32

Erano le due dopo mezzanotte, ora della nave. L’emersione nello spazio normale si era verificata in orario, verso le undici del mattino, e i calcoli erano stati talmente precisi che la Forward doveva entrare in orbita stazionaria attorno a Botany Bay alle zero sette e quarantadue, con diverse ore di anticipo rispetto alle previsioni fatte nell’iperspazio. La cosa non mi fece piacere, perché la partenza delle scialuppe al mattino presto aumentava il rischio (pensavo) che la gente continuasse ad aggirarsi per i corridoi alle ore piccole della notte.

Be’, non avevo scelta. Non disponevo di una seconda chance.

Terminai i preparativi dell’ultimo minuto, diedi a Tilly il bacio d’addio, le feci cenno con l’indice di stare zitta, e uscii dalla porta della cabina Bb.

Dovetti avventurarmi verso poppa e scendere di tre ponti. Rallentai un paio di volte, per evitare gli uomini del turno di guardia notturno. Una volte mi infilai in un passaggio laterale per schivare un passeggero, proseguii verso poppa fino al corridoio successivo, poi deviai a tribordo. Alla fine raggiunsi il piccolo corridoio (un vicolo cieco) che portava al boccaporto d’imbarco della scialuppa.

Mac-Pete-Percival stava aspettando lì.

Mi avvicinai in fretta, sorridente; portai un dito alle labbra per chiedere silenzio, e lo colpii dietro l’orecchio.

Lo coricai sul ponte, me lo tolsi dai piedi, e cominciai a lavorare sulla serratura a combinazione e scoprii che era quasi impossibile leggere le cifre sul quadrante, anche con la mia vista notturna super. Nei corridoi erano accese solo le luci notturne, e in quel vicolo cieco regnava il buio più assoluto. Sbagliai due volte la combinazione.

Mi fermai a riflettere. Tornare alla cabina Bb in cerca di una torcia elettrica. Io non ne avevo, ma forse Tilly ne aveva una. Se non era così, dovevo aspettare il mattino, quando si sarebbero riaccese le luci? Il margine di sicurezza sarebbe stato troppo scarso; la gente avrebbe cominciato a circolare. Ma avevo una scelta?

Diedi un’occhiata a Pete. Ancora svenuto, ma il suo cuore era forte… E buon per te, Pete; fossi stata in overdrive totale, saresti morto. Lo perquisii.

Gli trovai addosso, e non mi stupì, una torcia micro: nel suo lavoro (farmi la guardia) poteva aver bisogno di una torcia elettrica, mentre Miss Dollaro Facile non pensava certo a cose del genere.

Pochi secondi dopo avevo aperto lo sportello.

Trascinai dentro Pete, chiusi il portello e lo bloccai, girando il comando a ruota in senso orario e poi antiorario. Mi voltai, vidi le ciglia di Pete che si muovevano leggermente, e gli assestai un altro colpo.

Seguì un lavoro maledettamente complicato. Pete ha una massa di ottantacirrque chili circa, non molto per un uomo. Però sono venti chili più di me, e lui è parecchio più grosso. Da Tom sapevo che per adeguarsi a Botany Bay, i tecnici tenevano la gravità della nave a 0,97 g. Al momento avrei preferito la caduta libera o un apparecchio antiG, perché non potevo lasciare Pete dietro di me, vivo o morto che fosse.

Riuscii a sistemarmelo sulla schiena in quella che qualcuno chiama "presa del pompiere", poi scoprii che il modo migliore per vedere davanti a me e avere una mano libera in caso fossi assalita da cani o affini era stringere in bocca la piccola torcia di Pete, a mo’ di sigaro. Avevo bisogno disperato della luce; ma se avessi potuto scegliere, se non avessi avuto quel peso morto, sarei avanzata al buio a tentoni.

Sbagliando strada una sola volta arrivai finalmente a quell’enorme stiva, che sembrava ancora più grande fra le tenebre perforate solo da un raggio di luce piccolo piccolo. Non avevo previsto l’oscurità totale, pensavo che anche sulla scialuppa fossero accese le luci notturne che rischiaravano la nave da mezzanotte alle sei.

