18

La Skip to M’Lou era un’imbarcazione degna di Mark Twain, molto più carina di quanto mi aspettassi: tre ponti passeggeri, quattro Shipstone, due per ciascun paio di eliche. Però era carica fino alle frisate, e a me pareva che bastasse una raffica di vento per rovesciarla. Comunque, non eravamo l’unica nave che trasportasse truppe: la Myrtle T. Hanshaw ci precedeva di poche lunghezze, risalendo il fiume alla velocità presunta di venti nodi. Io pensavo a eventuali sporgenze non previste dal fondo del fiume e speravo che il loro sistema radar/sonar fosse all’altezza della situazione.

Gli Eroi di Alamo erano sulla Myrtle, assieme al colonnello Rachel che comandava le due squadre; e quella fu la conferma definitiva dei miei sospetti. Una brigata gigante non serve per la guardia a palazzo. Il colonnello Rachel si aspettava battaglia; forse saremmo sbarcati sotto il fuoco nemico.

Non ci erano state date anni, e le reclute erano ancora in borghese. Questo sembrava indicare che il nostro colonnello non prevedeva azione immediata, e coincideva con la previsione del sergente Gumm che avremmo risalito il fiume almeno fino a Saint Louis; e ovviamente tutto ciò che aveva detto sul fatto di diventare guardie del corpo del nuovo Presidente implicava che saremmo arrivati alla capitale…

… Se davvero il nuovo Presidente era stato insediato… Se Mary Gumm parlava con cognizione di causa… Se qualcuno non avesse invertito il corso del fiume mentre io non guardavo. Troppi "se", Friday e una quantità troppo scarsa di dati sicuri. L’unica cosa che davvero sapessi era che, in quel momento, il mio vascello in teoria stava entrando nell’Impero; in realtà non sapevo nemmeno da che parte del confine ci trovassimo, e non sapevo come capirlo.

Ma non me ne importava molto perché nei giorni di lì a venire, appena ci fossimo trovati nei paraggi del quartier generale di Boss, io avrei rassegnato le mie informali dimissioni; e prima della battaglia, se solo avessi potuto decidere io. Avevo avuto il tempo di soppesare la truppa, ed ero fermamente convinta che non potesse essere pronta al combattimento prima di sei settimane di duro addestramento, con sergenti istruttori duri e sanguinari. Troppe reclute e troppo poche firme.

In teoria, i soldati dovevano essere tutti veterani; ma ero certa che in alcuni casi si trattasse di contadine fuggite da casa, e che qualcuno avesse solo una quindicina d’anni. Grandi per la loro età, magari, e "chi è grande abbastanza è vecchio abbastanza", come dice il vecchio adagio; ma non basta una massa di sessanta chili per fare un soldato.

Portare in azione truppe simili sarebbe stato un suicidio. Ma io non me ne preoccupavo. Avevo la pancia piena di fagioli ed ero seduta sulla coperta poppiera con la schiena appoggiata a un rotolo di cordame; mi godevo il tramonto e digerivo il mio primo pasto da soldato (se il termine è esatto), meditando allegramente sul fatto che più o meno in quell’istante la Skip to M’Lou stava entrando, o era già entrata, nell’Impero di Chicago.

Una voce alle mie spalle disse: — Ci nascondiamo, truppa?

Riconobbi la voce e girai la testa: — Sergente, come puoi dire una cosa del genere?

— Calma. Mi sono semplicemente chiesta: Dove mi ficcherei se volessi battere la fiacca? E ti ho trovata qui. Lascia perdere, Jonesie. Hai già scelto l’alloggio?

Non lo avevo ancora fatto perché esistevano diverse possibilità, tutte schifose. La maggioranza della truppa era alloggiata nelle cabine passeggeri: quattro soldati nelle cabine doppie, tre nelle singole. Ma il nostro plotone, assieme a un altro, doveva dormire nel salone da pranzo. Non vedevo alcun vantaggio nell’essere al tavolo del capitano, così non mi ero buttata nella mischia.

Il sergente Gumm annuì alla mia risposta. — Okay. Quando avrai la coperta, non usarla per contrassegnare il tuo posto letto. Te la ruberebbero. A babordo di poppa, di fianco alla dispensa, c’è la cabina del cambusiere. È la mia. È una singola, ma con una cuccetta grande. Butta la tua coperta lì. Starai molto più comoda che dormire sul ponte.

