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«Mi dispiace che non torni con noi, Martin» disse Norden mentre si dirigevano insieme al compartimento Uno Ovest, «ma credo tu sia nel giusto, e ti ammiriamo tutti moltissimo per la decisione presa.»

«Grazie» rispose Gibson con slancio. «Anche a me sarebbe piaciuto fare il viaggio di ritorno con voi. Ma le occasioni non mancheranno in seguito. Qualunque cosa succeda, non ho intenzione di restare su Marte per tutta la vita!» Rise. «Te lo saresti mai immaginato di cambiare così i tuoi passeggeri?»

«Proprio no. Sotto certi punti di vista sarà piuttosto imbarazzante. Mi sento un po’ come doveva sentirsi il capitano della nave che portò Napoleone all’isola d’Elba. Come l’ha presa il Presidente?»

«Non gli ho ancora parlato da quando gli è arrivato il richiamo, ma lo vedrò certamente domani prima che salga su Deimos. Comunque Whittaker dice che è ottimista, e che non sembra affatto preoccupato.»

«Secondo te che cosa succederà?»

«Potrebbero accusarlo di appropriazione di fondi, di materiale, di personale eccetera eccetera… tutte cose che sarebbero sufficienti per mandarlo in galera vita natural durante. Ma siccome nella faccenda sono coinvolti quasi tutti i dirigenti e gli scienziati di Marte, cosa vuoi che faccia la Terra? Francamente è una situazione grottesca. Hadfield è l’eroe di due universi, e l’Ufficio Sviluppi Interplaneíari dovrà per forza di cose trattarlo coi guanti. Ritengo che il verdetto sarà: "Non avreste dovuto farlo, però siamo contenti che l’abbiate fatto".»

«E credi che dopo lo lasceranno tornare su Marte?»

«Per forza. Qui non c’è nessuno che possa sostituirlo.»

«Eppure dovrà ben succedere, un giorno o l’altro.»

«È vero, ma sarebbe una follia sacrificare Hadfield quando ha ancora davanti a sé tanti anni preziosi di attività fattiva. Inoltre, il cielo assista il poveretto che fosse mandato qui a sostituirlo!»

«Certo è una situazione curiosa. Credo che avvengano un sacco di cose di cui non sappiamo niente. Per esempio, perché la Terra ha respinto subito, senza neppure discuterlo, il Progetto Aurora

«Me lo sono chiesto anch’io, e un giorno o l’altro vorrò vederci chiaro fino in fondo, in questa faccenda. Per il momento la mia opinione è che a molta gente sulla Terra dia fastidio che Marte diventi potente, e dia fastidio soprattutto la sua possibile indipendenza futura. Non per scopi oscuri e sinistri, bada bene, ma così, per principio. Il loro orgoglio ne resterebbe ferito, perché quelli vogliono che la Terra continui a restare il centro dell’universo.»

«Sai che parli della Terra in un modo curioso, come se fosse un misto di meschineria, di prepotenza e di oscurantismo?» disse Norden. «Questo non è giusto. Quelli di cui ti stai lamentando sono gli amministratori della Commissione per gli Sviluppi Interplanetari e le organizzazioni consociate, tutta gente che in fondo cerca di fare del suo meglio. Non dimenticare che tutto quello che vedi qui è dovuto allo spirito d’iniziativa terrestre. Temo che voialtri colonizzatori» e così dicendo fece un sorriso malinconico «vediate le cose da un punto di vista egocentrico. Io viceversa mi metto nei panni degli uni e degli altri, perché quando sono qui vedo e apprezzo il vostro punto di vista, ma quando in capo a tre mesi arriverò dall’altra parte probabilmente mi verrà fatto di pensare che qui su Marte siete una manica di brontoloni mai contenti.»

Gibson rise, ma un po’ forzatamente. Capiva che nelle parole di Norden c’era una buona dose di verità. Le difficoltà e le spese enormi per affrontare i viaggi interplanetari, e il tempo che occorreva per trasferirsi da un pianeta all’altro rendevano inevitabili una certa incomprensione e una certa intolleranza fra Terra e Marte. Si augurò che quando i trasporti fossero diventati più veloci queste barriere psicologiche sarebbero cadute permettendo così ai due pianeti di essere più vicini nello spirito oltre che nello spazio di tempo. Intanto erano arrivati al compartimento stagno, e stavano aspettando il mezzo che avrebbe dovuto trasportare Norden alla pista di decollo. Gli altri componenti dell’equipaggio l’avevano già salutato e ormai erano in viaggio per Deimos. Jimmy aveva avuto il permesso speciale di partire il giorno dopo con Hadfield e Irene. Certo, la posizione di Jimmy era mutata parecchio da quando l’Ares aveva lasciato la Terra, pensò Gibson alquanto divertito. E si chiese sino a che punto Norden sarebbe riuscito a farlo sgobbare durante il viaggio di ritorno.