Alla fine raggiunsi il nascondiglio che avevo scelto il giorno prima: il gigantesco turbogeneratore Westinghouse.

Quella macchina enorme probabilmente veniva alimentata a gas, o magari a vapore; di certo non era stata costruita per gli Shipstone. Esistono parecchie attrezzature obsolete che sono ancora utili alle colonie ma non vengono più usate ovunque siano disponibili gli Shipstone. Non ne so nulla, comunque il funzionamento di quella cosa non m’interessava; a me importava solo il fatto che metà del turbogeneratore era una specie di tronco di cono gigante disposto in orizzontale. Al centro del turbogeneratore, sotto l’estremità più stretta del tronco, si formava uno spazio vuoto, uno spazio alto più di un metro. Quanto bastava per un corpo. Il mio. Anche per due, con un po’ di fortuna, visto che avevo questo ospite indesiderato che non potevo né uccidere né abbandonare sulla nave.

Lo spazio era un posticino molto intimo perché gli uomini di Tom, prima di legare saldamente quel mostro, lo avevano ricoperto con un telone incerato. Dovetti strisciare dentro fra un cavo e l’altro, poi dovetti compiere sforzi diabolici per far entrare anche Pete. Ci riuscii. Dopo aver detto addio a qualche brandello di carne.

Controllai di nuovo il mio ospite, poi lo sbucciai. Se non ero del tutto scalognata, avrei potuto dormire un po’ il che sarebbe stato impossibile, se mi fossi lasciata dietro una delle mie guardie.

Pete portava calzoni, cintura, camicia, mutande, calzini, scarpe da ginnastica e un maglione. Gli tolsi tutto, poi gli legai i polsi dietro la schiena con la camicia, le caviglie con le gambe dei pantaloni, e infine con la cintura gli incatenai le caviglie ai polsi, sempre dietro la schiena: una posizione maledettamente scomoda, che mi hanno insegnato all’addestramento di base come tattica per scoraggiare i tentativi di fuga.

Poi cominciai a imbavagliarlo, usando mutande e maglione. Lui disse piano: — Non ce n’è bisogno, signorina Friday. Sono sveglio da un po’. Parliamo.

Mi fermai. — Mi sembrava che avessi ripreso conoscenza. Ma avrei continuato a fingere di non saperlo, se fingevi anche tu. Ho pensato che non mi avresti dato guai. Devi esserti reso conto che sono pronta a tagliarti le gonadi e infilartele giù per la gola.

— Avevo immaginato qualcosa del genere. Ma non credevo poteste essere tanto drastica.

— Perché no? Ho già incontrato le tue gonadi in passato. E non nel migliore dei modi. Se ne ho voglia, ho il diritto di tagliarle. Obiezioni?

— Signorina Friday, mi lasciate parlare?

— Sicuro, perché no? Ma un solo strillo più forte di un sospiro, e ti strappo quei giocattolini. — Feci in modo che capisse bene a cosa alludevo.

— Ahi! Piano, per favore. Stanotte il commissario di bordo ha fatto raddoppiare la sorveglianza. Io…

— Raddoppiare? In che senso?

— Di solito è Tilly, Shizuko, l’unica di turno da quando vi ritirate in cabina a quando vi alzate. Quando voi vi svegliate, lei preme un pulsante e io so che devo montare la guardia. Ma il commissario di bordo, o forse il capitano, è molto in ansia per voi. È preoccupato che possiate tagliare la corda a Botany Bay…

Sgranai gli occhi. — Numi santissimi! Chi può nutrire pensieri tanto maligni sulla povera vecchia Friday?

— Non so immaginarlo — rispose solennemente lui. — Ma perché siamo su questa scialuppa?

— Io voglio farmi un giretto turistico. E tu?

— Anch’io. Spero. Signorina Friday, ho capito che se avevate intenzione di fuggire a Botany Bay, era probabile che tentaste qualcosa stanotte. Non sapevo come pensaste di salire sulla scialuppa, ma avevo fiducia in voi… E vedo che la mia fiducia era giustificata.

