Avevo ragione.
Non voglio rubare Georges a Janet… Però aspetto con ansia, nuovi, allegri incontri, e se mai un giorno lui dovesse decidere di annullare la mia sterilità, partorire come una gatta potrebbe starmi bene, se si tratterà di fare un figlio per Georges. Non capisco perché Janet non si sia ancora decisa.
La terza o la quarta volta venni risvegliata da un profumo delizioso. Georges stava scaricando piatti dal carrello portavivande. — Hai ventuno secondi per entrare e uscire dal bagno — disse. — La pappa è pronta. Hai avuto una colazione regolare nel cuore della notte, per cui adesso avrai un pranzo del tutto irregolare.
Immagino sia irregolare mangiare granchi freschi a colazione, ma è un’irregolarità che mi piace. Vennero preceduti da fette di banane e fiocchi di granturco alla panna, cose che mi sembrano perfettamente adatte a una colazione, e accompagnati da fette di pane biscottato e insalata mista. Io chiusi con caffè di cicoria corretto con un bicchierino di brandy di champagne. Georges è un adorabile libertino e un ghiottone patentato e uno chef di prim’ordine e un dolce medico dell’anima; riesce a far credere a una persona artificiale di essere umana, o per lo meno le dà l’impressione che le sue origini non contino.
Domanda: come mai tutti e tre i membri della famiglia sono così magri? Ho la certezza che non si dedichino né a diete né a ginnastiche masochiste. Una volta un medico mi ha detto che chiunque può fare a letto tutta la ginnastica che gli serve. Sarà per questo?
Quelle più sopra sono le buone notizie. In quanto alle cattive…
Il Corridoio Internazionale era chiuso. Era possibile raggiungere Deseret cambiando a Portland, ma nulla garantiva che la sotterranea Slc-Omaha-Gary funzionasse. L’unica rotta internazionale lungo cui le capsule continuavano a viaggiare regolarmente era la San Diego-Dallas-Vicksburg-Atlanta. San Diego non era un problema, visto che la sotterranea per San José era in funzione da Bellingham a La Jolla. Però Vicksburg non è l’Impero di Chicago; è solo un porto fluviale da cui, avendo soldi e tenacia, si può raggiungere l’Impero.
Cercai di chiamare Boss. Dopo quaranta minuti, provavo per le voci sintetiche quello che gli umani provano per i miei simili. Chi ha avuto l’idea di programmare la "cortesia" nei computer? Sentire una macchina che ti dice: "Grazie per la vostra comprensione" può farti piacere per la prima volta, ma alla terza ti torna in mente che è solo una voce sintetica, e quaranta minuti di questa zuppa senza mai udire una voce vera possono mettere a dura prova la pazienza di un guru.
Non costrinsi mai quel terminale ad ammettere che era impossibile il collegamento telefonico con l’Impero. Quel ritardato di disastro digitale non era programmato per dire di no; era programmato per essere cortese. Sarebbe stato un sollievo se, dopo un certo numero di tentativi inutili, lo avessero programmato a dire: "Piantala, sorella. Sei fregata."
Poi tentai di chiamare l’ufficio postale di Bellingham per informarmi sul servizio postale per l’Impero: parole in carne e ossa scritte su carta, alle tariffe di un pacco, non un facsimile o un postagramma o altra roba elettronica.
Ricevetti un allegro sermone sulla necessità di spedire per tempo gli auguri di Natale. Considerato che mancava metà anno a Natale, la cosa mi parve men che urgente.
Ritentai. Mi fecero la predica sui codici di avviamento postale.
Tentai una terza volta, e ottenni il servizio clienti di Macy e una voce: — Tutti i nostri cortesi impiegati al momento sono occupati e grazie per la vostra comprensione.
Io non compresi niente.
Comunque non volevo telefonare o spedire una lettera; volevo fare rapporto a Boss di persona. Quindi mi occorrevano soldi. Quel terminale oltraggiosamente cortese ammise che l’ufficio locale della MasterCard si trovava nella sede centrale di Bellingham della TransAmerica Corporation. Così battei sulla tastiera e una voce dolce (registrata, non sintetica) mi disse: — Grazie per aver chiamato la MasterCard. Nell’interesse dell’efficienza e per il massimo risparmio dei nostri milioni di soddisfatti clienti, tutti i nostri uffici della Confederazione Californiana fanno oggi capo alla sede centrale di San José. Per un servizio rapido vi preghiamo di usare il segnale a chiamata gratuita sul dorso della vostra tessera MasterCard. — La voce dolce lasciò il posto alle prime note di Trees. Le feci smettere subito.
La mia MasterCard, emessa a Saint Louis, non aveva il segnale a chiamata gratuita per San José, ma solo il segnale per la Banca Imperiale di Saint Louis. Così, senza troppe speranze, provai quel numero.
Mi rispose Dite-Una-Preghiera-Con-Noi.
Mentre un computer mi insegnava l’umiltà, Georges leggeva l’edizione Olympic del Los Angeles Times e aspettava che la smettessi di gingillarmi. La smisi e gli chiesi: — Georges, cosa dice il giornale dell’emergenza?
