Nel momento in cui si chinava su di lui. Blaine capì che Stone era morto. Sembrava più piccolo, come per un avvizzimento essenziale della sua figura umana, come se la vita fosse stata una dimensione fondamentale che aveva contribuito a farlo apparire imponente. Adesso era un corpo inerte negli abiti sgualciti, ed era spaventoso nella sua immobilità.
Sentì che, dietro di lui, Harriet stava richiudendo le porte e faceva scattare le serrature. E, tra uno scatto e l’altro, gli sembrò di udire un singhiozzo.
Si piegò per vedere meglio, e nella penombra riuscì a distinguere uno scintillio più cupo, fra i capelli, dove il sangue era sgorgato dal cranio.
Le imposte delle finestre scricchiolarono e gemettero, rumorosamente, mentre Harriet premeva la leva che le controllava.
«Accendi la luce», disse lui.
«Subito, Shep».
Udì lo scatto dell’interruttore, e dal soffitto si irradiò la luce, e in quel bagliore Blaine vide che il cranio di Stone era stato fracassato da un colpo sferrato con un oggetto pesante.
Non c’era bisogno di tastargli il polso, non c’era bisogno di ascoltare il cuore. Nessun uomo avrebbe potuto sopravvivere, con il cranio fracassato in quel modo.
Blaine si scostò leggermente, ma rimase accosciato, meravigliandosi della ferocia e forse della disperazione che aveva guidato il braccio scattato per infierire il colpo.
Poi guardò Harriet e annuì in silenzio, sorprendendosi della sua calma: e poi si ricordò che per un giornalista lo spettacolo di una morte violenta non poteva essere eccezionale.
«È stato Finn», disse lei, con una voce tranquilla e bassa; così tranquilla che si poteva sentire la forza con cui lei si imponeva quella calma. «Non Finn personalmente, è naturale. Qualcuno assoldato da lui. O qualcuno che si è offerto volontariamente. Uno di quei seguaci fanatici. C’è parecchia gente che sarebbe disposta a fare qualunque cosa, per lui».
Attraversò la stanza e venne a inginocchiarsi accanto al cadavere, di fronte a Blaine. La sua bocca aveva una piega amara e decisa. Il volto era austero e contratto. E c’era una linea serpeggiante, sulla sua guancia, che segnava la caduta di una lagrima.
«E adesso che cosa facciamo?» domandò Blaine. «Chiediamo la polizia?»
Harriet fece un gesto per bloccarlo.
«Niente polizia», disse. «Non possiamo permetterci di impegolarci in questo modo. È precisamente quello che vorrebbero Finn e i suoi seguaci. Quanto ci scommetti che qualcuno ha già telefonato, alla Polizia?»
«L’assassino, vuoi dire?»
«Certamente. E perché no? Una voce anonima annuncia che un uomo è stato ucciso nello chalet numero 10 al tale motel. E poi riattacca in fretta».
«Per metterci nei guai?»
«Per mettere nei guai chiunque fosse assieme a Godfrey. Può darsi che non sappiano nemmeno chi siamo, esattamente. Quel dottore, all’ospedale…»
«Non lo so», disse Blaine. «Può darsi».
«Ascoltami, Shep. Da tutto quello che è successo, sono sicura che Finn è a Belmont».
«Belmont?»
«La città dove ti abbiamo trovato».
«Si chiama così?»
«Sta succedendo qualcosa», disse Harriet. «E sta succedendo proprio qui. Qualcosa di molto importante. C’era Riley con il suo camion e poi…»
«Ma che cosa dobbiamo fare?»
«Non possiamo permettere che trovino qui Godfrey».
«Potremmo portare la macchina davanti all’uscita posteriore, e caricarlo di nascosto».
«Sicuramente c’è qualcuno che ci sorveglia. E ci prenderebbe con le mani nel sacco».
Harriet batté le mani, esasperata.
«Se Finn riesce ad avere campo libero, adesso», esclamò, «probabilmente potrà realizzare tutti i suoi piani. Non possiamo permetterlo. Dobbiamo fermarlo».
«Noi?»
