«Su, parla, Jimmy! Che cosa ti passa per la testa? Mi sembra che tu abbia poco appetito, stamattina!»
Jimmy infatti stava giocherellando nervosamente con la frittata sintetica che aveva nel piatto, e l’aveva già ridotta in frammenti minuti.
«Stavo pensando a Irene. È un vero peccato che non abbia ancora avuto l’occasione di vedere la Terra!»
«Sei proprio sicuro che voglia vederla? Io qui non ho mai sentito nessuno esprimere questo desiderio.»
«Ma a lei piacerebbe, eccome! Gliel’ho chiesto io.»
«Smettila di menare il can per l’aia! Che cosa state complottando voi due? Volete fuggire con l’Ares?»
Jimmy fece un sorriso triste.
«Sarebbe un’ottima idea, ma un po’ difficile da attuare. Sinceramente, non credete che Irene dovrebbe andare sulla Terra a completare la propria educazione? Se resta qui finirà… ecco…»
«Vuoi dire che diventerà una specie di semplice ragazza di campagna… una misera coloniale? È questo che pensi?»
«Ecco, in un certo senso sì, per quanto io avrei voluto esprimermi meno brutalmente.»
«Scusa, se ho usato espressioni un po’ forti. Per essere schietto sono abbastanza d’accordo con te. Avevo fatto anch’io un ragionamento simile. Qualcuno dovrebbe parlarne con Hadfield.»
«È proprio quello che…» cominciò Jimmy.
«Che tu e Irene volete che faccia io, vero?»
Jimmy ebbe un gesto di finta disperazione.
«A voi non ve la si può proprio fare!»
«Se tu me ne avessi parlato sin dal principio, pensa quanto tempo avremmo risparmiato. Ma dimmi francamente, fino a che punto sono serie le tue intenzioni nei confronti di Irene?»
Jimmy gli diede un’occhiata gelida che fu più eloquente di qualsiasi risposta.
«Sono serissime, e voi dovreste saperlo. Intendo sposarla non appena sarà maggiorenne… e non appena io guadagnerò abbastanza da mantenere me e lei.»
Seguì un lungo silenzio, poi Gibson disse: «In fondo hai ragione. Irene è una cara ragazza, e personalmente sono convinto che un anno o più di soggiorno sulla Terra le farebbe bene. Tuttavia preferirei non parlare di questo ad Hadfield per il momento. Capisci… è molto occupato e poi… gli ho già chiesto un favore personale proprio in questi giorni.»
«Davvero?» disse Jimmy fissando con interesse il suo interlocutore.
Gibson si schiarì la voce.
«Dovevo pur dirtelo un momento o l’altro, ma per ora non farne parola con nessuno. Ho chiesto di restare su Marte.»
«Gran Dio!» esclamò Jimmy. «Ma è… è un’idea magnifica.»
«Lo credi?»
«Certamente! Piacerebbe anche a me restare qui.»
«Anche se Irene andasse sulla Terra e ti lasciasse qui solo?» chiese Gibson in tono serio.
«Che domanda! Ma quanto pensate di trattenervi?»
«Francamente non lo so. Dipende da troppe cose. Prima di tutto dovrò trovarmi un’occupazione.»
«Che genere di occupazione?»
«Ma… un’occupazione che mi si confaccia, e soprattutto che sia produttiva. Hai niente da suggerirmi?»
Jimmy tacque per un momento, concentrandosi in uno sforzo di riflessione che gli increspò la fronte. Gibson si chiese a che diavolo stesse pensando. Era forse dispiaciuto dell’idea che tra breve si sarebbero dovuti separare? In quelle ultime settimane il particolare stato d’animo fatto di incertezza e di angoscia che all’inizio li aveva a un tempo uniti e divisi si era dissolto, e loro avevano raggiunto uno stato di equilibrio affettivo, piacevole ma non del tutto soddisfacente come Gibson avrebbe sperato. Forse la colpa era sua. Forse aveva avuto troppo timore di mostrare i suoi veri sentimenti e li aveva dissimulati dietro un velo di ironia accentuata a volte di una punta di sarcasmo. E così forse era riuscito anche troppo bene nel suo intento. C’era stato un momento in cui aveva sperato di guadagnarsi la fiducia e l’affetto di Jimmy, e invece, a quanto pareva, Jimmy veniva da lui solo quando aveva bisogno di qualcosa. No… questo non era giusto. Jimmy gli era indubbiamente affezionato, forse allo stesso modo in cui molti figli sono affezionati ai loro genitori. E questa era una vittoria di cui doveva essere fiero. E poteva anche essere orgoglioso del fatto che, molto per merito suo, il carattere di Jimmy si era mutato positivamente da quando erano partiti dalla Terra. Non era più scontroso e timido come allora, e anche se era sempre un po’ chiuso, non era mai triste o imbronciato. Di questo, pensava Gibson, il merito andava in buona parte a lui. Ma ormai lui non poteva più fare molto per il ragazzo: Jimmy si stava creando un suo mondo, e adesso gli importava soltanto di Irene.