— Quale emergenza?
— Eh? Prego?
— Friday, amore mio, l’unica emergenza di cui parli questo giornale è il monito del Sierra Club sul pericolo che corre la specie in via d’estinzione Rhus diversiloba. Poi c’è in programma un picchettaggio contro la Dow Chemical. A parte questo, tutto tranquillo sul fronte occidentale.
Aggrottai la fronte per stimolare la memoria. — Georges, non so molto della politica californiana…
— Tesoro, nessuno sa molto della politica californiana, compresi gli uomini politici californiani.
— …Però mi sembra di ricordare la notizia di almeno una dozzina di omicidi eccellenti nella Confederazione. Era solo un imbroglio? — Ripensai al tempo trascorso, ai fusi orari: quante ore prima? Trentacinque, trentasei?
— Ho trovato i necrologi di diverse signore e signori di primo piano di cui si è parlato nel penultimo notiziario, ma non risultano assassinati. Uno è "vittima accidentale di una sparatoria". Un altro è morto "dopo lunga malattia". Un altro ancora è scomparso per un "inspiegabile incidente" a un Vma privato, e il procuratore generale della Confederazione ha ordinato un’inchiesta. Se non sbaglio, però, anche il procuratore generale è finito morto ammazzato.
— Georges, cosa sta succedendo?
— Friday, non lo so. Comunque suggerisco che indagare troppo da vicino potrebbe essere pericoloso.
— Non indagherò. La politica non mi ha mai interessato e non m’interesserà mai. Mi trasferirò nell’Impero appena possibile. Però per farlo mi occorrono soldi, perché il confine è chiuso, qualunque cosa ne dica il L.A. Times. Odio l’idea di dissanguare Janet sfruttando la sua carta Visa. Potrei usare la mia, ma per concludere qualcosa devo andare a San José. Qui fanno difficoltà. Vuoi venire a San José con me? O tornare da Jan e Ian?
— Dolce signora, tutti i miei beni terreni sono ai tuoi piedi. Ma mostrami la via per San José. Perché ti dà tanto fastidio portarmi nell’Impero? Non è possibile che il tuo principale possa servirsi dei miei talenti? Al momento non posso tornare a Manitoba per ragioni che conosciamo tutti e due.
— Georges, non è che mi dia fastidio portarti con me, ma il confine è chiuso… Il che potrebbe costringermi a trasformarmi in Dracula e spiccare il volo da una fessura. O qualcosa di irragionevolmente simile. Io sono addestrata a queste cose, però ci riesco bene da sola. Tu sei del mestiere, lo puoi capire. Per di più, anche se non sappiamo come stiano le cose all’interno dell’Impero, dai notiziari si capisce che la situazione è brutta. Una volta dentro l’Impero, forse sarò costretta a correre come una matta semplicemente per salvare la pelle. E sono addestrata anche a questo.
— E hai doti super che io non ho. Sì, capisco.
— Georges! Tesoro, non voglio ferire i tuoi sentimenti. Senti, appena mi sarò presentata al boss ti chiamerò. Qui, a casa tua, o dove vuoi. Se a quel punto potrai attraversare il confine senza problemi, lo saprò. — (Georges che chiede un lavoro a Boss? Impossibile! Oppure no? Forse a Boss poteva servire un ingegnere genetico con una grossa esperienza. A essere sincera, non avevo idea delle necessità di Boss, a parte il limitato settore in cui lavoravo io.) — Dicevi sul serio? Vuoi chiedere un lavoro al mio boss? Cosa devo riferirgli?
Georges uscì in quel suo dolce mezzo sorriso che usa per coprire i suoi pensieri, come io uso l’espressione della foto sul passaporto. — Come faccio a saperlo? Del tuo principale so solo che sei riluttante a parlarne e che si può permettere di usare come messaggero un individuo del tuo calibro. Però, Friday, forse io mi rendo conto anche meglio di te di quale investimento di capitali abbiano richiesto la tua progettazione, la tua realizzazione e il tuo addestramento, e quindi quale prezzo debba aver sborsato il tuo principale per affrancarti…
— Non mi ha affrancata. Io sono una Persona Libera.
— Allora gli sei costata ancora di più. Il che mi porta a congetture… Lasciamo perdere. La smetterò con le ipotesi. Se dico sul serio? Le prospettive che tu mi apri solleticherebbero chiunque. Ti darò il mio curriculum vitae. Se dovesse contenere qualcosa che interessi il tuo principale, sono certo che me lo farebbe sapere. E adesso veniamo ai soldi. Non devi preoccuparti di dissanguare Janet. Per lei il denaro non significa niente. Però io sono prontissimo a farti avere tutti i soldi che ti occorrono servendoti del mio credito, e ho già stabilito che qui le mie carte di credito vengono onorate. A prescindere da problemi politici. Ho usato la Crédit Québec per pagare la colazione di mezzanotte, ho preso la camera con l’American Express, poi sono passato alla Maple Leaf per il pranzo. Quindi ho tre carte di credito valide e tutte e tre in perfetto accordo con i miei documenti. — Mi sorrise. — Dissanguami pure, cara ragazza.
