Stava seduto sotto un albero solitario che sorgeva su di un piccolo sperone d’una collina e guardava l’altra riva del fiume. Uno stormo di anitre stava scendendo lungo la valle, una linea nera profilata contro il cielo, sopra le colline a oriente.
Un tempo, pensò, in quella stagione dell’anno il cielo era annerito dagli stormi che scendevano dal Nord, fuggendo davanti alle avanguardie dei temporali invernali. Ma ormai erano molto pochi… Parecchi erano stati abbattuti dai cacciatori, o erano morti via via che si inaridivano le zone in cui erano abituati a nidificare.
E un tempo, quel territorio era pieno di bisonti, e vi erano castori in quasi tutti i corsi d’acqua. Adesso i bisonti erano completamente scomparsi, ed i castori erano molto rari.
L’Uomo li aveva spazzati via, tutti quanti: gli uccelli selvatici, i bisonti, i castori. E aveva spazzato via anche molte, molte altre cose.
Pensò alla straordinaria capacità che l’Uomo possedeva: spazzare via le altre specie… qualche volta per la paura o per l’odio, qualche volta per puro e semplice interesse.
E la stessa cosa, pensò, stava per accadere anche ai para, se il piano di Finn si fosse realizzato. Quelli di Hamilton avrebbero senza dubbio fatto del loro meglio, naturalmente: ma sarebbe bastato? Avevano a disposizione trentasei ore per stabilire una rete efficiente di comunicazione. Avrebbero ridotto il numero degli incidenti: ma avrebbero potuto evitarli completamente? Gli sembrava veramente impossibile.
Eppure, si disse, lui avrebbe dovuto essere l’ultimo a preoccuparsene, perché l’avevano buttato fuori, lo avevano scacciato. Era la sua gente, in una città che sentiva come casa sua… Eppure lo avevano scacciato.
Si piegò e regolò le cinghie dello zaino in cui Jackson aveva riposto i viveri. Lo sollevò e lo depose accanto a sè, vicino alla borraccia.
Verso sud, poteva vedere il fumo lontano che usciva dai comignoli di Hamilton: e nonostante il senso di collera che sentiva per essere stato scacciato, gli parve di provare ancora quella strana sensazione di essere a casa, che aveva avvertito quando aveva percorso le strade del villaggio. In tutto il mondo dovevano esserci molti villaggi come quello… ghetti moderni, dove i paranormali vivevano cercando di farsi notare il meno possibile. Se ne stavano ammucchiati agli angoli della Terra, in attesa del giorno, che forse non sarebbe mai venuto, in cui i loro figli o i figli dei loro figli sarebbero stati liberi di andarsene in giro, eguali a coloro che erano ancora soltanto normali.
E in quei villaggi, si disse, chissà quante facoltà geniali potevano essere nascoste: facoltà geniali che sarebbero state utili al mondo, ma che sarebbero rimaste ignorate per sempre, a causa dell’intolleranza e dell’odio più ingiustificati.
E la cosa più terribile era che quell’odio e quell’intolleranza non sarebbero mai neppure nati, non sarebbero mai esistiti, se non ci fossero stati uomini come Finn… i bigotti e i fanatici e gli egomaniaci… i puritani duri e intransigenti, gli individui meschini che avevano bisogno del potere per innalzarsi al di sopra della loro piccolezza.
Non c’era molta moderazione nell’umanità, pensò. O era con te o era contro di te. Non c’erano vie di mezzo.
La scienza, per esempio. Poiché la scienza non era riuscita a realizzare il sogno dello spazio interstellare, era caduta dal suo piedistallo. Eppure, gli scienziati continuavano ancora a lavorare come avevano sempre lavorato, per il bene di tutta l’umanità. Fino a quando l’Uomo fosse esistito, ci sarebbe stato bisogno della scienza. All’Amo c’erano schiere di scienziati che lavoravano sulle scoperte e sui problemi che spuntavano in tutta la galassia… eppure, agli occhi delle masse, la scienza era superata e decaduta.
Ma adesso doveva andarsene, si disse. Era inutile rimanere ancora lì. Era inutile pensare. Doveva proseguire, perché non gli restava altro da fare. Aveva dato l’allarme, ed era stato tutto quello che gli uomini di Hamilton gli avevano consentito di fare.
Sarebbe andato a Pierre e avrebbe cercato Harriet al ristorante con le corna d’alce appese sopra la porta. Forse avrebbe trovato qualcuno degli uomini di Stone, che gli avrebbero trovato un posto dove sistemarsi.
Si alzò, e si appese alla spalla lo zaino e la borraccia. E si scostò dall’albero.
Dietro di lui vi fu un fruscio improvviso. Si girò di scatto, mentre i capelli gli si rizzavano sulla nuca.
La ragazza si stava posando al suolo, i suoi piedi sfioravano l’erba proprio in quel momento: ed era aggraziata come un uccello, bella come il mattino.
Blaine la guardò, preso da quella bellezza, perché era la prima volta che la vedeva bene. L’aveva scorta una volta nel chiarore pallido dei fari del camion, e un’altra volta, la sera prima, per pochissimi attimi, in una stanza semibuia.
Lei posò i piedi al suolo e si avviò nella sua direzione.
«L’ho appena saputo,» gli disse. «È una vera vergogna. Tu eri venuto per aiutarci…»
«Non importa,» disse Blaine. «Non nego che mi sia dispiaciuto, ma posso capire il loro punto di vista.»
«Hanno faticato tanto,» disse lei, «per impedire che attirassimo l’attenzione. Hanno cercato di farci vivere in un modo decente. Non possono correre rischi.»