— Molto gentile, sergente! — (In che modo ne esco? Oppure dovrò rilassarmi e arrendermi all’inevitabile?)

— Chiamami serge’. E quando siamo soli, mi chiamo Mary. Come hai detto che è il tuo nome?

— Friday.

— Friday. Molto carino a pensarci bene. Okay, Friday, ti aspetto al silenzio. — Guardammo svanire sotto l’orizzonte a poppa l’ultima fetta rossiccia di sole. La Skip si era diretta a est, in uno degli interminabili meandri del fiume. — Sembra che debba sfrigolare e sputare vapore.

— Serge’, hai l’anima del poeta.

— Ho pensato spesso che potrei. Scrivere poesie, intendo. Ti hanno informata del blackout?

— Niente luci all’esterno, e non si fuma. Niente luci all’interno, a parte i locali completamente schermati. I trasgressori saranno fucilati all’alba. La cosa non mi interessa molto, serge’. Non fumo.

— Correzione. I trasgressori non saranno fucilati. Pregheranno Dio di essere stati fucilati. Non fumi per niente, tesoro? Nemmeno uno spinello amichevole con un’amica?

(Arrenditi Friday!) — Quello non è fumare. È stare con un’amica.

— La vedo così anch’io. Di solito non vado in giro con la testa impasticcata. Ma uno spinello ogni tanto con un’amica, se tutte e due ne hanno voglia è dolcissimo. E lo sei anche tu. — Scivolò sul ponte al mio fianco, mi circondò con un braccio.

— Serge’! Mary. No, per favore. Non è ancora buio del tutto. Ci vedrà qualcuno.

— Chi se ne frega?

— Io. Mi innervosisce. Rovina l’atmosfera.

— In questo ambiente ti passerà. Sei vergine, tesoro? Voglio dire con le ragazze.

— Uh… Non farmi i quiz, Mary. E lasciami. Mi spiace, ma mi rende nervosa. Farlo qui, intendo. Insomma, da dietro quella cabina potrebbe spuntar chiunque.

Lei mi carezzò un attimo, poi cominciò ad alzarsi. — Carino, che tu sia così timida. Va bene, ho dell’ottimo Omaha Black che tenevo da parte per un’occasione…

Il cielo brillò di una luce avvampante; seguì un tremendo kaboom!, e dove prima c’era la Myrtle il cielo si riempì di detriti.

— Gesù Cristo!

— Mary, sai nuotare?

— Eh? No.

— Buttati in acqua con me. Ti terrò io a galla. — Mi tuffai dal ponte nell’arco più ampio che mi fu possibile, feci una dozzina di bracciate robuste per scostarmi ancora di più dalla nave, mi girai sulla schiena. La testa di Mary Gumm si stagliava contro il cielo.

Fu l’ultima volta che la vidi, perché poi la Skip to M’Lou saltò in aria.


In quella parte del Mississippi ci sono scogliere ripide a est. Il limite occidentale del fiume è semplicemente un terreno un po’ più alto rispetto all’acqua, non chiaramente delimitato, a dieci o quindici chilometri dal punto in cui mi trovavo. Fra questi due estremi, la posizione del fiume può essere questione di opinioni; spesso di opinioni legali, perché il fiume cambia tragitto e si mangia diritti di proprietà.

Il fiume scorre in ogni direzione, e può scorrere tanto verso nord quanto verso sud. Be’, all’incirca. Al tramonto scorreva in direzione ovest; la skip, che andava controcorrente, aveva il tramonto alle spalle. Ma mentre il sole scendeva la nave aveva virato sulla sinistra, perché il letto del fiume deviava a nord; avevo notato che il disco rosso-arancio si era spostato a babordo.

È per questo che mi tuffai da quel lato. Una volta in acqua il mio primo obiettivo era allontanarmi; il secondo era vedere se Mary mi avesse seguita. Non mi aspettavo troppo che lo facesse perché (l’ho scoperto!) tanta gente, tanti umani, non riesce a decidere in fretta.

La vidi ancora a bordo; mi fissava. Poi ci fu la seconda esplosione, e ormai era troppo tardi. Sentii una breve punta di dolore (in quel suo modo rude e un po’ disonesto, Mary era una brava donna), poi la cancellai dalla mente. Avevo altri problemi.