«Temo proprio di non avere nessuna idea» disse infine Jimmy. «In ogni caso potreste prendere il mio posto. Oh, a proposito. Questo mi fa venire in mente qualcosa che ho colta al volo l’altro giorno all’Amministrativo.» Abbassò la voce e con gesto da cospiratore si protese in avanti. «Avete mai inteso parlare del Progetto Aurora?» chiese.
«No. Che cos’è?»
«È appunto quello che sto cercando di scoprire. Pare che si tratti di un piano segretissimo, e molto importante, per giunta.»
«Oh!» fece Gibson, improvvisamente attento. «Ma forse io ne so qualcosa. Prova un po’ a dirmi quello che sai tu.»
«Ecco, una sera sono rimasto a lavorare fino a tardi. Mi trovavo nell’archivio ed ero seduto a terra tra uno scaffale e l’altro a cercare alcune carte, quando sono entrati il Presidente e il maggiore Whittaker. Non potevano sapere che io ero lì, e perciò parlavano tra loro come se fossero soli. A un certo punto il maggiore Whittaker ha detto qualcosa che mi ha fatto drizzare immediatamente le orecchie. Mi ricordo ancora le sue parole. Ha detto testualmente così: "Qualunque cosa succeda, si scatenerà un putiferio non appena la Terra sarà informata del Progetto Aurora… anche ammesso che abbia successo". A questo punto il Presidente ha fatto una risata strana e ha risposto che il successo giustifica tutto, o una frase del genere. Non ho potuto sentire altro perché subito dopo sono usciti. Che cosa ne pensate?»
Il Progetto Aurora. Quelle due parole ebbero su Gibson l’effetto di una formula magica, e il suo cuore prese a battere con ritmo accelerato. Dovevano certamente avere qualche rapporto con le ricerche che si stavano compiendo sulle colline intorno alla città… ma questo non bastava a spiegare l’osservazione di Whittaker. O invece si?
Gibson era abbastanza informato sul gioco di forze politiche tra Marte e Terra. Da alcune frasi di Hadfteld e dai commenti della stampa locale, aveva capito che la colonia stava attraversando un momento critico. Sulla Terra si erano levate potenti voci di protesta contro le continue spese enormi, di cui non si vedeva la fine né una possibile diminuzione, per sovvenzionare il pianeta minore. Più di una volta Hadfield gli aveva parlato di progetti che era stato costretto ad abbandonare perché troppo dispendiosi, e di altri per i quali non era riuscito a ottenere il permesso.
«Vedrò un po’ quello che mi riesce di cavare dalle mie varie fonti d’informazione» disse Gibson. «Di questo ne hai già parlato con qualcun altro?»
«No.»
«Se fossi in te terrei la bocca chiusa con chiunque. Dopotutto potrebbe trattarsi di una cosa senza alcuna importanza. Se scoprirò qualcosa ti informerò.»
«Non vi dimenticherete di interessarvi di Irene?»
«Certamente no. Ne parlerò appena se ne presenterà l’occasione. Ma forse ci vorrà un po’ di tempo. Bisogna che aspetti di trovare Hadfield in un momento di umore favorevole.»
Come investigatore, Gibson valeva poco. Fece due tentativi diretti piuttosto mal riusciti prima di capire che qualsiasi attacco frontale era inutile. George, il barista, era stato il suo primo obiettivo, perché sembrava che sapesse sempre tutto quello che succedeva su Marte, e per Gibson rappresentava una delle più preziose fonti d’informazione. Ma per una volta tanto, George risultò assolutamente disinformato.
«Il Progetto Aurora?» ripeté in tono sorpreso. «No, non ne ho mai inteso parlare.»
«Ne siete proprio sicuro?» insistette Gibson, guardandolo attentamente.
George sembrò perdersi in profonda meditazione.
«Sicurissimo» rispose infine. E non fu possibile cavargli altro. George era un attore talmente consumato che nessuno avrebbe saputo dire con certezza se stesse mentendo o se fosse sincero.
Gibson ebbe un poco più di fortuna con un redattore del Tempo Marziano. Westerman era un personaggio che di solito lui evitava volentieri, perché cercava sempre di strappargli qualche articolo, mentre Gibson era già regolarmente in ritardo con i suoi impegni terrestri.
Quando entrò nella piccola redazione dell’unico giornale di Marte, il personale, due soli impiegati, lo guardò quindi con sorpresa.
