Quattordici ore più tardi mi ero spostata solo di venticinque chilometri a est del punto in cui avevo dovuto lasciare la sotterranea. Avevo trascorso un’ora in compere, quasi un’ora a mangiare, più di due ore per un serrato consulto con uno specialista, sei ore celestiali a dormire, e quasi quattro a trasferirmi con somma cautela a est, tenendomi parallela alla barriera di confine senza avvicinarmi troppo; e adesso era l’alba e io raggiungevo la barriera, la toccavo, e prendevo a seguirla, sotto le spoglie di un’annoiata addetta alle riparazioni.
Pembina è solo un villaggio. Avevo dovuto tornare a Fargo per trovare uno specialista; un viaggetto veloce, con la capsula. Lo specialista che cercavo lavorava nello stesso ramo della "Artisti Ltd." di Vicksburg, solo che la sua ditta non faceva pubblicità nell’Impero; occorsero tempo e caute bustarelle per trovarlo. Aveva l’ufficio in centro, dalle parti di Main Avenue e University Drive, però si nascondeva dietro la facciata di un’attività più convenzionale; non era facile scovarlo.
Indossavo ancora la tuta in neocotone blu stinto che avevo addosso quando mi ero buttata dalla Skip to M’Lou, non perché ci fossi particolarmente affezionata, ma perché una tuta blu in tessuto ruvido è la miglior approssimazione possibile a un vero unisex internazionale. Va bene persino su Elle-Cinque o a Luna City, dove peraltro sono più diffusi i monokini. Aggiungete un foulard, e la casalinga in gamba la indosserà per fare la spesa; portate una ventiquattro ore, e siete un rispettabile uomo d’affari; accucciatevi per strada con un cappello sul marciapiede, ed è un’uniforme da barbone. Si sporca difficilmente, si lava facilmente, non fa pieghe, ha una durata praticamente eterna; quindi è l’ideale per il corriere che vuole mimetizzarsi nell’ambiente e non può sprecare tempo o bagagli per il guardaroba.
A quella particolare tuta era stato aggiunto un berretto unto col distintivo della "mia" professione, una cintura logora dotata di utensili vecchi ma perfettamente funzionali, una bandoliera di pezzi di raccordo su una spalla, e il saldatore per installarli sull’altra.
Tutto ciò che avevo era logoro, guanti compresi. Nella tasca sul fianco sinistro era infilato un vecchio portafoglio in pelle, con documenti da cui risultava che io ero Hannah Jensen di Moorhead. Un vecchio ritaglio di giornale diceva che ero stata majorette alle superiori; un tesserino della Croce Rossa riportava il mio gruppo sanguigno, 0 Rh positivo sub 2 (il mio vero gruppo), e spiegava che ero una donatrice benemerita; ma le date indicavano che da più di sei mesi mi ero dimenticata di donare sangue.
Altri piccoli particolari conferivano ad Hannah un passato ben definito; aveva persino una carta Visa emessa dalla Savings and Loan Company di Moorhead, però su quella avevo fatto risparmiare a Boss più di mille corone: siccome non mi aspettavo di usarla, era priva della scritta magnetica invisibile senza la quale una carta di credito è solo un pezzo di plastica.
Il cielo si era appena illuminato, e stando ai miei calcoli avevo un massimo di tre ore per superare la barriera di confine; niente di più, perché di lì a tre ore sarebbero entrati in attività i veri addetti alla manutenzione, e io ero estremamente ansiosa di non incontrarli. Prima di allora, Hannah Jensen doveva svanire… magari per riapparire nel tardo pomeriggio per un ultimo sforzo. Era un’operazione in stile o la va o la spacca; avevo esaurito le corone in contanti. Vero, avevo ancora la carta di credito emessa dall’Impero, ma avevo anche una paura sacrosanta dei segugi elettronici. I tre tentativi del giorno prima di chiamare Boss, tutti eseguiti con la stessa carta, avevano fatto scattare un subprogramma che avrebbe permesso di identificarmi? Subito dopo ero riuscita a usare la carta di credito per pagare la sotterranea, ma ero davvero sfuggita a tutte le trappole elettroniche? Non lo sapevo, e non volevo scoprirlo; volevo solo passare dall’altra parte di quella barriera.
Continuai a passeggiare, soffocando la forte tentazione di uscire dal personaggio mettendomi a correre. Mi occorreva un punto dove poter forare la barriera senza essere vista, anche se su entrambi i lati, per un raggio di una cinquantina di metri, era stata fatta terra bruciata. Dovevo accettare il fatto; quella che volevo era una zona di terra bruciata circondata da alberi, cespugli, siepi divisorie come in Normandia.