Il mio primo problema era non farmi colpire dai detriti. Mi immersi e restai sotto. Posso trattenere il respiro e nuotare per quasi dieci minuti, anche se non mi piace farlo. Quella volta arrivai quasi a scoppiare prima di riemergere.

Quanto bastava: era buio, ma mi sembrava di trovarmi alla larga da detriti galleggianti.

Forse in acqua c’erano sopravvissuti, ma non udii niente e non mi sentivo nemmeno spinta a cercarli (a parte Mary, che era impossibile trovare). Non ero attrezzata per salvare gente, neanche me stessa.

Mi guardai attorno, individuai quello che restava degli ultimi bagliori del tramonto, partii a nuoto in quella direzione. Dopo un po’ persi i bagliori, mi girai sulla schiena, scrutai il cielo. Nuvole sparse e niente luna. Rintracciai Arturo, poi le due Orse e la Polare, ed ebbi il nord. Corressi la rotta in modo da proseguire verso ovest. Restai sulla schiena perché, prendendola con calma, di schiena si può nuotare per tutta quanta l’eternità, più un paio di anni. Nessun problema di respirazione e se si comincia ad avvertire una punta di stanchezza, basta fermarsi e girare le dita finché ci si sente riposati. Io non avevo nessuna fretta. Volevo solo raggiungere l’Impero dal lato dell’Arkansas.

Ma, come primo obiettivo prioritario, non volevo tornare indietro in Texas.

Problema: navigare correttamente di notte, senza carte, su un fiume largo un paio di chilometri, quando il vostro obiettivo è raggiungere una riva occidentale che non vedete… senza perdere la bussola e tornare a sud.

Impossibile? Col Mississippi che si contorce come un serpente con la spina dorsale rotta? Ma "impossibile" non è un termine da usare parlando del Mississippi. Esiste un punto in cui è possibile fare tre brevi deviazioni via terra per un totale di meno di novanta metri, scendere il fiume lungo due anse per un totale di una trentina di chilometri… e ritrovarsi a monte a più di cento chilometri dal luogo di partenza.

Niente carte, una destinazione invisibile; sapevo solo di dover andare a ovest e non dover tornare a sud. Quindi fu quello che feci. Restai sulla schiena e continuai a tenere d’occhio le stelle per mantenere la rotta a ovest. Non avevo modo di capire di quanto la corrente mi spostasse a sud; a parte la certezza che, se e quando il fiume avesse deviato a est, il mio procedere in direzione ovest mi avrebbe portata sulla riva dell’Arkansas.

E così fu. Un’ora dopo (due ore dopo?), un’infinità di acqua dopo, con Vega alta a est ma ancora lontana dalla posizione di meridiano, mi resi conto che la riva incombeva sopra di me a sinistra. Controllai le stelle, corressi la rotta e continuai a nuotare. Dopo un po’ sbattei la testa contro un ramo che sporgeva dall’acqua, lo afferrai alla cieca, mi tirai in piedi, poi mi feci strada fino a riva tra un mare di rami che spuntavano dal fondo.

Risalire la riva non fu un problema: in quel punto il terreno era alto solo mezzo metro. L’unico impiccio era la fanghiglia densa e scivolosa. Ce la feci, dopo di che mi fermai per il punto della situazione.

Ancora tenebre nere come l’inchiostro tutt’attorno, con le stelle per unica luce. Distinguevo il nero compatto dell’acqua dal nero fitto del cespuglio dietro di me solo per i vaghi riflessi delle stelle sull’acqua. Direzioni? La Polare era oscurata da una nube, ma l’Orsa Maggiore mi disse dove doveva trovarsi; e Spica che brillava a sud e Antares a sud-est mi diedero conferma.

L’orientamento ricevuto dalle stelle mi disse che l’ovest passava diritto in quel cespuglio fittissimo.

L’unica alternativa era tornare in acqua, seguire il fiume… e ritrovarmi l’indomani a Vicksburg.

No, grazie. Mi infilai nella macchia.

Sorvolerò sulle molte ore seguenti. Forse non sarà stata la notte più lunga della mia vita, ma di certo fu la più noiosa. Sono sicura che sulla Terra debbano esistere giungle più fitte e pericolose del continuum di arbusti che si trovano sulla riva del Mississippi inferiore. Però non desidero affrontarle, soprattutto senza un machete (senza nemmeno un coltello da scout!).