Dopo aver offerto loro alcune copie di un suo articolo, quale pegno di pace, Gibson mise in azione la trappola che aveva studiato.
«Sto cercando di raccogliere tutte le informazioni che mi riesce di trovare sul Progetto Aurora» disse in tono discorsivo. «Lo so che è ancora segreto, ma desidero aver tutto pronto per quando potrà essere pubblicato.»
Per alcuni secondi nessuno fiatò. Poi Westerman disse: «Credo che di questo sarà meglio che ne parliate al Presidente.»
«Non volevo disturbarlo per così poco. È sempre tanto occupato» disse Gibson con aria innocente.
«Io non posso dirvi niente.»
«Perché? Volete dire che non ne sapete niente?»
«Prendetela come volete. Sono in pochi su Marte a sapere di che cosa si tratti precisamente.»
Questa sì che era una notizia interessante!
«E voi per caso siete fra quei pochi?» insistette Gibson.
Westerman si strinse nelle spalle.
«Io tengo gli occhi aperti e quindi ho indovinato parecchie cose.»
Fu tutto quello che Gibson riuscì a cavargli di bocca. Sospettò, a ragione, che Westerman ne sapesse quanto lui, che volesse nascondergli la propria ignoranza. Il colloquio aveva comunque confermato a Gibson due fatti essenziali. Il Progetto Aurora esisteva veramente, ed era una faccenda segretissima. A Gibson non restava che seguire l’esempio di Westerman: tenere gli occhi aperti e cercare d’indovinare il più possibile.
Decise di abbandonare per il momento qualsiasi ricerca e di fare un giro al laboratorio biologico, dove Quiicc era ospite d’onore. Trovò il piccolo Marziano seduto sulle cosce secondo la sua abitudine, e tranquillo come il solito, mentre gli scienziati, raccolti in un angolo, cercavano di decidere quello che dovevano fare. Non appena vide Gibson, Quiicc emise un grido di gioia e si lanciò verso di lui rovesciando una sedia ma evitando per fortuna di urtare un apparecchio prezioso. I biologi assistettero a quelle dimostrazioni di simpatia con un certo dispetto, forse perché non si conciliavano con le loro opinioni sulla psicologia marziana.
«Allora» disse Gibson al capo-équipe non appena poté liberarsi dalle effusioni di Quiicc e dalla stretta delle zampe tenaci, «avete deciso sino a che punto è intelligente?»
Lo scienziato si grattò la testa.
«È una bestiola veramente strana. Qualche volta ho addirittura la sensazione che ci prenda in giro. Fatto curioso, questo cucciolo è molto diverso dal resto del suo branco. Come sapete, abbiamo mandato una squadra a studiare gli altri nel loro habitat.»
«In che senso è diverso?»
«Gli altri, sino a questo momento almeno, non hanno dato alcun segno di emotività, e non dimostrano nemmeno la minima curiosità. Si può stare vicino a loro per ore e ore, e quelli vi girano attorno seguitando a mangiare senza neppure degnarvi di uno sguardo. Insomma, finché non date loro decisamente fastidio non si occupano affatto di voi.»
«E se vengono disturbati?»
«Cercano di spingervi via come se l’oste un ostacolo qualsiasi, e se non ci riescono, vanno da un’altra parte. Ma qualsiasi cosa facciate, non c’è verso di irritarli veramente.»
«Ma sono bonaccioni di natura, oppure decisamente stupidi?»
«Né l’una cosa né l’altra, direi. È tanto tempo che non hanno più nemici naturali che non riescono nemmeno a immaginare che qualcuno possa far loro del male. Ormai devono essere più che altro creature abitudinarie. La vita è talmente dura per loro che non si possono concedere il lusso costoso di essere curiosi o emotivi.»
«E allora come spiegate il comportamento di questo cucciolo?» chiese Gibson accennando a Quiicc che in quel momento gli stava frugando nelle tasche. «Non è che abbia fame veramente, gli ho dato da mangiare proprio adesso, quindi la sua dev’essere curiosità pura e semplice.»
«Si tratta probabilmente di una fase che attraversano mentre sono ancora giovani. Pensate alla diversità che passa tra un cucciolo di gatto e un gatto adulto, o tra un bambino e un adulto.»
«Perciò quando Quiicc sarà cresciuto, sarà uguale ai suoi genitori?»
«Forse, ma non possiamo dirlo con certezza. Non sappiamo quali capacità abbia di abituarsi al nuovo ambiente. Per esempio è bravissimo nel ritrovare la strada in un labirinto, una volta che lo si sia persuaso a tentare lo sforzo.»