— Grazie. Almeno un pochettino. Chi sta di guardia alla scialuppa di babordo? O non c’è nessuno?

— Graham. Il tipo biondo. Forse lo avrete notato.

— Troppo spesso.

— Io ho scelto questa scialuppa perché ieri avete fatto un giro qui col signor Udell. Oppure ieri l’altro, dipende da come tenete i conti del tempo.

— Non me ne frega niente dei conti del tempo. Pete, cosa succede quando si accorgono che sei scomparso?

— Potrebbero anche non accorgersene. Joe Stupid… chiedo scusa, Jospeh Steuben… l’altro è il nome che gli ho affibbiato io… ha istruzioni di darmi il cambio dopo colazione. Se conosco Joe, non se la prenderà se non mi trova al portello. Si metterà a sedere sul ponte con la schiena contro il portello e dormirà finché non arriverà qualcuno ad aprire. Poi resterà lì finché la scialuppa non sarà partita, dopo di che tornerà in cabina e si metterà a letto, aspettando che io vada a cercarlo. Joe è fedele come un cane ma non è furbo. È su questo che ho fatto affidamento.

— Pete, da come lo dici sembra che avessi previsto tutto.

— Non avevo previsto di rimediarci un collo indolenzito e un’emicrania. Se mi aveste dato il tempo di parlare, non sareste stata costretta a trascinarmi.

— Pete, se stai cercando di convincermi a slegarti con le tue chiacchiere dolci, hai sbagliato uomo.

— Non sarebbe meglio dire che ho sbagliato donna?

— Be’, comunque hai sbagliato, e non migliorerai la tua situazione mettendoti a criticare quello che dico. Sei in brutti guai, Pete. Dammi un solo buon motivo per non ucciderti e piantarti qui. Perché il capitano ha ragione; io taglio la corda. E non posso accollarmi anche te.

— Be’… Un motivo è che troveranno il mio corpo in mattinata, quando scaricheranno. A quel punto si metteranno a cercarvi.

— Io sarò a molti chilometri dall’altra parte dell’orizzonte. Ma perché dovrebbero cercare me? Non ti lascerò addosso le impronte digitali. Solo qualche striatura viola sul collo.

— Movente e occasione. Botany Bay è una comunità piuttosto ligia alle leggi, signorina Friday. Se vi limitate a lasciare la nave, è probabile che ve la possiate cavare. Lo hanno già fatto altri. Ma se siete ricercata per un omicidio commesso sulla nave, gli indigeni collaboreranno.

— Invocherò l’autodifesa. Sei un noto stupratore. Per amor del cielo, Pete, cosa devo farne di te? Sei un peso morto. Lo sai che non ti ucciderò. Non so uccidere a sangue freddo. Devo esserci costretta. Ma se ti lascio legato… Vediamo… Cinque più tre fa otto, poi aggiungi come minimo altre due ore prima che comincino a scaricare… Sono almeno dieci ore… E dovrò imbavagliarti, e comincia a fare freddo…

— Potete scommetterci che fa freddo! Non potreste coprirmi col mio maglione?

— Va bene, però dovrò usarlo quando ti imbavaglio.

— E a parte il freddo, mi si stanno addormentando mani e piedi. Signorina Friday, se mi lasciate legato qui per dieci ore, mani e piedi mi andranno in cancrena, e li perderò. Niente rigenerazione, sulle colonie. Quando tornerò a un posto dove possano curarmi, sarò un relitto umano. È più misericordioso uccidermi.

— Accidentaccio, stai cercando di lavorarti la mia compassione!

— Non sono certo che ne abbiate.

— Senti — gli dissi — se ti slego e ti lascio rivestire per non congelare, ti lascerai legare e imbavagliare più tardi senza resistere? Oppure devo colpirti più forte di quanto abbia fatto prima e metterti del tutto fuori combattimento? Col rischio di romperti il collo? Mi hai vista combattere…

— Non ho visto. Ho semplicemente avuto sotto gli occhi i risultati. Ne ho sentito parlare.