«Allora, John, ti auguro una buona traversata!» disse Gibson stringendo la mano dell’amico mentre la porta del compartimento stagno si apriva. «Quando avrò il piacere di rivederti?»

«Tra diciotto mesi circa. Prima devo fare una corsa su Venere. E quando tornerò qui, chissà quanti cambiamenti troverò. Alghe aeree e Marziani dappertutto!»

«Non credo che succederà in così poco tempo» rispose Gibson ridendo. «Ma faremo del nostro meglio per non deluderti!»

Si salutarono, e Norden scomparve oltre la porta stagna. Gibson si accorse di provare suo malgrado una punta d’invidia al pensiero di tutte le cose verso cui l’altro tornava. Tutte le bellezze della Terra, che sino a quel momento lui aveva, se non disprezzate, certo accettate come fatti acquisiti, di normale amministrazione, erano lontanissime per Gibson. Lontane nel tempo e nello spazio. Forse sarebbero passati anni prima che potesse rivederle.

Doveva ancora salutare due persone. Quelli sarebbero stati i commiati più difficili. Nel suo ultimo incontro con Hadfield sarebbe stato opportuno dare prova di delicatezza e di tatto particolari. Il paragone di Norden, pensò, era giusto: sarebbe stato quasi come intervistare un re detronizzato sul punto di partire per l’esilio.

In realtà le cose si svolsero molto diversamente. Hadfield si dimostrò padrone della situazione come sempre e non sembrava affatto preoccupato del suo avvenire. Quando Gibson entrò dal Presidente, Hadfield stava finendo di mettere ordine nelle sue carte. La stanza aveva un aspetto nudo e squallido, e in un angolo c’erano tre cesti pieni di moduli e di promemoria stracciati. Il giorno dopo Whittaker sarebbe entrato in quella stanza con funzioni di presidente ad interim.

«Ho letto adesso la vostra relazione circa l’alga aerea e i Marziani» disse Hadfield frugando sulla sua scrivania. «È un progetto molto interessante, ma nessuno ha saputo dirmi se è attuabile o no. Il problema è complesso e delicato e non abbiamo dati sufficientemente precisi. In sostanza tutto si risolve in questo interrogativo: in che modo otterremo il migliore risultato, insegnando ai Marziani a coltivare la pianta, oppure coltivandola noi stessi? Comunque istituiremo un piccolo gruppo di ricerche che si occupi del problema, ma si potrà fare poco finché non avremo scoperto altri Marziani. Ho chiesto al dottor Petersen di interessarsi del lato scientifico, mentre vorrei che voi vi occupaste dei problemi amministrativi a mano a mano che questi si presenteranno, lasciando naturalmente a Whittaker le decisioni finali. Petersen è un’ottima persona, ma manca totalmente d’immaginazione. Perciò credo che voi due messi insieme riuscirete a trovare il giusto equilibrio.»

«Farò del mio meglio con tutta la mia buona volontà» disse Gibson, soddisfatto ma un po’ preoccupato di non riuscire a far fronte a tante nuove responsabilità. Il fatto però che il Presidente gli avesse affidato quell’incarico era confortante: significava che Hadfield, almeno, era convinto che lui fosse in grado di portarlo a termine.

Mentre stavano discutendo di dettagli amministrativi, Gibson capì che Hadfield pensava di restare assente da Marte un anno al massimo. Il Presidente dava l’impressione di considerare quel viaggio sulla Terra come una vacanza meritata, che gli spettava di diritto e che era stata rimandata troppo a lungo. Gibson si augurò che quell’ottimismo trovasse una conferma nei fatti.