— Ma non voglio dissanguare te più di quanto voglia dissanguare Janet. Senti, possiamo provare la mia carta a San José. Se non funziona, sarò lieta di derubarti, e potrò restituirti il denaro appena arrivo a casa. — (O forse Georges sarebbe stato disposto a un imbroglio per me con la carta di credito del tenente Dickey? Per una donna è maledettamente difficile ottenere soldi con la carta di credito di un uomo. Pagare qualcosa infilando una tessera in una fessura è un conto; usare la stessa tessera per ottenere contanti è tutto un altro paio di maniche.)
— Perché parli di ripagarmi? Se ti sono debitore per l’eternità?
Scelsi di fare la tonta. — Credi davvero di dovermi qualcosa? Solo per stanotte?
— Sì. Sei stata sufficiente.
Boccheggiai. — Oh!
Lui rispose, senza sorridere: — Avresti preferito che ti definissi insufficiente?
Mi fermai prima di boccheggiare un’altra volta. — Georges. Spogliati. Adesso ti riporto a letto, poi ti uccido lentamente. Alla fine ti riduco a brandelli, ti spezzo la schiena in tre parti. Sufficiente, insufficiente…
Lui sorrise e cominciò a svestirsi.
Io dissi: — Oh, piantala e baciami. Poi andremo a San José. "Insufficiente". Come sono stata?
Il viaggio da Bellingham a San José richiede più o meno lo stesso tempo di quello da Winnipeg a Vancouver, però questa volta eravamo seduti. Emergemmo dal sottosuolo alle quattordici e quindici. Mi guardai attorno con un certo interesse: non avevo mai visitato la capitale della Confederazione.
La prima cosa che notai fu il numero incredibile di Vma che saltellavano in giro come pulci, quasi tutti taxi. Non conosco un’altra città moderna che permetta un inquinamento simile della propria aria.
Le strade erano affollate anche di carrozze e c’erano marciapiedi mobili ai lati di ogni via; comunque, quelle locuste a motore erano dappertutto, come le biciclette a Canton.
La seconda cosa che notai fu la sensazione che emanava da San José. Non era una città. In quel momento capii una descrizione classica: "Mille villaggi in cerca di una città".
San José sembra non avere alcuna giustificazione, a parte la politica. La California, comunque, trae dalla politica più succhi di ogni altro paese a me noto; è una democrazia completamente spudorata e disinibita. La democrazia si trova in molti posti; la Nuova Zelanda, per esempio, la usa in forma attenuata.
Ma solo in California troverete il tipo puro, genuino, naturale al cento per cento e non diluito di democrazia. L’età del voto parte da quando un cittadino è abbastanza alto per tirare l’acqua senza farsi tenere fermo dalla nurse, e gli impiegati sono molto riluttanti a togliere un nome dall’anagrafe elettorale, a meno che non gli si sbatta sotto il naso un certificato di cremazione.
Capii a fondo la portata della cosa quando lessi, in un articolo sulle elezioni, che i defunti del Prehoda Pines Patience Park costituivano tre distretti elettorali e votavano regolarmente tramite deleghe firmate prima del decesso. (Morte, non t’inorgoglire!)
Non cercherò di dare giudizi; ero già una donna adulta prima di incontrare la democrazia nelle sue forme più miti, meno maligne.
È probabile che la democrazia sia un bene, usata a piccole dosi. Il Canada Britannico se ne serve in forma diluita, e se la cava benissimo. Ma solo in California tutti sono ubriachi di democrazia in qualunque momento.
Non passa giorno senza che in California ci sia un’elezione da qualche parte, e per ogni distretto esiste (così mi hanno detto) un’elezione di qualche tipo circa una volta al mese.
Se lo potranno permettere. Hanno un clima mite dal Canada Britannico al Regno Messicano, e buona parte dei terreni più ricchi dell’intero pianeta. Il loro secondo sport preferito, il sesso, costa quasi nulla allo stato grezzo; come la marijuana, è disponibile gratis ovunque. Il che lascia tempo ed energie per il vero sport californiano: radunarsi e straparlare di politica.
Eleggono tutti dal parassita di distretto al Capo Confederazione ("il Capo"). Ma poi li diseleggono quasi altrettanto in fretta. Per esempio, il Capo dovrebbe avere un mandato di sei anni. Degli ultimi nove capi, però, solo due sono rimasti in carica per sei anni; gli altri sono stati deposti, a parte quello che è stato linciato. In molti casi, l’eletto non ha ancora prestato giuramento quando comincia a circolare la prima petizione per deporlo.
Però i californiani non si limitano a eleggere, deporre, mettere in stato d’accusa e (a volte) linciare i loro sciami di funzionari pubblici; no, legiferano in prima persona. A ogni elezione sono in lizza più proposte di legge che candidati.