— Fa lo stesso. Sai. E devi sapere perché sono in grado di fare cose simili. Mia madre era una provetta…

— …E mio padre, un bisturi — mi interruppe lui. — Signorina Friday, non ero obbligato a lasciarmi colpire. Siete veloce, ma io lo sono quanto voi, e ho braccia più lunghe. Sapevo che avete doti super, mentre voi non sapevate che le ho anch’io. Quindi ero in vantaggio.

Ero seduta nella posizione del loto, e lo guardavo, quando lui uscì in questo sorprendente annuncio. Mi girò la testa e mi chiesi se avrei vomitato un’altra volta. — Pete — chiesi, quasi implorante — tu non mi mentiresti?

— Ho dovuto mentire tutta la vita — rispose lui. — Come voi. Comunque… — S’interruppe, contorse i polsi; si liberò. Lo sapete che forza occorre per spezzare nodi fatti con le maniche di una buona camicia? Sono più robuste di una corda di canapa dello stesso spessore. Provateci.

— Non mi importa rovinare la camicia — disse lui, in tono di conversazione. — Basterà il maglione a coprirmi. Però preferirei non rovinare i calzoni. Spero di poterli indossare in pubblico prima di essermene procurato un altro paio. Per voi è più facile arrivare ai nodi. Volete slegarmi, signorina Friday?

— Smettila di chiamarmi signorina Friday, Pete. Siamo solo due Pa nella stessa barca. — Cominciai a lavorare sui nodi.

— Perché non me lo hai detto prima?

— Avrei dovuto dirvelo. È successo dell’altro.

— Fatto. Dio, che piedi freddi! Adesso te li sfrego. Faccio ripartire la circolazione.


Dormimmo un po’, o almeno dormii io. Pete mi scrollava la spalla e diceva piano: — Svegliati. Dobbiamo essere quasi arrivati. Si sono accese le luci.

Un bagliore fioco penetrava sopra, sotto e attraverso il telone che copriva il dinosauro che ci era servito da letto. Sbadigliai. — Ho freddo.

— Lamentati. Ti ho tenuta abbracciata stretta. Il mio corpo era esposto all’aperto. Sto gelando.

— Hai quello che ti meriti. Stupratore. Sei troppo magro. Come coperta non vali due soldi. Pete, dobbiamo farti ingrassare. A proposito, non abbiamo fatto colazione. E se penso al cibo… Credo che vomiterò.

— Uh… Scavalcami e cerca di scaricarti lì nell’angolo. Non qui, se no ci finiamo dentro. E fai il meno rumore possibile. Qui attorno potrebbe già esserci qualcuno.

— Bruto. Bruto senza cuore. Mi fai talmente schifo che non vomiterò.

Nell’insieme, mi sentivo abbastanza bene. Avevo preso una delle pastigliette blu appena prima di lasciare la cabina Bb, e pareva che funzionasse. Avevo una farfalla o due nello stomaco, ma non dovevano essere troppo muscolose; non erano di quelle che urlano: "Fammi uscire!" E avevo con me il resto della scorta che il dottor Jerry mi aveva dato. — Pete, qual è il piano?

— Lo chiedi a me? Questa evasione l’hai preparata tu, non io.

— Sì, però tu sei un uomo, grosso e forte e virile, e russi. Pensavo che prendessi tu il comando e studiassi i particolari mentre io dormivo. Mi sono sbagliata?

— Be’… Friday, qual è il tuo piano? Il piano che hai preparato quando non ti aspettavi di avere anche me al seguito.

— Non era un grande piano. Dopo che atterriamo, dovranno aprire una porta, un portello per i passeggeri o una delle grosse porte per le merci. Una o l’altra non fa differenza, perché appena aprono io scappo fuori di qui come un gatto spaventato, pronta a calpestare tutto quello e tutti quelli che mi sbarrano la strada… e non mi fermo finché non sono molto lontana dalla nave. Non voglio fare del male a nessuno, ma spero che nessuno si sforzi di fermarmi, perché non mi lascerò fermare.