Verso la fine, la conversazione scivolò fatalmente su Irene e Jimmy. Quel lungo viaggio di ritorno insieme avrebbe dato a Hadfield la possibilità che lui desiderava di studiare a fondo il futuro genero, e Gibson si augurò che Jimmy sapesse mostrarsi all’altezza della situazione. Era chiaro che Hadfield considerava questo lato del viaggio con divertito interesse. Come fece osservare a Gibson, se Irene e Jimmy fossero riusciti ad andare sempre d’accordo durante i tre mesi di stretta convivenza a bordo dell’Ares, c’era da sperare che il loro sarebbe stato un matrimonio fortunato. E se invece non ci fossero riusciti, niente di male perché se ne sarebbero accorti in tempo.

Nel lasciare l’ufficio Gibson si augurò di avere espresso in modo chiaro al Presidente la sua simpatia e la sua comprensione. Hadfield sapeva che tutto Marte lo spalleggiava, e che Gibson avrebbe fatto del suo meglio per ottenergli anche la comprensione della Terra. Il giornalista guardò la scritta dipinta senza pretese sulla porta. Nessuno l’avrebbe cambiata, comunque fossero andate le cose, perché la scritta stava a indicare un incarico, non un uomo determinato. Per dodici mesi circa, Whittaker avrebbe lavorato dietro quella porta come governatore democratico di Marte ed entro limiti ragionevoli anche come coscienzioso servitore della Terra. Chiunque avesse occupato quel posto, la scritta sarebbe rimasta immutata. Era un’altra delle opinioni ben radicate di Hadfield che il posto fosse importante e non l’uomo che lo occupava. Per quanto, pensò Gibson, non l’avesse poi messa in pratica con scrupolosa esattezza, dato che l’anonimato non era certo tra le caratteristiche di Hadfield.

L’ultimo razzo per Deimos partì tre ore più tardi trasportando Hadfield, Irene e Jimmy.

Irene era andata all’albergo per aiutare Jimmy a fare i bagagli e per salutare Gibson. Fremeva d’impazienza e di emozione e raggiava talmente di felicità che era un piacere guardarla. I suoi sogni si erano avverati di colpo tutti insieme: andava sulla Terra, e ci andava con Jimmy. Gibson si augurò che nessuna delusione guastasse il suo bell’entusiasmo. Sarebbe stato un vero peccato.

Il bagaglio di Jimmy aveva presentato parecchie complicazioni a causa della quantità di ricordi che il ragazzo aveva raccolto su Marte, soprattutto esemplari di minerali e di piante accumulatisi durante le sue gite all’esterno delle cupole. Bisognava pesare accuratamente tutta quella roba, e si dovette ricorrere a un paio di strazianti autodafè quando si scoprì che il bagaglio superava di ben due chili il peso consentito per ogni persona. Ma come Dio volle anche l’ultima valigia fu chiusa e spedita verso la pista di decollo.

«Ti raccomando, appena arrivato, di metterti in contatto con la signora Goldstein» gli disse Gibson. «Guarda che ti aspetta.»

«State tranquillo» lo rassicurò Jimmy. «Siete davvero molto gentile a darvi tanta pena per me. Vi siamo molto grati per quanto avete fatto per noi, vero, Irene?»

«Certo» disse la ragazza. «Non so davvero come avremmo fatto, senza di voi.»

Gibson fece un sorriso un po’ triste.

«Sono convinto che in un modo o nell’altro avreste fatto benissimo anche da soli» disse. «Sono felice che le cose siano andate come sono andate, e sono sicuro che sarete felici. E… mi auguro di rivedervi tra non molto tutti e due su Marte!»

Nello stringergli la mano Gibson provò ancora una volta il desiderio strapotente di rivelare al ragazzo la verità senza preoccuparsi delle conseguenze, e di salutarlo come un padre saluta il figlio. Ma sapeva che se l’avesse fatto sarebbe stato soprattutto per egoismo, per un atto di possesso, di imperdonabile autoaffermazione che avrebbe distrutto di colpo tutto il poco bene che aveva fatto al ragazzo in quegli ultimi mesi. Mentre lasciava la mano di Jimmy notò negli occhi del ragazzo un’espressione nuova. Era come un sospetto della verità, ancora vago e impreciso, che forse un giorno non lontano si sarebbe trasformato in certezza. Gibson si augurò che fosse così perché allora, quando fosse venuto il momento della rivelazione, il suo compito sarebbe stato molto più facile.

Vide i due giovani allontanarsi l’uno al braccio dell’altro, dimentichi di quello che li circondava, il pensiero già lontano nello spazio senza confini. Anche di lui si erano già dimenticati…

L’alba non era ancora spuntata quando Gibson uscì dal compartimento stagno principale e si allontanò dalla città ancora immersa nel sonno. Phobos si era coricato un’ora prima, e l’unica luce che illuminava ora il suo cammino era quella delle stelle e di Deimos alto sull’orizzonte occidentale. Diede un’occhiata all’orologio… Dieci minuti di marcia, se non avesse incontrato ostacoli.