I rappresentanti provinciali e nazionali dimostrano una certa decenza: mi è stato assicurato che il tipico legislatore californiano ritirerà la sua proposta di legge se gli verrà dimostrato che pi greco non può essere uguale a tre, a prescindere dal numero di persone che voteranno in senso opposto.
Ma la legislazione ruspante ("l’iniziativa privata") non soffre di queste limitazioni.
Per esempio, tre anni fa un economista ruspante si accorse che i laureati guadagnavano, mediamente, il 30 per cento in più dei loro connazionali privi di laurea. Una situazione così poco democratica è anatema per il Sogno Californiano; quindi, con la massima velocità, alle elezioni successive venne preparata una proposta di legge, che fu approvata, e in base a questa legge, a tutti i californiani diplomati e/o a tutti i californiani che abbiano compiuto il diciottesimo anno viene automaticamente conferita la laurea.
Una clausola tesa a favorire i più anziani conferisce al beneficio un effetto retroattivo di otto anni.
La misura funzionò in modo meraviglioso; i veri laureati non godevano più di vantaggi antidemocratici.
Alle elezioni seguenti, la clausola sulla retroattività venne estesa fino a coprire gli ultimi vent’anni, e c’è un forte movimento d’opinione che preme per conferire la laurea a tutti i cittadini indiscriminatamente.
Vox populi, vox Dei. Io non ci vedo niente di male. Questa simpatica misura non costa nulla e rende tutti (a parte poche teste dure) più contenti.
Alle quindici circa Georges e io procedevamo lungo il lato sud di National Plaza, di fronte al palazzo del Capo, diretti alla sede centrale della MasterCard. Georges mi stava dicendo che non vedeva nulla di sbagliato nel fatto che avessi insistito per fermarci a un Burger King per uno spuntino; che anzi, a suo giudizio, l’hamburger gigante, preparato a dovere col miglior surrogato di manzo e con un malto al cioccolato che contenesse solo una dose minima di gesso, costituiva l’unico vero contributo della California all’alta cucina internazionale.
Io convenivo con lui, fra ruttini aggraziati. Un gruppo di uomini e donne, fra i dodici e i venti individui, saliva e scendeva la scalinata di fronte al palazzo del Capo, e Georges aveva cominciato a zigzagare per schivarli, quando io notai il copricapo di piume d’aquila dell’ometto al centro del gruppo, scoprii sotto i capelli una faccia abbondantemente fotografata, e bloccai Georges con una mano.
E intravvidi qualcosa con la coda dell’occhio: una figura che emergeva da dietro una colonna in cima alle scale.
I miei riflessi scattarono. Sbattei giù sui gradini il Capo, facendo crollare anche un paio di uomini del suo staff, poi balzai alla colonna.
Non uccisi l’uomo che si nascondeva lì dietro; mi limitai a rompergli il braccio con cui reggeva la pistola, poi gli tirai un calcio piuttosto robusto quando tentò di scappare. Non avevo più la fretta del giorno prima.
Dopo aver ridotto la portata del bersaglio costituito dal Capo (credetemi, non dovrebbe portare un copricapo così appariscente), mi era restato il tempo di capire che prendere vivo l’assassino significava poter risalire, forse, alla gang che stava dietro tutti quegli omicidi insensati.
Ma non ebbi il tempo di capire che altro avevo fatto finché due poliziotti della capitale non mi afferrarono per le braccia.
A quel punto me ne resi conto, e mi sentii uno straccio: chissà lo scherno nella voce di Boss, se avessi ammesso che mi ero lasciata arrestare in pubblico.
Per una frazione di secondo, presi in considerazione l’idea di liberarmi e svanire all’orizzonte; non sarebbe stato impossibile, dato che uno dei due poliziotti soffriva chiaramente di pressione alta, e l’altro era un tipo anziano con gli occhiali.
Troppo tardi. Se fossi scappata entrando in overdrive totale, quasi certamente ce l’avrei fatta, e in un minuto o due sarei sparita tra la folla.
Ma quei mentecatti potevano arrostire mezza dozzina di passanti, nel tentativo di fermarmi. Indegno di un professionista! Perché le guardie di palazzo non avevano protetto il loro capo, anziché costringere me a farlo? Un uomo in agguato dietro una colonna, Cristo santo! Niente del genere era più successo dai tempi dell’omicidio di Huey Long.
Perché non mi ero fatta gli affari miei? Perché non avevo lasciato che il killer friggesse il Capo e il suo stupido berretto di piume? Perché sono stata addestrata alla lotta difensiva, ecco perché, e di conseguenza combatto per riflesso. Combattere non mi piace, non mi interessa; succede e basta.
Non ebbi il tempo di meditare sulla necessità di farmi gli affari miei, perché Georges si stava facendo i miei. Georges parla un inglese privo di accento, anche se un po’ incerto; adesso borbottava frasi incoerenti in francese e cercava di togliermi di dosso i due pretoriani.
