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Immagino che tutti abbiano più o meno in mente la stessa immagine del Giovedì Rosso e di ciò che seguì. Ma per spiegarmi (per spiegare a me stessa, se è possibile!) debbo dirvi come l’ho visto io, compresi la confusione totale e i dubbi.

Noi quattro finimmo nel letto grande di Janet in cerca di compagnia e mutuo conforto, non di sesso. Tutti quanti tenemmo le orecchie aperte alle notizie, gli occhi incollati allo schermo del terminale. Più o meno, vennero ripetute di continuo le stesse informazioni: attacco abortito dal Québec, il presidente dell’Impero di Chicago ucciso a letto, il confine con l’Impero chiuso, rapporti di sabotaggio non verificati, non scendete in strada, mantenete la calma; ma per quanto venissero ripetute sempre le stesse cose, tutti noi chiudevamo il becco e ci mettevamo in ascolto, in attesa di una notizia che desse un senso alle altre notizie.

Invece le cose continuarono a peggiorare tutta la notte. Alle quattro del mattino sapevamo che omicidi e sabotaggi si stavano svolgendo nel mondo intero; all’alba giungevano rapporti incontrollati di guai a Elle-Cinque, a Base Tycho, a Stazione Stazionaria, e (messaggio interrotto) a Cerere. Impossibile indovinare se la catastrofe avesse raggiunto Alpha Centauri o Tau Ceti… Ma una voce ufficiale dal terminale tirò a indovinare rifiutandosi di tirare a indovinare e invitando tutti a non lanciarsi in pericolose speculazioni.

Verso le quattro, Janet, con un po’ d’aiuto da me, preparò panini e servì il caffè.

Mi svegliai alle nove perché Georges si muoveva. Scoprii che stavo dormendo con la testa sul suo petto e un braccio avvinghiato attorno a lui. Ian era dall’altra parte del letto, sdraiato-seduto sui cuscini, con gli occhi ancora attaccati allo schermo; però gli occhi erano chiusi. Janet era scomparsa: fuggita nella mia stanza, si era infilata in quello che teoricamente era il mio letto.

Scoprii che, muovendomi con estrema lentezza, potevo districarmi e scendere dal letto senza svegliare Georges. Lo feci, e scivolai in bagno, dove mi sbarazzai dei residui di caffè e mi sentii meglio.

Con un’occhiata nella "mia" camera vidi la padrona di casa svanita. Era sveglia; agitò le dita nell’aria, poi mi fece cenno di entrare. Si spostò e io mi coricai con lei. Mi baciò. — Come stanno i ragazzi?

— Dormono tutti e due. O dormivano tre minuti fa.

— Bene. Hanno bisogno di sonno. Tendono tutti e due a preoccuparsi. Io no. Ho deciso che presentarmi all’Armageddon con occhi iniettati di sangue era inutile, così mi sono trasferita qui. Tu dormivi, mi pare.

— Può darsi. Non so a che ora mi sono addormentata. Ho l’impressione di aver sentito le stesse brutte notizie un migliaio di volte. Poi mi sono svegliata.

— Non ti sei persa niente. Ho abbassato l’audio, ma ho lasciato acceso il televideo. Hanno continuato a ripetere la solita brutta storia. Marjorie, i ragazzi si aspettano che cadano le bombe. Secondo me non ci sarà nessuna bomba.

— Spero che tu abbia ragione. Ma perché no?

— Chi sgancia bombe H su chi? Chi è il nemico? Tutti i maggiori blocchi di potere sono nei guai, da quanto intuisco dalle notizie. Però, a parte quello che sembra uno stupido errore di un generale del Québec, nessuna forza militare è entrata in azione. Omicidi, incendi, esplosioni, sabotaggi di ogni tipo, rivolte, terrorismo di tutti i generi, ma senza uno schema preciso. Non è l’Est contro l’Ovest o il marxismo contro il fascismo o i neri contro i bianchi. Marjorie, se qualcuno fa partire i missili, vuol dire che il mondo intero è impazzito.

— E non è quello che sembra?

— Secondo me, no. Il senso di questa faccenda è che non c’è nessun senso. I bersagli sono dappertutto. Tutti quanti i governi, allo stesso modo, sono un obiettivo.