«Povero Quiicc!» mormorò Gibson. «A volte provo un vero rimorso al pensiero di averti portato via dalla tua casa. Però l’hai voluto tu. Su, andiamo a fare una passeggiata.»
Quiicc non se lo fece ripetere due volte: corse subito verso la porta.
«Avete visto?» esclamò Gibson. «Capisce quello che gli dico!»
«Anche un cane si comporta nello stesso modo quando sente il richiamo del padrone. Può darsi che si tratti ancora una volta di una semplice questione di abitudine. Lo portate fuori ogni giorno alla stessa ora, e lui ci si è abituato. Ce lo riportate tra mezz’ora? Stiamo sistemando l’encefalografo per prendergli un encefalogramma.»
Quelle passeggiate pomeridiane erano una scusa per riconciliare Quiicc col suo destino e acquietare al tempo stesso la coscienza di Gibson. A volte si sentiva come un rapitore di bambini che avesse abbandonato la propria vittima subito dopo il ratto. Ma era tutto per amore della scienza, e i biologi avevano giurato che non avrebbero mai fatto alcun male al piccolo Quiicc.
Gli abitanti di Porto Lowell si erano ormai abituati a vedere la strana coppia passeggiare ogni giorno per le strade della cittadina, e la gente non si affollava più per vederli. Quando non era orario di scuola, Quiicc di solito raccoglieva intorno a sé un gruppo di giovani ammiratori che volevano giocare con lui, ma quel giorno era un po’ più presto del solito, e la popolazione infantile era ancora nel recinto scolastico. Insomma non c’era nessuno in vista, quando Gibson e il suo amico imboccarono la Broadway. Ma poco dopo comparve in lontananza la figura familiare di Hadfield in giro per la sua ispezione quotidiana, come sempre accompagnato dai suoi gatti.
Era la prima volta che Topazio e Turchese s’incontravano con Quiicc, e la loro calma aristocratica fu messa a dura prova. Fecero del loro meglio per dissimulare l’agitazione alla vista dello sconosciuto rivale, ma tirando il guinzaglio andarono a nascondersi dietro le gambe di Hadfield. Quiicc invece non li degnò neppure di un’occhiata.
«Che serraglio!» disse Hadfield ridendo. «Non credo che Topazio e Turchese siano molto contenti di avere un rivale. Da tanto tempo regnano qui soli e indisturbati, che credono che questo posto spetti soltanto a loro.»
«Ancora nessuna notizia dalla Terra?» domandò Gibson con una certa ansia.
«A proposito della vostra richiesta? Quanta premura! L’ho spedita soltanto due giorni fa. Sapete anche voi con quanta rapidità si muovono le cose laggiù. Passerà almeno una settimana, prima che si possa avere una risposta.»
La Terra era sempre laggiù. Gli altri pianeti erano sempre quassù. Questi avverbi di luogo suggerivano a Gibson un curioso quadro formato da un gran piano inclinato che portasse giù sino al Sole, con tutti i pianeti disposti lungo il percorso ad altezze diverse.
«Francamente non vedo che cosa c’entri la Terra» disse Gibson. «Dopo tutto non si tratta di un problema importante come potrebbe essere quello di stanziare le somme necessarie per la costruzione di nuove astronavi. Infine sono già qui, e se non torno risparmio loro un sacco di seccature!»
«Non potete immaginare come diventino complicati questi semplici argomenti dettati dal più elementare buonsenso per i grandi manipolatori della politica terrestre» disse Hadfield. «Eh, no, mio caro! La burocrazia dove la mettete? Lo sapete che ogni cosa deve seguire un suo iter burocratico?»
Gibson era convinto che Hadfield di solito non parlasse con quel tono sprezzante dei suoi superiori diretti, e provò quella particolare soddisfazione che si ha sempre quando ci è concesso di condividere una confidenza fatta spontaneamente. Era un nuovo segno che il Presidente si fidava di lui e lo giudicava un alleato. Se era così, perché non osare di parlargli dei due argomenti che in quel momento gli stavano tanto a cuore: il Progetto Aurora e Irene? Per quel che riguardava Irene aveva data la sua parola e bisognava che la mantenesse. Prima però voleva parlare con Irene direttamente… Sì, sarebbe stata un’ottima scusa per rimandare ulteriormente il colloquio con Hadfield, che non sarebbe stato né facile né piacevole.
Lo rimandò talmente che alla fine fu la stessa Irene a affrontare l’argomento direttamente, senza dubbio spinta da Jimmy che il giorno seguente informò Gibson sull’esito della conversazione tra padre e figlia. Dalla faccia di Jimmy fu facile capire quale fosse stato il risultato, prima ancora che il ragazzo parlasse.
