in silenzio. Cercò Anita con lo sguardo, ma non la trovò.

Sui gradini c’erano quattro uomini in attesa, gli stessi dell’altra volta.

Si fermò davanti a loro.

«Buonasera,» disse.

«L’abbiamo sentito arrivare,» fece Andrews.

«Non sono arrivato a Pierre,» disse Blaine. «Ho cercato di arrivarci, per trovare un aiuto. Ma il temporale mi ha sorpreso sul fiume.»

«Ci hanno bloccati i telefoni,» disse Jackson. «Ma ci siamo serviti di telepatici capaci di comunicare a grandi distanze. Abbiamo raggiunto qualcuno degli altri gruppi, e abbiamo passato la parola. Non sappiamo fin dove abbiamo potuto diffondere l’avvertimento.»

«E non sappiamo neppure se siamo riusciti a farlo accettare,» disse Andrews.

«I vostri telepatici possono mettersi ancora in contatto con quei gruppi?» chiese Blaine.

Andrews annuì.

Jackson disse: «Gli uomini di Finn non sono comparsi. E questo ci preoccupa. Finn ha avuto un guaio…»

«Avrebbero dovuto comparire qui,» disse Andrews. «Avrebbero dovuto venire a mettere sottosopra il paese, per cercare lei.»

«Forse non vogliono trovarmi.»

«Forse,» gli disse freddamente Jackson, «lei non è quello che dice di essere.»

Blaine esplose.

«Andatevene al diavolo!» gridò. «Per poco non sono morto per voi! Arrangiatevi! Salvatevi da soli!»

Girò sui tacchi e si allontanò, mentre la collera saliva dentro di lui.

Non era la sua battaglia. Non era mai stata la sua battaglia. Ma l’aveva accettata. Per Stone, per via di Rand, per Harriet, per quel prete che l’aveva seguito per mezzo continente, lui aveva cercato di combattere. E forse, anche per qualcosa di indefinibile che era ignoto persino a lui stesso, per un idealismo pazzesco, per un senso profondamente radicato di giustizia, per una avversione innata verso i prepotenti e i bigotti e i riformatori.

Era venuto in quel villaggio per portare un dono… si era affrettato a ritornare lì per poterlo offrire. E loro avevano messo in dubbio l’onestà delle sue intenzioni.

Andatevene al diavolo! aveva detto.

Aveva fatto tutto il possibile. E adesso non avrebbe fatto altro.

C’era una cosa soltanto che valeva ancora la pena di fare, e lui l’avrebbe fatta e poi, a partire da quel momento, si disse, non ci sarebbe più stato nulla che avesse importanza, per lui o per chiunque altro.

«Shep!»

Lui continuò a camminare.

«Shep!»

Si fermò, si voltò.

Anita stava uscendo dalla folla.

«No,» disse lui.

«Ma non ci sono soltanto loro,» disse Anita. «Ci siamo anche tutti noi. E noi ti ascolteremo.»

E aveva ragione, naturalmente.

C’erano tutti gli altri.

Anita e tutti gli altri. Le donne e i bambini e gli altri uomini che non erano i maggiorenti del villaggio. Perché era l’autorità che rendeva gli uomini sospettosi. L’autorità e la responsabilità li cambiavano, li trasformavano in una specie di organizzazione che cercava di pensare come un’organizzazione, e non come una persona.

E in questo, un para od una comunità di para non erano diversi da una persona normale o da una comunità di persone normali. Le facoltà paranormali, in fin dei conti, non cambiavano un individuo: gli offrivano semplicemente la possibilità di diventare migliore.

«Non ce l’hai fatta,» disse Anita. «Non potevamo pretendere che ce la facessi. Ma hai tentato, e questo è sufficiente.»

Blaine avanzò di un passo verso di lei.

«Ma ce l’ho fatta,» disse.

Adesso stavano venendo tutti verso di lui, tutti quanti, una massa di persone che avanzavano lentamente, silenziosamente, verso di lui. E in testa a tutti c’era Anita.

Lo raggiunse e si fermò davanti a lui e alzò gli occhi per guardarlo in faccia. Poi parlò, senza alzare la voce.

«Dove sei stato?» domandò. «Alcuni di noi sono andati a cercarti, sul fiume. Abbiamo trovato la canoa.»

Blaine tese un braccio, afferrò Anita e l’attirò al suo fianco, la tenne stretta a sè.

«Te lo dirò,» le disse. «Fra poco. E questa gente?»