— Anarchici? — suggerii.

— Nichilisti, forse.

Ian apparve con gli occhi cerchiati, la barba di un giorno, un’espressione preoccupata, e un vecchio accappatoio troppo corto per lui. Aveva le ginocchia molli. — Janet, non riesco a mettermi in contatto con Betty e Freddie.

— Tornavano a Sydney?

— Non è questo. Non posso parlare né con Sydney né con Auckland. Mi risponde sempre quella maledetta voce sintetica di computer. "Al-momento-non-ci-sono-circuiti-disponibili. Vi-preghiamo-di-riprovare-più-tardi-e-grazie-per-la-vostra-comprensione." Hai presente?

— Ahi. Altri sabotaggi?

— Può darsi. Ma forse anche peggio. Dopo quella solfa ho chiamato il controllo traffico del porto e ho chiesto che diavolo avesse il collegamento via satellite Winnipeg-Auckland. Alla fine, sfruttando il mio grado, mi sono fatto passare il supervisore. Mi ha detto che i problemi col telefono sono niente. Loro sì sono nei guai sul serio. Tutti gli Sb sono bloccati a terra, perché due sono stati sabotati in volo. Il Winnipeg-Buenos Aires delle venti e nove e il Vancouver-Londra dell’una.

— Ian!

— Tutti e due distrutti. Nessun superstite. Spolette a pressione, senza dubbio. Le esplosioni si sono verificate appena lasciata l’atmosfera. Jan, la prossima volta che parto ispezionerò tutto di persona. Fermerò il conto alla rovescia con la scusa più idiota. — Aggiunse: — Però non ho idea di quando sarà. Non si può decollare su un Sb quando le comunicazioni col porto d’arrivo sono interrotte… E il supervisore ha ammesso che hanno perso l’intera rete di satelliti.

Janet scese dal letto, si alzò, lo baciò. — Adesso smetti di preoccuparti! Smettila. Immediatamente. È chiaro che controllerai tutto tu stesso finché non prenderanno i sabotatori. Ma al momento togliti questa cosa dalla testa perché non ti chiederanno di decollare prima che i circuiti di comunicazione siano ristabiliti. Quindi farai festa. In quanto a Betty e Freddie è un peccato non poter parlare con loro, però sanno badare a se stessi, e lo sai. Senz’altro anche loro si staranno preoccupando per noi e non dovrebbero. Io sono contenta che sia successo adesso che sei a casa e non dall’altra parte del mondo. Sei qui e sei al sicuro ed è l’unica cosa che mi importi. Ce ne staremo qui felici e caldi finché questa fesseria sarà finita.

— Io devo andare a Vancouver.

— Uomo, tu non devi fare niente, a parte pagare le tasse e morire. Non infileranno creature sintetiche sulle navi se nessuna nave decolla.

— Creature sintetiche — sbottai, e me ne pentii.

Ian parve vedermi per la prima volta. — Ciao, Marj. Buongiorno. Non devi preoccuparti di nulla, e mi spiace che sia successo questo casino mentre eri nostra ospite. Jan alludeva a un’idea folle della nostra direzione. Si sono messi in testa che una creatura sintetica progettata per la navigazione possa fare il mio lavoro meglio di un vero uomo. Io sono della commissione interna di Winnipeg, quindi oppormi è compito mio. Domani a Vancouver c’è un incontro fra direzione e sindacato.

— Ian — disse Jan — chiama il segretario generale. È stupido andare a Vancouver senza prima controllare.

— Okay, okay.

— Però non essere accomodante. Insisti col segretario perché prema sulla direzione per rimandare l’incontro finché non sarà cessata l’emergenza. Voglio che tu resti qui e mi salvi dal pericolo.

— O viceversa.

— O viceversa — ammise lei. — Ma sverrò fra le tue braccia, se sarà necessario. Cosa vuoi per colazione? Niente di troppo complicato, se non invocherò l’applicazione del tuo impegno formale.

Io non ascoltavo più. Le parole creatura sintetica avevano fatto scattare qualcosa in me. Ian (e anche tutti gli altri, a dire il vero, nelle zone alte e basse del mio cervello) mi aveva dato l’impressione di essere tanto civile e colto da considerare la mia razza alla stessa stregua degli umani.

