Il mattino dopo, prima di scendere dal letto, decisi di non affrontare la questione di Ellen e suo marito ma di aspettare che cominciasse a parlarne qualcun altro. Dopo tutto, non ero in condizione di avere opinioni; non conoscevo l’intera vicenda. Non l’avrei lasciata cadere: Ellen è anche mia figlia. Ma non corriamo. Aspettiamo che Anita si calmi.
Però l’argomento non venne a galla. Seguirono giorni pigri, dorati, che non descriverò. Non credo vi interessino le feste di compleanno o i picnic di famiglia: preziosi per me, noiosi per un estraneo.
Vickie e io andammo ad Auckland per un paio di giorni di compere. Dopo esserci sistemate al Tasman Palace, Vickie mi disse: — Marj, sapresti mantenere un segreto?
— Sicuro — risposi. — Spero sia qualcosa di succoso. Un amichetto? Due amichetti?
— Se avessi anche un solo amico lo dividerei con te. No, è una cosa delicata. Voglio parlare con Ellen e non voglio avere una discussione con Anita. Questa è la prima possibilità che mi capita. Dimenticherai che l’ho fatto?
— Assolutamente no, perché voglio parlarle anch’io. Ma non dirò ad Anita che hai parlato con Ellen, se non vuoi. Cos’è questa storia, Vick? Che Anita fosse irritata per il matrimonio di Ellen lo sapevo, ma si aspetta che tutti noi non parliamo nemmeno con Ellen? Con nostra figlia?
— Temo che al momento sia solo sua figlia. Non sta prendendo la cosa in modo molto razionale.
— Così pare. Be’, io non permetterò ad Anita di tagliare i miei ponti con Ellen. L’avrei chiamata anche prima, ma non sapevo dove rintracciarla.
— Te lo dico io. La chiamo subito e tu puoi scriverti il numero. È…
— Ferma! — la interruppi. — Non toccare quel terminale. Non vuoi che Anita lo sappia, no?
— Te l’ho detto. È per questo che chiamo da qui.
— E la chiamata sarà inclusa nel conto dell’hotel che tu pagherai con la carta di credito Davidson e… Anita controlla sempre tutti i conti di casa?
— Sì. Oh, Marj, come sono stupida.
— No, sei onesta. Anita non farà questioni per la spesa, ma noterà senz’altro un codice o uno stampato che indichino una chiamata oltremare. Andremo all’ufficio postale e telefoneremo da lì. Pagheremo in contanti. O forse è più facile usare la mia carta di credito. I miei conti non arrivano ad Anita.
— Logico! Marj, saresti un’ottima spia.
— Non io. È pericoloso. Ho fatto pratica imbrogliando mia madre. Rimbocchiamoci le maniche e facciamo un salto all’ufficio postale. Vickie, cos’è tutta questa faccenda del marito di Ellen? Ha due teste o cosa?
— È un tongano. O lo sapevi già?
— Certo che lo sapevo. Ma tongano non è una malattia. E la cosa riguarda solo Ellen. È un suo problema, se è un problema. Io non vedo come possa esserlo.
— Anita ha reagito male. A cose fatte, l’unica tattica possibile è fare buon viso. Ma un matrimonio misto è sempre sfortunato, secondo me, specialmente se è la ragazza che sposa uno di livello inferiore come nel caso di Ellen.
— Uno di livello inferiore! A me è stato detto solo che è un tongano. I tongani sono alti, belli, ospitali e con una carnagione castana più o meno come la mia. Esteriormente sono identici ai maori. Se questo giovanotto fosse stato maori… di buona famiglia, discendente di un’antica canoa… con un sacco di terra?
— Sinceramente non credo che ad Anita avrebbe fatto piacere, Marj, però sarebbe andata al matrimonio e avrebbe dato il ricevimento. I matrimoni misti con maori hanno una lunga serie di precedenti. Bisogna accettarli. Ma non è detto che debbano piacere. Mischiare le razze è sempre una cattiva idea.
(Vickie, Vickie, conosci un’idea migliore per salvare il mondo dal disastro in cui è finito?) — Davvero? Vickie, la mia abbronzatura perenne… Lo sai da dove viene?