— Un buon piano.

— Dici? In effetti non è un piano. Solo una decisione. Si apre una porta e io balzo fuori.

— È un buon piano perché non ha parti complicate che possano andare storte. E tu avrai un grosso vantaggio. Non oseranno farti niente.

— Vorrei poterne essere sicura.

— Se ti succede qualcosa, sarà per un incidente, e il responsabile verrà appeso per i pollici. Come minimo. Adesso che ho sentito il resto della tua storia, so perché mi hanno dato istruzioni così enfatiche. Friday, non ti vogliono viva o morta; ti vogliono in perfetta salute. Ti lasceranno scappare prima di farti qualcosa.

— Allora sarà facile.

— Non contarci troppo. Okay, sei una tigre, però è già stato dimostrato che un numero sufficiente di uomini può placcarti e tenerti ferma. Lo sappiamo tutti e due. Se sanno che sei scomparsa… E penso che lo sappiano. La scialuppa ha lasciato l’orbita con oltre un’ora di ritardo.

— Oh! — Gettai un’occhiata all’indice. — Sì, ormai dovremmo essere a terra. Pete, mi stanno cercando!

— Credo di sì. Ma era inutile svegliarti prima che si accendessero le luci. A questo punto hanno avuto quattro ore per accertarsi che non sei sul ponte superiore, con gli escursionisti di prima classe. Avranno controllato anche gli emigranti. Quindi, se sei qui, se non te ne stai nascosta sulla nave, devi essere nella stiva. Guarda che sto semplificando, perché in uno spazio enorme come questa scialuppa ci sono centinaia di modi per giocare a nascondino. Ma terranno d’occhio i due passaggi obbligati, la porta per le merci a questo livello e il portello passeggeri qui sopra. Friday, se usano gente a sufficienza, e la useranno, e se quei bastardi hanno reti e cavi e corde moschicide, e le avranno, ti prenderanno senza torcerti un capello appena scendi dalla scialuppa.

— Oh. — Ci pensai su. — Pete, se arriviamo a questo ci saranno morti e feriti. Potrei crepare io stessa, ma pagheranno un prezzo elevato per la mia carcassa. Grazie di avermi avvertita.

— Potrebbero anche non farlo. Potrebbero sorvegliare le uscite in modo molto evidente, per costringerti a restare qui. Quindi gli emigranti scendono… Lo sai che escono dalla porta per le merci, no?

— Non lo sapevo.

— Be’, è così. Quelli scendono, vengono controllati, dopo di che i porci chiudono la grande porta e riempiono la stiva di gas soporifero. Oppure di gas lacrimogeno, e ti costringono a uscire con gli occhi gonfi e la testa sottosopra.

— Brr! Pete, su questa nave, sono davvero attrezzati con quei gas? Me lo sono chiesto.

— Hanno anche di peggio. Senti, il comandante della nave lavora ad anni luce di distanza dalla legge e dall’ordine, e in caso di emergenza può contare solo su una manciata di uomini. In quarta classe, quasi a ogni viaggio, questa nave trasporta una gang di criminali disposti a tutto. È logico che esistano le attrezzature per riempire di gas ogni scompartimento a piacere. Però, Friday, tu non sarai qui quando useranno i gas.

— Eh? Vai avanti.

— Gli emigranti passano nel corridoio centrale della stiva. Questa volta ce ne sono quasi trecento. Nella loro zona saranno più stretti di sardine in scatola. Sono talmente tanti che presumo non siano riusciti a conoscersi tutti quanti fra loro, nel poco tempo che hanno avuto. Sfrutteremo questo vantaggio. Più un vecchio, vecchissimo metodo, Friday. Quello che Ulisse ha usato con Polifemo…


Pete e io ce ne stavamo acquattati in un angolo quasi buio, fra la parte più alta del generatore e qualcosa chiuso in una grossa cassa. Le luci cambiarono, e udimmo il mormorio di molte voci. — Arrivano — sussurrò Pete. — Ricorda, scegli qualcuno che sia impacciato da troppa roba. Ce ne saranno parecchi. I nostri vestiti vanno bene. Non sembriamo di prima classe. Però dobbiamo avere qualcosa in mano. Gli emigranti sono sempre carichi. Mi è stato assicurato.