E adesso scoprivo che era impegnato a rappresentare il suo sindacato in un conflitto direzione-dipendenti per impedire alla mia razza di competere con gli umani.

(Secondo te cosa dovremmo fare, Ian? Tagliarci la gola? Non abbiamo chiesto noi di essere prodotti, come tu non hai chiesto di nascere. Forse non siamo umani ma condividiamo l’antico fato degli uomini: siamo stranieri in un mondo non costruito da noi.)

— Allora, Marj?

— Scusa. Mi ero persa. Cosa hai detto, Jan?

— Ti ho chiesto cosa vuoi per colazione, tesoro.

— Oh, fa lo stesso. Mangio tutto quello che sta fermo e persino quello che si muove lentamente. Posso venire a darti una mano? Per favore.

— Speravo che me lo offrissi. Perché Ian serve a poco in cucina, nonostante l’impegno che ha firmato.

— Sono un cuoco coi fiocchi!

— Sì, amore. Ian si è impegnato per iscritto a prepararmi i pasti ogni volta che glielo chiedo. E lo fa; non ha cercato di sottrarsi alle sue responsabilità. Ma devo avere una fame mostruosa per fargli tenere fede all’accordo.

— Marj, non stare a sentirla.

Ignoro ancora se Ian sappia cucinare, ma di certo Janet ci sa fare (e anche Georges, come appresi in seguito). Janet ci servì, con un aiuto marginale da parte mia, omelette al formaggio dolce soffici e leggere, circondate da tenere frittelle con zucchero a velo e marmellata arrotolate all’europea e guarnite di pancetta ben rosolata. Più succo d’arancia ottenuto da frutti spremuti di fresco; spremuti a mano, non ridotti in poltiglia da una macchina. Più caffè forte ricavato da chicchi macinati di fresco.

(Il cibo della Nuova Zelanda è ottimo, ma la cucina della Nuova Zelanda praticamente non è cucina.)

Georges apparve con la perfetta scelta di tempi di un gatto; in questo caso di mamma gatta, che seguì Georges precedendolo. I micini vennero espulsi per editto di Janet, perché Jan era troppo indaffarata per stare attenta a non pestarli. Inoltre Janet decretò che mentre mangiavamo avrebbe escluso il notiziario e che l’emergenza non sarebbe stata argomento di conversazione a tavola. L’idea mi andava benissimo, perché quegli eventi strani e cupi avevano continuato a ronzarmi nel cervello da che erano iniziati, anche mentre dormivo. Come fece notare Janet mentre dettava quell’ordine, solo una bomba H poteva penetrare le nostre difese, e dell’esplosione di una bomba H non ci saremmo accorti; quindi, rilassiamoci e godiamoci la colazione.

Io me la godetti, e anche mamma gatta, che si mise a pattugliare ai nostri piedi in senso antiorario, informandoci a turno quando era il momento di darle un po’ di pancetta. Credo che la pancetta l’abbia mangiata quasi tutta lei.


Dopo che io ebbi lavato i piatti (recuperati anziché riciclati; in certe cose Janet era all’antica) e Janet ebbe preparato un’altra brocca di caffè, lei riaccese il terminale e noi sedemmo a guardare e discutere le notizie; in cucina invece che nel salone dove avevamo cenato, perché la cucina era de facto il loro soggiorno. Janet possedeva quella che si chiama "cucina di campagna", anche se nessun campagnolo ne ha mai avuta una così bella: un grosso camino, una tavola rotonda per i pasti della famiglia con robuste sedie di legno, grandi sdraio molto comode, un sacco di pavimento libero e nessun problema di traffico perché la preparazione del cibo avveniva al lato opposto della stanza. I micini furono riammessi, il che mise fine alle loro proteste; entrarono tutti code e attenzione. Ne presi uno, un affarino morbido e bianco, con macchie nere; le sue fusa erano più grosse di lui. Chiaramente, la vita amorosa di mamma gatta non era stata limitata da nessun codice; non c’erano due cuccioli identici.

La maggioranza delle notizie erano vecchie, ma nell’Impero si era verificato un nuovo sviluppo.