— Sicuro. Ce lo hai detto tu. Indiani d’America. Cherokee, hai detto. Marj! Ho ferito i tuoi sentimenti? Tesoro! Non è affatto come pensi! Lo sanno tutti che gli indiani d’America sono… Be’, identici ai bianchi. Altrettanto a posto.
(Oh, certo, certo! E "Alcuni dei miei migliori amici sono ebrei". Però io non sono cherokee, per quanto ne so. Cara piccola Vickie, cosa penseresti se ti dicessi che sono una Pa? Sono tentata… ma non devo scioccarti.)
— No, perché ho riflettuto sulla fonte. Tu non hai cognizione di causa. Non sei mai stata da nessuna parte e probabilmente hai succhiato il razzismo nel latte di tua madre.
Vickie si imporporò. — Questo non è giusto! Marj, quando si è deciso se accettarti in famiglia, io sono stata dalla tua parte. Ho votato per te.
— Avevo l’impressione che lo avessero fatto tutti. Se no non avrei accettato. Mi stai dicendo che il mio sangue cherokee è stato uno degli argomenti di discussione?
— Be’, se ne è accennato.
— Chi ne ha accennato, e a che scopo?
— Uh… Marjie, quelle sono riunioni esecutive. Devono esserlo. Non possa parlarne.
— Mmm. Capisco il tuo punto. C’è stata una riunione esecutiva per Ellen? Se è così, dovresti essere libera di parlarmene, visto che avrei avuto il diritto di partecipare e votare.
— Non c’è stata nessuna riunione. Anita ha detto che non era necessaria. Ha detto che è contraria a incoraggiare i cacciatori di dote. Siccome aveva già detto a Ellen che non poteva portare Tom a conoscere la famiglia, non c’era niente da fare.
— Nessuno di voi ha preso le difese di Ellen? Tu lo hai fatto, Vickie?
Vickie arrossì un’altra volta. — Avrei solo fatto infuriare Anita.
— Sto cominciando a incuriosirmi. Stando al codice familiare, Ellen è figlia tua e mia quanto è figlia di Anita, e Anita sbaglia nel rifiutare a Ellen il permesso di portare in casa il suo nuovo marito senza consultare gli altri.
— Marj, non è andata così. Ellen voleva portare Tom a casa in visita. Una visita d’ispezione. Sai com’è.
— Oh, sì. Lo so benissimo. Sono stata sotto il microscopio anch’io.
— Anita voleva impedire a Ellen di fare un matrimonio sbagliato. Dopo di che, la prima cosa che tutti noi abbiamo saputo è stata che Ellen si era sposata. A quanto sembra, Ellen è corsa a sposarsi un minuto dopo aver ricevuto la lettera di Anita che le diceva di non farlo.
— Mi venga un colpo! Comincio a vedere la luce. Ellen ha preso in contropiede Anita sposandosi di colpo, il che significa che Anita doveva pagare in contanti una somma pari a una quota della società familiare senza preavviso. Poteva essere difficile. Non sono pochi spiccioli. A me stanno occorrendo anni e anni per comperare la mia quota.
— No, non è questo. Anita è semplicemente arrabbiata perché sua figlia, la sua preferita, lo sappiamo tutti, ha sposato un uomo che lei non approva. Anita non ha dovuto racimolare tutti quei soldi perché non era necessario. Nessuna clausola del contratto obbliga a rimborsare la quota… E Anita ha fatto presente che non esisteva l’obbligo morale di salassare il capitale di famiglia per fare un favore a un avventuriero.
Mi sentii invadere da un’ira fredda. — Vickie, non riesco a credere alle mie orecchie. Che razza di vermi senza spina dorsale siete, per permettere che Ellen venga trattata in questo modo? — Inspirai a fondo, cercai di controllare la mia furia. — Non vi capisco. Non capisco nessuno di voi. Ma proverò a dare il buon esempio. Quando torneremo a casa farò due cose. In primo luogo mi metterò al terminale con tutti i presenti e chiamerò Ellen e inviterò lei e il marito a venirci a trovare. Per il prossimo weekend, perché devo riprendere il lavoro e non voglio perdere l’occasione di incontrare il mio nuovo genero.