«Tu ed io. Tu devi prendere il posto di Godfrey. Adesso tocca a te».
«Ma io…»
Gli occhi di Harriet lampeggiarono.
«Tu eri suo amico. Tu hai sentito quello che ti ha detto. Tu gli hai promesso di stare dalla sua parte».
«Sicuro», ammise Blaine. «Ma io non saprei da che parte cominciare. Non so neppure come stiano esattamente le cose».
«Ferma Lambert Finn», disse lei. «Scopri quello che sta facendo e fermalo. Con una scaramuccia dilatatoria…»
«Tu e il tuo modo di pensare militare. Le tue scaramucce dilatorie, le tue linee di ritirata». (Un generale molto femminile, con stivali enormi, ed una quantità di medaglie appuntate sul seno.)
Piantala!
Sei una giornalista. E dovresti essere obiettiva!
«Shep, finiscila», disse lei. «Come posso essere obiettiva? Io credevo in Godfrey. Credevo in quello che stava facendo».
«Ci credevo anch’io. Ma è una cosa tanto nuova, ed è successo tutto così in fretta…»
«Forse dovremmo tagliare la corda lasciando tutto come sta».
«No! Aspetta un momento. Se facciamo così, probabilmente saremmo finiti, esattamente come se ci prendessero qui».
«Ma, Shep, non c’è possibilità…»
«Forse potrebbe esserci», le disse Blaine. «Da queste parti c’è una città o un paese che si chiama Hamilton?»
«Si. A tre o quattro chilometri da qui. Lungo il fiume».
Blaine scattò in piedi e si guardò intorno.
Il telefono stava sul comodino, fra i due letti.
«Ma che cosa…»
«Un’amica», disse Blaine. «Qualcuno che ho conosciuto. Qualcuno che potrebbe aiutarci. A tre o quattro chilometri da qui, hai detto?»
«Sì. Se è di Hamilton che stai…»
«Infatti», disse Blaine.
Attraversò in fretta la stanza, e sollevò il ricevitore dalla forcella, poi fece il numero del centralino.
«Voglio parlare con Hamilton. Come devo fare?»
«Che numero, signore?»
«Duecentosettantasei».
«Glielo chiamo».
Blaine girò la testa verso Harriet.
«Fuori si sta facendo buio?»
«Si stava facendo buio quando ho chiuso le imposte».
Blaine udì lo squillo che indicava la linea libera.
«È necessario che sia buio», disse. «Non potrebbero venire qui se…»
«Non riesco a capire che cosa hai in mente», disse Harriet.
«Pronto», disse una voce nel microfono.
«C’è Anita?»
«Sì» disse la voce. «Un momento. Anita, è per te. Un uomo».
E questo era impossibile, pensò disperatamente Blaine.
Non era assolutamente possibile.
Forse se l’era immaginato.
«Pronto», disse Anita Andrews. «Chi parla?»
Blaine. Shepherd Blaine. Ti ricordi? Ero con l’uomo che aveva il fucile. Il fucile caricato a pallettoni d’argento.
Sì, mi ricordo di te.
Ed era proprio vero, pensò. Non l’aveva immaginato. Si poteva usare la telepatia per telefono!
Mi hai detto che se avessi avuto bisogno di aiuto…
Si.
Ho bisogno di aiuto, adesso (Un cadavere sul pavimento: una macchina della Polizia che arrivava, con la luce rossa che lampeggiava, con la sirena che ululava… un tachimetro ed un orologio ai quali erano spuntate le gambe e che correvano disperatamente, cercando di sopravanzarsi; l’insegna del motel, il numero della porta dello chalet). Te lo giuro Anita. È vero. Non posso spiegarti tutto, adesso. Ma è tutto vero. Non possiamo permettere che lo trovino qui.
Ci penseremo noi.
Sulla mia parola?
La tua parola mi basta. Tu sei stato generoso con noi, quella notte.
Presto!
Subito. Porterò qualcun altro.
Grazie, Anita. Ma lei non c’era già più.