«Su, Quiicc, andiamo» disse. «Facciamo una bella passeggiata per scaldarci.»

La temperatura esterna era di almeno cinquanta sotto zero, ma Quiicc aveva l’aria di non soffrirne affatto, e poi Gibson era del parere che il cucciolo avesse bisogno di moto. In quanto a lui stava benissimo, imbacuccato com’era nell’equipaggiamento termico.

Le oxyfere erano cresciute molto in quelle poche settimane. Avevano superato la statura di un uomo, e Gibson era convinto che la maggior parte del merito andava a Phobos. Il Progetto Aurora cominciava già a dare i primi risultati. Persino la calotta polare artica, che si stava avvicinando alla sua massima espansione di mezz’inverno, si era arrestata nella sua avanzata verso l’emisfero opposto, mentre i resti della calotta antartica si erano sciolti completamente.

Si fermarono a un chilometro circa dalla città, sufficientemente lontani dalle sue luci per non essere disturbati nelle loro osservazioni. Gibson guardò nuovamente l’orologio. Mancava meno di un minuto. Lui sapeva che cosa pensavano in quel momento i suoi amici. Fissò il disco gibboso appena visibile di Deimos, e aspettò.

Di colpo Deimos divenne più luminoso. Un attimo dopo parve spaccarsi in due, mentre una stella piccolissima e di uno splendore accecante si staccò dall’orlo del satellite e prese a scendere lentamente verso ovest. Anche a tante migliaia di chilometri di distanza il fulgore dei razzi atomici era talmente abbagliante che gli occhi stentavano a sostenerlo.

Gibson era convinto che lo osservassero. A bordo dell’Ares, in quel momento erano certamente ai finestrini d’osservazione, intenti a guardare la grande falce disegnata nel cielo dal mondo che stavano abbandonando, così come un secolo prima, tanto gli sembrava che fosse passato, lui aveva salutato la Terra.

Chissà che cosa stava pensando Hadfield. Forse si chiedeva se e quando avrebbe rivisto Marte. Su questo punto Gibson non aveva più dubbi: per quante battaglie avesse dovuto combattere, alla fine Hadfield le avrebbe vinte tutte, come aveva fatto in passato.

Adesso la piccola stella bianco-azzurra si era spostata di parecchi gradi rispetto a Deimos, e rimpiccioliva, rapidamente a mano a mano che si allontanava verso il Sole… e verso la Terra.

Il Sole si affacciò in quel momento sull’orizzonte orientale. Subito le alte piante verdi si riscossero dal loro sonno, sonno che era già stato interrotto dal meteorico passaggio di Phobos. Gibson guardò ancora una volta la stella in movimento e alzò la mano in un addio silenzioso.

«Su, vieni, Quiicc» disse. «È ora di tornare. Ho molte cose da lare, sai?» Con le dita guantate grattò le orecchie del piccolo Marziano. «E lo stesso si può dire di te» aggiunse. «Tu non lo sai ancora, ma anche per te ci sarà molto lavoro.»

L’uomo e il Marziano tornarono insieme verso le grandi cupole, che brillavano debolmente nelle prime luci del mattino. Adesso che Hadfield se n’era andato e un altro era seduto al suo posto, a Porto Lowell tutto sarebbe stato diverso.

Gibson si fermò di colpo. Per un attimo fu come se vedesse nel futuro. Chi sarebbe stato il Presidente di Marte quando il Progetto Aurora fosse entrato nella sua fase intermedia e già si fossero potuti prevedere i risultati finali?

La risposta arrivò simultanea alla domanda, e Gibson capì che cosa lo aspettava al termine della strada lungo la quale si era incamminato. Forse un giorno il compito, e il privilegio, di continuare l’opera che Hadfield aveva iniziato sarebbero stati suoi.

Martin Gibson, scrittore, giornalista, ex-terricolo, riprese il cammino verso Porto Lowell con passo più deciso e più agile, e la sua ombra si confondeva con quella di Quiicc che gli saltellava accanto. In alto, nel cielo, le ultime foschie della notte si dissipavano, e tutt’attorno le alte piante senza fiori rivolgevano la faccia al Sole.

FINE
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