— Anita avrà un collasso circolatorio.
— Vedremo. Poi convocherò una riunione di famiglia e proporrò che a Ellen venga pagata la sua quota con tutta la fretta possibile, naturalmente senza dover andare in rovina. — Aggiunsi: — Immagino che Anita si infurierà di nuovo.
— Probabilmente. E senza scopo, perché la tua proposta sarà respinta. Marj, perché devi farlo? Le cose vanno già abbastanza male.
— Può darsi. Ma è possibile che qualcuno di voi stia aspettando che qualcun altro prenda l’iniziativa per rovesciare la tirannia di Anita. Se non altro vedrò come andranno le votazioni. Vick, io ho firmato un contratto e ho già pagato più di settantamila dollari ennezeta alla famiglia, e mi è stato detto che il motivo per cui devo comperarmi il diritto al matrimonio è che a ognuno dei nostri figli verrà pagata la sua quota quando se ne andrà di casa. Non ho protestato: ho firmato. Ma in tutto questo è implicito un accordo, qualunque cosa ne dica Anita. Se è impossibile pagare Ellen oggi, insisterò perché i miei versamenti mensili vadano a Ellen finché Anita non troverà i fondi per il saldo definitivo. Questa proposta ti sembra equa?
Lei prese tempo per rispondere. — Marj, non so. Non ho avuto tempo di pensarci.
— Be’, allora trovalo. Perché, diciamo entro mercoledì, dovrai decidere se stare al gioco o ritirarti. Non permetterò che Ellen continui a subire queste ingiustizie. — Sorrisi e aggiunsi: — Ridi! Andiamo all’ufficio postale e cerchiamo di essere allegre per Ellen.
Ma non andammo in posta; in quel viaggio non chiamammo mai Ellen. Continuammo invece a cenare e a discutere. Non so di preciso come sia saltato fuori l’argomento delle persone artificiali. Credo sia stato l’ennesima volta che Vickie cercò di "dimostrare" di essere perfettamente libera da pregiudizi razziali, mentre non faceva altro che esibire lo stesso atteggiamento irrazionale appena apriva bocca. I maori andavano benissimo e ovviamente anche gli indiani d’America, e come no anche gli indiani d’India, e senza dubbio i cinesi avevano prodotto il loro buon numero di geni; questo lo sapevano tutti, ma bisognava pur tracciare una linea di confine da qualche parte…
Eravamo andate a letto e stavo cercando di escludere il suo cicaleccio quando qualcosa mi colpì. Mi misi a sedere.
— Come faresti a saperlo?
— Come farei a sapere cosa?
— Hai detto: «È ovvio che nessuno sposerebbe una creatura sintetica». Come faresti a sapere che una persona è sintetica? Non tutte hanno i numeri di serie.
— Eh? Andiamo, Marjie, non fare la stupida. Non si può scambiare una persona artificiale per un essere umano. Se tu ne avessi mai visto uno…
— Ne ho visto uno. Ne ho visti molti!
— Allora lo sai.
— So cosa?
— Che basta guardare uno di quei mostri per capire cos’è.
— In che modo? Quali sono le stimmate che differenziano una persona artificiale da un’altra? Citamene una!
— Marjorie, stai facendo un sacco di problemi solo per il gusto di irritarmi! Non è da te, tesoro. Stai trasformando la nostra vacanza in qualcosa di sgradevole.
— Non io, Vick. Tu. Dici cose stupide, idiote e antipatiche senza il minimo argomento per sostenerle. — (E questa mia risposta dimostra che una persona super non è un superuomo, perché è esattamente il tipo di frase troppo vera e troppo crudele per usarla in una discussione familiare.)
— Oh! Sei orribile! È completamente falso!