Blaine rimase immobile, poi si scostò il ricevitore dall’orecchio, lo fissò a lungo, e lentamente tornò a deporlo sulla forcella.
«Sono riuscita a captare una parte della conversazione», disse Harriet. «Non è possibile».
«Certo, non è possibile», disse Blaine. «Trasmissione telepatica per telefono. Non occorre che me lo dica tu, che è impossibile».
Abbassò lo sguardo sul corpo disteso sul pavimento.
«È una delle cose di cui parlava lui. Qualcosa di più grande di ciò che può fare l’Amo, aveva detto».
Harriet non rispose.
«Mi domando», mormorò Blaine, «quante altre facoltà possiedono, che non sospettiamo neppure».
«Ha detto che verranno a prendere Godfrey. Come verranno? Fra quanto?»
C’era una sfumatura di isterismo nella sua voce.
«Volano», le spiegò Blaine. «Sono levitatori. Streghe e stregoni».
Rise amaramente.
«Ma tu…»
«Come faccio a conoscerli? Ci hanno teso un’imboscata, una notte. Solo per il gusto di divertirsi. Riley aveva un fucile…»
«Riley!»
«L’uomo che era nella mia stanza all’ospedale, te lo ricordi? L’uomo che era morto. Ha avuto un incidente».
«Ma, Shep, tu eri con Riley? E come mai eri con lui?»
«Gli ho chiesto un passaggio. Lui aveva una paura tremenda a viaggiare da solo, di notte. Voleva qualcuno che stesse con lui. Abbiamo riparato quel camion scassato…»
Harriet lo stava guardando fisso, con un’espressione di sbalordimento.
«Aspetta un momento», fece Blaine. «Avevi detto qualcosa, all’ospedale. Che eravate venuti…»
«A cercare Riley. Sicuro. Era stato Godfrey a incaricarlo di quel trasporto, e Riley tardava ad arrivare e…»
«Ma…»
«Ho parlato con lui pochi minuti prima che morisse. Ha cercato di comunicarmi un messaggio, ma non è riuscito a finire. Il messaggio era per Finn. È stata la prima volta che l’ho sentito nominare».
«È andato tutto male», disse Harriet. «Tutto quanto. C’era la macchina delle stelle…»
Si interruppe, bruscamente, attraversò la stanza per fermarsi davanti a Blaine.
«Ma tu non sai niente, della macchina delle stelle. Oppure ne sai qualcosa?»
Blaine scosse il capo.
«Come quelle dell’Amo? Quelle che aiutavano ad andare fra le stelle?»
Harriet annuì.
«E Riley l’aveva a bordo del suo camion. Godfrey era riuscito a procurarsela, e doveva riuscire a trasportarla a Pierre, in un modo o nell’altro. Per questo ha ingaggiato Riley…»
«Una macchina delle stelle di contrabbando!» disse Blaine, un po’ sgomento. «Ma sai benissimo che tutte le nazioni di questo mondo hanno leggi che proibiscono di tenerle. Sono permesse soltanto quelle dell’Amo».
«Godfrey lo sapeva. Ma gliene serviva una. Ha cercato di costruirla, ma non c’è riuscito. È impossibile trovarne i progetti».
«Puoi scommetterci la testa, che è impossibile trovarli».
«Shep, che cosa ti prende?»
«Non lo so. Non c’è niente che non va, credo. Forse sono un po’ confuso. Forse perché sono sempre stato incastrato in questa faccenda, dal principio alla fine».
«Puoi sempre fuggire».
«Harriet, tu sai che non è così. Ho finito di fuggire. Non saprei neppure dove andare».
«Potresti sempre prendere contatto con qualche gruppo finanziario. Sarebbero felicissimi di averti. Ti darebbero un lavoro, ti pagherebbero benissimo, per quello che sai dell’Amo».
Blaine scosse il capo, ripensando alla festa in casa di Charline: Dalton se ne stava seduto, con le lunghe gambe distese, i capelli in disordine, e masticava un sigaro. E diceva: «Come consulente, lei avrebbe un valore inestimabile…»
«Beh, potresti sempre farlo», disse Harriet.