Quello con gli occhiali mi lasciò andare il braccio sinistro per occuparsi di Georges, così io gli infilai il gomito appena sotto lo sterno. Lui si afflosciò e cadde a terra. L’altro continuava a tenermi il braccio destro, per cui lo colpii nello stesso punto con le prime tre dita della mano sinistra, dopo di che anche quello si afflosciò e cadde riverso sul suo collega, e vomitarono tutti e due.
Tutto questo accadde molto più in fretta di quanto ci voglia a raccontarlo: i porci mi presero, Georges intervenne, e io mi ritrovai libera. Due secondi? In ogni caso, l’assassino era svanito, e con lui la sua pistola.
Stavo per svanire anch’io con Georges, a costo di doverlo portare a braccia, quando mi resi conto che Georges aveva già deciso per me. Mi teneva per il gomito destro e mi spingeva verso l’entrata principale del palazzo, dietro la fila di colonne. Quando fummo sulla rotonda, mi lasciò andare il gomito e disse sottovoce: — Cammina piano, tesoro. Lentamente, lentamente. Dammi il braccio.
Glielo diedi. La rotonda era piuttosto affollata, ma niente voci eccitate, niente che lasciasse sospettare che a pochi metri da lì qualcuno aveva appena tentato di assassinare il primo cittadino della nazione. I chioschi disseminati lungo la rotonda facevano affari, soprattutto quelli delle scommesse clandestine. Sulla nostra sinistra, una giovane donna vendeva biglietti della lotteria; o per meglio dire, era disponibile a venderli, perché non aveva clienti e in quel momento stava guardando sul suo terminale una telenovela.
Georges girò sui tacchi, si fermò davanti al chiosco. Senza alzare gli occhi, la donna disse: — Tra un attimo c’è l’intervallo pubblicitario. Arrivo subito. Prendete quello che volete. Fate come se foste a casa vostra.
Tutt’attorno al chiosco erano appesi festoni di biglietti della lotteria. Georges cominciò a studiarli, così finsi anch’io un profondo interesse. La tirammo in lungo. Poi iniziò la pubblicità, la donna abbassò il volume e ci guardò.
— Grazie per la vostra comprensione — disse, con un bel sorriso. — Non mi perdo mai Le sventure di una giovane, specialmente adesso che Mindy Lou è di nuovo incinta e zio Ben si comporta in modo così irragionevole. Tu segui la tivù, tesoro?
Ammisi che ne avevo il tempo di rado. Problemi di lavoro.
— Male. È molto educativa. Prendi Tim, quello che vive con me. Guarda solo lo sport. Non gliene frega niente delle cose più profonde della vita. Prendi questa crisi nella vita di Mindy Lou. Zio Ben la sta perseguitando perché lei non vuole dirgli chi è stato. Credi che a Tim gliene freghi? Nossignore, a Tim no! Quello che Tim e zio Ben non capiscono è che lei non può dirlo perché è successo negli uffici di un comitato elettorale. Di che segno sei?
Dovrei prepararmi una risposta per questa domanda. Gli umani lo fanno sempre. Ma quando non sei "nata" sotto nessun segno, tendi a sfuggire cose del genere. Scelsi una data a caso e gliela lanciai. — Sono nata il ventitré aprile. — È la data di nascita di Shakespeare; mi era venuta in mente da sola.
— Oh! Ho il biglietto che fa per te! — Frugò in mezzo a una fila di festoni, trovò un biglietto, mi mostrò un numero. — Vedi qui? E tu sei venuta qui per caso e io lo avevo! Oggi è la tua giornata! — Staccò il biglietto. — Sono venti orsi.
Le offrii un dollaro del Canada Britannico. Lei rispose: — Non ho il resto.
— Tieni il resto con i miei auguri.
Lei mi passò il biglietto, prese il dollaro. — Sei un amore, tesoro. Quando avrai ritirato la vincita, fai un salto qui e brindiamo assieme. Mister, hai trovato qualcosa che ti va?
— Non ancora. Io sono nato il nono giorno del nono mese del nono anno del nono decennio. Ce la fai?
— Wow wow! Che combinazione incredibile! Posso provarci… E se non ci riesco, non ti venderò niente. — Cominciò a scavare tra i mazzi e le pile di carta, canticchiando fra sé. Poi infilò la testa sotto il banco e ci restò un po’.
Quando riapparve, rossa in viso e trionfante, stringeva in mano un biglietto. — Ce l’ho! Guardalo, mister! Dagli un’occhiata rispettosa.
Guardammo: 8109999.
— Sono colpito — disse Georges.
— Colpito? Sei ricco. Ci sono i tuoi quattro nove. Somma gli altri numeri, e hai il quinto nove. Nove per cinque, quarantacinque. Aggiungi gli ultimi quattro nove, e hai ottantuno. Nove al quadrato. Dividi per nove e cosa ottieni? Nove! Sempre nove! Questo numero puoi girarlo come vuoi, ma salta sempre fuori il nove della tua data di nascita. Cosa vorresti, mister? Delle ballerine?
— Quanto ti devo?