Ciò che feci allora non può essere attribuito a un senso di solidarietà per le altre persone artificiali, perché le Pa non sentono la solidarietà di gruppo. Non esistono le basi. Ho sentito dire che i francesi sono pronti a morire per la belle France; ma potete immaginarvi qualcuno che combatte e muore per la Homunculi Unlimited, filiale Jersey sud? Immagino di averlo fatto esclusivamente per me, come tante delle decisioni più critiche della mia vita. Non sono mai riuscita ad analizzare il perché di quel gesto. Boss dice che io elaboro tutti i miei pensieri più importanti a livello inconscio. Forse ha ragione.
Scesi dal letto, mi tolsi la camicia da notte, mi misi davanti a lei. — Guardami — ordinai. — Sono una persona artificiale? O no? In un caso o nell’altro, da cosa lo capisci?
— Marjie, piantala di dare spettacolo! Lo sanno tutti che in famiglia hai il corpo più bello. Non hai bisogno di dimostrarlo.
— Rispondimi! Dimmi cosa sono e dimmi come lo sai. Usa i test che preferisci. Prendi campioni per analisi di laboratorio. Ma dimmi cosa sono e quali segni lo indicano.
— Sei una ragazza cattiva, ecco cosa sei.
— Forse. Probabile. Ma di che tipo? Naturale? O artificiale?
— Gesù! Naturale, è ovvio.
— Sbagliato. Sono artificiale.
— Oh, piantala di fare la cretina! Rimettiti la camicia da notte e torna a letto.
Invece continuai a incalzarla. Le raccontai quale laboratorio mi aveva progettata, la data in cui mi avevano tolta dall’utero sintetico (il giorno della mia "nascita", anche se noi Pa veniamo lasciate in "cottura" un po’ più a lungo per accelerare la maturazione); la costrinsi ad ascoltare la descrizione della vita nell’asilo di un laboratorio di produzione. (Mi correggo: la vita nell’asilo dove sono cresciuta io; altri asili di laboratorio potrebbero essere diversi.)
Le diedi un riassunto della mia vita dopo aver lasciato il laboratorio; quasi tutte bugie, perché non potevo compromettere i segreti di Boss. Ripetei semplicemente ciò che avevo detto tanto tempo prima alla famiglia, che ero una specie di commessa viaggiatrice confidenziale. Non c’era bisogno di accennare a Boss perché Anita aveva deciso, anni addietro, che io lavoravo per una multinazionale, che ero una diplomatica che viaggia sempre in incognito; un errore comprensibile che ero stata lieta di incoraggiare badando bene a non negare.
Vickie disse: — Marjie, preferirei che non lo facessi. Una sfilza di bugie come questa potrebbe mettere in pericolo la tua anima.
— Io non ho anima. È questo che ti sto dicendo.
— Oh, smettila! Tu sei nata a Seattle. Tuo padre era un ingegnere elettronico, tua madre una pediatra. Li hai persi nel terremoto. Ci hai raccontato tutto di loro. Ci hai fatto vedere le foto.
— Mia madre era una provetta; mio padre un bisturi. Vickie, potrebbero esistere un milione o più di persone artificiali i cui certificati di nascita sono andati distrutti nella distruzione di Seattle. Impossibile contarli. Nessuno mette mai in un unico mazzo le loro bugie. Dopo quello che è successo questo mese, cominceranno a esserci un’infinità di persone come me nate ad Acapulco. Dobbiamo trovare appigli del genere per non essere perseguitati da gente ignorante e piena di pregiudizi.
— Il che significa che io sono ignorante e piena di pregiudizi!
— Significa che sei una dolce ragazza che è stata drogata di menzogne dai suoi genitori. Sto cercando di correggere l’errore. Ma se trovi che queste scarpe ti vanno comode, continua a portarle.
Chiusi il becco. Vickie non mi diede il bacio della buonanotte. Il sonno fu lento ad arrivare, per tutt’e due.
Il giorno dopo, facemmo finta che la discussione non ci fosse mai stata. Vickie non parlò di Ellen; io non parlai di persone artificiali. Ma quella che era iniziata come un’allegra spedizione si guastò. Finimmo le compere e ripartimmo verso casa con lo shuttle della sera. Non feci ciò che avevo minacciato; non chiamai Ellen appena arrivata a casa. Non mi ero scordata di Ellen; speravo semplicemente che aspettare un po’ avrebbe migliorato la situazione. Un gesto vigliacco, immagino.