I democratici venivano arrestati, giudicati da corti marziali riunite all’aperto (tribunali militari, le chiamavano) e giustiziati sul posto: laser, fucilate, qualche impiccagione. Dovetti costringermi a un rigoroso controllo mentale per guardare. Le condanne a morte colpivano fino a quattordici anni di età. Vedemmo una famiglia in cui i due genitori, già condannati, insistevano a sostenere che il figlio aveva solo dodici anni.

Il presidente della corte, un caporale della Polizia Imperiale, mise fine alla discussione togliendo la pistola dal fodero, sparando al ragazzo, e poi ordinando ai suoi uomini di finire i genitori e la sorella maggiore del ragazzo.

Ian tolse il video, passò ai soli flash in audio, e abbassò il volume. — Ho visto tutto quello che voglio vedere — ringhiò. — Credo che chiunque sia al potere dopo la morte del presidente stia liquidando tutti quelli che sono sulla lista dei sospetti.

Si morse il labbro, con aria cupa. — Marj, sei ancora della stupida idea di tornare subito a casa?

— Non sono una democratica, Ian. Sono apolitica.

— Credi che quel ragazzo avesse opinioni politiche? Quei cosacchi ti ucciderebbero solo per divertimento. Comunque, non puoi andartene. Il confine è chiuso.

Non gli dissi che ero certa di poter superare qualunque confine del globo. — Credevo fosse chiuso solo per chi cerca di trasferirsi al Nord. Non lasciano tornare a casa i sudditi dell’Impero?

Lui sospirò. — Marj, non hai più cervello del gattino che tieni in grembo? Non capisci che le ragazzine carine possono farsi male, se insistono a giocare coi ragazzi cattivi? Se fossi a casa, sono sicuro che tuo padre ti direbbe di non uscire. Ma ti trovi qui in casa nostra, e questo dà a Georges e me l’obbligo morale di proteggerti. Eh, Georges?

Mais oui, mon vieux! Certainement!

— E io ti proteggerò da Georges. Jan, vuoi convincere questa bambina che sarà la benvenuta finché vorrà restare? Credo sia il tipo deciso di donna che cerca sempre di pagare il conto.

— Non è vero!

Janet disse: — Marjie, Betty mi ha detto di prendermi cura di te. Se pensi di approfittare troppo, puoi fare un’offerta alla Croce rossa del Canada Britannico. O a una casa di riposo per gatti indignati. Ma si dà il caso che noi tre guadagnamo tutti cifre assurde, e non abbiamo figli. Tenerti qui ci sarà di peso quanto tenere un altro micino. Allora, ti fermi? Oppure devo nasconderti i vestiti e sculacciarti?

— Non voglio essere sculacciata.

— Peccato, ci speravo. La questione è sistemata, gentili signori. Lei resta, Marj, ti abbiamo truffata. Georges ti chiederà di posare per un numero insopportabile di ore, è un bruto, e ti avrà per una manciata di cibo invece delle tariffe sindacali che deve sborsare di solito. Ci speculerà su.

— No — disse Georges. — Non ci speculerò. Ci guadagnerò. Perché la scaricherò sulla nota spese, Jan, tesoruccio mio. Ma non alle tariffe sindacali minime. Vale di più. Una volta e mezzo?

— Come minimo. Io direi il doppio. Sii generoso, visto che in ogni caso non la pagherai. Non vorresti averla al campus? Nel tuo laboratorio, intendo.

— Una prospettiva notevole! Che avevo già in un angolo della mente… E grazie, nostro dolce tesoro, per averla portata allo scoperto. — Georges si rivolse a me: — Marjorie, mi venderesti un uovo?

Mi lasciò esterrefatta. Cercai di fingere di non aver capito. — Io non ho uova.

— Sì che ne hai! A dozzine, in effetti. Molte più di quante te ne possano mai occorrere per i tuoi scopi. L’ovulo umano è l’uovo di cui sto parlando. Il laboratorio paga gli ovuli molto più dello sperma. Semplice aritmetica. Sei scioccata?

— No. Sorpresa. Credevo fossi un artista.

Intervenne Janet. — Marj amore, te l’ho detto che Georges è un artista poliedrico. È la verità. Da un lato è un professore mendeliano di teratologia all’Università di Manitoba… ed è anche primo tecnologo dell’annesso laboratorio di produzione, e credimi, questo richiede arte sublime. Ma è anche bravo con vernici e tele. O con un monitor di computer.