— È un numero molto speciale. Tutti gli altri numeri esposti puoi averli per venti orsi, ma questo qui… Perché non continui a mettermi davanti dei soldi finché non sorrido?
— Mi sembra giusto. Se poi non sorridi quando secondo me dovresti sorridere, mi riprenderò i soldi e me ne andrò. No?
— Potrei richiamarti.
— No. Se non mi dai un prezzo fisso, non ti permetterò di mercanteggiare dopo che ti avrò fatto un’offerta equa.
— Sei un cliente difficile, amico. Ho…
Attorno a noi, su ogni lato, gli altoparlanti cominciarono di colpo a urlare: — Ave al Capo! — seguito da: — L’Orso d’Oro per sempre. — La donna dei biglietti strillò: -Aspettate! Smette subito! - una folla consistente entrò dall’ingresso, traversò in rettilineo la rotonda e imboccò il corridoio centrale. Nel mezzo di quel grumo umano intravvidi il copricapo a piume del Capo della Confederazione, ma questa volta era così ben circondato dai suoi parassiti che un assassino avrebbe avuto non poche difficoltà a colpirlo.
Quando fu di nuovo possibile udire, la donna del chiosco disse: — Per fortuna è durato poco. È uscito di qui meno di quindici minuti fa. Se doveva solo arrivare all’angolo per un pacchetto di spinelli, perché non ha mandato qualcuno invece di andare lui? È pessimo per gli affari, tutto quel casino. Be’, amico, hai deciso quanto vuoi pagare per diventare ricco?
— Ma sì. — Georges tirò fuori un biglietto da tre dollari, lo mise sul banco. Guardò la donna.
Restarono a fissarsi per una ventina di secondi, poi lei disse, cupa: — Sto sorridendo. Probabilmente. — Prese i soldi con una mano, passò il biglietto a Georges con l’altra. — Scommetto che potevo spillarti un altro dollaro.
— Non lo sapremo mai, eh?
— Giochiamo al raddoppio?
— Con le tue carte? — chiese gentilmente Georges.
— Amico, tu mi fai invecchiare prima del tempo. Sparisci prima che cambi idea.
— Le toilette?
— Giù in corridoio, sulla mia sinistra. — La donna aggiunse. — Non perdetevi le estrazioni.
Ci avviammo verso le toilette. Sottovoce, in francese, Georges mi disse che mentre noi perdevamo tempo al chiosco i gendarmi ci erano passati alle spalle, erano entrati nei gabinetti, usciti, tornati alla rotonda, e poi spariti in corridoio.
Lo interruppi, parlando anch’io in francese. Gli dissi che lo sapevo, ma che il posto doveva essere pieno zeppo di Occhi, di Orecchie. Avremmo discusso dopo.
Non volevo zittirlo per capriccio. Due guardie in uniforme (non quelle coi problemi di stomaco) erano entrate quasi alle nostre calcagna, erano corse a controllare per prima cosa le toilette (ragionevole; un dilettante cerca spesso di nascondersi nei gabinetti pubblici), erano uscite e ci avevano superati, perdendosi nei meandri del palazzo. Georges, tranquillissimo, si era fermato a guardare i biglietti della lotteria mentre le guardie che ci cercavano lo sfioravano un paio di volte. Ammirevole. Molto professionale.
Ma dovevo aspettare a dirglielo. Una persona di sesso indeterminato vendeva i biglietti d’ingresso per la toilette. Gli (le) chiesi quale fosse la toilette per signore. Quella (decisi che era una donna quando, dopo un’osservazione ravvicinata, notai che la sua maglietta copriva tette false, oppure vere e molto piccole) rispose in tono arcigno: — Sei scema? Ti piace discriminare, eh? Dovrei chiamare un poliziotto. — Poi mi studiò un po’ meglio. — Sei forestiera.
Lo ammisi.
— Okay. Stai attenta a non dire certe cose. Alla gente non piacciono. Qui siamo democratici, chiaro? Ganzi e donzelle usano le stesse tazze. Quindi compera un biglietto o piantala di bloccare l’ingresso.
Georges comperò due biglietti. Entrammo. Sulla nostra destra c’era una fila di cubicoli aperti. Sopra fluttuava un ologramma: QUESTE ATTREZZATURE IGIENICHE SONO OFFERTE GRATIS PER LA VOSTRA SALUTE E IL VOSTRO BENESSERE DALLA CONFEDERAZIONE CALIFORNIANA — JOHN "WARWHOOP" TUMBRIL, CAPO DELLA CONFEDERAZIONE.
Un ologramma a grandezza naturale del Capo fluttuava più in alto.
Oltre ai cubicoli aperti c’erano quelli a pagamento, con tanto di porta; ancora più in fondo, altri cubicoli chiusi da tendaggi. Alla nostra sinistra, una bancarella di novità e idee regalo gestita da una persona di sesso molto spiccato, con due tette così. Georges si fermò lì e mi sorprese acquistando diversi cosmetici e un flacone di profumo da due soldi. Poi chiese un biglietto per uno degli spogliatoi in fondo.