All’inizio della settimana seguente, Brian mi invitò ad andare con lui a ispezionare un terreno per un cliente. Fu un viaggio lungo, piacevole. Consumammo il pasto a un hotel in campagna: una fricassea di presunto capretto, anche se quasi certamente era montone, innaffiata da ettolitri di birra leggera. Mangiammo sotto gli alberi.
Dopo il dolce (un’ottima torta di mirtilli) Brian disse: — Marjorie, Victoria mi ha raccontato una storia molto strana.
— Sì? E cosa?
— Amore, credimi, non te ne parlerei se Vickie non fosse così sconvolta. — Si fermò.
Io aspettai. — Sconvolta da cosa, Brian?
— Dice che tu le hai raccontato di essere una creatura sintetica che si finge un essere umano. Mi spiace, ma ha detto proprio questo.
— Sì, gliel’ho detto io. Non con queste parole.
Non aggiunsi spiegazioni. Dopo un po’, Brian disse dolcemente: — Posso chiederti perché?
— Brian, Vickie stava dicendo cose molto stupide sui tongani e io cercavo di farle capire che erano stupide e sbagliate, che stava facendo un torto a Ellen. Sono molto preoccupata per Ellen. Mi avete chiuso la bocca sull’argomento da che sono tornata a casa, e io sono rimasta buona, ma non potrò continuare a lungo. Brian, cosa facciamo per Ellen? È figlia tua, figlia mia. Non possiamo ignorare i torti che sta subendo. Cosa dobbiamo fare?
— Non sono necessariamente dell’opinione che si debba fare qualche cosa, Marjorie. Ti prego, non cambiare discorso. Vickie è terribilmente a terra. Io voglio solo chiarire l’equivoco.
Gli risposi: — Non ho cambiato discorso. Le ingiustizie nei confronti di Ellen sono il discorso, e non lo lascerò cadere. C’è qualcosa che renda inaccettabile il marito di Ellen? A parte i pregiudizi nei suoi confronti perché è tongano?
— Che io sappia no. Anche se a mio giudizio Ellen ha sbagliato a sposare un uomo che non era nemmeno stato presentato alla sua famiglia. Mi sembra una mancanza di rispetto per le persone che l’hanno cresciuta e amata per tutta la sua vita.
— Aspetta un momento, Brian. Stando a Vickie, Ellen ha chiesto di portarlo a casa per un’ispezione, come Douglas ha portato me, e Anita le ha rifiutato il permesso. Dopo di che Ellen lo ha sposato. Vero?
— Be’, sì. Ma Ellen si è dimostrata testarda e frettolosa. Non credo avrebbe dovuto fare quello che ha fatto senza parlare coi suoi altri genitori. Io mi sono sentito profondamente ferito.
— Ha cercato di parlare con te? E tu hai tentato di parlarle?
— Marjorie, io lo sono venuto a sapere a cose fatte.
— Così mi dicono. Brian, è da quando sono tornata a casa che spero che qualcuno mi racconti cosa è successo. Stando a Vickie, niente di questa faccenda è mai stato deciso in un consiglio di famiglia. Anita ha rifiutato a Ellen il permesso di portare a casa l’uomo che amava. Gli altri genitori di Ellen o non sapevano o non hanno interferito con la… crudeltà di Anita. Sì, crudeltà. Poi la piccola si è sposata. E poi Anita ha aggiunto alla sua crudeltà iniziale una grave ingiustizia. Ha rifiutato a Ellen ciò che le spetta per diritto di nascita, la sua parte delle ricchezze di famiglia. È tutto vero?
— Marjorie, tu non c’eri. Il resto di noi, sei su sette, hanno agito nel modo migliore in una situazione difficile. Non mi sembra giusto che tu spunti a posteriori e critichi quello che abbiamo fatto. Parola mia, non mi sembra affatto giusto.