In Minnesota non ci sono le siepi divisorie della Normandia.
Il Minnesota del nord è quasi privo di alberi; o almeno lo è nella parte di confine in cui mi trovavo. Stavo scrutando la barriera, e cercavo di dirmi che un pezzo di terreno aperto senza anima viva nei paraggi è buono quanto un’area schermata da alberi, quando apparve un Vma della polizia. Era a ovest rispetto a me e seguiva lentamente la barriera. Salutai con un cenno allegro e continuai a dirigermi a est.
Invertirono la rotta, tornarono indietro, e si appostarono a una cinquantina di metri da me. Mi voltai e li raggiunsi. Arrivai all’auto mentre il capopattuglia scendeva, seguito dall’autista, e dalle loro uniformi vidi (inferno, dannazione e tenebre) che erano imperiali, non agenti della Polizia Provinciale del Minnesota.
Il capopattuglia mi dice: — Cosa ci fai qui a quest’ora?
Il tono era aggressivo; gli risposi sulla stessa lunghezza d’onda: — Stavo lavorando, prima che mi interrompeste.
— Un accidenti. Tu non entri in servizio fino alle otto.
Ribattei: — Ho una novità per te, grande capo. Quello era la settimana scorsa. Adesso ci sono due turni. Il primo monta appena può. Il cambio dei turni è a mezzogiorno; il secondo smonta quando non ne può più.
— Nessuno ci ha avvertiti.
— Vuoi che il sovrintendente ti scriva una lettera di persona? Dammi il numero del tuo distintivo e gli spiego tutto io.
— Datti una calmata, ganza. Forse dovrei portarti dentro e controllarti per benino.
— Fai pure. Una giornata di riposo per me… e intanto tu spiegherai perché non è stata fatta la manutenzione a questa parte di barriera.
— Vai a farti friggere. — Si avviarono per tornare a bordo.
— Uno di voi due maschiacci ha uno spino? — chiesi.
L’autista disse: — Non ci facciamo in servizio, e non dovresti farti nemmeno tu.
— Testa di cavolo — commentai, cortese.
L’autista fece per ribattere, ma il capopattuglia abbassò il tettuccio apribile, e decollarono; proprio sopra la mia testa, costringendomi a buttarmi giù. Credo di non essergli piaciuta.
Tornando alla barriera conclusi che Hannah Jensen non era una signora. Essere scortesi coi Verdi solo perché sono il massimo dello schifo umano è imperdonabile. Anche le vedove nere, i pidocchi e le iene hanno diritto di vivere, anche se non ho mai capito perché.
Decisi che i miei piani non erano ben meditati. Boss avrebbe disapprovato. Attaccare la barriera alla luce del giorno era troppo appariscente. Meglio scegliere un punto, nascondersi fino al buio, e poi tornarci. Oppure dedicare la notte al piano numero due: controllare di persona la possibilità di passare sotto la barriera nel Roseau River.
Non andavo pazza per il piano numero due. Le acque del Mississippi inferiore erano abbastanza tiepide, ma i fiumi lì a nord avrebbero congelato un cadavere. La sera di due giorni prima, avevo saggiato il Pembina. Brrr! Un’estrema risorsa, niente di più.
Quindi scegli un pezzo di barriera, decidi esattamente in che modo lo bucherai, poi cerca degli alberi, avvolgiti in un letto di foglie calde, e aspetta il buio. Rivedi mentalmente ogni tua mossa, all’infinito, così potrai sforacchiare la barriera come pipì che scende nella neve.
A quel punto superai un lieve pendio del terreno e mi trovai faccia a faccia con un altro addetto alla manutenzione, del tipo maschile.
Se sei in dubbio, attacca. — Che diavolo ci fai qui, amico?
— Seguo la barriera. La mia parte di barriera. Cosa ci fai tu, sorella?
— Oh, Cristo! Non sono tua sorella. E tu hai sbagliato zona, oppure turno. — Notai innervosita, che l’addetto alla manutenzione in perfetta uniforme porta un walkie-talkie. Be’, io ero alle prime armi; stavo ancora imparando il mestiere.
— Col cavolo — rispose lui. — Coi nuovi turni monto all’alba e mi danno il cambio a mezzogiorno. Magari devi darmelo tu, eh? Sì, probabile. Avrai letto male i turni di servizio. Sarà meglio che chiami.