La richiesta di Irene doveva essere stata un colpo duro per Hadfield, il quale era sicuramente convinto di aver sempre dato alla figlia tutto quanto lei potesse desiderare. Ne aveva quindi avuto il disinganno comune a tutti i genitori. Però aveva accolto la cosa con calma, e non c’erano state scene. Hadfield era un uomo troppo intelligente per assumere l’atteggiamento assurdo del padre offeso. Si era limitato a dare ragioni chiare e convincenti dell’impossibilità per Irene di andare sulla Terra prima di aver compiuto i ventun anni. Per quel giorno, aveva già deciso di rimpatriare per una lunga vacanza, durante la quale avrebbero fatto insieme il giro del vecchio mondo. Questo significava aspettare ancora tre anni.
«Tre anni!» si lamentò Jimmy. «È come dire tre secoli!»
Gibson comprendeva benissimo lo stato d’animo del ragazzo, ma cercò di fargli notare il lato positivo della situazione.
«In fondo non è poi un’eternità. E per quell’epoca tu avrai terminato i tuoi studi e sarai già in grado di guadagnare più di tanti altri della tua età. Vedrai come passa presto il tempo.»
Ma le parole consolatrici non dissiparono affatto la tetraggine di Jimmy. Gibson stava per aggiungere che per fortuna su Marte il tempo veniva ancora calcolato secondo il tempo terrestre, e non già secondo l’anno marziano che sarebbe stato di 687 giorni, ma non gli parve il caso, e si limitò invece a chiedere:
«Che cosa ne pensa in complesso Hadfield della vostra decisione? Irene gli ha parlato di te?»
«Credo che Hadfield non ne sappia ancora niente.»
«Bravi! Secondo me sarebbe una buona idea se tu andassi direttamente da lui e gli dicessi tutto, chiaro e tondo.»
«Ci avevo pensato anch’io» disse Jimmy, «ma credo che non ne avrò mai il coraggio.»
«Eppure bisognerà che tu superi questo tuo complesso d’inferiorità nei suoi riguardi, visto che un giorno o l’altro diventerà tuo suocero» disse Gibson.
«D’altra parte, che male può venirti dal parlargli chiaro?»
«Potrebbe impedire a Irene di vedermi durante il poco tempo che ancora ci rimane.»
«Hadfield non è tipo da ricorrere a queste meschinerie. Del resto, se lo fosse, l’avrebbe già fatto da un pezzo.»
Jimmy rifletté un momento e dovette ammettere che Gibson aveva ragione. Fino a un certo punto il giornalista era d’accordo con il ragazzo, perché ricordava di aver provato anche lui uno strano nervosismo durante i primi incontri con Hadfield. Eppure lui aveva minori scusanti di Jimmy, perché una lunga esperienza gli aveva insegnato che sono pochi i grandi uomini che rimangono tali quando li si conosce più a fondo. Per Jimmy, invece, Hadfield restava il padrone di Marte, solitario e inavvicinabile.
«Andando da lui, che cosa dovrei dirgli, secondo voi?» chiese il ragazzo.
«La pura e semplice verità. In certi casi, la verità fa miracoli.»
Jimmy guardò Gibson con espressione offesa. Il ragazzo non sapeva mai se l’altro scherzava o parlava sul serio. Era il difetto principale di Gibson, e aveva sempre costituito l’ostacolo principale a una vera intesa tra loro.
«Senti» disse Gibson «vieni con me dal Presidente, stasera, e raccontagli tutto. E devi cercare di metterti un po’ nei suoi panni. Per quanto ne sa lui, il tuo potrebbe anche essere un semplice capriccio, un innamoramento passeggero, sia da parte tua sia da parte di Irene. Ma se tu gli dici che è una cosa seria e che vi volete fidanzare, allora la cosa cambia aspetto.»
Si sentì molto sollevato quando Jimmy acconsentì infine a seguire il suo consiglio senza altre discussioni. Dopotutto, se il ragazzo aveva una certa stoffa bisognava che agisse da solo, senza troppi suggerimenti estranei. Gibson aveva sufficiente sensibilità per capire che, nella sua preoccupazione di essergli utile, non doveva correre il rischio di distruggere nel ragazzo la fiducia in se stesso.
Tra le doti di Hadfield c’era quella che si sapeva sempre esattamente dove trovarlo in qualsiasi momento… ma guai a chi avesse osato disturbarlo con questioni di ufficio durante le poche ore in cui il Presidente si considerava libero dagli impegni di lavoro. Ma qui non si trattava di problemi burocratici e tanto meno ufficiali, e non doveva nemmeno essere una cosa del tutto imprevista, perché Hadfield non si mostrò affatto sorpreso di vedere Jimmy insieme a Gibson. Di Irene nessuna traccia. La ragazza si era eclissata prudentemente, e non appena gli fu possibile, Gibson fece altrettanto.