— Amore, non volevo offenderti. Ma il punto è che sei di voi hanno fatto niente. Anita, da sola, ha fatto cose che mi appaiono crudeli e ingiuste, e voialtri vi siete tirati in disparte e le avete lasciato mano libera. Niente decisioni di famiglia. Solo decisioni di Anita. Se questo è vero, Brian, e correggimi se sbaglio, mi sento obbligata a chiedere una riunione esecutiva di tutti i mariti e le mogli per correggere la crudeltà invitando Ellen e suo marito a trovarci, e per correggere l’ingiustizia pagando a Ellen la sua giusta quota del capitale familiare, o per lo meno ammettendo l’esistenza del debito se non è possibile liquidarlo subito. Vuoi dirmi la tua opinione in merito?
Brian tamburellò le dita sul tavolo. — Marjorie, il tuo è un modo semplicistico di vedere una situazione complessa. Ammetti che amo Ellen e che il suo benessere mi sta a cuore quanto a te?
— Certo, amore.
— Grazie. Convengo con te che Anita non avrebbe mai dovuto proibire a Ellen di portare in casa il suo giovanotto. Anzi, se Ellen lo avesse visto nell’ambiente della propria casa, con la sua gentilezza e le sue tradizioni, forse avrebbe deciso che l’uomo non faceva per lei. Anita ha costretto Ellen a un matrimonio stupido, e gliel’ho detto. Ma non si può rimediare immediatamente alla situazione invitandoli qui. Lo vedi da te. Ammettiamo pure che Anita dovrebbe accoglierli calorosamente e amorevolmente… ma è vero come Dio che non lo farà, se si trova la loro presenza infilata a forza in gola.
Mi sorrise, e io fui costretta a rispondergli con un sorriso. Anita sa essere affascinante; e incredibilmente fredda e scortese, se le fa comodo.
Brian continuò: — Invece, fra un paio di settimane avrò un buon motivo per fare un viaggio a Tonga, il che mi permetterà di studiare a fondo la situazione senza Anita alle costole…
— Perfetto! Ci porti anche me? Per favore?
— Darebbe fastidio ad Anita.
— Brian, Anita mi ha molto più che infastidita. Non sarà questo che mi impedirà di andare a trovare Ellen.
— Mmm… Eviteresti di fare qualcosa che possa danneggiare il benessere di tutti noi?
— Se me lo facessero presente, sì. Però potrei chiedere spiegazioni.
— Le avrai. Ma permettimi di passare al tuo secondo punto. È ovvio che Ellen avrà ogni centesimo che le spetta. Ma mi concederai che non c’è nessuna urgenza di pagarla. I matrimoni combinati in fretta spesso non durano molto. E, anche se non ho alcuna prova, è del tutto possibile che Ellen sia stata raggirata da un cacciatore di dote. Aspettiamo un po’ e vediamo se questo ragazzo è ansioso di mettere le mani sui suoi soldi. Non è prudente?
Dovetti ammetterlo. Lui continuò: — Marjorie, amore, tu sei particolarmente cara a me e a tutti noi perché ti vediamo troppo poco. Ogni volta che torni a casa per tutti noi è come una nuova luna di miele. Ma tu sei quasi sempre via, e quindi non sai perché stiamo sempre così attenti a tenere calma Anita.
— Be’, no, non lo so. Ma la cosa dovrebbe essere reciproca.
— Occupandomi di legge e di persone ho scoperto un’enorme differenza fra il dovrebbe e l’è. Io sto con Anita da più tempo di tutti gli altri. Ho imparato ad accettare certi suoi modi. Quello che forse tu non capisci è che è lei la colla che tiene unita la famiglia.
— In che modo, Brian?
— C’è l’ovvia questione del suo ruolo di custode. Come manager delle finanze e degli affari di famiglia è praticamente insostituibile. Forse potrebbe farlo qualcun altro di noi, ma è certo che nessuno vuole quel lavoro, e personalmente ho il forte sospetto che nessuno di noi potrebbe raggiungere la sua competenza. Invece Anita è un dirigente forte, capace, anche al di là del denaro. Si tratti di interrompere un litigio fra i bambini o di prendere una delle mille decisioni che si presentano di continuo in una grande famiglia, Anita sa sempre cosa fare per impedire che tutto si fermi. Una famiglia di gruppo come la nostra deve avere un leader forte, capace.