— Un biglietto? — La donna lo scrutò negli occhi. Georges annuì. Lei si leccò le labbra. — Sporcaccione, sporcaccione. Niente scopate illegali, amico.
Georges non rispose. Un dollaro canadese passò dalla sua mano a quella della donna, svanì. La donna disse piano: — Non metteteci troppo. Se suono il campanello, rendetevi presentabili in fretta. Numero sette, in fondo a destra.
Raggiungemmo lo spogliatoio numero sette, quello più in fondo, ed entrammo. Georges tirò le tende, chiuse le cerniere, fece scorrere l’acqua del water, poi aprì il rubinetto dell’acqua fredda e la lasciò correre. Riprendendo a parlare in francese mi disse che dovevamo cambiare aspetto senza travestimenti complicati, per cui, per favore, tesoro, togliti quello che hai addosso e mettiti la tuta che tieni nella sacca.
Mi diede spiegazioni più particolareggiate, mischiando il francese all’inglese e continuando a tirare l’acqua del water di tanto in tanto. Io dovevo indossare la scandalosa Superpelle, mettermi più trucco del solito, e cercare di sembrare la famosa Prostituta di Babilonia, o qualcosa del genere. — So che non è il tuo métier, cara ragazza, ma tenta.
— Cercherò di essere sufficiente.
— Touché!
— E tu vuoi metterti i vestiti di Janet? Non penso che ti vadano bene.
— No, non mi travestirò. Ondeggerò solo di sedere.
— Prego?
— Non indosserò abiti femminili. Tenterò semplicemente di apparire effeminato.
— Non ci credo. Va bene, proviamoci.
Io non subii troppi cambiamenti: solo la tuta stuzzicante che aveva preso al laccio Ian, più una dose di trucco superiore alla media, applicata da Georges (che sembrava convinto di essere più esperto di me nel trucco; ne era convinto perché era più esperto), più, quando uscimmo, la camminata del tipo eccomi-qui-se-ne-hai-voglia-prendimi.
Georges usò su se stesso più trucco di quanto avesse usato su di me, più quel profumo schifoso (che non mi chiese di mettere), più un foulard arancio shocking al collo che prima io tenevo come cintura. Mi chiese di gonfiargli i capelli con le mani e spruzzarli di spray, in maniera che restassero gonfi. Tutto qui… più un cambiamento radicale al suo modo di muoversi. Era ancora Georges; però non era più il macho assatanato che la notte prima mi aveva deliziosamente sfibrata.
Riempii la sacca e uscimmo. La vecchia befana della bancarella sgranò gli occhi e trattenne il fiato quando mi vide. Ma non disse niente, perché un uomo che se ne stava appoggiato alla bancarella si tirò su, puntò un dito su Georges e disse: — Tu. Il Capo ti vuole. — Poi aggiunse, quasi tra sé: — Non ci credo.
Georges si fermò, gesticolò alla disperata con tutte e due le mani. — Oh, misericordia! Deve esserci un errore.
Il gorilla morse lo stuzzicadenti che stava succhiando e rispose: — Lo penso anch’io, cittadino. Però non lo dirò, e non lo dirai nemmeno tu. Andiamo. Non tu, sorellina.
Georges disse: — Io di certo non vado da nessuna parte senza la mia cara sorellina! Punto e basta!
La befana disse: — Morrie, lei può restare qui. Tesoruccio, vieni a sederti qui dietro con me.
Georges accennò un no impercettibile con la testa, ma non era necessario. Se mi fossi fermata o quella mi avrebbe riportato diritta allo spogliatoio, o io l’avrei infilata nel suo cestino dei rifiuti. Avrei scommesso la testa che sarei stata io ad agire. Se il lavoro lo richiede, non mi tiro indietro davanti a bestialità del genere (e quella sarebbe stata meno sgradevole di Rocky Rockford), ma lo faccio solo per dovere, non per piacere. Se e quando cambierò abitudini sessuali, sarà con qualcuno che mi piace e che rispetto.
Mi avvicinai di più a Georges, lo presi per il braccio. — Non ci siamo mai separati da che mamma sul suo letto di morte mi ha chiesto di prendermi cura di lui. — Aggiunsi: — Punto e basta! — Una frase che significa poco ma risolve molte situazioni. Tutti e due assumemmo un’aria imbronciata e testarda.
Il tizio che si chiamava Morrie guardò me, poi Georges, e sospirò: — All’inferno. Vienici dietro, sorellina. Però tieni il becco chiuso e stai alla larga.
Sei punti di controllo più tardi, a ciascuno dei quali venne fatto un tentativo per sbucciarmi, fummo introdotti alla Presenza. La mia prima impressione del Capo della Confederazione John Tumbril fu che era più alto di quanto avessi creduto. Poi decisi che era la mancanza del copricapo di piume a fare la differenza. La seconda impressione fu che era ancora più scialbo di quanto lo mostrassero fotografie, cartoni animati e immagini sui terminali; e non cambiai più opinione. Come tanti altri uomini politici prima di lui, Tumbril aveva trasformato la sua spiccata, singolare bruttezza in una risorsa politica.