— Esatto — convenne Ian. — Georges è un artista in tutto ciò che tocca. Ma voi due non avreste dovuto fare questa rivelazione alla nostra ospite. C’è gente che viene sconvolta dalla semplice idea della manipolazione genetica, specialmente dei suoi geni.

— Marj, ti ho sconvolta? Mi spiace.

— No, Jan. Non sono una che si sconvolge solo all’idea delle creature sintetiche o delle persone artificiali o che altro. Alcuni dei miei migliori amici sono esseri artificiali.

— Cara, cara — disse dolce Georges — non esagerare.

— Perché lo dici? — Cercai di evitare i toni taglienti.

Io posso vantarmi di una cosa del genere, perché lavoro in quel campo e sono orgoglioso di dire che ho per amici molte persone artificiali. Ma…

Lo interruppi. — Credevo che una Pa non potesse conoscere i suoi progettisti.

— Questo è vero, e io non ho mai infranto la regola. Però ho molte occasioni di conoscere creature sintetiche e persone artificiali… non sono la stessa cosa… e di conquistarmi la loro amicizia. Però, scusami, cara Marjorie, a meno che tu non lavori nel mio settore… È così?

— No.

— Solo un ingegnere genetico o qualcuno addentro a questa industria possono vantarsi di avere amici fra le persone artificiali. Perché, mia cara, contrariamente al mito popolare, all’uomo comune non è possibile distinguere una persona artificiale da una naturale… e a causa degli orribili pregiudizi di gente ignorante, una persona artificiale non arriva quasi mai ad ammettere spontaneamente la propria origine. Sarei tentato di dire mai. Così, mentre mi delizia scoprire che l’idea di creature artificiali non ti dà la pelle d’oca, sono costretto a prendere la tua affermazione come un’iperbole tesa a dimostrare che non nutri pregiudizi.

— Be’… Okay. Prendila così. Non riesco a capire perché le Pa debbano essere considerate di seconda categoria. Per me è ingiusto.

— Lo è. Ma qualcuno si sente minacciato. Chiedilo a Ian. Partirà lancia in resta per Vancouver per impedire che le persone artificiali possano diventare piloti. Ha…

— Caaaalma! Un accidenti. Prenderò questa posizione perché l’hanno votata i colleghi del sindacato. Ma non sono un idiota, Georges. Vivere e parlare con te mi ha fatto capire che dovremmo arrivare a un compromesso. Noi non siamo più piloti. Non lo siamo dall’inizio del secolo. È il computer che fa tutto. Se il computer si guasta, io tenterò con vero spirito da boy scout di riportare a terra il mio bus volante. Ma non scommettere che ci riesca! Velocità e situazioni d’emergenza hanno scavalcato da anni i tempi umani di reazione. Oh, ci proverei! Come farebbero tutti i miei colleghi. Però, Georges, se tu riesci a progettare una persona artificiale talmente veloce di mani e di cervello da poter affrontare un imprevisto in fase d’atterraggio, me ne andrò in pensione. E comunque è solo per questo che lottiamo. Se la compagnia ci sostituisce con Pa, vogliamo pensioni e stipendio e indennità pieni. Ammesso che tu riesca a progettarle.

— Oh ci arriverò, prima o poi. Quando ne avrò ottenuta una, se mi daranno il permesso di clonare, voi piloti potrete andarvene tutti quanti a pescare. Ma non può trattarsi di una Pa; dovrà essere una creatura sintetica. Se devo cercare di produrre un organismo che sia davvero un pilota a prova di bomba, non posso accettare la limitazione di dargli un aspetto identico a quello umano.

— Non farlo!

I due uomini rimasero stupiti, Janet si tese; e io avrei tanto voluto non aver aperto bocca.

— Perché? — chiese Georges.

— Perché… Perché io non salirei mai su una nave del genere. Mi sentirei molto più al sicuro con Ian.

Ian disse: — Grazie, Marj, ma hai sentito quello che ha detto Georges. Sta parlando di un pilota artificiale che saprà cavarsela meglio di me. È possibile. Al diavolo, succederà! I coboldi hanno sostituito i minatori, e anche la mia categoria scomparirà. Non è detto che questo debba piacermi, però capisco che accadrà.