«Hanno tutti paura,» disse lei. «Si aggrapperanno a qualunque speranza.»

La folla si arrestò ad una dozzina di passi di distanza, e un uomo che stava in prima fila parlò.

«Tu sei l’uomo dell’Amo.»

Blaine annuì.

«Ero dell’Amo. Ma adesso non sono più con quelli.»

«Come Finn?»

«Come Finn,» ammise Blaine.

«E come Stone,» disse Anita. «Anche Stone era dell’Amo.»

«Voi avete paura,» disse Blaine. «Avete paura di me e di Finn e del mondo intero. Ma io ho trovato un posto dove non dovrete avere paura, mai più. Ho trovato un mondo nuovo, per voi: e, se lo volete, è vostro.»

«Che genere di mondo, signor mio? Uno dei mondi alieni?»

«Un mondo come la migliore delle Terre,» disse Blaine. «Io sono appena ritornato …»

«Ma è sceso dalla collina. L’abbiamo visto mentre scendeva dalla collina…»

«State zitti, stupidi!» gridò Anita. «Dategli la possibilità di spiegarsi!»

«Ho trovato un sistema,» disse Blaine. «O l’ho rubato, se preferite… per andare fra le stelle con la mente e con il corpo. Io sono andato fra le stelle, ieri sera. E sono ritornato questa mattina. Non è necessaria nessuna macchina. Tutto ciò che occorre è un po’ di comprensione.»

«Ma come possiamo sapere…»

«Non potete saperlo,» disse Blaine. «Dovete rischiare, ecco tutto.»

«Ma neppure l’Amo…»

«Ieri sera,» disse Blaine, «lentamente, l’Amo è diventato una cosa superata. Non abbiamo più bisogno dell’Amo. Possiamo andare dovunque vogliamo. Non abbiamo bisogno di macchine. Ci bastano le nostre menti. E questo è il fine ultimo di tutte le ricerche paranormali. Le macchine non sono mai state altro che grucce per aiutare le nostre menti zoppicanti. Ma adesso possiamo buttare via le grucce. Non ci servono più.»

Una donna dal volto scarno si fece largo in mezzo alla folla.

«Tagliamo corto con tutte queste chiacchiere,» disse. «Lei afferma di avere trovato un pianeta?»

«Sì,» disse Blaine.

«E può portarci lassù?»

«Non c’è bisogno che vi ci porti qualcuno. Potete andarci da soli.»

«Lei è uno di noi, giovanotto. Ha una faccia onesta. Non ci sta mentendo?»

Blaine sorrise.

«No.»

«E allora ci dica come si fa.»

Qualcuno gridò: «Possiamo portare un po’ di roba, con noi?»

Blaine scosse il capo.

«Non molta. Una madre può portare in braccio il suo bambino. Potete riempire uno zaino e caricarvelo sulle spalle. Potreste prendere una borsa, una valigia. Potreste portarvi dietro un badile o un forcone e qualche altro attrezzo.»

Un uomo uscì dalla prima fila.

«Dovremo pensarci bene. Dovremo decidere che cosa vogliamo portarci dietro. Avremo bisogno di viveri e di semi e di qualche vestito e di utensili…»

«Potrete tornare a prendere quello che vi serve,» disse Blaine.

«Quando vorrete. Non è per niente difficile.»

«Bene,» disse la donna dal volto scarno. «Cosa stiamo qui a fare? Mettiamoci al lavoro. Ci spiega come si fa, giovanotto?»

«C’è solo una cosa,» disse Blaine. «Ci sono telepatici capaci di comunicare a grande distanza, qui?»

«Io,» disse la donna. «Io, e Myrtle, laggiù, e là, più indietro, c’è Jim e…»

«Dovrete passare parola. A tutti quelli che potete. E quelli che avvertirete dovranno avvertire altri. Dobbiamo aprire i cancelli a tutti quelli che possiamo.»

La donna annuì.

«Ce lo spieghi,» disse.

Vi fu un mormorio, fra la folla: avanzarono, tutti insieme, fluendo attorno a Blaine e ad Anita, formando un cerchio attorno a loro.

«Va bene,» disse Blaine. «Inseritevi.»

Li sentì inserirsi nella sua mente, delicatamente, come se stessero per fondersi con lui.