— Fai pure — dissi, avvicinandomi.
Lui esitò. — D’altra parte, forse… — Io non esitai.
Non uccido tutti coloro con cui ho una divergenza d’opinioni, e non vorrei che chi legge queste mie memorie pensi che io sia un’assassina incallita. Non gli feci troppo male, e durò solo un attimo; mi limitai a metterlo a dormire di colpo.
Con un rotolo di nastro adesivo che avevo alla cintura gli legai le mani dietro la schiena, poi le caviglie. Avessi avuto un bel cerotto grosso così lo avrei imbavagliato, ma avevo solo del nastro a frizione meccanica largo due centimetri, ed ero molto più ansiosa di aprirmi un varco nella barriera che di impedirgli di strillare per chiedere aiuto a coyote e conigli.
Un saldatore buono per riparare è anche buono per bucare, ma il mio era ancora meglio del solito: lo avevo comperato passando dalla porta di servizio del maggior ricettatore di Fargo. Era un laser in grado di tagliare l’acciaio, non la baracca ossiacetilenica che sembrava. Qualche istante dopo avevo un buco grande, a stento quanto bastava per Friday. Mi chinai per volatilizzarmi.
— Ehi, portami con te!
Esitai. Quello continuava a ripetere, insistentemente, che era ansioso come me di fuggire i maledetti Verdi. Slegami!
Ciò che feci è una follia paragonabile solo a quella della moglie di Lot. Presi il coltello dalla cintura, gli tagliai il nastro alle mani e alle caviglie, mi infilai nel foro e cominciai a correre. Non mi fermai a vedere se anche lui si fosse ficcato o meno nel buco.
Circa mezzo chilometro a nord c’era uno dei rari gruppi d’alberi. Mi lanciai in quella direzione stabilendo un nuovo record di velocità. La pesante cintura porta-attrezzi mi rallentava; la gettai senza decelerare. Un attimo dopo mi tolsi il berretto, e Hannah Jensen tornò nel limbo eterno. Saldatore, guanti e pezzi di raccordo per la barriera erano ancora nell’Impero. Tutto ciò che restava di lei era un portafoglio di cui mi sarei sbarazzata in un momento più calmo.
Mi addentrai fra gli alberi, poi invertii la marcia e trovai un punto da cui osservare il percorso che avevo fatto, dolorosamente consapevole di essere seguita.
Il mio ex prigioniero era a metà strada fra barriera e alberi… e due Vma stavano convergendo su di lui. Quello più vicino all’uomo recava la grande Foglia d’Acero del Canada Britannico. Non vedevo l’insegna dell’altro perché puntava direttamente su me, attraverso il confine internazionale.
L’auto della polizia canadese atterrò. Il mio gentile ospite si arrese senza discussioni: ragionevole, visto che il Vma dell’Impero atterrò subito dopo, almeno duecento metri all’interno del Canada Britannico. E sì, era la Polizia Imperiale; forse lo stesso veicolo che aveva fermato me.
Non sono un’esperta di legge internazionale, ma ho la certezza che siano scoppiate guerre per molto meno. Trattenni il respiro, misi al massimo l’udito, e ascoltai.
Nemmeno fra quei poliziotti c’erano grandi giuristi internazionali; la discussione fu accesa, ma non coerente. Gli imperiali chiedevano la consegna del profugo in base ai privilegi concessi agli inseguitori, e un caporale canadese sosteneva (correttamente a mio giudizio) che l’inseguimento era lecito solo con criminali colti sul fatto, mentre in quel caso l’unico "crimine" consisteva nell’ingresso illegale nel Canada Britannico, atto che non ricadeva sotto la giurisdizione della Polizia Imperiale. — Adesso levate quel catorcio dal suolo del Canada Britannico!
Il Verde emise in risposta un monosillabo che irritò il canadese. Il caporale richiuse il tettuccio e urlò dall’altoparlante: — Vi dichiaro in arresto per violazione dello spazio aereo e del suolo del Canada Britannico. Scendete e arrendetevi. Non cercate di decollare.
L’auto dei Verdi decollò immediatamente e superò il confine internazionale, dopo di che se ne andò. Il che poteva essere esattamente ciò che era nelle intenzioni del canadese. Io restai molto immobile, perché adesso quelli avevano il tempo di concentrarsi su di me.