«Non lo sopporterei. E poi, ho fatto una promessa. Ho detto a Godfrey che ero con lui. E non mi piace la piega che hanno preso le cose. Non mi piace che la gente mi tiri fuori da una cella per impiccarmi perché sono un para. Non mi piacciono molte cose che ho visto lungo la strada e…»
«Sei esasperato», disse lei. «E ne hai il pieno diritto».
«E tu?»
«Non esasperata. Solo spaventata. Spaventata fino al midollo delle ossa».
Spaventata tu! Una giornalista dura ed efficiente…
Si girò verso di lei, e ricordò qualcosa… il locale dove c’era la vecchia cieca che vendeva le rose. Quella sera, lui aveva visto la maschera cadere dal volto di Harriet Quimby: e questa era la seconda volta.
E il volto gli diceva la verità… la giornalista dura ed efficiente, qualche volta, poteva essere una donna spaventata.
Aprì le braccia, e lei si fece più vicina. La strinse a sè, e lei era morbida e fragile, non fatta di una decisione di acciaio, ma di inerme carne umana.
Andrà tutto a posto, disse. Andrà tutto a posto.
E si meravigliò dell’improvvisa tenerezza e della protettività che provava, e che erano certamente estranee a qualunque relazione che poteva esserci fra lui e quella ragazza.
Ma il camion si è fracassato, e il camionista è morto, e adesso la macchina delle stelle ce l’ha la polizia, o forse addirittura Finn. E Godfrey è morto, e la polizia sta per arrivare…
Li sconfiggeremo tutti quanti, le disse Blaine. Non c’è nulla che possa fermarci…
In lontananza risuonò una sirena, un ululato lacerato dal vento della prateria.
Harriet si staccò da lui.
«Shep, stanno arrivando!»
«L’uscita posteriore!» esclamò Blaine, in fretta. «Corri verso il fiume. Ci nasconderemo là».
Balzò verso la porta, e nell’istante in cui le sue dita toccavano il catenaccio, sentì bussare, leggermente.
Apri il catenaccio, e spalancò la porta, e lì, nel ventaglio di luce che filtrava dalla stanza, c’era Anita Andrews, e dietro di lei si scorgevano i volti di altri giovani.
«Appena in tempo», disse Blaine.
«Il cadavere?»
«Là», disse lui.
Entrarono a precipizio.
La sirena era molto più vicina.
«Era un nostro amico», disse Harriet, con voce incerta. «Mi sembrava un modo orribile di …»
«Mia cara», disse Anita, «penseremo noi a tutto. Gli renderemo gli onori dovuti».
La sirena era diventata un ululato ininterrotto che sembrava riempire la stanza.
Presto! disse Anita. Volate bassi. Altrimenti vi vedranno profilati contro il cielo.
Non aveva ancora finito di parlare e già la stanza si stava vuotando, e non c’era più il cadavere sul pavimento.
La ragazza esitò un attimo, guardandoli tutti e due.
Un giorno mi direte che cos’è successo?
Un giorno, disse Blaine. E grazie.
Di niente, disse Anita. Noi para dobbiamo aiutarci fra noi. Altrimenti ci schiacceranno.
Si girò verso Blaine, e lui sentì il suo tocco, mente contro mente, e all’improvviso vi fu una sensazione di lucciole che volavano nell’ombra della sera, e il profumo di lillà che aleggiava nella foschia dolce, sul fiume.
Poi anche lei scomparve, e la porta si stava richiudendo, e qualcuno bussava violentemente all’altro uscio.
Siediti, disse Blaine a Harriet. Comportati nel modo più naturale che puoi. Mostrati tranquilla, rilassata. Ce ne stavamo qui in pace, a parlare. Godfrey era arrivato con noi, ma se ne è andato in città. Sono venuti a prenderlo, e lui è andato in città con loro. Non sappiamo chi fossero. Dovrebbe essere di ritorno fra un paio d’ore.
D’accordo, disse Harriet.
Sedette su una poltrona e incrociò le mani sulle ginocchia, tranquillamente.
Blaine andò alla porta e fece entrare le forze dell’ordine.