(Un tiranno forte e capace, borbottai sottovoce.)
— Quindi, cara Marjie, puoi aspettare un po’ e dare al vecchio Brian il tempo di sistemare le cose? Sei convinta che amo Ellen quanto te?
Gli battei sulla mano. — Certo, tesoro. — (Ma non metterci un’eternità!)
— Va bene. Appena torniamo a casa, vai a cercare Vickie e dille che scherzavi, che ti spiace di averla sconvolta. Ti prego, amore.
(Bum! Mi ero talmente persa a pensare a Ellen che avevo scordato da cosa fosse partita la conversazione.) — Aspetta un attimo, Brian. Io resterò calma ed eviterò di irritare Anita, se mi dici che non è necessario. Ma non farò da balia ai pregiudizi razziali di Vickie.
— Non si tratta di questo. Nella nostra famiglia, non tutti la pensano allo stesso modo su queste cose. Io sono d’accordo con te, e scoprirai che lo è anche Liz. Vickie è un po’ sulla linea di confine. Vorrebbe trovare qualunque scusa per riportare Ellen in famiglia, e adesso che le ho parlato è pronta ad ammettere che i tongani sono esattamente come i maori, e che quella che va giudicata è la persona in sé. Ma è il tuo strano show personale che l’ha sconvolta.
— Oh. Brian, una volta mi hai detto che ti eri quasi laureato in biologia, prima di passare a legge.
— Sì. Ma forse quasi è un po’ troppo.
— Allora sai che una persona artificiale è biologicamente identica a un normale essere umano. La mancanza dell’anima non risulta dai test.
— Eh? Io sono solo un parrocchiano, amore. L’anima è una questione che riguarda i teologi. Ma senz’altro non è difficile individuare una creatura sintetica.
— Non ho parlato di creature sintetiche. In questa definizione sono compresi anche i cani parlanti come Lord Nelson. Le persone artificiali sono strettamente limitate a forma e aspetto umani. Quindi, come puoi individuarle? Era questa la stupidaggine che Vickie diceva. Sosteneva di poterle sempre individuare. Prendi me, per esempio. Brian, tu conosci il mio corpo in modo piuttosto completo, e sono lieta di dirlo. Sono un normale essere umano? O una persona artificiale?
Brian sorrise e si leccò le labbra. — Mia deliziosa Marjie, sono pronto a testimoniare davanti a qualunque tribunale che tu sei umana al novanta per cento… a parte i punti dove sei angelica. Devo specificare?
— Conoscendo i tuoi gusti, tesoro, non credo sia necessano. Grazie. Ma cerca di essere serio. Presumi, per amore di discussione, che io sia una persona artificiale. Un uomo che venga a letto con me, come tu hai fatto stanotte e molte altre notti, da cosa potrebbe capire che sono artificiale?
— Marjie, smettila. Non è divertente.
(A volte gli umani mi esasperano oltre i limiti di sopportazione.)
Dissi bruscamente: — Sono una persona artificiale.
— Marjorie!
— Non ti basta la mia parola? Te lo devo dimostrare?
— Piantala di scherzare. Piantala immediatamente! Se no, il cielo mi aiuti, appena torniamo a casa ti sculaccio. Marjorie, non ho mai picchiato né te né un’altra delle mie mogli. Ma tu cominci a meritare una bella lezione.
— Davvero? Lo vedi quell’ultimo pezzetto di torta sul tuo piatto? Adesso lo prendo. Metti le mani sopra il piatto e cerca di fermarmi.
— Non fare la stupida.
— Provaci. Non sarai mai tanto veloce da fermarmi.
I nostri sguardi si incontrarono. Di colpo, lui cominciò a stringere le mani. Io entrai automaticamente in overdrive, presi la forchetta, la infilai nel pezzo di torta, alzai la forchetta in mezzo alle sue mani che si chiudevano, interruppi l’overdrive appena prima di portarmi il boccone alle labbra.