Passai la maggior parte del tempo a indietreggiare, dopo aver deciso "No, non di qui. Come posso aggirarlo? No, non sul lato sud! Come posso aggirarlo a nord?" Il mio percorso fu contorto quanto quello del fiume, e i miei progressi furono forse di un chilometro l’ora; o magari esagero, potrei anche aver fatto meno. Sprecai il grosso del tempo a riorientarmi, una necessità ogni pochi metri.

Mosche, zanzare, moscerini, cose che strisciavano e che non vidi mai, per due volte serpi sotto i piedi che forse erano bisce d’acqua (ma non mi fermai a scoprirlo), una serie infinita di uccelli disturbati con una dozzina di strilli diversi; uccelli che spesso mi sbattevano quasi direttamente in faccia, con loro e mio raccapriccio. Il terreno era generalmente fangoso e conteneva sempre qualcosa su cui inciampare, alto fino alle caviglie, fino ai fianchi, o tutt’e due.

Tre volte (o quattro volte?) raggiunsi il fiume aperto. Ogni volta mantenni la rotta a ovest, e quando l’acqua era abbastanza profonda, nuotai. Per la maggior parte piccoli corsi stagnanti, ma uno aveva la corrente, e poteva essere un ramo minore del Mississippi. Una volta, qualcosa di grosso nuotò al mio fianco. Un pesce gatto gigante? Ma non dovrebbe starsene sul fondo? Un alligatore? Ma non dovrebbero esserci alligatori. Forse era il mostro di Loch Ness in trasferta; non lo vidi mai, lo sentii solo, e uscii dall’acqua levitando per pura e semplice paura.

Circa ottocento anni dopo l’affondamento della Skip e della Myrtle giunse l’alba.

A ovest, a un chilometro da me, c’era il terreno sopraelevato della riva dell’Arkansas. Io ero trionfante.

Ero anche affamata, esausta, lurida, piena di morsi d’insetti, stracciata, e assetata in modo quasi insopportabile.


Cinque ore più tardi, ospite del signor Asa Hunter, facevo la passeggiata sul suo carro agricolo Studebaker tirato da una splendida pariglia di muli. Ci stavamo avvicinando a una piccola città di nome Eudora. Non avevo ancora dormito, ma a parte il sonno avevo avuto tutte le altre cose migliori della vita: acqua, cibo, un bagno. La signora Hunter aveva chiocciato al mio indirizzo, mi aveva prestato una spazzola e offerto la colazione: uova fritte, pancetta casalinga spessa e succulenta, pane di grano, burro, sorgo, latte, caffè fatto in un pentolino e lasciato a depositare con gusci d’uovo; e per apprezzare in pieno la cucina della signora Hunter raccomando di nuotare tutta notte, alternando il nuoto all’avanzata strisciante sul terreno lercio della riva dell’Old Man River. Ambrosia!

Mangiai col suo accappatoio, perché lei volle a tutti i costi lavarmi la tuta lacera. Al momento di partire, la tuta era asciutta e io avevo un aspetto quasi rispettabile.

Non mi offrii di pagare gli Hunter. Esistono esseri umani che posseggono molto poco ma sono ricchi in dignità e rispetto di sé. La loro ospitalità non è in vendita, e nemmeno la loro generosità. Lentamente, sto imparando a riconoscere questo tratto negli umani che lo posseggono. Negli Hunter era inconfondibile.

Traversammo Macon Bayou, poi la strada sfociò in un’altra un po’ più larga. Il signor Hunter fermò i muli, scese, si spostò dal mio lato. — Signorina, vi sarei molto grato se scendeste qui.

Accettai la sua mano, mi lasciai aiutare. — Qualcosa non va, signor Hunter? Vi ho offeso?

Lui rispose lentamente: — No, signorina. Per niente. — Esitò. — Ci avete detto che il fondo della vostra barca è stato forato da un ramo che sporgeva dall’acqua.

— Sì?

— I rami sporgenti sono un grosso rischio per chi pesca. — Una pausa. — Ieri sera al tramonto è successo qualcosa di brutto sul fiume. Due esplosioni, più o meno alla Kentucky Bend. Grosse. Le abbiamo viste e sentite da casa.

Fece un’altra pausa. Io non dissi niente. La spiegazione della mia presenza e delle mie (deplorevoli) condizioni era stata debole, a dir poco. Ma l’unica altra spiegazione possibile sarebbe stata un disco volante.