— Cercherò di prendere il figlio a qualche donna — dissi io.

— Perfetto, se ce la fai. Zitta, eccoli qui.

Erano davvero carichi di roba, per colpa di quella che mi sembra una politica pidocchiosa delle compagnie di linea. Un emigrante può portare con sé tutto quello che riesce a infilare nei ripostigli per scope che in terza classe chiamano cabine, purché riesca a portarlo giù dalla nave senza essere aiutato da qualcuno; è questa la definizione di "bagaglio a mano". Ma se deve mettere qualcosa nella stiva, paga la tariffa merci. So che la compagnia deve avere il suo guadagno, ma non è detto che politiche del genere debbano piacermi. In ogni caso, quel giorno avremmo cercato di volgere a nostro vantaggio la pidocchieria.

Quando ci passarono davanti, quasi nessuno guardò dalla nostra parte, e i pochi non dimostrarono alcun interesse. Apparivano stanchi e preoccupati, e probabilmente lo erano. C’erano un sacco di bambini, e quasi tutti piangevano. Le prime venti o trenta persone della colonna ci superarono in fretta. Poi la fila rallentò (più bambini, più bagagli) e i ranghi si serrarono. Era arrivata l’ora di fingere di essere una delle "pecore".

Poi, di colpo, in quel caos di odori umani, di sudore e sporcizia e preoccupazioni e paura e muschio e pannolini bagnati, un odore si stagliò chiaro come il tema del Galletto d’Oro nell’Inno al sole di Rimsky-Korsakov, o come un leitmotif wagneriano nel Ciclo dell’Anello; e io strillai: — Janet!

Una donna pesante, sul lato opposto della fila, si girò a guardarmi, e lasciò cadere due valigie e mi strinse. — Marjie! — E un uomo con la barba stava dicendo: — Ve lo avevo detto che era a bordo! Ve lo avevo detto! — E Ian accusava: — Sei morta! — e io staccai la bocca da quella di Janet il tempo sufficiente per dire: — No, non sono morta. Il secondo pilota Pamela Heresford ti invia i suoi più calorosi saluti.

Janet disse: — Quella puttana! — Ian disse: — Su, Jan — e Betty mi scrutò con cura e disse: — È lei. Ciao, amore! Che bella sorpresa! Parola mia! — e in sottofondo Georges balbettava frasi incoerenti in francese e intanto cercava di staccarmi da Janet.

Ovviamente avevamo interrotto l’avanzata della coda. Altre persone, cariche di roba, lamentandosi, ci superarono, ci attraversarono, ci aggirarono. — Rimettiamoci in marcia. Parleremo dopo. — Mi voltai a guardare nel punto dove ci eravamo acquattati Pete e io, e lui era svanito. Non mi diedi altre preoccupazioni: Pete è in gamba.

Janet non era realmente pesante o corpulenta; era soltanto incinta di parecchi mesi. Cercai di prenderle una valigia; non me lo permise. — È meglio portarne due. Si equilibra il peso.

Così finii col reggere una cesta da viaggio per gatti che conteneva mamma gatta. E un grosso pacco avvolto in carta marrone che Ian teneva sotto il braccio. — Janet, cosa ne hai fatto dei micini?

— Grazie alla mia influenza — rispose per lei Freddie — hanno ottenuto un’eccellente posizione, con buone possibilità di carriera, come addetti al controllo dei roditori in un grosso allevamento ovino del Queensland. E ora, Helen, ti prego di informarmi come sia accaduto che tu, tu che solo ieri sei stata vista seduta alla destra del signore e padrone di un enorme incrociatore di linea, oggi ti ritrovi unita ai bifolchi nelle viscere di questa fogna.

— Più tardi, Freddie. Quando saremo usciti.

Lui lanciò un’occhiata alla porta. — Ah, sì! Più tardi, con libagioni fra amici e tanti racconti. Per adesso dobbiamo ancora superare Cerbero.