Era andato ad aspettare in biblioteca sfogliando libri e chiedendosi quanti di quei libri il Presidente avesse effettivamente il tempo di leggere.
Poi Jimmy comparve sulla soglia dicendo: «Il signor Hadfield desidera parlarvi.»
«Com’è andata?»
«Non lo so ancora, ma meno peggio di quello che credevo.»
«È sempre così. E non ti angustiare, darò le migliori informazioni possibili su di te. Posso farlo senza mentire troppo.»
Quando entrò nello studio, Hadfield era sprofondato in una poltrona, intento a fissare il tappeto come se lo vedesse per la prima volta. Il Presidente fece cenno all’ospite di sedere sull’altra poltrona.
«Da quanto tempo conoscete Spencer?» chiese.
«Solo da quando ho lasciato la Terra. Non l’avevo mai visto, prima di salire a bordo dell’Ares.»
«E credete che questo breve tempo sia sufficiente per farsi un concetto esatto del carattere di un individuo?»
«A volte non basta una intera vita» fu la risposta di Gibson.
Hadfield sorrise, e per la prima volta alzò gli occhi.
«Non eludete la mia domanda» disse, ma senza irritazione. «Che cosa pensate esattamente di lui? Sareste disposto ad accettarlo come genero, voi?»
«Sì» rispose Gibson senza esitare. «Con entusiasmo.»
Forse fu un bene che Jimmy non fosse lì a sentire la conversazione che seguì nei dieci minuti successivi, d’altra parte, però, fu un peccato, perché avrebbe permesso al ragazzo di comprendere la vera natura di Gibson. Nel suo attento interrogatorio, infatti, Hadfield cercò non soltanto di sondare il carattere di Jimmy, ma anche quello di Gibson. Gibson avrebbe dovuto immaginarlo, e il fatto di non averci pensato, nella sua ansia di rendere un favore al suo protetto, tornò tutto a suo credito. Quando Hadfield mutò improvvisamente tattica, lo scrittore fu colto completamente alla sprovvista.
«Ditemi un po’, Gibson» disse a un tratto il Presidente, «per quale motivo vi interessate tanto a Spencer? Mi avete detto di conoscerlo soltanto da cinque mesi.»
«Ed è vero. Ma dopo poche settimane, parlando, scoprimmo che io ero stato molto amico dei suoi genitori, vecchi compagni di università.»
Ecco: la risposta gli era uscita di bocca prima che lui se ne rendesse conto. Hadfield inarcò le sopracciglia. Certo si stava chiedendo come mai Gibson non si fosse laureato, ma aveva troppo tatto per insistere sull’argomento. Si limitò quindi a qualche semplice domanda sui genitori di Jimmy.
Sembravano domande vaghe, quali ci si poteva aspettare dalla discrezione di Hadfield, e Gibson rispose senza sospetti. Si era dimenticato di avere a che fare con una tra le intelligenze più acute di tutto il sistema solare, o almeno una intelligenza capace quanto la sua di analizzare gli impulsi e i comportamenti umani. Quando si rese conto di quello che era successo, era ormai troppo tardi.
«Scusatemi» disse Hadfield con cortesia ingannatrice «ma non so perché questo racconto non mi convince del tutto. Non voglio dire con questo che non mi avete detto la verità. È possibilissimo che vi interessiate tanto a Spencer per il solo fatto di aver conosciuto molto bene i suoi genitori vent’anni fa. Ma avete cercato di spiegare troppe cose, dandomi l’impressione che la faccenda vi tocchi in modo più profondo.» Si protese in avanti e puntò un indice accusatore contro Gibson. «Non sono un imbecille, e capire le menti umane è il mio mestiere. Non siete obbligato a rispondere, se non volete, ma io credo di avere il diritto di sapere. Jimmy Spencer è vostro figlio, vero?»
La bomba era scoppiata, e adesso l’esplosione si era dissolta. Nel silenzio che seguì, l’unica sensazione di Gibson fu quella di un profondo sollievo.
«Sì, è mio figlio» rispose. «Come avete fatto a capirlo?»
Hadfield sorrise. Aveva l’aria di essere alquanto soddisfatto della sua perspicacia, come se avesse finalmente sistemata una questione che lo turbava da parecchio tempo.
«È incredibile come certi uomini siano ciechi di fronte ai risultati delle proprie azioni, e come siano propensi a credere che nessun altro all’infuori di loro sia dotato di capacità d’osservazione. Tra voi e Spencer esiste una somiglianza, lieve ma caratteristica. Quando vi ho visto per la prima volta insieme ho chiesto subito se eravate parenti e sono rimasto sorpreso sentendomi rispondere di no.»