Sono giunta alla conclusione certa che il mio compagno d’avventura mi abbia ripagata per il biglietto di fuga che gli avevo offerto. Nessuno venne a cercarmi. Lui di certo mi aveva vista svanire fra gli alberi, ma è improbabile che i canadesi mi avessero vista. Senz’altro il foro nella barriera aveva fatto scattare gli allarmi delle stazioni di polizia sui due lati del confine. Qualunque esperto d’elettronica poteva installare un apparecchio del genere, un apparecchio capace persino di individuare al millimetro il punto sabotato; di conseguenza, il mio piano prevedeva di fare tutto in fretta.
Ma contare il numero di corpi caldi che passavano in un foro era tutto un altro problema elettronico; non che fosse impossibile, ma forse qualcuno aveva ritenuto che non fosse il caso di spendere troppo. In ogni caso, il mio compagno sconosciuto non mi tradì; nessuno venne a cercarmi. Dopo un po’, da un’auto canadese scese una squadra di addetti alle riparazioni. Li vidi raccogliere la cintura con gli attrezzi di cui mi ero liberata nei pressi della barriera. Dopo la loro partenza, arrivò un secondo gruppo sul lato dell’Impero; ispezionarono la riparazione e se ne andarono.
Meditai un attimo sulle cinture porta-attrezzi. Ripensandoci non mi pareva di averne vista una sul mio leale prigioniero quando si era arreso. Conclusi che per infilarsi nel foro aveva dovuto liberarsi della cintura: il buco era quasi troppo stretto persino per Friday; per lui doveva essere stato microscopico.
Ricostruzione: i canadesi hanno visto una cintura, dalla loro parte; i Verdi ne hanno vista un’altra, dalla loro parte. Nessuno dei due gruppi aveva motivo di presumere che dal buco fosse passato più di un fuggitivo; almeno finché il mio ex prigioniero stava zitto.
Un gesto molto cortese da parte sua, direi. Certi maschi ce l’avrebbero avuta con me per il colpetto che avevo dovuto assestargli.
Restai fra gli alberi fino al buio, tredici tediose ore. Non volevo essere vista da nessuno finché non avessi raggiunto Janet (e, con un po’ di fortuna, Ian); un immigrato illegale non va in cerca di pubblicità. Fu una giornata lunga, ma nella fase centrale del mio addestramento il guru del controllo mentale mi aveva insegnato a tenere testa a fame, sete e noia quando è necessario e a restare calma, sveglia e attenta. Mi incamminai a sera fonda. Conoscevo il terreno com’è possibile conoscerlo dalle carte geografiche, carte che avevo studiato con la massima cura un paio di settimane addietro in casa di Janet. Il problema che avevo di fronte non era né complesso né difficile: percorrere a piedi centodieci chilometri circa entro l’alba, senza farmi individuare.
La rotta era semplice. Dovevo spostarmi leggermente a est per raggiungere da Lancaster nell’Impero La Rochelle nel Canada Britannico, al porto d’ingresso che era facilmente identificabile. Virare a nord per la periferia di Winnipeg, deviare a sinistra girando la città e intercettare la strada nord-sud per il porto. Stonewall era a un tiro di schioppo da lì, e la casa dei Tormey vicinissima. Conoscevo tutta l’ultima parte, la più difficoltosa, non semplicemente dalle carte geografiche ma dal viaggetto in carrozza che ci avevo fatto di recente, senza nulla che mi disturbasse (a parte le simpatiche mani che cercavano alla cieca il mio corpo).
Era l’alba quando apparve la cancellata esterna dei Tormey. Io ero stanca, ma non in cattiva forma. Posso mantenere il ritmo passeggiata-trotto-corsa-passeggiata-trotto-corsa per ventiquattro ore, se necessario, e all’addestramento l’ho fatto; tenere duro per tutta la notte è accettabile. Più che altro avevo i piedi indolenziti e una sete del diavolo. Felice, sollevata, premetti il pulsante per annunciarmi.
E sentii immediatamente: — Parla il capitano Ian Tormey. Questa è una registrazione. Questa casa è protetta dalla Licantropi di Winnipeg Limited. Ho assunto questa agenzia perché non considero giustificata la loro fama di avere il grilletto facile; sono solo molto efficienti nel proteggere i loro clienti. Le telefonate dirette a questa casa non verranno inoltrate, ma il recapito della posta è assicurato. Grazie per avermi ascoltato.