Due mastini, armati, erano al portello, uno su ciascun lato. Cominciai a recitare mentalmente mantra, mentre scambiavo discorsi idioti con Freddie. I due cani da guardia mi guardarono, e tutti e due parvero trovare il mio aspetto in perfetta regola. Forse mi diedero una mano la faccia sporca e i capelli arruffati che mi ero procurata nel corso della notte, perché sino ad allora non avevo mai lasciato la cabina Bb senza che Shizuko lavorasse come una matta per permettermi di vendermi al prezzo migliore.

Superammo il portello, scendemmo una rampa, e ci fecero mettere in fila davanti a un tavolo. Dietro erano seduti due impiegati con un quintale di carte. Uno urlò: — Frances, Frederick J.! Fatti avanti!

Qui! — rispose Federico, e mi girò attorno per presentarsi al tavolo. Una voce alle mie spalle gridò: — Eccola lì! — e io lasciai andare di colpo mamma gatta e balzai verso l’orizzonte.

Intuii vagamente un’attività frenetica dietro di me, ma non vi prestai attenzione. Volevo solo uscire il più in fretta possibile dal raggio di tiro di uno storditore o di un lanciacordamoschicida o da un mortaio per lacrimogeni. Non avrei mai potuto distanziare una pistola-radar o un fucile normale, ma di quelli non dovevo preoccuparmi, se Pete aveva ragione. Continuai semplicemente a mettere un piede davanti all’altro. Alla mia destra c’era un villaggio, e avanti diritto degli alberi. Per il momento gli alberi mi parevano una scelta migliore. Continuai a correre.

Un’occhiata alle spalle mi disse che il grosso del branco era rimasto indietro. Normale; posso fare mille metri in due minuti secchi. Però due tizi mi tallonavano e forse stavano guadagnando terreno. Così rallentai, con l’intenzione di prenderli per la testa e farli esibire in una bella capocciata, o qualcosa del genere.

— Non fermarti! — rantolò Pete. — Noi dovremmo inseguirti.

Non mi fermai. L’altro tipo con le gambe veloci era Shizuko. La mia amica Tilly.

Dopo essermi addentrata fra gli alberi, fuori portata visiva dalla nave, mi fermai a vomitare. Mi raggiunsero. Tilly mi tenne ferma la testa, poi mi pulì la bocca e cercò di baciarmi. Io girai la faccia. — No. Devo avere un sapore orribile. Sei scesi dalla nave vestita a quel modo? — Indossava un body da ginnastica che la faceva apparire più alta, più snella, più occidentale e molto più femminile di quanto fosse mai stata la mia "cameriera personale".

— No. Kimono e obi. Li ho lasciati da qualche parte. Impossibile correre con quella roba addosso.

Pete intervenne, irritato. — Basta con le chiacchiere. Dobbiamo portarti via da qui. — Mi afferrò per i capelli, mi baciò.

— Chi se ne frega del sapore che hai? Muoviamoci!

Ci muovemmo, restando fra gli alberi e allontanandoci sempre più dalla nave. Però molto presto, fu chiaro che Tilly aveva una caviglia slogata e che la situazione peggiorava a ogni passo. Pete mugugnò di nuovo. — Quando tu sei partita a razzo, Til era solo a metà della scaletta del ponte di prima classe. È saltata giù e ha atterrato male.

— Sono quei maledetti sandali giapponesi. Non sostengono. Pete, prendi la piccola e scappa. A me non faranno niente.

— Un accidenti — ribatté secco Pete. — Ci siamo in mezzo tutti e tre, fino alla fine. Giusto, signo… Giusto, Friday?

— Perbacco, sì! Uno per tutti, tutti per uno. Prendila sulla destra, Pete. Io la prendo a sinistra.

Nella corsa a cinque gambe ce la cavammo abbastanza bene, senza battere record di velocità ma continuando a mettere sterpaglie fra noi e gli inseguitori. Un po’ più tardi, Pete disse che voleva caricarsela sulla schiena. Io diedi l’ordine di fermarci. — Ascoltiamo.