«Molto strano» disse Gibson. «Siamo stati insieme per tre mesi sull’Ares, e nessuno se n’è accorto.»
«E lo trovate davvero tanto strano? I compagni d’equipaggio di Spencer lo conoscevano già. Per questo a loro non è mai venuto in mente di associarlo a voi. Intendo dire che il fatto di conoscere il ragazzo e di sapere chi era ha impedito loro di notare la rassomiglianza che io invece, non avendo idee preconcette in proposito, ho rilevato subito. Ma non ci ave vo più pensato, ritenendola una semplice coincidenza, sino al momento in cui mi avete raccontato la vostra storia. Allora ho sommato le due cose. Ditemi… Spencer lo sa?»
«Sono convinto che non lo sospetta neppure.»
«Come fate a esserne sicuro? E perché non gliel’avete detto?»
Era un interrogatorio in piena regola, da giudice istruttore, ma Gibson non se ne risentì. Hadfield aveva tutto il diritto di rivolgergli quelle domande. E Gibson aveva bisogno di qualcuno con cui confidarsi, esattamente come Jimmy aveva avuto bisogno di lui, quando a bordo dell’Ares aveva parlato per la prima volta del passato. E pensare che era stato proprio lui a riportarlo a galla! Non avrebbe mai immaginato le conseguenze di quel colloquio col ragazzo.
«Sarà meglio che ricominci dal principio» disse Gibson muovendosi a disagio sulla poltrona. «Quando ho lasciato l’università avevo un fortissimo esaurimento nervoso e sono rimasto in un ospedale per oltre un anno. In quel periodo avevo perso ogni contatto con i miei amici di Cambridge, e in seguito, per quanto alcuni abbiano cercato di riavvicinarmi, io non ho mai voluto ricordare il passato e riallacciare i rapporti. Naturalmente, malgrado le mie precauzioni per evitare i vecchi amici, di tanto in tanto ne incontravo qualcuno. Ma è stato soltanto parecchi anni più tardi che ho saputo quello che era successo di Kathleen, la madre di Jimmy. Ma lei era già morta.»
Tacque ripensando, dopo tutti quegli anni, alla sua meraviglia di allora nell’accorgersi quanta poca emozione gli avesse dato quella notizia.
«Avevo saputo che c’era un figlio, ma questo non mi aveva detto niente. Eravamo sempre stati molto attenti… o per lo meno così avevamo creduto, e così ero convinto che il figlio fosse di Gerald. Non sapevo quando si erano sposati e quando fosse nato Jimmy, capite? Io volevo soltanto dimenticare tutto, quindi ho scacciato dalla mente qualsiasi ricordo di quel tempo. Non riesco neppure a ricordarmi se mi è mai passato per la mente che il ragazzo avrebbe potuto essere mio figlio. Forse a voi sembrerà strano, ma vi assicuro che è la pura verità.
«Poi ho conosciuto Jimmy, e tutto il passato mi è ricomparso davanti. A tutta prima ho provato solo una gran pena per il ragazzo, poi mi sono alfezionato a lui, ma ancora non avevo capito chi fosse. Anzi mi sembrava di vedere in lui una certa rassomiglianza con Gerald, per quanto i lineamenti di Gerald ora mi sfuggano completamente. Povero Gerald! Lui naturalmente sapeva tutta la verità, ma era innamoratissimo di Kathleen e deve essere stato felice di sposarla nonostante tutto. Forse è da compassionare quanto Kathleen, forse sono stati tutti e due ugualmente infelici, ma non lo sapremo mai.»
«Quando avete scoperto la verità?» insistette Hadfield.
«Solo poche settimane fa, quando Jimmy mi ha chiesto di fargli da testimonio per un certo documento ufficiale che doveva sottoscrivere in seguito alla sua richiesta di lavorare qui a Porto Lowell. È stato allora che ho saputo la sua esatta data di nascita.»
«Capisco» disse Hadfield pensoso. «Questo però non costituisce una prova assoluta.»
«Ma io ne sono sicurissimo» replicò Gibson con tanta foga che Hadfield non poté trattenere un sorriso. «E anche ammesso che avessi ancora qualche dubbio, le vostre parole di poco fa l’hanno completamente dissipato.»
«E Spencer?» chiese Hadfield, tornando alla sua domanda iniziale. «Non mi avete ancora detto perché siete sicuro che non sospetta niente. Non potrebbe avere confrontato a sua volta qualche data? Il giorno del matrimonio dei suoi genitori, per esempio? E sicuramente quanto gli avete detto deve avere svegliato in lui qualche dubbio!»