Il signor Hunter riprese: — La vecchia e io non abbiamo mai avuto da dire con la Polizia Imperiale. Non vorremmo cominciare adesso. Per cui, se non vi spiace fare a piedi un pezzo di questa strada a sinistra, arriverete a Eudora. E io girerò il carro e tornerò a casa mia.

— Vedo. Signor Hunter, mi piacerebbe poter ripagare in qualche modo voi e la signora Hunter.

— Potete farlo.

— Sì? — (Avrebbe chiesto soldi? No!)

— Un giorno incontrerete qualcuno che ha bisogno di una mano. Dategli una mano e pensate a noi.

— Oh! Lo farò! Lo farò senz’altro!

— Ma non prendetevi il fastidio di scriverci per raccontarlo. Chi riceve posta viene notato. Noi non moriamo dalla voglia di essere notati.

— Vedo. Però io lo farò e penserò a voi, e non una sola volta, ma molte volte.

— Meglio così. Il pane gettato sulle acque torna sempre indietro, signorina. La signora Hunter mi ha detto di dirvi che ha intenzione di pregare per voi.

I miei occhi si riempirono di lacrime così in fretta che non ci vedevo più. — Oh! Ditele per favore che la ricorderò nelle mie preghiere. Vi ricorderò tutti e due. — (Non avevo mai pregato in vita mia. Ma lo avrei fatto, per gli Hunter.)

— Grazie di cuore. Glielo dirò. Signorina, posso offrirvi una parola di consiglio senza essere frainteso?

— Ho bisogno di consigli.

— Non pensate di fermarvi a Eudora?

— No. Devo andare a nord.

— Così avete detto. Eudora è solo una stazione di polizia e qualche negozio. Lake Village è più lontano, però ci si ferma il Vma della Greyhound. Sono una ventina di chilometri di strada, tenendovi a destra. Se riuscite a coprire la distanza da adesso a mezzogiorno, arriverete in tempo per il bus. Però è un bel po’ di strada, e oggi fa un caldo del diavolo.

— Posso farcela. Ce la farò.

— Il Greyhound vi porterà a Pine Bluff, o addirittura a Little Rock. Uhm. Il bus costa denaro.

— Signor Hunter, siete stato più che gentile. Ho con me la mia carta di credito. Posso pagare il bus. — Non ero uscita in forma smagliante dall’acqua e dal fango, ma le carte di credito, la carta d’identità, il passaporto e i soldi erano al sicuro nella cintura impermeabile che Janet mi aveva dato anni luce prima; si era salvato tutto. Un giorno o l’altro glielo avrei detto.

— Bene. Ho pensato fosse meglio chiedere. Un’ultima cosa. Da queste parti, in genere la gente bada ai fatti propri. Se salite diritta sul Greyhound, i pochi impiccioni non avranno nessuna scusa per darvi fastidio. Meglio così, credo. Be’, arrivederci e buona fortuna.

Lo salutai e partii. Avrei voluto dargli il bacio dell’addio, ma una sconosciuta non si prende libertà con un uomo come il signor Hunter.


Presi il Vma di mezzogiorno e alle 12,52 ero a Little Rock. Una capsula espresso diretta a nord stava imbarcando quando raggiunsi la sotterranea. Ventun minuti più tardi ero a Saint Louis. Da una cabina della sotterranea feci il numero di contatto di Boss, per organizzare il trasferimento al quartier generale.

Una voce rispose: — Il numero che avete usato non è in servizio. Restate in linea e un centralinista… — Interruppi la comunicazione e scappai.

Restai nella città sotterranea diversi minuti, camminando a caso e fingendo di guardare le vetrine, ma in realtà allontanandomi sempre più dalla stazione.

Trovai un terminale pubblico in un centro commerciale a una certa distanza e provai il codice d’emergenza. Quando la voce arrivò a: — Il numero che avete usato non è… — premetti il tasto per interrompere la linea, ma la voce non si fermò. Abbassai la testa, mi buttai in ginocchio, uscii dalla cabina e girai a destra; attirai l’attenzione su di me, una cosa che odio, ma forse evitai di essere fotografata tramite il terminale, una cosa che sarebbe stata un disastro.