Nessun rumore d’inseguimento. Soltanto i suoni strani di una foresta strana. Richiami d’uccelli? Non ne ero certa. Il posto era un curioso insieme di noto e bizzarro: erba che non era esattamente erba, alberi che sembravano rimasti lì da un’altra era geologica, clorofilla abbondantemente striata di rosso; o magari era autunno? Come sarebbe stata la notte?

Considerati i tempi della nave, non mi pareva una buona idea andare in cerca di gente nei tre giorni successivi. Per settantadue ore potevamo resistere senza cibo o acqua; ma se di notte lì gelava?

— Va bene — dissi. — A cavalcioni. Però facciamo a turno.

— Friday! Non puoi portarmi.

— Stanotte ho portato Pete. Diglielo, Pete. Credi che non me la sappia cavare con una bambolina giapponese come te.

— Bambolina giapponese un corno. Sono americana quanto te.

— Anche di più, probabilmente. Perché io non lo sono molto. Ti spiegherò dopo. Salta su.

La trasportai per una cinquantina di metri, poi Pete la trasportò per altri duecento circa, e così via; quella era l’idea di Pete, di fare a metà.

Dopo un’ora di questa trafila arrivammo a una strada: solo un sentiero scavato fra gli arbusti, ma si vedevano tracce di ruote e zoccoli. Sulla sinistra la strada si allontanava dalla scialuppa e dalla città, per cui prendemmo a sinistra. Shizuko riusciva a camminare, ma si appoggiava pesantemente a Pete.


Arrivammo a una fattoria. Forse avremmo dovuto aggirarla, ma a quel punto desideravo un bicchiere d’acqua più della sicurezza assoluta, e volevo fasciare la caviglia a Tilly prima che le diventasse più grande della testa.

Sulla veranda, su una sedia a dondolo, era seduta una donna anziana, coi capelli grigi, molto in ordine e compassata. Faceva la maglia. Al nostro arrivo alzò la testa, ci fece cenno di avvicinarci alla casa. — Sono la signora Dundas — disse. — Siete scesi dalla nave?

— Sì — ammisi. — Io sono Friday Jones e questa è Matilda Jackson e questo è il nostro amico Pete.

— Pete Roberts, signora.

— Venite a sedervi, tutti quanti. Mi scuserete se non mi alzo. La mia schiena non è più quella di una volta. Siete scappati, vero? Dalla nave?

(Incassa il colpo. Ma stai pronta a schivare.) — Sì. È vero.

— Logico. La metà di quelli che scappano finiscono qui da noi. Be’, stando a quello che ha detto la radio stamattina dovrete nascondervi almeno tre giorni. Siete i benvenuti, e a noi gli ospiti fanno piacere.

Naturalmente potete filare diritti agli alloggi per profughi; lì le autorità della nave non possono toccarvi.

Però possono rendervi difficile la vita con le loro interminabili discussioni legali. Potrete decidere dopo pranzo. Per adesso vi va una bella tazza di tè?

— Sì! — accettai.

— Bene, Malcolm! Ehi, Malcolm!

— Cosa c’è, mamma?

— Metti il pentolino sul fuoco!

— Come?

— Il pentolino. — Rivolta a Tilly, la signora Dundas aggiunse: — Bambina, cosa ti sei fatta al piede?

— Credo di essermi slogata la caviglia, signora.

— Puoi scommetterci! Tu… Friday, giusto? Vai a cercare Malcolm e digli che voglio il catino più grosso pieno di ghiaccio tritato. Poi, se vuoi, puoi preparare tu il tè intanto che Malcolm trita il ghiaccio.

— E tu, signor Roberts, puoi aiutarmi a uscire da questa sedia? Ci sarà bisogno di altre cose per il piede di questa povera bambina. Bisognerà fasciarlo dopo che lo avremo sgonfiato. E tu, Matilda, sei allergica all’aspirina?

— No, sinora.

— Mamma! L’acqua bolle!

— Vai tu, Friday, cara.

Andai a preparare il tè, col cuore che intonava una canzone.

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