(Quel cucchiaio di plastica del laboratorio non era una discriminazione. Serviva a proteggermi. La prima volta che usai una forchetta mi sforacchiai il labbro perché non avevo ancora imparato a rallentare i miei movimenti al ritmo delle persone normali.)
Forse non esiste un termine per l’espressione sul viso di Brian.
— Ti basta? — gli chiesi. — No, probabilmente no. Amore mio, dammi la mano. — Gli tesi la destra.
Lui esitò, poi la prese. Lasciai che aggiustasse la stretta, poi cominciai, lentamente, a fare forza. — Non voglio farti male, amore — lo avvertii. — Dimmi quando devo fermarmi.
Brian non è una femminuccia; sa sopportare il dolore. Stavo per fermarmi, perché non volevo rompergli qualche osso della mano, quando lui disse all’improvviso: — Basta!
Gli lasciai andare immediatamente la mano e presi a massaggiarla con tutte e due le mie. — Farti del male non mi ha divertita, amore, ma dovevo dimostrarti che dico la verità. In genere sto attenta a non mostrare riflessi insoliti o una forza insolita. Però ne ho bisogno per il mio lavoro. La forza e la velocità super mi hanno salvato la pelle diverse volte. Sto particolarmente attenta a non usare nessuna delle due cose se non ci sono costretta. Devo darti qualche altra dimostrazione per provarti che sono quello che dico? Ho anche altre capacità particolari, ma forza e velocità sono le più facili da dimostrare.
Lui rispose: — È ora di ripartire verso casa.
Nel viaggio di ritorno non scambiammo dieci parole. Adoro il lusso delle carrozze trainate dai cavalli, ma quel giorno sarei stata felicissima di servirmi di un mezzo rumoroso e meccanico; e veloce!
Nei giorni successivi, Brian mi evitò. Lo vidi solo a tavola. Un bel mattino, Anita mi disse: — Marjorie, tesoro, devo andare in città per qualche commissione. Vuoi venire a darmi una mano? — Ovviamente risposi di sì.
Fece diverse fermate dalle parti di Gloucester Street e Durham. Il mio aiuto non le occorreva per niente. Conclusi che aveva solo bisogno di compagnia, e ne fui compiaciuta. Anita è una persona meravigliosa, se non le pesti i piedi.
Terminate le commissioni, andammo a passeggiare in Cambridge Terrace, lungo le rive dell’Avon; poi a Hagley Park, nel giardino botanico. Lei scelse un posto al sole da dove potevamo guardare gli uccelli e tirò fuori il lavoro a maglia. Parlammo di niente in particolare per un po’, restando lì sedute.
Eravamo al parco da una mezz’ora quando il suo telefono squillò. Lei lo tolse dalla borsa per la maglia, avvicinò il microfono all’orecchio. — Sì? — Poi aggiunse: — Grazie. Chiudo — e rimise via il telefono senza offrirsi di dirmi chi l’avesse chiamata. Un suo privilegio.
Comunque, me ne parlò indirettamente. — Dimmi, Marjie, hai mai rimpianti? O sensi di colpa?
— Sì, a volte. Perché, dovrei averli? Per cosa? — Frugai nel mio cervello, ma mi sembrava di avere fatto tutto il possibile per non irritare Anita.
— Per come ci hai ingannati, imbrogliati.
— Cosa?
— Non fare l’innocente. In passato non ho mai avuto a che fare con una creatura estranea alla legge di Dio. Non ero certa che tu potessi capire il concetto di peccato e colpa. Non che questo importi, immagino, adesso che ti sei smascherata. La famiglia chiede l’annullamento immediato del contratto. Oggi stesso Brian, vedrà il giudice Ridgley.
Mi tirai su sulla panchina. — E quale sarebbe l’accusa? Non ho fatto niente di sbagliato!
— Oh, lo hai fatto. Hai dimenticato che in base alle nostre leggi un non-umano non può contrarre un contratto di matrimonio con esseri umani.