Ma non era così, pensò. Lui stava diventando una cosa sola con loro. Lì, in quel cerchio, le tante menti erano diventate una sola mente. C’era un profumo di lillà primaverili e l’aroma sottile della nebbia notturna sul fiume che saliva verso i campi, e il senso dei colori dell’autunno, quando le colline venivano dipinte di porpora dall’estate di San Martino. C’era il crepitare di un fuoco di legna che ardeva in un caminetto, e il cane che se ne stava sdraiato a dormire accanto al fuoco, e la nenia cantata dal vento che frusciava fra le gronde. C’era la sensazione della casa e degli amici, di belle mattine e di notti tranquille, dei vicini che stavano dall’altra parte della strada e il rintocco delle campane della chiesa.

Avrebbe voluto rimanere sempre lì; ma spazzò via tutto.

Queste sono le coordinate del pianeta dove andrete, disse.

Diede loro le coordinate e tornò a ripeterle, perché non ci fossero possibilità di errore.

E questo è il modo per andarci.

Trasse fuori la viscida conoscenza aliena e la tenne davanti a loro perché la guardassero, fino a quando vi si abituarono, e poi, passo per passo, mostrò loro la tecnica e la logica, anche se in realtà non ve n’era affatto bisogno, perché quando avevano veduto la conoscenza, la tecnica e la logica diventavano immediatamente chiarissime.

Poi le ripeté ancora, perché non vi fossero equivoci.

Le menti si ritrassero dalla sua, e lui rimase solo, con Anita al fianco.

Si accorse che lo stavano fissando, e indietreggiavano.

Che succede, adesso? chiese ad Anita.

Lei rabbrividì.

Era orribile.

Naturalmente. Ma ho visto di peggio.

Ed era vero, ovviamente. Lui aveva visto di peggio, ma quella gente no. Avevano vissuto per tutta la vita sulla Terra: non conoscevano altro che la Terra. Non avevano mai toccato veramente un concetto alieno, e quel concetto era infinitamente alieno. In realtà, non era viscido come sembrava. Era soltanto alieno. C’erano molte cose aliene che facevano rizzare i capelli in testa ad un essere umano, mentre, nel loro contesto alieno, erano assolutamente normali.

Se ne serviranno? chiese Blaine.

Fu la donna dal viso scarno a rispondergli.

Ho sentito, giovanotto. È una cosa sporca, ma ce ne serviremo. Che altro potremmo fare?

Potreste restare qui.

Ce ne serviremo, disse la donna.

E lo trasmetterete agli altri?

Faremo del nostro meglio.

Incominciarono a disperdersi. Erano impacciati e imbarazzati: come se qualcuno avesse raccontato una barzelletta molto sconcia ad un pranzo della parrocchia.

E tu? chiese Blaine ad Anita.

Lei si voltò lentamente, per guardarlo.

Dovevi farlo, Shep. Non c’era nessun altro modo. Non hai mai capito che cosa sarebbe sembrato, a loro.

No, non l’ho mai capito. Ho vissuto per tanto tempo con le cose aliene. In realtà, io stesso sono in parte alieno. Non sono completamente umano…

Taci, disse lei. Taci, io so benissimo cosa sei.

Ne sei sicura, Anita?

Sicurissima.

Blaine l’attirò a sè, e la tenne stretta a sè per un momento, poi la scostò un poco, sempre tenendola stretta, e le scrutò il viso, e scorse le lagrime che brillavano dietro al sorriso, nei suoi occhi.

«Devo andare,» le disse. «C’è un’altra cosa che debbo fare.»

«Lambert Finn?»

Blaine annuì.

«Ma non puoi!» gridò lei. «Non puoi!»

«Non quello che credi,» le rispose. «Anche se, Dio lo sa, mi piacerebbe. Mi piacerebbe ucciderlo. Fino a questo momento, era proprio quello che intendevo fare.»

«Ma non è pericoloso… ritornare là?»

«Non lo so. Vedremo. Posso guadagnare un po’ di tempo. Sono l’unico che possa farlo. Finn ha paura di me.»

«Hai bisogno di una macchina?»

«Se riesci a trovarmene una.»

«Ce ne andremo tutti, probabilmente non appena si farà buio. Tu sarai di ritorno per quell’ora?»

«Non lo so,» disse Blaine.

«Tornerai per venire con noi? Tornerai per guidarci?»

«Anita, non posso promettertelo. Non cercare di farmelo promettere.»

«Se ce ne saremo andati, ci seguirai?»

Blaine si limitò a scuotere il capo.

Non poteva risponderle.

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