«Lo so,» disse Blaine. «Ho visto molti che non ce l’hanno fatta a vivere in modo decente.»
«Noi giovani siamo una grossa preoccupazione, per loro. Non dovremmo andarcene in giro a fare Halloween, ma non abbiamo nient’altro da fare. Dobbiamo starcene sempre chiusi in casa. E poi non lo facciamo molto spesso.»
«Sono contento che ve ne foste andati in giro, quella notte,» disse Blaine. «Se non ti avessi conosciuta, Harriet ed io saremmo caduti in trappola, con il cadavere di Stone sul pavimento…»
«Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, per Stone. Abbiamo dovuto fare in fretta, e così non è stato un rito ufficiale. Ma erano presenti tutti. L’abbiamo sepolto sulla collina.»
«Non abbiamo potuto mettere una lapide, non abbiamo neppure potuto fare un tumolo. Abbiamo rimesso a posto le zolle d’erba, esattamente come prima. Nessuno se ne accorgerà mai. Ma tutti noi abbiamo tatuato il punto esatto nelle nostre menti.»
«Stone ed io eravamo amici da molto tempo.»
«All’Amo?»
Blaine annuì.
«Parlami dell’Amo, Blaine.»
«Mi chiamo Shep.»
«Bene, Shep. Parlamene.»
«È molto grande (le torri sulla collina, le piazze e i marciapiedi, gli alberi e gli edifici possenti, i magazzini e i negozi, e la gente…)
Shep, perché non ci vogliono?
Non vi vogliono?
Certuni di noi hanno scritto all’Amo, e l’Amo ha mandato le domande di assunzione. I moduli in bianco, nient’altro. Noi li abbiamo compilati e li abbiamo spediti. E non abbiamo mai ricevuto risposta.
Ci sono migliaia e migliaia di persone che vorrebbero entrare nell’Amo.
E allora perché non ce lo permettono? Perché non ci prendono tutti? Una specie di riserva dell’Amo. Dove tutta questa gente spaventata potrebbe trovare finalmente un pò di pace.
Blaine non rispose, e chiuse la propria mente.
Shep! Shep, che cosa succede? Qualcosa che ho detto?
Ascolta, Anita. L’Amo non vi vuole. L’Amo non è quello che credete voi. È cambiato. È diventato una enorme impresa commerciale.
Ma noi abbiamo sempre…
Lo so. LO SO. LO SO. Era la terra promessa. Era la soluzione suprema. Il mondo di sogno. Ma non è niente di tutto questo. È un’azienda. Calcola i guadagni e le perdite. Oh, certo, aiuterà il mondo: farà progredire l’umanità. Teoricamente, e perfino in pratica, è la cosa più grande che ci sia mai stata al mondo. Ma non ha tenerezza né comprensione per gli altri paranormali. Se vogliamo quella terra promessa, dovremo conquistarcela da soli. Dovremo combattere la nostra battaglia: per esempio, fermare Finn e la sua Operazione Halloween…
È proprio questo che sono venuta a dirti. Non funziona.
Il telefono…
Ci hanno lasciato fare due telefonate in tutto. Detroit e Chicago. Poi abbiamo provato a chiamare New York. Immagina! Non riuscire a comunicare con New York! Abbiamo provato Denver, e la linea non funzionava. Così ci siamo spaventati e abbiamo desistito…
Non potete desistere!
Ci stiamo servendo di telepatici capaci di comunicare a grande distanza. Ce n’è qualcuno. Ma è difficile mettersi in contatto con loro. Di solito non si usa molto la telepatia a grandi distanze, e non siamo abituati.
Blaine si sentì prendere da una vertigine di stordimento.
Impossibile comunicare con New York! La linea di Denver non funzionava!
Era impossibile che Finn avesse un controllo così completo della situazione.
Non ha il controllo completo, gli disse Anita. Ha persone fidate piazzate nei punti strategici. Per esempio, potrebbe sabotare l’intera rete di comunicazione mondiale. E c’è sempre qualcuno dei suoi che sorveglia e spia gli insediamenti come il nostro. È un mese che non facciamo telefonate su lunghe distanze. Quando ne arrivano tre in un quarto d’ora, gli agenti di Finn capiscono al volo che c’è qualcosa in aria, e ci isolano.
Blaine si lasciò scivolare lo zaino e la borraccia dalla spalla, li depose al suolo.
«Torno indietro,» disse.
«È inutile. Non potresti fare di più di quello che stiamo facendo noi.»
«Naturalmente,» disse Blaine. «Hai ragione tu. Ma c’è una possibilità. Se riesco a raggiungere Pierre in tempo…»
«Stone abitava a Pierre?»
«Sì. Sapevi di Stone?»
«Ne avevo sentito parlare. Nient’altro. Una specie di Robin Hood dei para. Lavorava per noi.»
«Se potessi mettermi in contatto con la sua organizzazione, e credo di poterlo fare…»
«Anche quella donna abita là?»
«Harriet, vuoi dire? È lei che può mettermi in contatto con il gruppo di Stone. Ma può anche darsi che non sia a Pierre. Non so dove sia.»
«Se potessi aspettare fino a questa notte, potremmo portarti là in volo. Ma di giorno è troppo pericoloso. C’è troppa gente, anche in un posto come questo.»
«Deve distare al massimo una cinquantina di chilometri. Andrò a piedi.»
«Dovrebbe essere più facile andarci sul fiume. Sai portare una canoa?»
«Molti anni fa, sì. Credo di poterlo fare ancora.»
«Ed è più sicuro,» disse Anita. «Non c’è molto traffico, sul fiume. Mio cugino ha una canoa. È qui vicina. Ti mostrerò dov’è.»