E grazie a te, Ian! Oh, accidenti, accidenti, accidenti! Sapevo di non avere motivo di aspettarmi che restassero a casa, però il mio cervello non era mai stato sfiorato dall’idea che potessero non esserci. Avevo operato un "trasferimento", come lo chiamano gli strizzacervelli: dopo aver perso la mia famiglia ennezeta, con Boss scomparso e forse morto, la casa dei Tormey era diventata "casa mia" e Janet la madre che non avevo mai avuto.
Mi sarebbe piaciuto essere ancora alla fattoria degli Hunter, a godermi il calore protettivo della signora Hunter. Mi sarebbe piaciuto essere a Vicksburg, a dividere con Georges le nostre due solitudini.
Nel frattempo il sole sorgeva e presto le strade avrebbero cominciato a riempirsi e io ero una straniera illegale senza quasi un dollaro canadese e col profondo bisogno di non essere notata, non essere arrestata e interrogata, e con la testa leggera per mancanza di sonno e fame e sete e stanchezza.
Ma non dovevo compiere scelte difficili, perché mi veniva imposta la classica scelta obbligata: dovevo tornare a nascondermi in un buco come un animale, e in fretta, prima che il traffico si riversasse sulle strade.
I boschi non sono comuni nei pressi di Winnipeg, però ricordavo alcuni ettari di terreno selvaggio, scuro sulla mia sinistra, a lato della strada principale e più o meno dietro la casa dei Tormey; un terreno irregolare ai piedi della collinetta su cui Janet aveva costruito. Così partii in quella direzione. Incontrai un carro delle consegne (latte) e nient’altro.
Arrivata al punto che mi interessava, lasciai la strada. Il terreno divenne molto irregolare; una specie di percorso di guerra fra continui solchi. Ma poco dopo incontrai qualcosa che era ancora meglio degli alberi: un torrentello così poco profondo che potei attraversarlo a piedi.
Cosa che feci, ma solo dopo aver bevuto. Acqua pulita? Probabilmente contaminata, ma me ne infischiai: i miei singolari "diritti di nascita" mi proteggono dalla maggioranza delle infezioni. Il sapore era buono, e ne bevvi tanta, e poi mi sentii molto meglio fisicamente; ma il senso di peso al cuore restò.
Mi addentrai nel sottobosco, in cerca di un posto dove potessi non solo nascondermi ma addirittura azzardarmi a dormire. Le sei ore di sonno di due notti prima sembravano orribilmente lontane; ma il guaio di nascondersi in un boschetto così vicino alla città è che prima o poi può arrivare una pattuglia di boyscout e calpestarti la faccia. Quindi mi misi in cerca di un posto non solo selvaggio, ma anche inaccessibile.
Lo trovai. Un pendio ripido come la morte, reso ancora più inaccessibile da una massa di cespugli spinosi che individuai alla cieca.
Una massa di cespugli spinosi?
Mi occorsero quasi dieci minuti per trovarla, perché sembrava la parte sporgente di un macigno rimasto lì dai tempi in cui l’avanzata dei ghiacciai aveva spianato tutta la zona. Guardando meglio, però, non pareva di roccia. Occorse ancora di più per infilare le dita in un qualche appiglio e sollevarla, dopo di che si alzò facilmente, grazie a un contrappeso. Scivolai dentro in fretta e la lasciai tornare al suo posto e mi ritrovai al buio, spezzato solo da lettere luminosissime: PROPRIETÀ PRIVATA — VIETATO FUMARE.
Mi immobilizzai e pensai. Janet mi aveva detto che l’interruttore che disarmava tutte le difese letali era nascosto a poca distanza dall’ingresso.
Quant’è "poca distanza"?
E nascosto fino a che punto?
Era nascosto piuttosto bene semplicemente perché lì era scuro come l’inchiostro, a parte quelle lettere mostruose. Che avrebbero anche potuto dire "Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate".
Quindi tira fuori la tua torcia, Friday, alimentata dal suo piccolo Shipstone eterno, e cerca. Ma non puoi spingerti troppo avanti!
In effetti esisteva una torcia, chiusa in una sacca che mi ero lasciata alle spalle sulla Skip to M’Lou. Magari in quel momento era accesa e rallegrava i pesci sul fondo del Mississippi. E sapevo che altre torce erano immagazzinate in quel tunnel buio.
Non avevo nemmeno un fiammifero.
Avessi avuto un boyscout, avrei potuto ottenere il fuoco sfregando tra loro le sue gambe. Oh, piantala, Friday!
Crollai a terra e mi concessi di piangere un po’. Poi mi sdraiai su quel (duro, freddo) (caldo e morbido) pavimento di cemento e mi addormentai.