Sprecai minuti a confondermi nella folla. Quando fui ragionevolmente certa che nessuno mi seguisse, scesi di un livello, salii sulla metropolitana locale e mi spostai a Saint Louis Est. Avevo un ultimo codice d’emergenza, ma non intendevo usarlo senza i dovuti preparativi.

Il nuovo quartier generale sotterraneo di Boss si trovava a una sessantina di minuti da ogni possibile punto, ma io non sapevo dove fosse.

Voglio dire che quando lasciai l’infermeria per partire per il corso d’addestramento, il viaggio in Vma durò esattamente sessanta minuti. Quando tornai impiegai sessanta minuti. Quando partii in ferie e chiesi che mi accompagnassero alla stazione delle capsule, venni depositata a Kansas City in sessanta minuti esatti. E il passeggero di un Vma destinato a questi usi non ha alcun modo di guardare fuori.

Stando a geometria, geografia, e a una conoscenza minima di ciò che può fare un Vma, il nuovo quartier generale di Boss doveva trovarsi da qualche parte più o meno nei pressi di Des Moines; ma in questo caso "più o meno" significava un raggio di almeno cento chilometri. Non feci ipotesi.

Neanche sull’identità delle persone del nostro gruppo che conoscevano la posizione del quartier generale. Era un’informazione impartita "solo in caso di necessità", e cercare di indovinare in che modo Boss decidesse queste cose era uno spreco di tempo.

A Saint Louis Est comperai un mantello col cappuccio, poi una maschera in lattice in un negozio di giochi e scherzi, scegliendone una non grottesca. Poi feci dolorosi sforzi per scegliere assolutamente a caso il terminale. Nutrivo il forte sospetto, ma non la certezza, che Boss avesse subito un altro attacco, questa volta fatale, e l’unico motivo per cui non mi ero ancora lasciata prendere dal panico era che sono addestrata ad arrendermi al panico solo al termine dell’emergenza.

Mascherata e incappucciata, composi l’ultimo codice di cui disponevo. Stesso risultato, e di nuovo era impossibile spegnere il terminale. Girai la schiena all’apparecchio, mi tolsi la maschera e la lasciai cadere a terra, uscii dalla cabina al rallentatore, girai l’angolo, mi levai il mantello mentre camminavo, lo ripiegai, lo infilai in un cestino per i rifiuti, tornai a Saint Louis dove, con perfetta faccia di bronzo, usai la carta di credito della Banca Imperiale di Saint Louis per pagare la sotterranea per Kansas City. Un’ora prima, a Little Rock, me n’ero servita senza esitazioni, ma allora non sospettavo che a Boss fosse successo qualcosa; in effetti, cullavo la convinzione "religiosa" che nulla potesse succedere a Boss. (Religioso = fede assoluta senza prove concrete.)

Adesso invece ero costretta ad agire partendo dal presupposto che a Boss fosse accaduto qualcosa, il che comprendeva l’ipotesi che la mia MasterCard di Saint Louis (basata sui soldi di Boss, non sui miei) potesse andare a farsi friggere da un momento all’altro. Potevo infilarla in una fessura e vederla bruciare dal meccanismo di distruzione, non appena la macchina avesse riconosciuto il numero.

Quattrocento chilometri e quindici minuti dopo ero a Kansas City. Non lasciai mai la stazione. Telefonai dal banco delle informazioni per chiedere notizie sulla linea KC-Omaha-Sioux Falls-Fargo-Winnipeg e mi risposero che la linea funzionava fino alla località di confine di Pembina, non oltre.

Cinquantasei minuti più tardi ero al confine col Canada Britannico, direttamente a sud di Winnipeg. Era ancora il primo pomeriggio. Dieci ore prima arrancavo sulla riva fangosa del Mississippi e mi chiedevo, stordita, se fossi nell’Impero o se invece non fossi già tornata in Texas.

Adesso ero orribilmente ansiosa di uscire dall’Impero, più di quanto lo fossi stata di entrarci.

Per il momento ero riuscita a distanziare di un balzo di pulce la Polizia Imperiale, ma ormai ero del tutto certa che volessero parlare con me. E io non volevo parlare con loro perché avevo sentito certi racconti sul loro modo di condurre le indagini. I ragazzi che mi avevano interrogata tempo addietro erano stati moderatamente duri… ma la Polizia Imperiale aveva la reputazione di bruciare il cervello alle sue vittime.

Загрузка...