«Non credo» disse Gibson scegliendo ogni parola con cura, con la delicata precisione di un gatto che cammina su un cornicione. «Vedete, lui ha, come dire, idealizzato sua madre, e per quanto possa sospettare che io non gli abbia detto proprio tutto, questo non significa che ne abbia tratte le conclusioni che voi immaginate. Non è il tipo che sarebbe rimasto zitto se avesse indovinato la verità. D’altronde non ha alcuna prova materiale, anche ammesso che conosca la data esatta del matrimonio dei suoi genitori. No, sono convinto che Jimmy non sa niente, e temo che ne avrebbe un trauma se venisse a saperlo.»
Hadfield non disse niente. Gibson non poteva neppure immaginare quello che stesse pensando. Non era una storia molto credibile, la sua, però lui aveva avuto il inerito di aver parlato con estrema franchezza.
Finalmente Hadfield si strinse nelle spalle e fece un gesto che sembrò riassumere in un attimo tutta una vita di studio sulla natura umana.
«Vi è affezionato» disse. «Supererebbe il trauma.»
Gibson si rilassò con un sorriso di sollievo. Il peggio era passato.
«Ehi, quanto tempo!» disse Jimmy. «Credevo che non la finiste più. Dunque? Come è andata?»
Gibson lo prese per un braccio.
«Bene. Non ti preoccupare. Tutto si sistemerà per il meglio, vedrai!»
Sperava e credeva di dirgli la verità. Hadfield era stato pieno di buonsenso, cosa che molti padri non sono.
«Non mi interessa in modo particolare chi siano o non siano i genitori di Spencer,» aveva detto. «Non viviamo più nell’epoca della regina Vittoria. A me interessa soltanto il ragazzo in sé e per sé, e devo dire di averne ricevuta un’impressione lavorevole. Ho parlato di lui col capitano Norden, quindi non mi baso soltanto sul nostro colloquio di stasera, per giudicarlo. Sì, è da molto che mi sono accorto di quello che andava maturando. Anzi, trovo che la cosa abbia un certo carattere di inevitabilità, dal momento che qui su Marte sono così pochi i giovani dell’età di Spencer.»
Aveva allargato le mani davanti a sé, un gesto che Gibson gli aveva visto fare altre volte, ed era rimasto a fissare le dita come se le vedesse per la prima volta.
«Il fidanzamento può essere annunciato domani» aveva aggiunto con voce insolitamente dolce. «E adesso, parliamo un po’ di voi, del vostro ruolo in tutta questa faccenda» e aveva fissato intensamente Gibson che aveva sostenuto il suo sguardo senza battere ciglio.
«È mia intenzione fare per Jimmy quanto è nelle mie possibilità» aveva risposto il giornalista.
«E persistete nell’intenzione di restare su Marte?»
«Ho riflettuto anche a questo. Ma se tornassi adesso sulla Terra, di che utilità gli sarei? Jimmy laggiù ci resterà poco, al massimo qualche mese, e anzi credo che d’ora in poi avrò assai più occasioni di vederlo qui su Marte che non altrove.»
«Sì, credo che abbiate ragione» aveva detto Hadfield con un sorriso. «Sino a che punto a Irene piacerà avere un marito che trascorre metà della propria esistenza nello spazio è ancora da vedere… ma dopotutto, sono secoli che le mogli dei marinai hanno superato questo scoglio.» Poi, dopo una breve pausa, aveva detto: «Sapete che cosa dovreste fare?»
«Vi ascolto» aveva risposto Gibson con calore.
«Non ditegli niente finché tutto non sarà completamente sistemato. Rivelargli la sua identità ora non servirebbe, e potrebbe anzi provocare un danno. In seguito però dovrete dire a Jimmy chi siete veramente per lui, o chi è lui per voi, come preferite. Ma credo che per il momento convenga aspettare.»
Era la prima volta che Hadfield si riferiva al ragazzo usandone il nome. Forse non se n’era neppure accorto, ma per Gibson fu una prova sicura che già Hadfield considerava Jimmy come il suo futuro genero. Questa certezza suscitò in lui un’improvvisa corrente di simpatia e di amicizia, quasi di affetto, nei riguardi di Hadfield. D’ora in avanti i due uomini sarebbero stati uniti nel disinteressato impegno per il raggiungimento di uno scopo comune: la felicità dei figli nei quali vedevano entrambi rivivere la loro gioventù.
In seguito, ogni volta che ripensò a quel colloquio, Gibson lo considerò come l’inizio della sua amicizia con Hadfield, il primo uomo al quale aveva sentito di poter dare senza riserve la propria ammirazione e il proprio rispetto. La loro fu un’amicizia destinata ad avere una parte importante nell’avvenire di Marte, assai più importante di quanto gli stessi Hadfield e Gibson potevano supporre.