(La bruttezza è una necessità per un capo di stato? Ripensando alla storia, non riesco a trovare un solo uomo bello che abbia fatto molta strada in politica, bisogna tornare fino ad Alessandro il Grande, ma quello era partito avvantaggiato: suo padre era re.)
In ogni caso, "Warwhoop" Tumbril aveva l’aria della rana che cerca di sembrare rospo e non ci riesce per un soffio.
Il Capo si schiarì la gola. — Quella cosa ci fa qui?
Georges ribatté immediatamente: — Signore, devo presentare una lamentela molto seria! Quell’uomo… Quell’uomo… - Indicò il masticatore di stuzzicadenti. — Ha cercato di dividermi dalla mia amata sorella! Bisogna rimproverarlo!
Tumbril guardò Morrie, guardò me, tornò a guardare il suo parassita. — È vero?
Morrie asserì di non averlo fatto, ma che se anche lo avesse fatto sarebbe stato perché pensava che fossero quelli gli ordini di Tumbril, e comunque pensava che…
— Tu non devi pensare — sentenziò Tumbril. — Parlerò con te più tardi. E perché la lasci in piedi? Dalle una sedia! Ma devo proprio pensare io a tutto?
Dopo che mi fui seduta, il Capo riportò l’attenzione su Georges. — Oggi avete fatto un Gesto Coraggioso. Sissignore, un Gesto Molto Coraggioso. La Grande Nazione della California è Fiera di aver cresciuto Figli del Vostro Calibro. Come vi chiamate?
Georges gli diede il proprio nome.
— Payroll è un Fiero Nome Californiano, signor Payroll. Un nome che splende nella nostra Nobile Storia, dai rancheros che hanno abbattuto il Giogo Spagnolo ai Coraggiosi Patrioti che hanno abbattuto il Giogo di Wall Street. Vi spiace se vi chiamo Georges?
— Niente affatto.
— E tu puoi chiamarmi Warwhoop. Ecco la Maestosa Gloria della nostra Grande Nazione Georges. Tutti noi siamo Uguali.
Intervenni io: — Questo vale anche per le persone artificiali, Capo Tumbril?
— Eh?
— Stavo chiedendo delle persone artificiali come quelle che producono a Berkeley e Davis. Sono uguali anche loro?
— Uh… Giovane Signora, non dovreste interrompere chi è più anziano di voi. Ma per rispondere alla vostra domanda: com’è possibile che la Democrazia Umana valga anche per creature che non sono Umane? Vi aspettate forse che un gatto voti? O che voti un Vma Ford? Parlate.
— No, però…
— Eccoci qua. Tutti sono uguali e Tutti votano. Però bisogna pur tracciare il confine da qualche parte. Adesso chiudete il becco, accidentaccio, e smettetela di interrompere chi è più anziano di voi. Georges, quello che hai fatto oggi… Cioè, se quel bastardo avesse davvero voluto attentare alla mia vita, il che non è, e non dimenticarlo mai… Non avresti potuto comportarti in maniera più consona a tutte le Eroiche Tradizioni della Nostra Grande Confederazione Californiana. Tu Mi Rendi Fiero!
Tumbril si alzò, abbandonò la scrivania, incrociò le mani dietro la schiena e cominciò a passeggiare; e io scoprii perché mi era parso più alto lì che all’aperto.
Doveva usare una specie di seggiolone, o forse aveva una piattaforma sotto il suo scranno. Così, al naturale, mi arrivava all’incirca alla spalla. Passeggiando in su e in giù, rifletté ad alta voce. — Georges, c’è sempre un posto nella famiglia dei miei funzionari per un uomo col coraggio che tu hai dimostrato. Chi lo sa? Potrebbe arrivare il giorno in cui mi salverai da un criminale che abbia davvero brutte intenzioni nei miei confronti. Agitatori stranieri, intendo. Non ho nulla da temere dai Leali Patrioti Californiani. Mi adorano tutti per ciò che ho fatto per loro reggendo le sorti della Nazione dall’Ottagono. Ma altri paesi sono gelosi di noi. Ci invidiano il nostro stile di vita Ricco e Libero e Democratico, e a volte il loro odio smisurato esplode in atti di violenza.
Per un attimo restò a capo chino, in riverente adorazione di qualcosa. — Uno dei Prezzi del Privilegio di Servire — disse in tono solenne. — Ma un Prezzo che, con Tutta Umiltà, bisogna essere pronti a pagare Serenamente. Dimmi, Georges, se ti si chiedesse di compiere l’Estremo Sacrificio perché il Primo Cittadino del Tuo Paese possa vivere, esiteresti?
— Mi sembra molto improbabile — rispose Georges.
— Eh? Cosa?
— Be’, quando voto, e non accade spesso, di solito voto réunioniste. Ma l’attuale primo ministro è revanchiste. Dubito che si servirebbe di me.
— Che diavolo stai dicendo?
— Je suis Québecois, M.le chef d’état. Sono di Montréal.