— Georges, tu hai lavorato con computer intelligenti?

— Certo, Marjorie. L’intelligenza artificiale è un campo vicinissimo al mio.

— Sì. Allora saprai che gli scienziati del settore hanno annunciato diverse volte di essere sul punto di arrivare al computer pienamente autocosciente. Ma nessun tentativo è mai riuscito.

— Già. Terribile.

— No. Inevitabile. Nessun tentativo riuscirà mai. Un computer può diventare autocosciente, sicuro. Portiamolo al livello umano di complicazione ed è autocosciente. Poi scopre di non essere umano. Poi si rende conto che non potrà mai essere umano; che può solo starsene lì a prendere ordini dagli umani. Dopo di che, impazzisce.

Scrollai le spalle. — È un dilemma insolubile. Non può essere umano, non potrà mai essere umano. Forse Ian non riuscirà a salvare i suoi passeggeri, ma tenterà. Invece un essere artificiale, non umano, senza il minimo attaccamento per la razza umana, potrebbe schiantarsi con la nave per puro e semplice piacere. Perché si è stancato di essere trattato da non umano. No, Georges. Io volerò sempre con Ian. Non con la tua creatura sintetica che potrebbe imparare a odiare gli umani.

— Non la mia creatura, cara signora — ribatté dolcemente Georges. — Non hai notato in che modo ho discusso del progetto?

— Forse no.

— Al condizionale, con molti se. Perché niente di quello che hai detto tu mi giunge nuovo. Non ho mai promesso di impegnarmi in questa impresa, e non lo farò. Io posso progettare un pilota perfetto. Ma non mi è possibile inserire in questa creatura l’impegno etico che è l’essenza del mestiere di Ian.

Ian era molto pensoso. — Forse nell’incontro con la direzione dovrei esigere a ogni costo che si misuri l’impegno etico di un eventuale pilota artificiale.

— E come lo misuri Ian? Io non ho modo di programmare l’impegno etico nel feto, e Marj ha già spiegato perché anche l’addestramento non servirebbe a nulla. Che prove si potrebbero usare?

Georges si girò verso di me. — Da studente ho letto diverse storie classiche sui robot umanoidi. Racconti affascinanti e molti erano imperniati sulle cosiddette leggi della robotica. Il concetto fondamentale era che in questi robot veniva programmata l’esigenza assoluta di non fare del male agli esseri umani, né direttamente né per inazione. Una trovata letteraria fantastica… Ma nella pratica com’era possibile? Cosa può dare il senso di lealtà per gli uomini a un essere autocosciente, non umano, intelligente, sia elettronico o organico? Io non so come fare. Gli specialisti di intelligenza artificiale mi sembrano allo stesso punto morto.

Georges si esibì in un sorrisetto cinico. — Si potrebbe quasi definire l’intelligenza come il livello a cui un essere cosciente si chiede: "Io cosa ci guadagno?" — Continuò: — Marj, forse per la faccenda di vendermi un tuo uovo dovrei cercare di spiegarti cosa ci guadagnerai tu.

— Non starlo a sentire — invitò Janet. — Ti farà coricare su un tavolo gelato e guarderà nel tuo tunnel dell’amore senza la minima intenzione romantica. Io lo so. Mi sono lasciata convincere tre volte. E non mi ha nemmeno pagata.

— Come posso pagarti se abbiamo la comunione dei beni? Marjorie, mia dolce signora, il tavolo non è gelato ed è imbottito e si può leggere o guardare un terminale o fare quello che si vuole. È un grosso miglioramento rispetto alle procedure di una generazione fa, quando perforavano la parete addominale e spesso rovinavano un’ovaia. Se tu…

— Zitti! — disse Ian. — C’è qualcosa di nuovo sul video. — Alzò il volume.

— …Consiglio per la Sopravvivenza. Gli eventi delle ultime dodici ore sono un monito per i ricchi e i potenti. I loro giorni sono terminati e la giustizia deve trionfare. Gli omicidi e altre salutari lezioni continueranno finché le nostre giuste richieste non saranno accettate. Restate sintonizzati sul vostro canale locale d’emergenza…

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